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Codice Civile
Codice Penale

Produzione di un documento in appello

La mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto.

Pubblicato il 27 October 2020 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
II SEZIONE LAVORO

composta da

all’udienza di discussione del 06.10.2020 ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 2000/2020 pubblicata il 23/10/2020

nella causa civile in grado di appello n. /16 R.G.

TRA
XXX;

elett.te domicil. in rappr. e dif. dall’Avv.to

giusta procura in atti

APPELLANTE

E

YYY;

elett.te domicil. in rappr. e dif. dall’Avv.

giusta procura in atti

APPELLATO

Oggetto: appello contro la sentenza del 27.10.2015 del Tribunale di Latina.

Conclusioni: come da atto di appello e da memoria di costituzione dell’appellato.

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 27.04.2016 la XXX proponeva appello avverso la sentenza emessa in data 27.10.2015, depositata in pari data e non notificata, con cui il Tribunale di Latina, in funzione di giudice del lavoro, in accoglimento delle domande avanzate dal ricorrente, aveva dichiarato invalidi i contratti di collaborazione coordinata e continuativa sottoscritti dalle parti in data 01.08.2004 ed 01.08.2005, accertato che tra le stesse era intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 04.05.2004 al 30.04.2006 e condannato la convenuta al pagamento, in favore di controparte, a titolo di differenze retributive e T.F.R., della complessiva somma di € 21.352,99, oltre accessori, nonché al versamento dei relativi contributi previdenziali.

L’appellante censurava la sentenza per avere il Tribunale erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la disciplina del D.Lgs n. 276/2003, senza considerare che l’XXX è un ente pubblico sottoposto alla vigilanza della Regione Lazio, la quale nomina i suoi organi sociali; censurava, altresì, la sentenza per avere il Tribunale illegittimamente ritenuto, in violazione dell’art. 2697 C.C., che fosse onere della convenuta provare la natura autonoma del rapporto di lavoro instaurato; contestava, in ogni caso, la valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice di prime cure, sostenendo che una corretta valutazione della documentazione prodotta e delle deposizioni rese dai testimoni escussi avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad escludere la subordinazione; contestava, infine, la quantificazione del credito, in quanto erroneamente effettuata dal Tribunale utilizzando i conteggi allegati al ricorso, senza considerare che quei conteggi erano errati, in quanto elaborati al lordo delle differenze contributive, circostanza che era stata tempestivamente eccepita dalla difesa dell’XXX.

Si costituiva in giudizio YYY, il quale sosteneva la correttezza della sentenza impugnata e chiedeva, pertanto, il rigetto del gravame.

All’odierna udienza la causa è stata discussa e decisa come da separato dispositivo.

Motivi della decisione

L’appello è infondato e dev’essere respinto.

YYY ha agito in giudizio con ricorso al Tribunale di Latina depositato in data 12.02.2009, esponendo che il ricorrente aveva lavorato alle dipendenze della XXX, presso la casa di riposo gestita dalla convenuta a ***, dal 04.05.2004 al 30.04.2006, svolgendo mansioni di addetto all’assistenza notturna degli anziani, inquadrabili nel quarto livello del CCNL Settore Socio-sanitario assistenziale ed educativo, lavorando per due turni consecutivi dalle ore 21,30 alle ore 6,30, ivi compresi i giorni festivi, ai quali faceva seguito un turno di riposo; che il rapporto di lavoro era stato formalizzato mediante la stipulazione di una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ma, in realtà, era un rapporto di lavoro subordinato, in quanto il ricorrente era sottoposto al potere gerarchico e direttivo del datore di lavoro, il quale predisponeva i turni di lavoro e stabiliva le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa; che, inoltre, il ricorrente percepiva una retribuzione mensile fissa e predeterminata, aveva un orario di lavoro fisso, doveva giustificare eventuali assenze o ritardi e non era soggetto ad alcun rischio d’impresa; che il ricorrente non aveva mai goduto di ferie e festività; che la retribuzione percepita era inferiore ai minimi sindacali; che il ricorrente aveva, perciò, maturato nei confronti della convenuta un credito per differenze retributive, tredicesima e quattordicesima mensilità, straordinario, indennità sostituiva delle ferie e delle festività non godute, indennità di mancato preavviso e T.F.R. pari, complessivamente, ad € 21.352,99, oltre accessori; tanto premesso, ha chiesto al Tribunale di accertare l’avvenuta trasformazione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa in rapporto di lavoro subordinato e di condannare la convenuta al pagamento, in suo favore, della complessiva somma di € 21.352,99, oltre accessori, nonché al versamento dei relativi contributi previdenziali.

