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Dipendente sospeso, messa a disposizione

Il dipendente sospeso non è tenuto a provare d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione.

Pubblicato il 24 November 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO di ROMA

IV Sezione Lavoro La Corte composta dai signori magistrati:

All’udienza del 09/11/2021 nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1971 del Ruolo Generale degli affari contenziosi dell’anno 2020 vertente tra

XXX S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., con l’avv. che la rappresenta e difende giusta procura in atti appellante e

YYY, con gli avv.ti

appellata

ha pronunziato la presente

SENTENZA n. 4027/2021 pubblicata il 16/11/2021

Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone n. 1020/2019 del 04/12/2019

Conclusioni delle parti: come in atti

FATTO E DIRITTO

1. – Con ricorso depositato in data 19/07/2020 XXX s.r.l. ha proposto appello – con richiesta di integrale riforma e vittoria delle spese del doppio grado – avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale il Tribunale di Frosinone ha rigettato l’opposizione presentata da detta società avverso il decreto ingiuntivo n. 115/2019 del 8.2.2019 con cui le era stato intimato il pagamento in favore di YYY dell’importo di € 8.889,12 relativo alle mensilità da luglio a dicembre 2018 e alla 13ª e 14ª mensilità dello stesso anno.

2. – La lavoratrice, a sostegno della sua pretesa creditoria, ha rappresentato di essere stata alle dipendenze della XXX s.r.l. dal 5 febbraio 2014, con contratto di lavoro a tempo indeterminato part time a 35 ore settimanali e con qualifica di operaio ed inquadra-mento nel 2° livello del ccnl “Pulizia/Multiservizi”. Con Convenzione del 9.12.2013 “per l’affidamento dei servizi di pulizia ed altri servizi tesi al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili, per gli istituti scolastici di ogni ordine e grado e per i centri di formazione della pubblica amministrazione” stipulata tra la *** S.p.A. e la *** s.r.l. (impresa mandataria capogruppo del Raggruppamento Temporaneo formato oltre che dalla stessa dalla *** s.r.l. e dalla Soc. XXX s.r.l.) veniva stabilito il passaggio dall’impresa cessante, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 del ccnl “per il personale dipendente da Imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multiservizi” cosicché la stessa veniva adibita, prevalentemente, a mansioni di addetta alle pulizie presso il plesso scolastico di Frosinone. Sennonché, la società datrice, con decorrenza marzo 2014, riduceva – unilateralmente e senza l’assenso della lavoratrice – l’orario di lavoro dell’istante in misura superiore al 50 %, sull’assunto di una riduzione di commessa da parte del MIUR di circa il 60%. In tale contesto, in data 31.01.2014, innanzi alla Direzione Territoriale del Lavoro di Frosinone, veniva stipulato tra le imprese facenti parte del R.T.I., ovverosia ***. Srl, XXX srl e *** srl, e le organizzazioni sindacali apposito verbale nel quale, dopo avere analizzato la particolare situazione venuta in essere, l’ATI dichiarava di non poter più procedere alla corresponsione degli elementi retributivi per l’attività non prestata.

Sempre per decisione unilaterale la società resistente, a partire dalla mensilità di luglio 2017, aveva iniziato ad operare indebite trattenute sugli emolumenti spettanti ai lavoratori emettendo buste paga con importi netti pari a zero ovvero sensibilmente ridotti e con conseguente e corrispondente omissione contributiva, con la non meglio precisata causale “trattenuta banca ore 2014/15/2016/2017”.

La lavoratrice rappresentava inoltre che lo stesso MIUR aveva invitato la società capofila, ai sensi dell’art. 5 del D.P.R. 207/2000, a provvedere senza ritardo al pagamento delle retribuzioni e che, stante il protrarsi dell’inadempimento la *** aveva risolto per inadempimento la Convenzione con la ATI relativa al lotto 5 in cui la ricorrente era impiegata.

Cosicché, la società datrice sospendeva dal lavoro tutti i lavoratori del Lotto 5 (Frosinone e Latina), rimanendo inadempiente per le mensilità di luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre 2018, nonché quanto dovuto a titolo di tredicesima e quattordicesima mensilità, imponendo alla lavoratrice di agire in via monitoria.

