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Codice Penale

Pergolato e tettoia, diversità strutturale delle due opere

Il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra.

CORTE di APPELLO di POTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte di Appello di Potenza, Sezione Civile, nelle persone dei sigg. magistrati:

ha pronunziato la seguente

SENTENZA n. 332/2020 pubblicata il 30/05/2020

nella causa iscritta al n. del Ruolo Generale dell’anno 2013, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n.303/13 emessa dal Tribunale di Melfi in composizione monocratica il 5.8.2013 e pubblicata il 12.8.2013, e vertente tra

XXX e YYY, rappresentati e difesi dagli Avv.ti presso lo studio dei quali in elettivamente domiciliano; APPELLANTI

E

ZZZ, KKK, JJJ e FFF, rappresentate e difese dall’Avv. presso il cui studio in elettivamente domiciliano; APPELLATE

HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio sito in, contumace; APPELLATO

trattenuta in decisione all’udienza di discussione dell’1.10.2019 sulle conclusioni rassegnate alla medesima udienza dalle parti costituite e riportate nel relativo verbale in atti, da intendersi qui integralmente richiamato e trascritto.

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 23.3.2007 le sigg.re ZZZ, KKK, JJJ e FFF, proprietarie di unità immobiliari ubicate nel condominio “***” in, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Melfi i condomini XXX e YYY, proprietari di un appartamento al piano terra, nonché HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio, al fine di far valere la nullità della deliberazione adottata dall’assemblea condominiale il 15.4.2002, con la quale i convenuti XXX e YYY erano stati autorizzati a realizzare sul terrazzo del loro appartamento un pergolato in legno completamente aperto sui fianchi, ed al fine di ottenere la condanna dei medesimi convenuti alla rimozione del manufatto realizzato ed al ripristino dello stato originario dei luoghi. Assumevano le attrici che la predetta deliberazione fosse stata adottata in mancanza della convocazione di alcuni condomini, in mancanza della nomina di un presidente e di un segretario all’inizio dei lavori dell’assemblea ed in assenza del quorum qualificato previsto dall’art.1136 co.5 c.c. Sostenevano altresì le attrici che l’opera in concreto realizzata fosse morfologicamente diversa da quella autorizzata dall’assemblea condominiale e ledesse il diritto del proprietario dell’appartamento sovrastante e deturpasse il decoro architettonico dell’edificio.

Si costituivano in giudizio XXX e YYY, i quali contestavano la fondatezza della avversa pretesa invocandone l’integrale rigetto.

Non si costituiva in giudizio HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio.

L’istruzione probatoria contemplava produzione documentale ed espletamento di consulenza tecnica d’ufficio.

All’udienza del 5.3.2013, precisate a cura delle parti costituite le rispettive conclusioni, il giudice tratteneva in decisione la causa concedendo i termini ex art.190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

Con sentenza n.303/13 emessa il 5.8.2013 e pubblicata il 12.8.2013 il Tribunale di Melfi in composizione monocratica rigettava la domanda di nullità della deliberazione adottata dall’assemblea condominiale il 15.4.2002 e, in accoglimento della ulteriore domanda, ritenuta la difformità del manufatto realizzato rispetto a quello assentito dall’assemblea condominiale, ordinava a XXX e YYY l’adeguamento e, ove questo non fosse stato possibile, la rimozione del manufatto ed il rifacimento dello stesso nel rispetto di quanto deliberato dall’assemblea condominiale, compensando integralmente tra le parti le spese processuali e ponendo a carico di XXX e YYY le spese occorse per l’espletamento della consulenza tecnica d’ufficio.

Nella parte motiva della decisione il Tribunale di Melfi sosteneva, tra l’altro, che, quanto alla doglianza relativa alla asserita lesione del diritto di proprietà individuale della condomina ZZZ, proprietaria dell’appartamento al piano immediatamente superiore a quello dell’appartamento dei sigg. XXX e YYY, la genericità della allegazione dell’atto introduttivo e della perizia di parte versata in atti, in uno alla circostanza che non risultavano violate le norme sulle distanze tra le costruzioni, non consentissero di ritenere fondate le allegazioni attoree sul punto e neppure di valutarne compiutamente a monte la fondatezza.