Nel costituirsi in giudizio la convenuta ha sostenuto che il rapporto instaurato era inquadrabile tra le tipologie contrattuali a progetto, in quanto, nella specie, il progetto era costituito dal servizio di assistenza notturna agli anziani ospiti della casa di riposo gestita dall’XXX; che il ricorrente svolgeva essenzialmente un’attività di vigilanza notturna e nello svolgimento della sua attività non era soggetto ad alcun controllo; che il personale addetto all’assistenza notturna poteva gestire in autonomia i turni di lavoro, sostituendosi reciprocamente, con l’unico obbligo di comunicare le sostituzioni alla convenuta ai fini dell’elaborazione delle buste paga; che inconferente doveva ritenersi il richiamo operato dal ricorrente alla disciplina prevista dagli artt. 61 e 69 II CO. D.L.gs n. 276/2003, trattandosi di norme applicabili esclusivamente a rapporti di lavoro di natura privatistica, mentre l’XXX era un ente pubblico.

Il Tribunale, istruita la causa mediante escussione di tre testimoni, rilevato che “in atti risultano prodotti due contratti di collaborazione, l’uno risalente all’agosto 2004 e l’altro all’agosto 2005”, i quali dovevano, pertanto, essere “esaminati alla luce del d.lgs n. 276/2003”; rilevato che “i contratti di collaborazione sottoscritti dal lavoratore (…) non reca[va]no alcuna indicazione del progetto”; ritenuto, pertanto, che “a mente degli artt. 61 e 69 d.lgs 276/2003” doveva “senz’altro presumersi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, quanto meno a decorrere dal 1.8.2004”; rilevato che “avverso tale presunzione, parte resistente non [aveva] fornito prova contraria sufficiente, non essendo riuscita a dimostrare l’autonomia del lavoratore nell’espletamento della propria attività lavorativa”; ritenuto che “neppure [apparivano] dirimenti le note del 6.4.2006 e 11.5.2006 con cui il YYY risulta[va] aver dichiarato di essersi fatto sostituire, di propria iniziativa, dai colleghi di lavoro”, in quanto “la necessità di una sostituzione rende[va] ancor più palese che il lavoratore fosse inserito in una vera e propria turnazione, necessaria evidentemente ad assicurare la costante erogazione del servizio di assistenza agli anziani, senza soluzione di continuità”; ritenuto “scarsamente credibile che, proprio in considerazione della necessaria continuità del servizio, la parte datoriale potesse davvero disinteressarsi delle sostituzioni, se non nel limitato senso di restare indifferente – salvo ogni effetto sugli aspetti retributivi – alla circostanza che ciascun turno venisse assicurato dall’uno o dall’altro lavoratore”; ritenuto che “valutati gli ulteriori elementi istruttori, quali la continuità della prestazione (…), la predeterminazione e la periodicità della retribuzione (…), il pacifico difetto dell’organizzazione e del rischio d’impresa da parte del lavoratore, il potere direttivo ed organizzativo esercitato dalla parte datoriale, nonché l’obbligo del lavoratore di giustificare assenze e ritardi (…) non [potevano] residuare dubbi sulla ricorrenza nel caso di specie di un rapporto di lavoro subordinato, che [doveva] considerarsi instaurato sin dal 4.5.2004 a tempo indeterminato (con risoluzione pacificamente intervenuta in data 30.04.2006)”; tanto premesso, ha dichiarato invalidi i contratti di collaborazione coordinata e continuativa sottoscritti dalle parti in data 01.08.2004 ed 01.08.2005, ha accertato che tra le stesse era intercorso un rapporto di lavoro subordinato dal 04.05.2004 al 30.04.2006 ed ha condannato la convenuta al pagamento, in favore di controparte, a titolo di differenze retributive, della complessiva somma di € 21.352,99, oltre accessori, nonché al versamento dei relativi contributi.

