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Compensatio lucri cum damno

Compensatio lucri cum damno, eccezione in senso lato, mera difesa in ordine all’esatta entità del pregiudizio patito dal danneggiato.

Pubblicato il 05 November 2018 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari – Terza Sezione Civile

composta dai seguenti Magistrati:

ha emesso la seguente

SENTENZA n. 1843/2018 pubblicata il 31/10/2018

nella causa civile in grado di appello avente ad oggetto “Risarcimento danni”, iscritta nel ruolo generale degli affari civili contenziosi civili sotto il numero d’ordine dell’annon 2014

T R A

XXX, rappresentato e difeso dall’avv. in virtù di procura a margine dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Bari

APPELLANTE E MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, presso i cui uffici domicilia ex lege

APPELLATO
All’udienza collegiale del 6.06.2018 la causa, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti nei termini di cui al foglio di conclusioni allegato al verbale di udienza, è stata riservata in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato in data 30.12.2005 XXX conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Bari il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, per ivi sentirlo condannare al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti a causa di epatopatia cronica HCV, contratta a seguito di emotrasfusioni cui si era sottoposto, con cadenza periodica di 15-20 giorni, presso l’Ospedale fin dal 1974, essendo affetto da “Thalassemia Major”.

Costituitosi in giudizio, il Ministero della Salute eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, la prescrizione del diritto al risarcimento nonché l’infondatezza della domanda.

All’esito dell’istruttoria (con espletamento di una consulenza tecnica di ufficio medicolegale), il Tribunale adito decideva la causa, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., con sentenza n. 3797/12 del 29.11.2012, con la quale rigettava la domanda e compensava integralmente fra le parti le spese del giudizio, ponendo definitivamente a carico dell’attore le spese della consulenza tecnica d’ufficio.

Avverso detta sentenza ha proposto appello innanzi a questa Corte, con atto di citazione notificato il 14.01.2014, XXX chiedendo, per i motivi di seguito indicati e in riforma dell’impugnata decisione, l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “1) Dichiarare il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, responsabile ai sensi degli artt. 2043, 2050 e 2059 nonché dell’art. 185 c.p.c., della infezione (HCV), malattia (epatopatia cronica irreversibile da HCV) ed invalidità riportate dall’appellante. 2) Per l’effetto condannare il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento del danno non patrimoniale da pregiudizio biologico e morale subito dall’appellante ed in favore dello stesso, per la complessiva somma di € 277.161,17, ovvero per quell’altra somma ritenuta di giustizia, da determinarsi in corso di causa, oltre interessi ulteriori e rivalutazione monetaria come per legge. 3) In subordine condannare il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento del danno non patrimoniale da pregiudizio biologico e morale subito dall’appellante ed in favore dello stesso, per la complessiva somma di € 237.288,24, cosi determinata al netto delle somme percepite ex L. 210/92, ovvero per quell’altra somma ritenuta di giustizia, da determinarsi in corso di causa, oltre interessi ulteriori e rivalutazione monetaria come per legge. 4) In via gradata condannare il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento del danno non patrimoniale da pregiudizio biologico e morale subito dall’appellante ed in favore dello stesso, per la complessiva somma di € 223.053,24, cosi determinata al netto delle somme percepite ex L. 210/92 rivalutate dalla data di riconoscimento (27.1.2003) a quella della impugnata pronuncia, ovvero per quell’altra somma ritenuta di giustizia, da determinarsi in corso di causa, oltre interessi ulteriori e rivalutazione monetaria come per legge; 5) In via ulteriormente gradata condannare il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento del danno non patrimoniale da pregiudizio morale subito dall’appellante ed in favore dello stesso, per la somma ritenuta equitativamente di giustizia, da determinarsi in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria come per legge; 6) Con vittoria di spese e competenze del doppio grado di giudizio, da distrarsi in favore del sottoscritto difensore che all’uopo si dichiara anticipatario”.

Ricostituitosi il contraddittorio, il Ministero della Salute ha resistito all’appello, chiedendone il rigetto siccome infondato, con vittoria di spese processuali.

