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Costituzione in mora, caratteristiche per essere idonea

Costituzione in mora, deve chiaramente indicare gli elementi indispensabili ad individuare l’oggetto, oltre che il titolo, della pretesa.

Pubblicato il 01 January 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA sezione controversie di lavoro e  di previdenza ed assistenza composta dai magistrati:

Riunita in camera di consiglio, all’udienza del 19 novembre 2020, fissata ai sensi dell’art.83, comma 7, lettera h) del Decretolegge  n. 18 del 17 marzo 2020 convertito con modificazioni in Legge n. 27 del 24 aprile 2020; lette le note illustrative, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 280/2020 pubblicata il 22/12/2020

nella causa civile iscritta  al n. /2019 r.g. sezione lavoro, vertente

TRA

XXX, rappr.ta e difesa per procura in atti dagli Avv.ti  , entrambi del foro di

Appellante principale-appellata incidentale

E

YYY S.r.l., in persona del legale rappresentante, rappr.ta e difesa per procura in atti dall’ Avv.

Appellata principale-appellante incidentale

Conclusioni come in atti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 16 luglio 2019 XXX ha proposto appello avverso la sentenza del 20 novembre 2018, con la quale il Giudice del Lavoro del Tribunale di Macerata aveva rigettato la domanda di essa ricorrente, intesa a conseguire le differenze retributive, maturate in relazione alla sua collaborazione giornalistica con la Società indicata in epigrafe, tra quanto effettivamente percepito e quanto dovuto, sulla base dei minimi indicati dall’Ordine dei Giornalisti nel Tariffario del lavoro giornalistico autonomo. L’appellante ha dedotto l’errore del Tribunale nell’accogliere l’eccezione di prescrizione estintiva sollevata dalla convenuta, senza tenere conto del valore vincolante del precedente giudizio, conclusosi con la Sentenza della Corte di Cassazione n. /2015 ed instaurato da essa ricorrente non soltanto per accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la predetta Società, ma anche per conseguire le differenze retributive, all’esito del quale era stato confermato l’accertamento circa la natura autonoma del rapporto dedotto; in particolare, ha censurato la scelta del primo giudice di qualificare il contegno tenuto da essa ricorrente, negli anni segnati dal lungo excursus giudiziario, in termini di inerzia e di  disinteresse all’esercizio del diritto in contestazione, così omettendo di considerare che la Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, aveva confermato l’accertamento, compiuto dai giudici di merito, circa la natura autonoma del rapporto professionale intercorso con il YYY, e che la pregressa azione mirava senza dubbio ad ottenere la corresponsione di una somma economica adeguata alla quantità ed al tipo di lavoro svolto. L’appellante, inoltre, ha criticato la decisione basata su un’inidonea valutazione di sussistenza delle condizioni di operatività della prescrizione, nonché sull’errato presupposto di applicabilità al caso di specie della prescrizione estintiva quinquennale in luogo di quella ordinaria decennale, mentre l’art. 2948, primo comma,n. 4 c.c. stabiliva che dovessero prescriversi in cinque anni soltanto i diritti connessi al pagamento periodico entro l’anno o in termini più brevi, laddove la totale assenza di una qualunque regolamentazione del rapporto professionale impediva di stabilire la cadenza dei pagamenti; ha, altresì, censurato l’errore del giudicante nel rilevare d’ufficio, in difetto di qualsivoglia eccezione, la prescrizione dell’azione di arricchimento senza causa, proposta in via subordinata. L’appellante ha, quindi, reiterato gli argomenti spiegati in primo grado a supporto della pretesa economica, riconducibile al rapporto di  collaborazione coordinata e continuativa, senza vincolo di subordinazione, intercorso dal 1998 al 2003, non essendovi  prova di un accordo tra le parti avente ad oggetto la deroga in peius ai minimi contrattuali di categoria ed a quelli fissati dal Tariffario dell’Ordine dei Giornalisti, quindi ha insistito nella richiesta di risarcimento del maggior danno ex art. 1224, secondo comma, c.c. da liquidarsi in via equitativa; ha chiesto, pertanto, in riforma della sentenza impugnata, accogliersi integralmente la domanda proposta in primo grado; in subordine, liquidarsi la minor somma spettante ai sensi degli artt. 2099 e 2233 c.c., ovvero ai sensi dell’art. 2041 c.c., con vittoria di spese di lite.

