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Codice Civile
Codice Penale

Rinuncia agli atti compiuta in appello, conseguenze

La rinuncia agli atti compiuta in appello investe soltanto gli atti del procedimento di gravame e comporta il passaggio in giudicato della pronuncia.

Pubblicato il 06 June 2020 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

CORTE di APPELLO di POTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Potenza, Sezione Civile, nelle persone dei sigg. magistrati:

ha pronunziato la seguente

SENTENZA n. 333/2020 pubblicata il 30/05/2020

nella causa iscritta al n. del Ruolo Generale dell’anno 2012, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n.14/12 emessa dal Tribunale di Matera in composizione monocratica il 5.1.2012 e pubblicata il 13.1.2012, e vertente tra

XXX, rappresentata e difesa dagli Avv.ti ed elettivamente domiciliata in presso lo studio dell’Avv.; APPELLANTE principale – APPELLATA incidentale

E

YYY, rappresentato e difeso dall’Avv. ed elettivamente domiciliato in presso lo studio legale; APPELLATO principale – APPELLANTE incidentale

trattenuta in decisione all’udienza di discussione del 26.11.2019 sulle conclusioni rassegnate alla medesima udienza dalle parti costituite e riportate nel relativo verbale in atti, da intendersi qui integralmente richiamato e trascritto.

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 29.4.2008 il sig. YYY conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Matera la coniuge XXX, da cui si era separato per effetto di sentenza del Tribunale di Matera emessa il giorno 8.11.2005, al fine di sentir accertare la sussistenza in proprio favore del diritto alla restituzione di somme corrisposte per mutui e prestiti personali contratti in regime di comunione e nell’interesse ed a beneficio della famiglia ed al fine di sentir condannare la convenuta al pagamento della somma di € 17.099,34, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di restituzione del 50% delle somme predette; il tutto con vittoria di spese di lite.

Costituitasi in giudizio, la sig.ra XXX eccepiva l’inammissibilità della domanda ai sensi dell’art.192 c.p.c. e, nel merito, contestava la fondatezza della pretesa azionata dal YYY assumendo che costui fosse in debito con la convenuta e asserendo di avere spontaneamente contribuito al pagamento dei ratei di mutuo fino alla pronuncia della sentenza di separazione; in via riconvenzionale, chiedeva che fosse pronunciata la condanna dell’attore al pagamento della metà delle spese straordinarie sostenute in via esclusiva dalla stessa convenuta nell’interesse dei due figli, spese a cui il YYY non aveva contribuito in violazione delle statuizioni al riguardo contenute nella sentenza di separazione dei coniugi.

Con sentenza n./12 emessa il 5.1.2012 e pubblicata il 13.1.2012 il Tribunale di Matera in composizione monocratica dichiarava il diritto di YYY alla restituzione della somma di € 14.844,03 ed il diritto di XXX alla restituzione della somma di € 3.716,23 e, dichiarata la compensazione tra i contrapposti crediti, condannava XXX al pagamento, in favore dell’attore, della somma di € 11.127,80, oltre interessi legali dalla domanda e sino al soddisfo, compensando integralmente tra le parti le spese di lite.

Con atto di citazione notificato in data 29.3.2012 la sig.ra XXX proponeva appello avverso la suindicata sentenza assumendo, quali motivi di impugnazione, che la pronuncia di accertamento del diritto del YYY alla restituzione della metà delle somme versate per il pagamento delle rate del prestito personale contratto con l’*** fosse stata basata su erronei presupposti di fatto e di diritto, che non fosse configurabile in capo al YYY nessun diritto alla restituzione di quanto versato per il pagamento dei ratei dei mutui contratti con la Banca *** per l’acquisto della casa coniugale e che il giudice di prime cure non si fosse pronunciato sulla domanda della convenuta volta ad ottenere, in via subordinata, la riduzione della somma eventualmente dovuta alla controparte in considerazione dei benefici fiscali goduti dallo stesso YYY per avere pagato, quale unico intestatario, i ratei dei mutui contratti con la Banca ***. Su tali basi la sig.ra XXX conveniva dinanzi alla Corte di Appello di Potenza il sig. YYY affinché, previa sospensione dell’efficacia esecutiva provvisoria della sentenza impugnata, in riforma della sentenza medesima fosse rigettata ogni domanda avanzata in primo grado dal YYY ovvero, in via gradata, fosse ridotto l’importo dovuto alla controparte in ragione del risparmio da quest’ultima tratto per effetto della detrazione fiscale in relazione ai ratei dei mutui corrisposti alla Banca ***; il tutto con vittoria di spese di lite riferite al doppio grado di giudizio.