Il Tribunale è pervenuto alla decisione di rigetto della domanda, pur ritenendo meritevole di risarcimento l’attore, dopo aver operato la compensatio lucri cum damno e verificato che l’importo della rendita capitalizzata e rivalutata (€ 151.404,00) attribuita al XXX è superiore a quanto liquidabile all’attualità a titolo risarcitorio (€ 130.000,00).

Con il primo motivo di gravame l’appellante lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 2697 c.c., in relazione all’operata compensatio lucri cum damno, poiché il Giudice di prime cure, in assenza della relativa eccezione di parte ha, d’ufficio, decurtato la posta risarcitoria dalle somme già percepite da esso impugnante ex lege 210/92, ponendo, peraltro, a suo carico la relativa prova.

Il motivo è destituito di fondamento, essendo consolidato nella giurisprudenza di legittimità l’indirizzo interpretativo in virtù del quale: a) in caso di responsabilità medica da emotrasfusione, l’indennità corrisposta al danneggiato ex l. n. 210/1992 deve essere scomputata dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento, in quanto il credito indennitario, pur avendo titolo diverso, ha il medesimo fine del credito risarcitorio, tendendo alla riparazione del pregiudizio subito dall’assicurato in conseguenza del verificarsi dell’evento dannoso e venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. un., 22 maggio 2018 n. 12565); b) la “compensatio lucri cum damno” costituisce una eccezione in senso lato, vale a dire non l’adduzione di un fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto azionato, ma una mera difesa in ordine all’esatta entità globale del pregiudizio effettivamente patito dal danneggiato, ed è, come tale, rilevabile anche d’ufficio dal giudice, il quale, per determinare l’esatta misura del danno risarcibile, può fare riferimento, per il principio dell’acquisizione della prova, a tutte le risultanze del giudizio (cfr. Cass. civ., sez. VI, 24 settembre 2014, n. 20111).

Con il secondo motivo l’appellante si duole della errata quantificazione della posta risarcitoria sotto il profilo della omessa adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale. Sul punto il Tribunale ha affermato che “tenuto conto dell’età dell’attore (un anno) all’epoca delle prime trasfusioni, il danno biologico con riferimento all’invalidità permanente pari al 24% va liquidato in valori monetari attuali, facendo applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano 2011 relative ai cd. “danni macropermanenti”, nella somma tabellare di € 113,732,00, aumentata equitativamente ad € 130.000,00, importo che tiene conto di ogni componente descrittiva del danno non patrimoniale fatto oggetto di circostanziata “personalizzazione”.

Ad avviso dell’appellante, nonostante la fattispecie concreta offrisse elementi oggettivi in tal senso (l’entità e la relativa gravità delle lesioni subite con la loro evoluzione degenerativa, così come puntualmente accertato dalla disposta c.t.u.; la giovane età del danneggiato; l’innegabile compromissione delle relazioni sessuali e sociali in genere; la configurabilità di un reato, come le lesioni personali gravissime; il grado di colpa dell’offensore e la riprovevolezza sociale del fatto dannoso), il Tribunale si è limitato ad una sterile personalizzazione risarcitoria, sulla scorta dell’età del danneggiato all’epoca delle prime trasfusioni e dell’invalidità permanente accertata, omettendo negligentemente lo scrutinio delle circostanze concrete, imposto dalla storica pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2008. Pertanto, l’esame di tali circostanze imporrebbe un congruo adeguamento, pari quantomeno al 50%, della somma di € 113.732,00, anche in considerazione del danno morale non considerato dal Tribunale. Anche tale censura è infondata.

Osserva questa Corte che il danno alla salute non consiste in un numero percentuale, ma consiste nel complesso di privazioni che la vittima dovrà subire nella vita quotidiana, lavorativa e sociale per effetto della menomazione ed è solo una fictio iuris diretta a garantire un minimo di oggettività che esso viene commisurato ad una misura percentuale (così che, ad esempio, lo sfregio permanente del viso corrispondente al 10% comprende in sè anche il necessario danno estetico o la frattura dell’anca guarita con coxartrosi implica di per sè la perduta possibilità di camminare con le ordinarie conseguenti ripercussioni anche in ambito relazionale e psicologico).