YYY S.r.l. ha resistito al gravame e ne ha chiesto il rigetto. In via incidentale, ha chiesto riformarsi la sentenza impugnata nella parte in cui aveva liquidato le spese di lite in favore di essa convenuta in soli euro 1.000,00 per compenso professionale, in violazione delle tariffe forensi di cui al D.M. n. 55 del 2014, con ogni conseguente provvedimento e con vittoria di spese di lite del grado.

All’esito dell’udienza odierna la Corte ha trattenuto la causa in decisione

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’appello principale è infondato e va respinto, per le assorbenti ragioni di seguito esposte.

Questa Corte condivide la decisione del Tribunale, in ordine all’ormai maturata prescrizione estintiva del diritto azionato.

Invero, l’esame della documentazione acquisita agli atti porta ad escludere l’esistenza di idonei atti interruttivi dell’eccepita prescrizione, temporalmente collocabili tra l’epoca di cessazione del rapporto di collaborazione giornalistica intercorso tra le parti, al più tardi risalente al febbraio 2004, e la data di comunicazione della lettera del 15 dicembre 2015, in cui per la prima volta l’odierna appellante rivolge alla Società convenuta la richiesta di  pagamento di una somma determinata (euro 627.813,21 ) a titolo di maggiori compensi maturati in relazione allo svolgimento dell’attività di giornalista in regime di autonomia.

Vero è, infatti, che la lettera del 29 dicembre 2010 si sostanzia in una oltremodo generica rivendicazione, con riserva di futura quantificazione, di somme, delle quali si assume la debenza in relazione all’intercorso rapporto di lavoro con il giornale; tale comunicazione è avulsa da sia pur minimi riferimenti ai criteri di liquidazione delle asserite spettanze, affatto indeterminabili nel quantum, tenuto conto del notevole lasso temporale cui vien fatto riferimento (anni dal 1998 al 2004).

In proposito, è stato chiarito in numerose occasioni dalla Corte di Cassazione che la valutazione dell’idoneità in concreto di un atto ad interrompere la prescrizione non può prescindere dalla possibilità di ravvisare in esso gli essenziali caratteri dell’univoca e chiara manifestazione di volontà del creditore, indirizzata al debitore, di ottenere la soddisfazione di uno o più crediti determinati o quantomeno determinabili (cfr. per tutte, Cass.n. 5681/2006), ossia di riscontrarvi, ai sensi dell’art.2943, quarto comma, cod. civ., le caratteristiche dell’atto di costituzione in mora, il quale, per essere idoneo allo scopo, sebbene non richieda l’uso di formule solenni, deve chiaramente indicare gli elementi indispensabili ad individuare, quantomeno per relationem, l’oggetto, oltre che il titolo, della pretesa (cfr. Cass.n. 3371/2010; Cass.n. 17123/2015).

Tanto chiarito, è superflua in questa sede l’indagine sull’applicabilità, alla fattispecie di causa, della prescrizione breve quinquennale piuttosto che ordinaria decennale, posto che anche riconoscendo l’operatività di quest’ultima, dal febbraio 2004 al dicembre 2015 sono evidentemente trascorsi più di dieci anni.