Con comparsa depositata il 30.6.2012 si costituiva nel presente giudizio di impugnazione il sig. YYY il quale contestava la fondatezza dei motivi articolati a sostegno del proposto gravame e, a sua volta, impugnava con appello incidentale il capo della decisione del Tribunale di Matera contemplante l’accoglimento della pretesa riconvenzionale spiegata dalla XXX nel giudizio di primo grado, assumendo al riguardo che la questione del pagamento delle spese straordinarie in favore dei figli fosse stata già dibattuta e risolta nell’ambito del giudizio di separazione dei coniugi sicchè essa doveva considerarsi coperta dal giudicato portato dalla sentenza che aveva definito il predetto giudizio di separazione. Pertanto, concludeva affinchè fosse respinto l’appello principale e, in accoglimento del gravame incidentale, fosse pronunciata la condanna del YYY al pagamento della somma di € 17.099,34, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, con vittoria di spese di lite.

Con ordinanza emessa il 20.11.2012 e depositata il 26.11.2012 la Corte sospendeva l’efficacia esecutiva della sentenza appellata per il 50% dell’importo oggetto della pronuncia di condanna.

All’udienza del 26.11.2019, precisate a cura delle parti le rispettive conclusioni, la Corte tratteneva la causa in decisione, concedendo i termini ex art.190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

In pendenza dei termini ex art.190 c.p.c. i procuratori delle parti, con atti depositati in data 27.11.2019, rappresentavano che nelle more fosse stato perfezionato tra la XXX ed il YYY un accordo transattivo e sollecitavano la pronuncia dichiarativa della cessazione della materia del contendere.

Su invito della Corte le parti producevano in data 20 e 21 gennaio 2020 copia del contratto scritto di transazione, insistendo per la declaratoria di cessazione della materia del contendere.

MOTIVI della DECISIONE

La Corte prende atto che tra le parti costituite è intervenuta la transazione della lite giacché con la scrittura privata depositata in copia il 20 e 21 gennaio 2020 da entrambe le parti e debitamente sottoscritta da XXX e da YYY nonché dai rispettivi procuratori legali i sigg. XXX-YYY nel definire in via negoziale ogni controversia tra essi pendente hanno espressamente convenuto per la cessazione della materia del contendere ed hanno dichiarato di rinunciare agli atti del giudizio ed alle relative azioni giudiziarie sostanziali con riguardo al giudizio di impugnazione pendente dinanzi alla Corte di Appello di Potenza, iscritto al n./2012 R.G. ed avente ad oggetto l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Matera n./2012.

Con la medesima scrittura privata le parti hanno stabilito che le spese processuali restino integralmente compensate.

La circostanza che le suindicate parti abbiano sollecitato la declaratoria di “cessazione della materia del contendere” e la considerazione dell’assetto di interessi regolato nella predetta scrittura privata inducono ragionevolmente a dubitare che nel caso di specie possa trovare applicazione l’istituto disciplinato dall’art.306 c.p.c., indirettamente evocato mediante la dichiarazione di «rinuncia agli atti del giudizio» pure contenuta nella scrittura privata medesima.

La «rinuncia agli atti del giudizio», cui ha riguardo l’art.306 c.p.c., è una dichiarazione espressa, promanante dalla parte in persona ovvero dal suo procuratore speciale, di voler rinunciare alla domanda e agli atti successivi e, quindi, di voler porre fine al processo senza giungere ad una decisione di merito. L’estinzione si verifica solo se tutte le altre parti che potrebbero avere interesse alla prosecuzione del processo prestino il loro consenso esplicitamente, di persona o a mezzo di procuratori speciali. Pertanto, non è richiesto che accettino la rinuncia le parti non costituite, né le parti che pur essendosi costituite non abbiano sollevato eccezioni o abbiano sollevato solo eccezioni di rito e non di merito.

Occorre, tuttavia, distinguere la rinuncia agli atti del giudizio, che è prevista espressamente dall’ordinamento processuale ed ha per effetto di estinguere il processo ma non l’azione (per il combinato disposto degli artt.306 e 310 c.p.c.), dalla rinuncia all’azione, fattispecie quest’ultima non contemplata in via esplicita dal codice di rito, ma che deve essere ritenuta ammissibile sulla base del principio di disponibilità del diritto di azione (cfr. Cass.civ. 1° giugno 1974 n.1573: “La rinuncia, nel nostro ordinamento giuridico, quale espressione tipica della autonomia negoziale privata, può avere per oggetto ogni diritto, di carattere sostanziale o processuale anche futuro ed eventuale, con l’unico limite che non osti un espresso divieto di legge, ovvero che non si tratti di un diritto irrinunciabile o indisponibile”).