Con il primo motivo di gravame l’XXX censura la sentenza per avere il Tribunale erroneamente ritenuto applicabile alla fattispecie la disciplina del D.Lgs n. 276/2003, senza considerare che l’appellante è un ente pubblico sottoposto alla vigilanza della Regione Lazio, la quale nomina i suoi organi sociali

La censura è infondata.

Invero, la giurisprudenza di legittimità è assolutamente concorde nell’affermare che “in relazione alla natura giuridica degli enti di assistenza e beneficienza, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 396 del 1988 (dichiarativa dell’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 17 luglio 1890, n. 6972, nella parte in cui non prevede che le XXX regionali ed infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di un’istituzione privata), la natura pubblica o privata di tali istituzioni deve essere accertata, in concreto, dal giudice ordinario, facendo ricorso ai criteri indicati dal d.p.c.m. 16 febbraio 1990, ricognitivo dei principi generali dell’ordinamento e ritenuto legittimo dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 466 del 1990” (Cass. Civ., S.U., 27.01.2012, n. 1151; nello stesso senso, tra le altre, cfr. Cass. Civ., S.U., 02.12.2008, n. 28537; Cass. Civ., S.U., 30.12.2011, n. 30176; Cass. Civ., S.U., 18.12.2018, n. 32727).

Pertanto, nel costituirsi in giudizio l’XXX non poteva limitarsi ad eccepire “l’assoluta inconferenza del richiamo alla fattispecie prevista e regolata nell’impianto normativo di cui agli artt. 61 e 69 comma 2 D.Lgs. 10.09.2003, n. 276, posto che lo stesso, accertati i presupposti, è esclusivamente applicabile ai rapporti di lavoro di natura squisitamente privatistica” (cfr. pag. 6) e 7) della memoria di costituzione) mentre la convenuta è un ente pubblico, bensì avrebbe dovuto indicare sulla base di quali elementi si doveva riconoscere natura pubblicistica alla XXX.

Né può assumere rilevanza, in senso contrario, il fatto che il ricorrente non abbia contestato la natura pubblicista della controparte, in quanto la non contestazione può assumere rilevanza, al fine di esonerare la controparte dall’onere della prova ai sensi dell’art. 115 I CO. C.P.C., soltanto quando ha ad oggetto un fatto (noto alla parte) e non la sua qualificazione giuridica.

Analogamente, non può assumere rilevanza il fatto che nel costituirsi in giudizio l’XXX abbia prodotto il proprio statuto (dal quale risulta che i membri del Consiglio di amministrazione dell’ente sono nominati dalla Regione *** e dal Comune di ***), in quanto la produzione documentale non esonera la parte dall’onere di dedurre le circostanze rilevanti ai fini della decisione (in tal senso, con riferimento al giudizio d’appello, cfr. Cass. Civ., Sez. 3, 07.04.2009, n. 8377, secondo la quale “la mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all’onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di appello, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato, ai fini dell’integrazione dell’ingiustizia della sentenza impugnata”; nello stesso senso, cfr. Cass. Civ., Sez. 1, 29.01.2019, n. 2461; relativamente al rito lavoro, cfr. Cass. Lav., 18.10.2002, n. 14817, la quale, con riferimento alla redazione del ricorso, afferma che, laddove sia lacunosa l’esposizione dei fatti, la documentazione allegata non può essere utilizzata “ai fini dell’integrazione del ricorso”).

