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Lo straining rappresenta una forma attenuata di mobbing

La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava, il diritto di XXX all’inquadramento superiore nel 5 livello CCNL di categoria a far data dal maggio 2004, condannando l’appellata YYY al pagamento della somma di Euro 15. La Corte di appello accertava la dequalificazione commessa ai danni del lavoratore, ma escludeva il mobbing per mancata prova della reiterazione della condotta riferita ai singoli fatti mobbizzanti (demansionamento, totale stato di inattività ed emarginazione, trasferimento persecutorio, pressioni per accettare la mobilità).

Pubblicato il 12 November 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado dichiarava il diritto di XXX all’inquadramento superiore nel 5 livello CCNL di categoria a far data dal maggio 2004, condannando l’appellata YYY al pagamento della somma di Euro 15.129,81 per differenze retributive e di Euro 3977,32 per integrazione TFR, oltre accessori, compensando per due terzi le spese di lite e condannando YYY al pagamento del residuo importo liquidato in sentenza.

Nel contempo, la Corte di appello negava la fondatezza della domanda di risarcimento di tutti i danni, contrattuali ed extracontrattuali, per mobbing prospetta dal ricorrente sulla scorta della responsabilità della datrice di lavoro per violazione dell’articolo 2087 c.c. oltre che dell’articolo 2103 c.c.

Avverso la predetta sentenza XXX proponeva ricorso per cassazione.

La Corte di appello accertava la dequalificazione commessa ai danni del lavoratore, ma escludeva il mobbing per mancata prova della reiterazione della condotta riferita ai singoli fatti mobbizzanti (demansionamento, totale stato di inattività ed emarginazione, trasferimento persecutorio, pressioni per accettare la mobilità).

In merito ai contrasti tra il ricorrente e la sua diretta superiore signora ZZZ, la Corte accertava però che quest’ultima intratteneva rapporti stressogeni con tutti i dipendenti ma in specie nei confronti del ricorrente, nei cui confronti aveva messo in atto una condotta che la stessa Corte qualificava come stressante modalità di controllo, aggiungendo che fu proprio il difficile rapporto con quest’ultima a generare l’animata discussione durante la quale il signor XXX ebbe un attacco ischemico.

Al di là della sintesi riportata in sentenza, si è trattato, per quanto emerge da una testimonianza trascritta nella ctu riprodotta in atti, della seguente condotta: “la testimone *** riferisce che era mattina presto, lo ero seduta nella postazione vicino al ricorrente alla sua destra e si avvicinò la *** al ricorrente dicendo lui cosa stava facendo in quanto c’erano dei problemi tecnici il computer si era fermato e lei con la sua prepotenza si volle sedere nella postazione del ricorrente e lì ho sentito che aveva cancellato dei file non so di che tipo e il ricorrente disse ma sono spariti tutti i file e adesso come si fa e lei rispose ora cercheremo di ripristinarli; del resto io sono la capa; io comando e faccio quello che voglio e poi la discussione si animò e lei non faceva nulla per smorzare i toni si alterava sempre di più fino a quando abbiamo visto il ricorrente adagiarsi sulla sedia e sentirsi male ma poi la supervisor chiamò l’ambulanza e fu ricoverato e ritornò dopo tanto tempo”.

La Corte d’appello, pur avendo accertato tale condotta, ha affermato tuttavia che andasse negata l’illiceità della stessa trattandosi di un episodio isolato che esulava dalla sistematicità di una condotta vessatoria persecutoria o discriminatoria reiterata e protratta nel tempo, con una chiara finalità che deve sussistere per poter qualificare come mobbizzante la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico.

Ha negato perciò qualsiasi tutela risarcitoria in relazione alla domanda svolta.

Così facendo, però, la Corte non ha fatto buon governo delle regole di diritto che vengono in rilievo in relazione alla tutela della personalità morale del lavoratore essendo oramai risalente l’orientamento (Cass. n. 3291 del 19 febbraio 2016) secondo cui, al di là della tassonomia e della qualificazione come mobbing e straining, quello che conta in questa materia è che il fatto commesso, anche isolatamente, sia un fatto illecito ex articolo 2087 c.c. da cui sia derivata la violazione di interessi protetti del lavoratore al più elevato livello dell’ordinamento (la sua integrità psicofisica, la dignità, l’identità personale, la partecipazione alla vita sociale e politica).

La reiterazione, l’intensità del dolo, o altre qualificazioni della condotta sono elementi che possono incidere eventualmente sul quantum del risarcimento ma è chiaro che nessuna offesa ad interessi protetti al massimo livello costituzionale come quelli in discorso può restare senza la minima reazione e protezione rappresentata dal risarcimento del danno, a prescindere dal dolo o dalla colpa datoriale, come è proprio della responsabilità contrattuale in cui è invece il datore che deve dimostrare di aver ottemperato alle prescrizioni di sicurezza.

E’ invero è noto l’orientamento costante della Suprema Corte (sent. n. 18164/2018, n. 3977/2018 n. 7844/2018,12164/2028, 12437/2018, 4222/2016), secondo cui lo straining rappresenti una forma attenuata di mobbing perché priva della continuità delle vessazioni ma sempre riconducibile all’articolo 2087 c.c., sicché se viene accertato lo straining e non il mobbing la domanda di risarcimento del danno deve essere comunque accolta (Cass. 29 marzo 2018 n. 7844, Cass. 10 luglio 2018 n. 18164, Cass. 23 maggio 2022 n. 16580, Cass. 11 novembre 2022 n. 33428).

La Suprema Corte, con ordinanza del 7 febbraio 2023 n. 3692, ha assegnato valore dirimente al rilievo dell’ambiente lavorativo stressogeno quale fatto ingiusto (straining), suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell’articolo 2087 c.c.

Negli stessi  termini (straining) da ultimo v. Cass. nn. 33639/2022, 33428/2022, 31514/2022.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Ordinanza n. 29101 del 19 ottobre 2023

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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