Quanto all’invocato effetto interruttivo ed al contempo sospensivo della prescrizione, riconducibile, secondo l’assunto attoreo, agli sviluppi ed all’esito del giudizio svoltosi tra le parti per l’accertamento di esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e del conseguente diritto a percepire le differenze retributive, in relazione alle espletate mansioni di redattore o almeno di collaboratore fisso, giova richiamare l’argomento speso dalla Suprema Corte nella parte motiva della sentenza n. 7194/2015, secondo cui “..L’effetto interruttivo della prescrizione, che l’art.2943 c.c., ricollega alla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, non può non essere limitato al diritto dedotto specificamente nel giudizio, posto che ogni diritto si estingue in forza di una propria prescrizione e non può estendersi ad altre azioni. Si tratta della limitazione oggettiva degli effetti della prescrizione che si unisce a quella soggettiva, dal lato attivo e passivo, non potendo normalmente operare l’effetto interruttivo sulla sfera giuridica di terzi estranei, come è pacifico nella giurisprudenza della Corte da lungo tempo (Cass. n. 1550 del 1975; n. 2839 del 1966). Estensione degli effetti internativi che non si verifica neanche nell’ipotesi di diverse azioni risarcitorie, dovendo l’identità concernere anche la causa petendi oltre che il petitum (Cass. n. 726 del 2006)…..”

Ad esempio, nell’ambito dell’omnicomprensiva categoria delle azioni finalizzate al risarcimento dei danni, è stato sottolineato dai giudici di legittimità che “La pretesa avanzata per chiedere l’adempimento di un’obbligazione risarcitoria ex art. 2043 cod. civ. non vale ad interrompere la prescrizione dell’azione, successivamente esperita di risarcimento ex artt. 2049, 2050, o 2051 cod. civ., difettando il requisito della pertinenza dell’atto interruttivo all’azione proposta (da identificarsi non solo in base al “petitum” ma anche alla “causa petendi”), in quanto le domande suddette si pongono in una relazione di reciproca non fungibilità e derivano da diritti c.d. “eterodeterminati”, per la cui identificazione occorre fare riferimento ai relativi fatti costitutivi, tra loro divergenti sul piano genetico e funzionale.” ( così Cass., Sez.  3, Sentenza n.  726 del 16/01/2006).

Dall’affermazione del condiviso principio di formazione giurisprudenziale sopra richiamato discende che, affinché possa riconoscersi la pertinenza di un atto interruttivo all’azione proposta, il diritto fatto valere a fini interruttivi deve presentare elementi di perfetta identità con il diritto azionato in sede giudiziale, nel senso che tra loro è indispensabile la coincidenza del titolo costitutivo e dell’oggetto c.d. “mediato”, dovendo, dunque, l’atto interruttivo della prescrizione recare univoci riferimenti al titolo costitutivo del diritto vantato, oltre che alla prestazione che ne formi l’oggetto, e tali elementi a loro volta devono corrispondere agli elementi identificativi, ossia al  petitum ed alla causa petendi, dell’azione successivamente proposta.

L’esigenza di verifica circa la coincidenza tra il diritto fatto valere a fini interruttivi ed il diritto azionato in sede giudiziale si fa pregnante rispetto ai crediti pecuniari (aventi, cioè, ad oggetto una somma di denaro), con riferimento ai quali la Giurisprudenza di legittimità ha elaborato la nozione di diritti “eterodeterminati”, “…per la cui individuazione è indispensabile il riferimento ai fatti costitutivi allegati, che specificano la “causa petendi”….” (Così Cass.n.21333/2019).

Quanto detto innanzi comporta che l’esatto contenuto di un atto di costituzione in mora non si esaurisca nella generica richiesta di pagamento di una somma di denaro, così come i contenuti di una valida sentenza non si esauriscano nella statuizione giudiziale di accertamento della spettanza di una somma di denaro ad una delle parti, occorrendo, nell’uno come nell’altro caso, la specificazione del titolo, contrattuale o extracontrattuale, in forza del quale il diritto si ritenga esistente.

Tornando al caso di specie, i crediti pecuniari  da prestazione di lavoro subordinato e quelli da prestazione d’opera in regime di autonomia rinvengono ciascuno il proprio titolo costitutivo in un distinto contratto (contratto di lavoro subordinato e contratto di collaborazione d’opera) e d’altro canto, proprio in virtù della diversa fonte, differiscono anche nell’ammontare.