Con atto di citazione spedito il 9.10.2013 per la notificazione a mezzo del servizio postale i sigg. XXX e YYY proponevano appello avverso il capo della suindicata sentenza contemplante la pronuncia di condanna nei loro confronti assumendone la nullità per assoluta genericità della pronuncia medesima, per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art.112 c.p.c., per mancato accoglimento dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva delle sigg.re ZZZ e FFF, per errato convincimento in ordine alla necessità di una autorizzazione condominiale per la realizzazione di una tettoia nella proprietà privata di un condomino e, infine, per mancata considerazione dell’accettazione implicita e/o tacita da parte dei condomini attori in primo grado in riferimento alla tettoia come realizzata. Su tali basi i sigg. XXX e YYY convenivano dinanzi alla Corte di Appello di Potenza le sigg.re ZZZ, KKK, JJJ e FFF nonché il sig. HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio, affinché, previa sospensione dell’efficacia esecutiva provvisoria della sentenza impugnata, in riforma della sentenza medesima fosse dichiarata la nullità della decisione assunta dal Tribunale di Melfi per le ragioni esposte e fosse dichiarata la legittimità della tettoia realizzata dagli appellanti, con vittoria di spese di lite riferite al doppio grado di giudizio.

Con comparsa depositata in cancelleria il 4.2.2014 si costituivano nel presente giudizio di impugnazione le sigg.re ZZZ, KKK, JJJ e FFF le quali, in via preliminare, eccepivano l’inammissibilità dell’appello per violazione delle prescrizioni contenute nell’art.342 c.p.c. e, nel merito, contestavano la fondatezza dei motivi articolati a sostegno del gravame, sollecitandone l’integrale rigetto con conseguente conferma della sentenza impugnata e con vittoria di spese di lite. In particolare, l’appellata ZZZ nulla deduceva quanto al capo della decisione del primo giudice riferito alla ritenuta infondatezza della doglianza relativa alla asserita lesione del diritto di proprietà individuale della stessa condomina per effetto della realizzazione della tettoia sul terrazzo in proprietà esclusiva dei sigg. XXX e YYY.

Non si costituiva neppure nel giudizio di impugnazione il sig. HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio.

Con ordinanza pronunciata in data 13.5.2014 e depositata il 14.5.2014 la Corte disponeva la sospensione dell’efficacia esecutiva provvisoria della sentenza impugnata.

All’udienza dell’1.10.2019, precisate a cura delle parti costituite le rispettive conclusioni, la Corte tratteneva in decisione la causa concedendo i termini ex art.190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.

MOTIVI della DECISIONE

1.0 In via preliminare, va dichiarata la contumacia del sig. HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio, nei cui confronti il contraddittorio risulta ritualmente instaurato e che non ha inteso costituirsi in giudizio.

*

2.0 Sempre in via preliminare, va respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione delle prescrizioni contenute nell’art.342 c.p.c.

Invero, contrariamente a quanto opinato dalla parte appellata costituita in giudizio, l’atto di impugnazione proposto dai sigg. XXX e YYY esprime articolate ragioni di doglianza su punti specifici della sentenza di primo grado, individuandosi con chiarezza le statuizioni investite dal gravame e le censure in concreto mosse alla motivazione della sentenza medesima, sicché non residuano ragionevoli dubbi sui profili della decisione impugnata che i sigg. XXX e YYY aspirano a veder riformati.

Del resto, con la sentenza 16 novembre 2017, n. 27199, la Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, ha affermato che gli artt. 342 e 434 c.p.c. (nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134), vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, insieme ad essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice; resta escluso, invece, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali ovvero che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado. ***

Nel merito, l’appello è fondato nei termini che si vanno ad illustrare.