Giova chiarire che sia la rinuncia agli atti che la rinuncia all’azione sono inefficaci se non provengono dalla parte personalmente o dal procuratore munito di procura speciale; tuttavia, mentre la rinuncia agli atti del giudizio ha bisogno della accettazione della controparte, la rinuncia all’azione non ha bisogno di accettazione, perché produce l’effetto di per sé massimamente favorevole alla controparte. La rinuncia all’azione, infatti, estingue oltre che il processo, anche l’azione ed è equivalente, quanto agli effetti, ad un rigetto nel merito della domanda, che non ammette per sua natura un interesse contrario nella controparte (v. Cass. 13 marzo 1999 n.2268). Nel sistema processuale vigente non si rinviene un’espressa disciplina della rinunzia agli atti del giudizio di impugnazione in quanto l’art.338 c.p.c. si limita a disporre che l’estinzione del procedimento d’appello fa passare in giudicato la sentenza impugnata. Non può dubitarsi, tuttavia, della ammissibilità di detta rinunzia giacché l’art.359 c.p.c. stabilisce che nel giudizio di appello si osservano, se applicabili, le norme regolatrici del giudizio di primo grado e, dunque, anche quella contenuta nell’art.306 c.p.c., dovendosi altresì escludere la sua incompatibilità con il detto mezzo di gravame (cfr. Cass. 3 agosto 1999 n.8387). Parimenti ammissibile è la rinuncia all’impugnazione, che si pone in perfetto parallelismo con la rinuncia all’azione nel giudizio di primo grado e che determina, come la rinuncia agli atti del giudizio di appello, il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. Tuttavia, l’identità degli effetti non comporta la piena corrispondenza dei due istituti, poiché, mentre la rinunzia agli atti del giudizio di appello è efficace in quanto accettata o in quanto non richieda accettazione, la rinuncia all’impugnazione fa venir meno il potere-dovere del giudice di pronunciare con efficacia immediata, senza bisogno di accettazione (cfr. Cass. 19 maggio 1995 n.5556).

Inoltre, vale osservare che mentre per il primo grado gli effetti della rinuncia agli atti e della rinuncia all’azione consistono, rispettivamente, nell’estinzione del processo ma non dell’azione (che potrà essere riproposta: v. Cass. 13 marzo 1999 n.2268) e nell’abdicazione definitiva rispetto alla tutela giurisdizionale, nel giudizio di appello gli effetti sono ben diversi, in quanto occorre tener conto che le rinunzie intervengono dopo che è stata pronunciata una sentenza, la quale può essere stata di accoglimento o di rigetto della domanda.

In particolare, quanto alla rinuncia agli atti del giudizio, mentre nel giudizio di primo grado essa ha l’effetto di estinguere il processo, in appello essa, in linea di massima, si dovrà interpretare come rinuncia agli atti dell’appello e, cioè, all’atto di appello e agli atti successivi, con la conseguenza dell’estinzione del giudizio di appello e il passaggio in giudicato della sentenza impugnata; tale risultato comporterà anche l’impossibilità di riproporre la stessa domanda in altro processo, pena l’opponibilità del giudicato. Quanto alla rinuncia all’azione, essa in appello tenderà all’effetto di evitare un giudicato favorevole; tale risultato comporterà l’impossibilità di riproporre la stessa domanda in altro processo, in virtù di un atto abdicativo del diritto ad agire in giudizio. A ben vedere, viene perseguito un fine ben diverso da quello proprio della rinuncia agli atti in grado di appello, che tende al contrario alla stabilizzazione della sentenza impugnata determinandone il passaggio in giudicato.

È evidente, dunque, che si tratti di istituti ben distinti tra loro, ed anche diversi, in appello rispetto ai corrispondenti istituti propri del primo grado del giudizio. Non sembra, quindi, che si possa utilmente insistere nel parallelismo, se non per dire che tra rinuncia agli atti del giudizio in primo grado e rinuncia agli atti del giudizio (id est, all’impugnazione) in secondo grado, vi è la stessa funzione esteriore di avere entrambe ad oggetto immediato la caducazione delle domande introduttive dei rispettivi gradi del giudizio.