Ciò premesso, va pertanto verificato se nel caso di specie i pregiudizi subiti dal XXX siano stati più gravi del consueto, ovvero se essi abbiano assunto sulla sua persona caratteristiche difformi e ulteriori rispetto a quanto viene di solito ricompreso nei baremes medico-legali previsti per quel tipo di invalidità.

Al riguardo, infatti, non può prescindersi dalla doverosa applicazione del principio di diritto affermato dalla Suprema Corte (v. Cass. civ., sez. III, 18 novembre 2014, n. 24471), in base al quale, in tema di risarcimento del danno alla persona, le circostanze di fatto che ne giustificano la “personalizzazione” integrano un “fatto costitutivo” della pretesa, sicchè devono essere allegate in modo circostanziato già nell’atto introduttivo del giudizio e non possono risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche.

Nella specie non risulta che l’attore abbia assolto tale onere di circostanziata allegazione nè indicazioni in tal senso si evincono dal contenuto della consulenza tecnica d’ufficio. Invero, va preso atto che l’attore nella trattazione del punto si è sostanzialmente limitato (peraltro solo in appello) a descrivere quelle che sono le varie ripercussioni “ordinarie” della malattia, specie sotto il profilo soggettivo, legata ai rapporti interpersonali ed all’attività sessuale che, ancorchè il virus sia difficilmente trasmissibile attraverso i rapporti sessuali, può comportare una non trascurabile influenza negativa per la necessità di comunicazione al partner del proprio stato ed il raccomandato uso di profilattici. A ciò si aggiunge la presumibile difficoltà psicologica, il riflesso sulla serenità in tutti i rapporti personali (familiari ed amicali, oltre che sessuali), nonchè le presumibili difficoltà legate allo svolgimento dell’attività lavorativa (che, peraltro, il c.t.u. ha escluso nel caso di specie).

Non risultano segnalati, invece, elementi – che consentano di calibrare il danno in relazione al riverbero soggettivo del pregiudizio accertato – ulteriori rispetto a quelli ordinari, già considerati nella quantificazione della percentuale di invalidità.

Aggiungasi che il danno morale deve ritenersi già riconosciuto al XXX attraverso l’applicazione delle tabelle milanesi (che dal 2009 prevedono il c.d. punto pesante) e che il Tribunale ha escluso la configurabilità nella fattispecie di ipotesi di reato.

Consegue che non è censurabile – sotto il profilo in esame – l’operata personalizzazione del danno non patrimoniale nella misura del 15%, che deve – per contro – ritenersi congrua nel range previsto dalla tabella applicata.

Con il terzo motivo il XXX lamenta l’omessa attribuzione degli interessi compensativi sulla somma riconosciuta a titolo risarcitorio, censurando la motivazione resa sul punto dal Giudice di prime cure.

Il motivo è fondato, essendo la Corte univocamente orientata – diversamente da altro indirizzo interpretativo minoritario – a favore dell’indirizzo prevalente, secondo cui, trattandosi di un credito di valore, vanno riconosciuti gli interessi legali compensativi da calcolare secondo i criteri fissati da Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 1995, n. 1712.

Sul punto la sentenza deve, pertanto, essere riformata.

Con il quarto motivo il XXX deduce che il Tribunale, nella farraginosa operazione di scomputo delle somme percepite da esso appellante ex L.210/92, ha erroneamente capitalizzato l’indennizzo alla data di concessione dello stesso, considerandolo come apoditticamente corrisposto a tale data, per poi procedere ad attualizzarlo alla data della pronuncia (mediante rivalutazione), prima di portarlo in detrazione dalla posta risarcitoria.