3. – Il Tribunale, rilevato come fosse pacifica la mancata corresponsione alla lavoratrice da parte della società dell’intera retribuzione nei mesi di luglio dicembre 2018 nonché della 13ª e 14ª mensilità di tale anno affermava che quanto dedotto dalla odierna appellante in ordine alla riduzione o perdita di commesse per cause imputabili al committente, non giustificava, alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, la riduzione unilaterale dell’orario di lavoro dei propri dipendenti o la mancata retribuzione di ore non lavorate non integrando una ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione.

Rilevava altresì, con specifico riferimento al credito per “banca ore” asseritamente maturato dalla società opponente per le ore non lavorate dalla YYY nei mesi precedenti, come nulla fosse previsto nell’accordo sindacale del 23/12/2015, come quanto disposto in ordine alla “flessibilità oraria” nell’accordo sindacale del 5/5/2014 non fosse vincolante per il lavoratore non firmatario e come in ogni caso, tale accordo prevedesse la restituzione del saldo negativo entro il semestre dell’anno successivo mentre nel caso di specie la Ma.Ca., aveva tardivamente richiesto alla YYY a partire dal luglio 2017 il recupero di ore non lavorate di 2 o 3 anni prima (nel 2014 o nel 2015).

L’impugnativa della sentenza è affidata a tre articolati motivi ai quali resiste l’appellata con propria memoria di costituzione depositata telematicamente in data 29 ottobre 2021.

* * *

All’udienza del 9 novembre 2021 la causa è stata decisa come da dispositivo.

* * *

4. – Con il primo motivo l’appellante lamenta innanzitutto l’illegittimità e l’erroneità della gravata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto che la società datrice avesse parzialmente sospeso il rapporto di lavoro con l’odierna appellata ovvero unilateralmente ridotto il suo orario di lavoro.

Sostiene a tale proposito come la sussistenza dei fondi del progetto “***” e la relativa assegnazione degli stessi alla società datrice (fondi non più assegnati, illegittimamente, da parte del MIUR a far data dal 1/1/2018) costituissero presupposti ineludibili per la prosecuzione del meccanismo di pagamento al dipendente dell’intero parametro retributivo con conseguente legittimità del rapportare la remunerazione dovuta ai propri dipendenti al solo parametro orario delle pulizie e cioè alla sola attività lavorativa prestata.

Con il secondo articolato motivo la società appellante impugna la gravata sentenza anche nella parte in cui aveva disconosciuto il diritto della società appellante a compensare i crediti retributivi della lavoratrice con quello asseritamente maturato nei confronti della stessa per “banca ore negativa” in ragione delle ore non lavorate nel periodo 2014-2017.

Il suddetto credito per banca ore negativa sarebbe stato maturato dall’appellante nel corso delle annualità dal 2014 al 2017 per avere retribuito la YYY a parametro orario pieno nonostante l’impossibilità di espletare interamente la propria prestazione anche in relazione all’attività di manutenzione e di ripristino del decoro degli istituti scolastici finanziata fondi messi a disposizione dal MIUR (progetto “***” ulteriore e distinto rispetto al servizio di pulizia oggetto dell’originario appalto ***). Sostiene inoltre che la lavoratrice nel luglio del 2017, allorquando la società aveva ritenuto di usufruire della banca ore negativa maturata nei suoi confronti, avrebbe rifiutato di prestare ulteriore attività lavorativa per compensare le ore retribuite in eccedenza.

Contesta inoltre quanto affermato nella sentenza appellata in ordine al ritardo con cui era stata richiesta la restituzione della banca ore negativa evidenziando a tale proposito anche l’assenza di termini di decadenza.

Infine, con l’ultimo motivo contesta la sentenza di prime cure anche nella parte in cui non aveva dato corso ai mezzi istruttori articolati richiesti dalla società datrice.

5. – L’appello è nel suo complesso infondato.

5.1. – Valgono nel merito le considerazioni che seguono, dovendo ribadirsi, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., le motivazioni di cui alle sentenze n. 1665/2021 del 30/4/2021 e 2338/2021 dell’8 giugno 2021, emesse da questa Corte con riferimento a fattispecie analoga riguardante i rapporti tra altri lavoratori e la *** s.r.l. capofila e mandataria del RTI comprendente tra le altre società anche l’odierna appellante.