Per giunta, i fatti costitutivi delle due distinte fattispecie della prestazione d’opera e della prestazione di lavoro subordinato sono antitetici sul piano genetico e funzionale, non meno di quanto lo siano gli elementi costitutivi delle fattispecie risarcitorie (da fatto proprio ex art. 2043 c.c. e da fatto altrui ex art. 2049 c.c.) prese in esame nella citata pronuncia n.726/2006 della Corte di Cassazione.

Non è, pertanto, sostenibile che il giudizio svoltosi tra le odierne parti, per l’accertamento di sussistenza del diritto alle differenze retributive maturate in relazione alla conclusione di un contratto di lavoro subordinato, abbia avuto effetti interruttivi ed al contempo sospensivi rispetto al decorso del termine di prescrizione dell’affatto distinto diritto a conseguire somme di denaro in forza di un ben diverso contratto d’opera concluso ai sensi degli artt. 2222 e ss. c.c..

E che vi sia sostanziale antitesi tra i titoli costitutivi dei crediti rivendicati in successione temporale dalla ricorrente è dimostrato proprio dal tenore delle sentenze, rese all’esito di ciascun grado del precedente giudizio, in seno alle quali gli organi giudicanti, nell’affermare la natura autonoma dell’attività svolta, hanno speso l’argomento principe per negarne la natura subordinata, quindi per escludere il diritto della predetta a percepire somme di denaro in forza di un regime contrattuale (la subordinazione) di opposta valenza.

D’altronde, sostenere che sull’esistenza del credito fatto valere in questa sede si sia già pronunciata l’autorità giudiziaria nel precedente processo significherebbe dover riconoscere l’effetto preclusivo determinato dal ne bis in idem, con inevitabile rigetto della domanda, sia pure per alti motivi.

Alla stregua delle suesposte considerazioni, deve essere confermata la statuizione di primo grado inerente alla maturata prescrizione estintiva del diritto azionato in questa sede.

Va, altresì, confermata la sentenza nella parte in cui ha respinto la domanda subordinata di pagamento delle somme, da liquidarsi in via equitativa, a titolo di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c..

In proposito è sufficiente richiamare l’ormai consolidato principio, consacrato dalla Suprema Corte nella forma dell’Ordinanza, secondo cui L’azione generale di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato avrebbe potuto esercitare un’azione tipica e questa si è prescritta (Cass., Sez.  3, Ordinanza n.  30614 del 27/11/2018).

Rispetto a tale argomento di indiscutibile rilievo, ai fini della reiezione della domanda subordinata perché improponibile, resta del tutto superfluo esaminare la censura inerente al denunciato vizio di ultrapetizione della sentenza, nella parte in cui avrebbe rilevato d’ufficio la prescrizione dell’azione ex art. 2041 c.c.

Va accolto l’appello incidentale, per evidente violazione dei minimi tariffari nella liquidazione delle spese di lite poste a carico della parte totalmente soccombente, in relazione al dichiarato valore della controversia (euro 441.869,20) ed ai parametri di quantificazione del compenso agli avvocati fissati, in attuazione delle disposizioni della legge n. 247/2012, nel D.M. n.55 del 2014, come novellato dal D.M. 8 marzo 2018, n. 37. In base a tali parametri, e tenendo conto dei minimi tariffari, le spese di lite del primo grado vanno quantificate in complessivi euro 12.700,00.

Le spese del presente grado seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo

P.Q.M.

La Corte così provvede: 1) Rigetta l’appello principale, accoglie l’appello incidentale e, in parziale riforma della sentenza impugnata, che nel resto conferma, liquida le spese di lite del primo grado in favore della convenuta in complessivi euro 12.700,00, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e CNPAF nella misura di legge; 2) condanna l’appellante principale al pagamento delle spese del grado, che liquida in favore della parte appellata principale in complessivi euro  10.700,00, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e CNPAF nella misura di legge; 3) dichiara che a carico dell’appellante principale sussistono i presupposti per il versamento dell’integrazione del contributo unificato (art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115/2002), fatti salvi eventuali motivi di esenzione

Ancona, 19 novembre 2020

     Il Consigliere Est.                                                                               Il Presidente

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