*

3.0 Con un primo motivo di impugnazione gli appellanti hanno eccepito la nullità della sentenza impugnata per assoluta genericità della pronuncia di condanna. Essi hanno sostenuto che, non avendo l’assemblea condominiale nella deliberazione del 15.4.2002 specificato le dimensioni e l’altezza del pergolato di cui aveva autorizzato la realizzazione, la pronuncia di condanna al rifacimento del manufatto secondo la delibera condominiale del 15/04/2002, come figura nel dispositivo della sentenza, sia in concreto ineseguibile.

La doglianza è priva di pregio.

Gli esiti della disposta consulenza tecnica d’ufficio ed i rilievi fotografici allegati alla relazione peritale valgono a riscontrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che il manufatto realizzato dagli appellanti si qualifichi tecnicamente e giuridicamente come “tettoia” e non già come “pergolato”.

Pertanto, a prescindere dalle caratteristiche dimensionali dell’opera autorizzata, non può revocarsi in dubbio che gli appellanti abbiano realizzato un manufatto ontologicamente diverso da quello assentito dall’assemblea condominiale, sicchè è evidente che la pronuncia di condanna vada interpretata nel senso che l’opera realizzata debba essere demolita ed al suo posto possa essere installato un manufatto giuridicamente qualificabile come “pergolato”.

In tale ottica non è ravvisabile la dedotta nullità della statuizione per genericità della pronuncia di condanna.

La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha preso in considerazione la nozione di “pergolato” per distinguerla dalla “tettoia”, osservando che la diversità strutturale delle due opere è rilevabile dal fatto che, mentre il pergolato costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta l’abitabilità dell’immobile (v. Cass.pen.sez. 3, 16 aprile 2008 n. 19973; Cass.pen.sez. 3, 25 febbraio 2009 n. 10534).

Anche la giurisprudenza amministrativa si è, in più occasioni, interrogata sulla nozione di “pergolato”.

Il Consiglio di Stato, in particolare, dando atto dell’assenza di una definizione normativa, ha affermato che tale opera si caratterizza come manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni (v. Cons. Stato Sez. 4, n. 5409 del 29 settembre 2011; conf. Consiglio di Stato, Sez. 6, n. 2134 del 27 aprile 2015; v. anche Cons. di Stato, Sez. 6, n. 306 del 25 gennaio 2017).

Considerando tali caratteristiche, ha pure escluso che possa rientrare nella nozione di “pergolato” una struttura realizzata mediante pilastri e travi in legno di significative dimensioni, tali da renderla solida e robusta facendone presumere una permanenza prolungata nel tempo (Cons. Stato Sez. 4, n. 4793 del 2 ottobre 2008), diversamente da quanto ritenuto riguardo ad un manufatto precario, facilmente rimovibile, costituito da una intelaiatura in legno non infissa al pavimento nè alla parete dell’immobile (cui è solo addossata), non chiusa in alcun lato, compreso quello di copertura (Cons. Stato Sez. 5, n. 6193 del 7 novembre 2005).

A conclusioni identiche sono pervenute altre decisioni, che hanno individuato il pergolato come manufatto in struttura leggera di legno che funge da sostegno per piante rampicanti o per teli, senza comportare un aumento di volumetria e senza determinare trasformazione edilizia ed urbanistica (TAR Umbria Sez. 1, n. 499 del 28 ottobre 2010, con richiami a precedenti), tale da realizzare un’ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, destinate ad un uso del tutto momentaneo (TAR Lazio (LT), Sez. 1, n. 568 del 18 giugno 2013; TAR Campania (NA) Sez. 4, n. 1746 del 25 marzo 2011), ribadendo poi (TAR Campania (NA), Sez. 7, n. 3972, del 29 luglio 2013) che, qualora il pergolato sia costituito da una struttura leggera facilmente amovibile perchè priva di fondamenta e destinato al riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni, non è richiesto il permesso di costruire, mentre tale titolo è necessario nel caso in cui l’opera sia costituita da pilastri ancorati al suolo e da travi in legno di importanti dimensioni in modo da renderla solida e robusta e non facilmente amovibile (si richiama al riguardo, ex pl., TAR. TrentoTrentino Alto Adige sez. 1, n. 342 del 21 novembre 2012).