Ad avviso dell’appellante, invece, in applicazione del criterio della “compensatio lucri cum damno”, la detrazione dall’importo riconosciuto a titolo di risarcimento del danno complessivo riguarda solo le somme già versate dal Ministero a titolo di indennizzo ex L. 210/92 e non quelle che l’ Amministrazione sarebbe tenuta a corrispondere in futuro a tale titolo, non potendosi applicare una compensazione fra una posta risarcitoria effettiva e correlata ad un danno già liquidato ed un indennizzo ancora futuro ed incerto, dovuto sulla base di presupposti non ancora verificati (richiama, al riguardo, Cass. civ., 12 febbraio 2015, n. 2785; Cass. civ., 14 giugno 2013, n. 14932; Cass. civ., 17 gennaio 2012, n. 532; Cass. civ., 23 maggio 2011, n. 11302; Cass. civ., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584).

Tale orientamento sarebbe condiviso dalla giurisprudenza di merito, secondo cui la compensatio lucri cum damno deve essere effettuata rendendo omogenei alla stessa data l’indennizzo ex L. 210/92 ed il risarcimento, rivalutando (e non capitalizzando) la somma liquidata a tale titolo dalla data di pagamento all’attualità, detraendo tale importo dal danno non patrimoniale, calcolando poi gli interessi sullo stesso, nel periodo dalla data di scoperta della malattia sino al pagamento dell’indennizzo e da tale data ad oggi sulla somma residua (richiama Appello Roma, 6 aprile 2017; Trib. Bologna, 2 aprile 2013; Trib. Milano, 15 giugno 2012, n. 7296; Trib. Milano, 17 maggio 2012; Trib. Roma 30 agosto 2005).

La censura è fondata.

Invero, in assenza di precise indicazioni dei giudici di legittimità in ordine alla possibilità di scomputare anche l’indennizzo futuro, la Corte ritiene di non poter condividere il procedimento seguito dal Tribunale, che ha capitalizzato la rendita attribuita al XXX mediante il ricorso alla tabella allegata al R.D. n. 1403/1922.

Così facendo il Giudice di primo grado, a fronte di un danno accertato e liquidato, ha finito per considerare incidente quanto dovuto a titolo di indennizzo ancorchè sulla base di presupposti non ancora verificati. Non è chi non veda come in tal modo la compensatio verrebbe ad essere applicata fra una posta risarcitoria effettiva e correlata a danno già liquidato, perchè certo e/o verificatosi, ed un indennizzo in gran parte ancora futuro ed incerto.

Per evitare questo inconveniente, la Corte ritiene di dover operare la compensatio lucri cum damno in conformità al citato orientamento giurisprudenziale prevalente, considerando l’indennizzo già effettivamente corrisposto al danneggiato, previa sua rivalutazione al momento della pronuncia, e scomputandolo interamente dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno, pure calcolato secondo i valori correnti al momento della decisione. Sul saldo vanno poi riconosciuti gli interessi legali compensativi.

Nell’effettuare tale ricalcolo si ritiene di dover fare riferimento – nella determinazione del quantum risarcitorio – sempre ai parametri espressi dalle tabelle milanesi del 2011, quelli cioè vigenti al momento della decisione di primo grado (29.11.2012), disponendosi (documentalmente e per espressa ammissione dell’appellante) della prova dell’ammontare dell’indennizzo riscosso dal XXX solo fino a quella data (pari ad € 65.000,00).

Quanto all’età da considerare per il calcolo tabellare, il Tribunale ha preso in considerazione quella di un anno, come se il danno si fosse verificato all’epoca delle prime trasfusioni (1974) e non all’epoca in cui (9.03.1993) è stata posta la diagnosi di positività per l’HCV ovvero a quella (9.04.2002) in cui è stata posta la diagnosi di “epatopatia cronica irreversibile da HCV”.

Pur prendendo atto che vi è evidenza documentale del danno epatico permanente solo a partire dall’aprile 2002 (come evidenziato dal c.t.u.), in mancanza di appello incidentale del

Ministero sul punto, la Corte ritiene di poter prendere in considerazione l’epoca in cui

(9.03.1993) è stata posta la diagnosi di positività per l’HCV (allorchè il XXX aveva compiuto 19 anni), tenuto conto che lo stesso appellante nel suo conteggio ha operato in tal senso.