«Si osserva che, così come risulta pacifico in causa e come rilevato dal giudice di prime cure, l’odierna appellata, dipendente della società appellante dal 4/2/2014 sulla base di un contratto di lavoro a tempo indeterminato part-time di 35 ore settimanali con mansioni di addetta alle pulizie ed adibita al servizio di pulizia presso l’Istituto comprensivo di *** (Lotto-Frosinone Latina) appaltato dal MIUR alla odierna opponente (quale componente di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese), aveva agito per rivendicare il proprio diritto a percepire integralmente le retribuzioni da maggio a dicembre 2018 oltre alla 13^ ed alla 14ª di tale anno, pacificamente non corrisposte dalla società Ma.Ca.

Risulta altresì pacifico in causa che tale mancata corresponsione risulta essere stata giustificata dalla società appellante col recupero, a titolo di compensazione, delle somme corrisposte in più rispetto a quelle effettivamente lavorate.

Adduce a tale proposito la appellante l’impossibilità dell’ordinario svolgimento del rapporto di lavoro (con conseguente impossibilità per la suddetta lavoratrice di rendere interamente la propria prestazione lavorativa) nelle annualità dal 2014 al 2017, a seguito della riduzione del 60% del lavoro originariamente affidato in appalto da *** per la pulizia delle scuole e al mancato avvio, per difetto di stanziamenti da parte del MIUR, del progetto “***” (progetto diretto al ripristino del decoro delle scuole e che il Governo si sarebbe impegnato ad avviare al fine di compensare la riduzione degli affidamenti *** consentendo l’impiego dei medesimi lavoratori addetti all’appalto di pulizia).

La società appellante rivendica pertanto il proprio diritto al recupero delle somme corrisposte per le ore non lavorate, computate nell’apposita “banca ore negativa” e da restituirsi da parte del dipendente lamentando che quest’ultimo, a fronte della esplicita richiesta effettuata in tal senso nel luglio 2017 si sarebbe rifiutato di recuperare le ore non lavorate.

Si osserva che, così come risulta dalla documentazione in atti, l’istituto della “banca ore” invocato dalla società appellante a fondamento del proprio diritto di compensare il credito per retribuzioni oggetto di controversia risulta essere previsto dall’accordo sindacale in data 5/5/2014 (all. 10 del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo).

Quest’ultimo accordo, nel prevedere l’utilizzo della cassa integrazione in deroga nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto delle pulizie degli istituti scolastici, prevedeva che a far data dalla sottoscrizione di tale accordo “i lavoratori a tempo parziale orizzontale, verticale e misto, potranno essere chiamati a svolgere la prestazione lavorativa al di fuori delle fasce orarie concordate anche in giorni o in periodi non previsti nel contratto individuale di lavoro in funzione dell’efficiente ed efficace realizzazione di detti servizi” con l’obbligo per il lavoratore di “rendersi disponibile ad effettuare la prestazione in orari diversi da quelli contrattualmente definiti, secondo il meccanismo di seguito previsto”.

Era quindi previsto che “per le ore di mancata prestazione o per le ore che concorrono a superare l’orario contrattuale settimanale, le Parti concordano di far confluire tutte queste ore in una ‘banca individuale delle ore” e che “Al termine di ogni esercizio al 31 dicembre, in caso di saldo negativo, il lavoratore sarà impiegato per il numero di ore corrispondenti a lavorazioni aggiuntive, in funzione delle esigenze di servizio, entro il semestre successivo, salvo ulteriore proroga concordata tra lavoratore e impresa”.

Sempre così come risulta dalla documentazione in atti, per quanto riguarda le somme dovute per l’anno 2014-2015, le stesse erano state oggetto di accordo in sede sindacale in data 23/12/2015 (all. 9 del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo) con il quale, dato atto dell’esistenza di un diffuso contenzioso relativamente alla convenzione Consip per i servizi di pulizia e ripristino del decoro del Lotto 5 (in cui era impegnata l’odierna appellata), la società appellante si era impegnata a “regolarizzare” le differenze normative ed economiche calcolate sulla base dei parametri orari previsti dagli accordi ministeriali sindacali, mediante la corresponsione delle relative competenze in 5 rate mensili dal gennaio 2016 al maggio di quello stesso anno.