E’ stata altresì posta in evidenza anche la differenza tra “pergolato” e “tettoia” in termini analoghi a quelli indicati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, facendo ricorso al linguaggio comune ed evidenziando che la tettoia si caratterizza come struttura pensile, addossata al muro o interamente sorretta da pilastri, di possibile maggiore consistenza e impatto visivo rispetto al pergolato, il quale è normalmente costituito da una serie parallela di pali collegati da un’intelaiatura leggera, idonea a sostenere piante rampicanti o a costituire struttura ombreggiante, senza chiusure laterali (Cons. Stato Sez. 6, n. 825, del 18 febbraio 2015).

In definitiva, si intende per pergolato una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni, di modeste dimensioni e di facile rimozione, la cui finalità è quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno (cfr. Cass.pen.sez.3, 29 marzo 2018 n.23183).

Nel caso di specie, il C.t.u. ha accertato e documentato (si vedano i rilievi fotografici allegati alla relazione scritta) che la struttura realizzata dai sigg. XXX e YYY si qualifica “tettoia” in quanto è costituita da pilastri e travi in legno di importanti dimensioni, ben ancorati al suolo, tali da rendere la struttura stessa solida e robusta e da farne presumere una permanenza prolungata nel tempo, completamente chiusa in copertura con un tavolato in legno, un sovrastante strato di tegole ed un sistema di raccolta delle acque piovane.

In sostanza, il manufatto realizzato è del tutto diverso dal “pergolato” assentito dall’assemblea condominiale con la deliberazione del 15.4.2002.

Pertanto, non può dubitarsi che la pronuncia di condanna sia valida e perfettamente eseguibile giacchè essa fa obbligo agli appellanti di rimuovere del tutto il manufatto realizzato e di installarne uno nuovo che abbia le caratteristiche di una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore, realizzata con materiali leggeri, senza fondazioni o ancoraggi fissi al suolo, di modeste dimensioni e di facile rimozione, la cui finalità sia quella di creare ombra mediante piante rampicanti o teli cui offrono sostegno.

In tale prospettiva, non rileva la circostanza che non siano indicate le dimensioni complessive dell’opera, giacché esse possono anche corrispondere a quelle del manufatto realizzato e, comunque, sono vincolate dalla superficie utile esistente. *

4.0 Con un secondo motivo di impugnazione gli appellanti hanno eccepito la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art.112 c.p.c. Hanno sostenuto che la parte attrice in primo grado abbia avanzato esclusivamente una domanda di nullità della deliberazione adottata dall’assemblea condominiale il 15.4.2002 senza formulare nessuna ulteriore domanda, con la conseguenza che il Tribunale di Melfi, una volta acclarata la tardiva impugnazione della suindicata deliberazione e rigettata la domanda di nullità, non fosse abilitato a pronunciarsi sulla difformità del manufatto realizzato rispetto a quello autorizzato e, quindi, non potesse disporre la condanna dei sigg. XXX e YYY all’adeguamento e, ove questo non fosse stato possibile, alla rimozione del manufatto ed al rifacimento dello stesso nel rispetto di quanto deliberato dall’assemblea condominiale. La doglianza è infondata.

Nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, alla pagina 3, punto 4), le attrici hanno espressamente allegato che, a prescindere dalle ragioni invalidanti la deliberazione dell’assemblea condominiale, l’opera realizzata è totalmente difforme da quella consentita in quanto essa si sostanzia in una tettoia in legno coperta da manto di tegole e non in un pergolato e, in sede di conclusioni, hanno chiesto che fosse ordinata ai sigg. XXX e YYY la rimozione di quanto realizzato.