Ma in appello è possibile – sulla base del generale potere che trova il suo fondamento nella autonomia negoziale privata, la quale può avere ad oggetto anche diritti processuali oltre che sostanziali – rinunciare non solo all’impugnazione, ma anche all’azione proposta in primo grado oppure agli effetti del giudicato, prodotto o da prodursi. Ne consegue che “accertare se un determinato fatto concreta una rinuncia agli atti o al giudizio, ovvero una transazione della lite è compito del giudice di merito, quale esito di una indagine diretta ad individuare la concreta volontà negoziale della o delle parti” (Cass. 21 febbraio 2003 n.2647).

Invero, la varietà delle espressioni di rinuncia e delle situazioni da cui promanano produce spesso una difficoltà di interpretazione, da parte del giudice, della vera volontà delle parti. Ciò si verifica soprattutto per la fattispecie di rinuncia qualificabile come rinuncia all’azione: questa, infatti, se proveniente dall’appellante che sia stato anche attore in primo grado, avrà ad oggetto (non solo l’impugnazione, ma più a monte) la stessa azione svolta con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado; invece, se proveniente dall’appellato che sia stato anche attore in primo grado, conterrà, oltre che la rinuncia agli effetti, a lui favorevoli, della sentenza ed al possibile giudicato, anche la rinuncia all’azione e, quindi, al diritto di riproposizione della domanda in altro processo.

Come si vede, la rinunzia all’azione in appello si può atteggiare in varie modalità di diversa ampiezza, da interpretare e considerare con attenzione, caso per caso, soprattutto per distinguerla dalla rinuncia agli atti (id est, all’impugnazione).

Circa la possibilità della rinunzia da parte dell’appellato all’azione, alla sentenza e al giudicato si è pronunciata in più occasioni la giurisprudenza di legittimità: v. Cass. n.18255/2004, Cass. 27 aprile 2000 n.5390; Cass. 2 aprile 2003 n.5026. In particolare, la Suprema Corte ha insegnato che è possibile che una rinuncia possa essere interpretata come rinuncia dal contenuto più ampio, comprensivo di una rinuncia anche al giudicato (si intende, se favorevole al rinunciante): “La rinuncia agli atti, compiuta in appello, di un giudizio definito in primo grado con una decisione di fondatezza dell’azione, investe soltanto gli atti del procedimento di gravame, e comporta il passaggio in giudicato della pronuncia in conseguenza della sopravvenuta inefficacia della sua impugnazione, in quanto l’estinzione, a norma dell’art. 310 cod. proc. civ., rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo. Ne consegue che l’efficacia abdicativa in ordine all’effetto sostanziale della decisione di merito e preclusiva del potere delle parti di chiedere al giudice una nuova decisione sulla stessa controversia va riconosciuta soltanto ad un atto che possa essere interpretato come rinuncia anche al giudicato, in quanto estesa alla sentenza già emessa ed alle sue conseguenze” (Cass. 2 aprile 2003 n.5026).

In definitiva, l’esperienza insegna che a volte le istanze di rinunzia siano formulate in maniera imprecisa e confondano i vari istituti in esame e i loro effetti (confusione, del resto, comprensibile visto che alcuni istituti sono di creazione giurisprudenziale). Vengono, infatti, avanzate a volte al giudice d’appello delle rinunce e delle istanze di estinzione del processo che, se fossero intese formalisticamente, comporterebbero l’estinzione del giudizio di appello e il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, laddove dal contesto delle conclusioni e dai chiarimenti eventualmente resi risulta, invece, perseguito un altro tipo di risultato. Si registra, dunque, una confusione tra gli effetti della statuizione formalmente richiesta e quelli effettivamente desiderati.

Ad esempio, se le parti concordemente hanno manifestato al giudice d’appello anche la volontà che venga ordinata la cancellazione della trascrizione della citazione di primo grado, pare evidente che le parti intendano che debba venire caducata anche la sentenza di primo grado e niente affatto che essa passi in giudicato; in tal caso, ove fosse accolta l’istanza di rinuncia interpretandola come rinuncia agli atti dell’appello, sarebbe pronunciata l’estinzione del processo d’appello da cui discenderebbe il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Da tale passaggio in giudicato deriverebbe anche il consolidamento degli effetti della trascrizione della domanda giudiziale, che, se accolta in primo grado, sarebbe definitivamente accolta.