Ciò premesso risulta innanzitutto meritevole di conferma quanto affermato dal giudice di prime cure in ordine alla impossibilità di porre a fondamento della riduzione dell’orario di lavoro e della mancata corresponsione delle retribuzioni dovute alla lavoratrice in ragione dell’orario di lavoro pattuito (incontestatamente pari a 35 ore settimanali) quanto dedotto dall’appellante in ordine all’avvenuta riduzione dei carichi di lavoro originariamente appaltati all’appellante o al mancato adempimento da parte del *** dell’impegno a conferire ulteriori lavori.

Trattasi infatti di vicende che, così come correttamente rilevato dal Tribunale, attengono esclusivamente all’ambito dei rapporti tra la società datrice e l’ente committente e che esulano invece dalla sfera soggettiva del lavoratore. Tali circostanze non rendono pertanto legittima né la riduzione unilaterale dell’orario di lavoro originariamente pattuito (di fatto operata dalla società datrice la quale, pur continuando a corrispondere provvisoriamente l’intera retribuzione, aveva comunque ridotto la prestazione lavorativa del M.), né la riduzione della retribuzione contrattualmente prevista per l’orario contrattuale con conseguente illegittimità di qualsiasi recupero di retribuzioni precedentemente corrisposte in eccesso rispetto all’orario effettivamente lavorato.

Devono a tale proposito ribadirsi i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, correttamente evidenziati nella motivazione della gravata sentenza alla cui stregua il datore di lavoro non può unilateralmente sospendere il rapporto di lavoro, salvo che ricorrano, ai sensi degli artt. 1463 e 1464 cod. civ., ipotesi di impossibilità della prestazione lavorativa totale o parziale, la esistenza delle quali ha l’onere di provare, senza che a questo fine possano assumere rilevanza eventi riconducibili alla stessa gestione imprenditoriale, compresa la diminuzione o l’esaurimento dell’attività produttiva. Ne consegue che il dipendente “sospeso” non è tenuto a provare d’aver messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto della sospensione unilaterale del rapporto di lavoro, la quale realizza un’ipotesi di mora credendi, il prestatore, a meno che non sopravvengano circostanze incompatibili con la volontà di protrarre il rapporto suddetto, conserva il diritto alla retribuzione (Cass. n. 7300 del 16/04/2004 e Cass. n. 5101 del 10/04/2002).

Si osserva inoltre, sempre alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che nel contratto di lavoro subordinato a tempo parziale, che si differenzia dal contratto di lavoro a tempo pieno solo per la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e correlativamente della retribuzione, il carattere necessariamente bilaterale della volontà in ordine a tale riduzione nonché della collocazione della prestazione lavorativa in un determinato orario, reputato dalle parti come il più corrispondente ai propri interessi comporta che ogni modifica di detto orario non può essere attuata unilateralmente dal datore di lavoro in forza del suo potere di organizzazione dell’ attività aziendale, essendo invece necessario il mutuo consenso di entrambe le parti, salvo che nel contratto individuale l’orario della prestazione lavorativa sia determinato soltanto nella sua durata senza alcuna specificazione della sua collocazione temporale (c.d. clausole elastiche) (Cass. n. 11966 del 09/11/1991. In ordine alla impossibilità di modificare, se non sulla base consensuale, la collocazione dell’orario di lavoro del contratto part-time cfr Cass. n. 25680 del 04/12/2014 e Cass. 25680 del 04/12/2014 emanate con riferimento alla illegittimità delle cosiddette “clausole elastiche”).

Alla stregua delle considerazioni che precedono deve quindi ritenersi, con rilievo pienamente assorbente rispetto alle ulteriori questioni prospettate dalle parti, sia l’illegittimità della riduzione dell’orario di lavoro effettuata unilateralmente, in assenza di consenso bilaterale, da parte della società datrice sia il successivo recupero delle retribuzioni corrisposte per ore effettuate in eccesso».

5.2. – Il Collegio condivide tali affermazioni facendole proprie, risultando prive di pregio le obiezioni mosse dalla difesa della società appellante a suddetta motivazione (pure recepita dal giudice di primo grado).