Alla luce, dunque, degli indicati parametri (invalidità permanente 24% – età 19 anni) l’entità del danno non patrimoniale unitariamente inteso (cioè comprensivo del danno morale, in virtù del cd. “punto pesante”) può essere determinato, con riferimento alla data della decisione di primo grado (tabelle milanesi in vigore nel 2011), in complessivi € 103.496,00, importo che aumentato nella misura del 15% – in ragione della “personalizzazione” – ascende ad € 119.020,40.

La rendita vitalizia costituita in favore del XXX, con decorrenza dal 2003, ammonta mediamente ad € 6.500,00 annuali (v. documentazione prodotta dall’interessato), per cui si deve ritenere che dall’1.01.2003 alla data di decisione di prime cure il beneficiario abbia riscosso complessivamente € 65.000,00 (come dal medesimo riconosciuto).

Detto importo deve essere rivalutato dall’1.01.2003 alla data del 29.11.2012, per renderlo comparabile con il risarcimento astrattamente liquidabile alla data della decisione del Tribunale, ascendendo in tal modo ad € 79.235,00.

La differenza tra i due importi (€ 119.020,40 – € 79.235,00), pari ad € 39.785,40 rappresenta la somma da riconoscere al danneggiato, alla data della decisione di primo grado; tale somma, rapportata ai valori correnti alla data della presente pronuncia (mediante rivalutazione secondo indici Istat), si determina in € 41.098,32.

Trattandosi di un credito di valore – come innanzi precisato – detto importo, devalutato alla data dell’1.01.1993, deve essere maggiorato di interessi legali compensativi, secondo i criteri stabiliti dalla Corte di Cassazione con la sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 1712 del 1995, fino alla data della odierna decisione.

Sull’importo risultante da tale calcolo sono poi dovuti gli ulteriori interessi legali moratori fino al soddisfo.

L’esito complessivo del giudizio giustifica – secondo l’ordinario criterio della soccombenza – la condanna del Ministero della Salute a rimborsare al procuratore anticipatario del XXX le spese legali del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, unitamente al rimborso integrale del costo della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado (nella misura già liquidata dal G.I.).

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Bari, Terza Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello proposto, con atto di citazione notificato il 14.01.2014, da XXX avverso la sentenza n. 3797/12 emessa in data 29.11.2012 dal Tribunale di Bari, Terza Sezione Civile, in composizione monocratica, tra l’appellante ed il Ministero della Salute, in persona del Ministro in carica pro tempore, l’accoglie per quanto di ragione e, per l’effetto, in riforma della gravata sentenza, così provvede:

1°) dichiara il Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, responsabile della malattia (epatopatia cronica irreversibile da HCV) ed invalidità riportate dall’attore; 2°) per l’effetto, condanna il Ministero della Salute, in persona del Ministro in carica pro tempore, a corrispondere a XXX il risarcimento del danno non patrimoniale, pari all’attualità (al netto dell’indennizzo percepito dal danneggiato ex lege 210/92) ad € 41.098,32, oltre agli interessi legali sulla somma devalutata alla data dell’1.01.1993 e poi annualmente rivalutata, secondo i criteri stabiliti dalla Corte di cassazione con la sentenza delle Sezioni Unite Civili n. 1712 del 1995, con gli ulteriori interessi legali moratori sull’importo come sopra calcolato, dalla data della presente sentenza al soddisfo;

3°) condanna il Ministero della Salute a rimborsare al procuratore anticipatario dell’appellante, avv. Vito XXX, le spese e competenze legali del doppio grado di giudizio, liquidate, per il primo grado, in complessivi € 6.348,00, di cui € 348,00 per esborsi ed € 6.000,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori come per legge e, per il presente grado d’appello, in complessivi € 5.702,00, di cui € 702,00 per esborsi ed € 5.000,00 per compenso professionale, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori come per legge, unitamente al rimborso integrale delle spese di consulenza tecnica d’ufficio espletata in prime cure (nella misura già liquidata dal G.I.).

Così decisa in Bari, addì 17 ottobre 2018, nella camera di consiglio della Terza Sezione

Civile della Corte d’Appello.

Il Presidente est.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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