Pertanto, è frequente che, al di là delle espressioni adoperate, dal contesto delle istanze e delle dichiarazioni risulti che le parti intendono in realtà che con la rinuncia venga travolto l’intero giudizio e non solo l’appello. La formula da adoperare sarà, allora, non quella di estinzione del processo in appello, ma quella della «cessazione della materia del contendere». L’effettiva volontà di ottenere una declaratoria di cessazione della materia del contendere, che travolga la sentenza di primo grado, potrà risultare anche dalla eventuale esplicitazione, nelle istanze, della causa della rinuncia e dell’accettazione, che spesso consisterà in una transazione stragiudiziale raggiunta tra le parti. In casi del genere, la vera domanda proposta, al di là del nomen iuris datole dalle parti, è nella richiesta di dichiarare la intervenuta cessazione della materia del contendere, e cioè di ottenere una pronuncia che chiuda tutta la vicenda processuale e non solo l’appello.

La Suprema Corte ha insegnato, infatti, che una rinuncia che sia accompagnata da elementi probatori che dimostrino che è venuto meno l’interesse alla lite per una intervenuta transazione, si deve interpretare come rinuncia all’azione e non semplicemente agli atti del giudizio. A tale rinuncia, se fatta in appello, deve conseguire la declaratoria della cessazione della materia del contendere, che avrà effetti destinati a trascendere il piano meramente processuale, con l’accertamento della esclusione dell’interesse alla decisione e la caducazione della sentenza di merito già emessa.

Dalla declaratoria di cessazione della materia del contendere discenderà la necessità di ordinare la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale, cancellazione che si riferirà alla citazione introduttiva del primo grado del giudizio, e l’intero giudizio rimarrà così, come è nelle effettive intenzioni delle parti, travolto, essendo stata la controversia sostanziale transatta in via stragiudiziale tra le parti.

La Suprema Corte ha avuto modo più volte di rilevare che la declaratoria di cessazione della materia del contendere costituisce titolo per la cancellazione della trascrizione della domanda, ai sensi dell’art.2668 co.2 c.c., stante la sostanziale assimilabilità di una pronuncia siffatta all’ipotesi di estinzione del processo per rinunzia, espressamente prevista dalla detta norma (v. Cass. 30 aprile 1997 n.304; Cass. 4 maggio 1994 n.4331). La norma richiamata, in realtà, non può che riferirsi a pronunce di estinzione emesse in primo grado; in appello l’estinzione produce, infatti, ai sensi dell’art.310 c.p.c., il passaggio in giudicato della sentenza impugnata e, quindi, la stabilizzazione degli effetti della trascrizione. Per converso, è la statuizione di cessazione della materia del contendere che produce, in appello, la caducazione della sentenza impugnata e, di conseguenza, della domanda introduttiva e della sua trascrizione.

Le svolte argomentazioni in punto di diritto conducono a ritenere che la richiesta congiunta delle parti di dichiarare la cessazione della materia del contendere, proprio perché fondata sul rinnovato assetto di interessi consacrato nella scrittura privata depositata il 20 ed il 21 gennaio 2020, scrittura nella quale le parti medesime hanno manifestato la loro volontà di porre fine ad ogni contenzioso tra esse in corso, vada interpretata come richiesta di ottenere una pronuncia che chiuda l’intera vicenda processuale e non solo l’appello e, quindi, travolga anche la sentenza di primo grado e la domanda originaria avanzata dinanzi al giudice a quo. In sostanza, la vera istanza proposta, al di là delle espressioni (“rinuncia agli atti del giudizio”) impiegate nell’anzidetta scrittura privata, è quella di dichiarare la intervenuta cessazione della materia del contendere.

Pertanto, va dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, deve ribadirsi che sempre nella scrittura privata in discorso le parti hanno espressamente concordato la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Potenza – Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello principale avverso la sentenza n.14/12 emessa dal Tribunale di Matera in composizione monocratica il 5.1.2012 e pubblicata il 13.1.2012, proposto da XXX con atto di citazione notificato in data 29.3.2012 nei confronti di YYY nonché sull’appello incidentale proposto da YYY con comparsa di costituzione e risposta depositata il 30.6.2012, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni altra istanza, difesa, eccezione e deduzione respinta, così provvede:

– Dichiara la cessazione della materia del contendere;

– Nulla per le spese processuali relative al presente giudizio di secondo grado.

La presente sentenza per legge è provvisoriamente esecutiva tra le parti.

Così deciso nella camera di consiglio del 15 maggio 2020 svoltasi mediante collegamento da remoto.

Il Consigliere estensore
Il Presidente

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