D’altronde, l’eventuale inapplicabilità del D.Lgs n. 276/2003 non comporterebbe certo l’inaccoglibilità del ricorso, in quanto il YYY non pone a fondamento della domanda l’applicazione della presunzione prevista dall’art. 69 I CO. del decreto, bensì l’avvenuta instaurazione in fatto, tra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato e l’inadeguatezza della retribuzione ricevuta, in violazione dell’art. 36 Cost. e dell’art. 2099 C.C. (cfr. pag. 3) del ricorso di primo grado), allegazioni compatibili anche con la dedotta natura pubblicistica del datore di lavoro.

Fondato, ma inidoneo a determinare l’accoglimento del gravame, è, invece, il secondo motivo di appello, con il quale l’XXX censura la sentenza per avere il Tribunale illegittimamente ritenuto, in violazione dell’art. 2697 C.C., che fosse onere della convenuta provare la natura autonoma del rapporto di lavoro instaurato.

Infatti, poiché il ricorrente non ha affatto sostenuto che, stante l’assenza di un progetto, nel caso di specie doveva applicarsi la presunzione prevista dall’art. 69 I CO. D.Lgs n. 276/2003, bensì ha invocato l’applicazione del secondo comma della disposizione, secondo il quale “qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell’articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”, erroneamente il Tribunale ha affermato che poiché “i contratti di collaborazione sottoscritti dal lavoratore (…) non recano alcuna indicazione del progetto”, deve “senz’altro presumersi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, quantomeno a decorrere dal 1.8.2004”, presunzione che sarebbe stato onere della convenuta superare.

Tuttavia, poiché la sentenza non si basa soltanto sull’applicazione di tale presunzione (peraltro, erroneamente ritenuta relativa e non assoluta), bensì anche sull’accertamento di una serie di elementi ritenuti idonei a dimostrare la natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato tra le parti, l’accoglimento del motivo di gravame non è, di per sé, sufficiente a determinare la riforma della sentenza impugnata di gravame, con il quale l’XXX contesta la valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice di prime cure, sostenendo che una corretta valutazione della documentazione prodotta e delle deposizioni rese dai testimoni escussi avrebbe dovuto indurre il Tribunale ad escludere la subordinazione.

Invero, dalle risultanze istruttorie è emerso che il ricorrente ha lavorato continuativamente all’interno della struttura gestita dalla convenuta per oltre due anni, osservando un orario di lavoro predeterminato dal datore di lavoro (salva la possibilità di concordare con i colleghi eventuali cambi di turno), percependo una retribuzione fissa con cadenza mensile, con l’obbligo di giustificare eventuali assenze e di chiedere l’autorizzazione del datore di lavoro per poter usufruire delle ferie.

Infatti, la teste ***, collega di lavoro del ricorrente, ha dichiarato: “era il Sig. *** a stabilire i turni di lavoro (…) diceva a noi dipendenti, incluso il ricorrente, quello che dovevamo fare (…) eventuali assenze e ferie dovevano essere autorizzate e giustificate”; conforme la deposizione del teste ***, anch’egli collega di lavoro del ricorrente, il quale, a sua volta, ha dichiarato: “era il Sig. *** che autorizzava ferie, permessi ed assenze e dirigeva l’attività lavorativa (…) Eventuali assenze o ritardi dovevano essere giustificati al Sig. *** (…) In caso di nostro impedimento ad un turno (…) era a Valente che dovevamo domandare l’autorizzazione ad essere sostituiti”. Né, in senso contrario può essere richiamata la deposizione del teste (di parte resistente) ***, economo dell’XXX, il quale ha dichiarato che “l’orario di lavoro del ricorrente era concordato con l’Amministrazione”, che l’XXX “faceva firmare i fogli di presenza al ricorrente ed agli altri collaboratori ai soli fini dell’elaborazione del cedolino paga” e che “il ricorrente e gli altri collaboratori si autogestivano e si organizzavano tra loro anche per le ferie”, in quanto ferie ed orario di lavoro sono istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato, incompatibili con il lavoro autonomo. Inoltre, il teste ha dichiarato che “vi erano quattro dipendenti di ruolo nel periodo 2004-2006”, i quali, però, “non lavoravano di notte”; ebbene, a parità di mansioni svolte, sarebbe stato onere della convenuta giustificare la diversità di inquadramento riservata ad alcuni dei suoi collaboratori, ma nessuna giustificazione è stata al riguardo fornita.