Giova rimarcare, in punto di diritto, che il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (cfr. Cass.civ. sez.I, ordinanza 31 luglio 2017 n.19002; Cass.civ.sez.III, 19 ottobre 2015 n.21087; Cass.civ.sez.III, 12 dicembre 2014 n.26159; Cass.civ.sez.I, 14 novembre 2011 n.23794). In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche una istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il “petitum” e la “causa petendi” (v. Cass.civ.sez.II, 10 febbraio 2010 n.3012). In altre parole, il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non può limitarsi ad una interpretazione della domanda giudiziale nella sua letterale formulazione, ma deve valutare il sostanziale contenuto delle pretese, con riguardo alle finalità perseguite nel giudizio, attraverso un esame complessivo dell’atto introduttivo del giudizio non circoscritto alla parte di esso destinata a contenere le conclusioni ed esteso, piuttosto, anche alla parte espositiva (cfr. Cass.civ.sez.III, 28 agosto 2009 n.18783; Cass.civ.sez.III 1 giugno 2001 n.7448).

Facendo applicazione degli esposti principi di diritto, non può dubitarsi che la valutazione comparata dei sopra menzionati contenuti della parte espositiva e delle conclusioni della citazione introduttiva induca ragionevolmente ad inferire che in concreto le attrici abbiano formulato anche una domanda ulteriore rispetto a quella volta alla declaratoria di nullità della deliberazione adottata dall’assemblea condominiale il 15.4.2002 e, segnatamente, una domanda di rimozione del manufatto realizzato dai sigg. XXX e YYY perché difforme da quello assentito.

5.0 Con un terzo motivo di impugnazione gli appellanti hanno eccepito la nullità della sentenza impugnata per mancato accoglimento dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva delle sigg.re ZZZ e FFF, eccezione fondata sul rilievo che queste ultime condomine avessero acquistato, ciascuna, un appartamento nell’edificio condominiale in epoca successiva alla deliberazione adottata dall’assemblea condominiale il 15.4.2002 e, quindi, non fossero legittimate ad impugnare e chiedere l’annullamento della suddetta deliberazione e neppure a far valere la lesione del decoro architettonico del fabbricato o la diminuzione di valore dell’appartamento da ognuna di esse acquistato in quanto al momento dell’acquisto la tettoia era stata già realizzata dai sigg. XXX e YYY.

Il motivo di appello è, in parte, inammissibile per difetto di interesse ad impugnare e, in parte, infondato.

Costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il principio enunciato nell’art.100 c.p.c., secondo cui per proporre una domanda o per contraddire ad essa è necessario avervi interesse, si estenda anche ai giudizi di impugnazione nei quali, in particolare, l’interesse ad impugnare una data sentenza o un capo di questa va desunto dall’utilità giuridica che dall’eventuale accoglimento del gravame possa derivare alla parte che lo propone e si ricollega, pertanto, ad una soccombenza, anche solo parziale, nel precedente giudizio, intesa come effetto pregiudizievole derivante dalle statuizioni (idonee a passare in giudicato) contenute nella sentenza impugnata (cfr. ex plurimis, Cass. n.8148/1998; n.2022/2000; n.7342/ 2002; n.6546/2004; n.9877/2006; n.13373/2008; n.2509/2009; Cass.sez.lav., 22 aprile 2011 n.9308, in motivazione).

In tale ottica, avendo il Tribunale di Melfi rigettato la domanda di parte attrice volta ad ottenere la declaratoria di nullità della deliberazione adottata dall’assemblea condominiale il 15.4.2002 e non risultando la statuizione di rigetto essere stata gravata da appello incidentale, i sigg. XXX e YYY non hanno nessun interesse rilevante ex art.100 c.p.c. ad impugnare la decisione del primo giudice di respingere l’eccezione di carenza di legittimazione attiva delle sigg.re ZZZ e FFF ad impugnare la suddetta deliberazione ed a chiederne l’annullamento.

Quanto alla domanda di rimozione del manufatto realizzato dai sigg. XXX e YYY perché difforme da quello assentito, sussiste la piena legittimazione attiva delle sigg.re ZZZ e FFF, in quanto costoro hanno agito in giudizio a tutela delle rispettive proprietà esclusive e della proprietà comune contro comportamenti ritenuti illeciti posti in essere da altri condomini, senza che rilevi a tal fine la circostanza che l’acquisto, da parte di ciascuna delle due condomine, di un appartamento nell’edificio condominiale si sia perfezionato in epoca successiva alla deliberazione adottata dall’assemblea condominiale il 15.4.2002 oppure che il manufatto difforme fosse stato già ultimato al momento dell’acquisto. *

6.0 Con un quarto motivo di impugnazione gli appellanti hanno eccepito la nullità della sentenza impugnata per errato convincimento del giudice di prime cure in ordine alla necessità di una autorizzazione condominiale per la realizzazione di una tettoia nella proprietà privata di un condomino.