Per vero, l’appellante ricorda che, “ai sensi dell’art. 4 CCNL PuliziaMultiservizi applicabile al rapporto di lavoro in esame, “a. in caso di cessazione di appalto a parità di termini, modalità e prestazioni contrattuali l’impresa subentrante si impegna a garantire l’assunzione senza periodo di prova degli addetti esistenti in organico sull’appalto …; b. in caso di cessazione di appalto con modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali, l’impresa subentrante, ancorché sia la stessa che già gestiva il servizio, sarà convocata presso l’associazione territoriale cui conferisce mandato … con la rappresentanza sindacale e le organizzazioni sindacali stipulanti … per un esame della situazione al fine di armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto con il mantenimento dei livelli occupazionali, tenuto conto delle condizioni professionali e di utilizzo del personale impiegato, anche facendo ricorso a processi di mobilità da posto di lavoro a posto di lavoro nell’ambito dell’attività dell’impresa ovvero strumenti part-time, riduzione dell’orario di lavoro, flessibilità delle giornate mobilità …”.

La norma collettiva è quindi espressamente riferita all’ipotesi di modificazioni di termini, modalità e prestazioni contrattuali dell’appalto (prevedendo l’applicabilità della disciplina anche laddove l’impresa subentrante sia di fatto la stessa che gestiva il servizio in precedenza, come nella fattispecie) talché l’impresa subentrante, in caso di mutamento sostanziale dell’oggetto del contratto, può procedere alla riduzione dell’orario di lavoro come strumento per armonizzare le mutate esigenze tecnico-organizzative dell’appalto mantenendo i livelli occupazionali, previa informazione, consultazione e confronto sindacale, senza che sia previsto espressamente il raggiungimento di un accordo su tale aspetto e, soprattutto, senza che sia richiesto il consenso dei lavoratori interessati.

Secondo anche la giurisprudenza di questa Corte, pure richiamata nell’atto di gravame, “trattasi, quindi, di normativa pattizia con funzione spiccatamente solidaristica, diretta al mantenimento dei livelli occupazionali”.

Infatti, “una volta dimostrate la coerenza quantitativa con la contrazione dell’appalto e la conseguenzialità logica economica tra riduzione dell’orario, conservazione dell’appalto a condizioni ridotte e mantenimento dell’occupazione, la norma collettiva risulta essere esente da profili di illegittimità, seppur in deroga peggiorativa dei diritti del lavoratore, proprio in considerazione del bilanciamento tra i diversi interessi in gioco, operato al livello contrattuale in favore del presidio dell’occupazione con misure solidaristiche”.

5.3. – Orbene, la censura ad avviso del collegio non sembra cogliere nel segno atteso che, proprio dalle risultanze documentali (la cui lettura dispensa alcun ulteriore approfondimento istruttorio tramite le invocate prove testimoniali oggetto del terzo motivo di gravame) è comprovato che la società datrice nella fattispecie abbia agito con la riduzione oraria non al fine di preservare i livelli occupazionali ma abbia in via del tutto unilaterale proceduto alla decurtazione delle retribuzioni, pressoché totale, sostanzialmente azzerando la controprestazione alla quale era tenuta sull’erroneo presupposto di una riduzione dell’appalto, laddove nel 2018 la commessa era venuta meno ( Lotto 5) per addotto inadempimento dell’appaltatrice in ragione della risoluzione della Convenzione *** in data 30 novembre 2017 (determinata dalle gravi inadempienze delle società aggiudicatrici – facenti parte del RTI – nella gestione dei rapporti con il personale). Cosicché, la decisione aziendale di ridurre drasticamente la retribuzione per il periodo successivo al gennaio 2018, pur nella continuità di servizio disposta ai sensi dell’art. 15, comma 4 delle condizioni generali del Bando di Gara ( v. all. 11 del fascicolo di parte opponente in I grado), risultava priva dei presupposti legittimanti l’applicazione degli strumenti di cui al citato art. 4 CCNL Multiservizi e, soprattutto, non era stata minimamente preceduta da alcuna consultazione sindacale come prescritto dalla citata norma collettiva.