Come correttamente affermato dal giudice di prime cure, costituiscono, poi, ulteriori elementi a supporto della tesi della natura subordinata del rapporto di lavoro la stabilità del rapporto, che si è protratto per oltre due anni senza alcuna soluzione di continuità, l’essenzialità della prestazione resa per l’organizzazione della casa di riposo, l’assenza di qualunque rischio d’impresa a carico del lavoratore.

Rebus sic stantibus, nessuna rilevanza ostativa può avere la circostanza che i collaboratori addetti al turno notturno potessero eventualmente sostituirsi reciprocamente, di loro iniziativa (come comprovato documentalmente dalla convenuta: cfr. doc. n. 3) e 4) fascicolo parte resistente di primo grado), in quanto si tratta di una facoltà che viene ordinariamente riconosciuta anche ai lavoratori subordinati laddove, come nel caso di specie, il personale impiegato sia perfettamente fungibile.

Per questo stesso motivo, è irrilevante il fatto che, lavorando di notte, il ricorrente non fosse sottoposto al costante controllo del datore di lavoro.

Infatti, “ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, in caso di prestazioni elementari, ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione (…), il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non risultare significativo, occorrendo far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, senza che rilevi, di per sé, l’assenza di un potere disciplinare, né quella di un potere direttivo esercitato in modo continuativo” (Cass. Lav., 11.10.2017, n. 23846).
Correttamente, perciò, il giudice di prime cure ha ritenuto di natura subordinata il rapporto di lavoro intercorso.

Infondato, infine, è l’ultimo motivo di appello, con il quale l’XXX contesta la quantificazione del credito, in quanto erroneamente effettuata dal Tribunale utilizzando i conteggi allegati al ricorso, senza considerare che quei conteggi erano errati, in quanto elaborati al lordo delle differenze contributive, circostanza che era stata tempestivamente eccepita dalla difesa dell’XXX.

In primo luogo, nella memoria di costituzione del giudizio di primo grado l’XXX si è limitata a contestare “in toto” i conteggi allegati al ricorso, senza specificare in alcun modo l’oggetto della contestazione (cfr. pag. 8) della memoria) e la contestazione generica equivale a non contestazione.

In secondo luogo, correttamente il conteggio è stato elaborato al lordo e non al netto delle ritenute previdenziali, atteso che “l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall’art. 19, legge 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell’art. 23, comma primo, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare – salva la prova di fatti a lui non imputabili – debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d’interferire” (Cass. Lav., 11.07.2000, n. 9198; nello stesso senso, tra le altre, cfr. Cass. Civ., Sez. 3, 28.09.2011, n. 18790; Cass. Lav., 14.09.2015, n. 18044).

Quanto alle “ritenute previdenziali comunque operate dall’ente in ragione dell’intercorso rapporto di lavoro”, tali ritenute non attengono al conteggio delle differenze retributive dovute al ricorrente (sulle quali nessuna ritenuta previdenziale è stata, ovviamente, operata) e l’XXX potrà chiederne la ripetizione alla Gestione Separata dell’Inps dopo la regolarizzazione, a fini previdenziali, del rapporto di lavoro.

Alla luce delle considerazioni esposte, l’appello deve, pertanto, ritenersi infondato e deve, di conseguenza, essere rigettato.

Le spese di lite del grado seguono la soccombenza e si liquidano come da separato dispositivo, in base ai parametri previsti dal D.M. n. 55/2014.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1 comma 17 L. n. 228/2012.

P. Q. M.

La Corte

respinge l’appello; condanna l’appellante alla rifusione, in favore di controparte, delle spese di lite del grado, che liquida in complessivi € 1950,00, oltre rimborso forfettario delle spese generali, Iva e Cpa come per legge;

dà atto che sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115/2002, introdotto dall’art. 1 comma 17 L. n. 228/2012.

Roma, 06.10.2020

Il consigliere estensore
Il Presidente

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