5.4. – Né può a tal fine la difesa appellante invocare la vicenda precedente che aveva riguardato la circostanza di una prima riduzione del 20% a far data dal 1° marzo 2012 nonché, dal mese successivo, una ulteriore riduzione dell’appalto del 30% così che, la società appaltatrice ai sensi del richiamato art. 4 CCNL di categoria, aveva convocato le OO.SS. innanzi la Direzione Provinciale del Lavoro, seppur senza raggiungere un accordo, nonché a tentare, senza esito, l’apertura di una CIG in deroga sino alla concorrenza del 60% del parametro orario dei lavoratori. Ragione per cui nel mese di gennaio 2014 innanzi alla Direzione Territoriale del lavoro veniva stipulato tra le imprese facenti parte del R.T.I., ovvero *** S.r.l., XXX S.r.l. e *** S.r.l., e le organizzazioni sindacali apposito verbale nel quale, dopo avere analizzato la particolare situazione venuta in essere, l’ATI dichiarava di trovarsi “nell’impossibilità di garantire in ragione della scarsità delle risorse disponibili da parte ministeriale l’ATI non potrà procedere alla corresponsione de-gli elementi retributivi per l’attività non prestata”.

5.5. – Si tratta all’evidenza di un comportamento aziendale che, per quanto sopra detto, non può essere considerato legittimante quanto alle retribuzioni successive al 2017 in quanto peraltro superato sia dall’accordo del 5 maggio 2014 e soprattutto dall’accordo aziendale del 23 dicembre 2015, richiamato dalle parti, nel quale veniva stabilito che il pagamento delle ore non lavorate nelle annualità 2014 e 2015 dai dipendenti dell’appalto, tra i quali l’odierna appellata, sarebbe avvenuto in cinque rate mensili con le decorrenze ivi indicate; a fare data dall’1.1.2016 la Società datrice di lavoro avrebbe invece riconosciuto e corrisposto in favore dei propri dipendenti l’intero parametro orario, retribuendo dunque per intero anche le ore non lavorate.

5.6. – Valgono sul punto le assorbenti considerazioni del precedente di questa Corte, appresso riportate.

«Né il diritto alla compensazione dei crediti retributivi del M. rivendicato dalla società appellante potrebbe giustificarsi sulla base dell’accordo sindacale in tema di “banca ore” del 5/5/2014.

Sul punto è sufficiente rilevare che non solo il contenuto di tale accordo non può ritenersi vincolante per il lavoratore essendo ad esso rimasto estraneo (non risulta essere stato oggetto di contestazione specifica quanto affermato a tale proposito dal Tribunale nella motivazione della sentenza gravata) ma lo stesso non avrebbe comunque giustificato il recupero di retribuzioni corrisposte in eccesso.

Trattasi infatti di eventualità non prevista dall’accordo del 5/5/2014 il quale, come già evidenziato, si limitava a prevedere, nel caso di saldo negativo della cd “banca ore”, solo la possibilità per il datore di lavoro di chiedere al dipendente prestazioni lavorative aggiuntive mentre a tale proposito risulta del tutto generica l’allegazione di parte appellante in ordine al rifiuto da parte del M., nel luglio 2017, di rendere tali prestazioni lavorative aggiuntive.

Trattasi infatti di allegazioni effettuate in modo del tutto generico senza alcuna indicazione specifica in ordine alle circostanze di luogo di tempo in cui tale rifiuto si sarebbe verificato e all’oggetto delle prestazioni che sarebbero state richieste (con conseguente inammissibilità della prova per testi richiesta in proposito dalla società appellante).

Deve peraltro rilevarsi, con specifico riferimento alle annualità 2014-2015, come in realtà l’effettiva debenza delle somme dovute relativamente all’orario in eccesso, sia stata oggetto di accordo transattivo in sede sindacale (stipulato in data 23/12/2015) con cui la società si impegnava a corrispondere, seppure ratealmente, le maggiori somme dovute a tale titolo con conseguente infondatezza da parte di quest’ultima, sulla base di tale accordo, di qualsiasi recupero delle somme corrisposte con riferimento a tale periodo» (C.d.A. 2338/2021).

6. – Alla stregua di tali considerazioni, pertanto, assorbita ogni altra questione, l’appello va respinto e confermata l’impugnata sentenza.

7. – Le spese, liquidate come in dispositivo in applicazione dei parametri di cui al DM 55/2014, seguono la soccombenza, con attribuzione ai procuratori antistatari.

8. – Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, ai fini del raddoppio del contributo unificato per i casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile.

P.Q.M.

Rigetta l’appello; condanna l’appellante al pagamento delle spese del grado, liquidate in complessivi € 2.000,00, oltre rimborso spese forfettario in misura pari al 15%, IVA e CPA come per legge, da distrarsi; dà atto che sussistono per l’appellante le condizioni richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato.

Roma, 09/11/2021

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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