Il motivo di gravame è fondato.

Il Tribunale di Melfi, sul mero presupposto che il C.t.u. avesse accertato che il manufatto realizzato dai sigg. XXX e YYY non fosse conforme per struttura e consistenza a quello assentito dall’assemblea condominiale, ha condannato i due convenuti all’adeguamento del manufatto e, ove questo non fosse stato possibile, alla rimozione ed al rifacimento dello stesso nel rispetto di quanto deliberato dall’assemblea condominiale.

Sennonché emerge dall’incarto processuale e dai contenuti della relazione scritta resa dal C.t.u. che la tettoia sia stata realizzata su un terrazzo dell’appartamento in proprietà esclusiva dei sigg. XXX e YYY e, quindi, su un bene appartenente in via esclusiva a questi ultimi.

Va, pertanto, negato ogni spazio operativo alla disposizione di cui all’art.1120 c.c., dettata in tema di innovazioni alla cosa in proprietà comune, ovvero alla disposizione di cui all’art.1102 c.c., disciplinante l’uso della cosa comune da parte del singolo condomino.

Invece, la fattispecie va inquadrata nell’ambito della norma prevista dall’art.1122 c.c., riguardante l’esecuzione di opere su parti in proprietà esclusiva incidenti sulle parti comuni dell’edificio. In tema di condominio negli edifici, l’art. 1122 c.c. vieta al condomino di eseguire, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, quelle opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio.

Ad avviso dell’autorevole orientamento della giurisprudenza di legittimità, il concetto di danno, a cui la norma fa riferimento, non va limitato esclusivamente al danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della cosa comune, ma esteso anche al danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla cosa comune, anche se di ordine edonistico od estetico (v. Cass.civ.sez.2, 19 gennaio 2005 n.1076; Cass. 27.4.1989, n. 1947), per cui ricadono nel divieto tutte quelle modifiche che costituiscono un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato. Decoro da correlarsi non soltanto all’estetica data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata armonia, ma anche all’aspetto di singoli elementi o di singole parti dell’edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma (v. Cass. 24.3.2004, n. 5899).

È stato sostenuto che il divieto, sancito dall’art. 1122 c.c., di eseguire, nelle porzioni di proprietà individuale, opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio, comporti una limitazione di fonte legale intrinseca alle singole unità immobiliari, assimilabile ad un’obbligazione “propter rem” (v. Cass.civ.sez.2, 29 febbraio 2012 n.3123).

Peraltro, limitazioni alle opere che ciascun condomino intenda eseguire sull’unità immobiliare di sua esclusiva proprietà possono derivare anche dalle clausole contenute nel regolamento condominiale, atto di natura convenzionale. Invero, in materia di condominio di edifici, le norme del regolamento di natura contrattuale possono prevedere limitazioni ai diritti dei condomini, nell’interesse comune, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di esclusiva proprietà (v. Cass.civ.sez.2, 29 aprile 2005 n.8883).

Al riguardo, è stato precisato che le norme dei regolamenti condominiali che investono i poteri e le facoltà che i singoli condomini hanno, iure domini, sulle loro parti esclusive, restringendo in tal modo, nell’interesse comune, il contenuto del loro diritto di proprietà sulle parti stesse, debbono assumere carattere convenzionale, nel senso che, se costituite dall’esterno, cioè precostituite dal costruttore o dall’originario unico proprietario dell’intero edificio, debbono essere accettate dai condomini nei contratti di acquisto o con separati atti esprimenti la loro volontà di accettare, se predisposte dall’interno, cioè deliberate dall’assemblea dei condomini, debbono essere approvate all’unanimità quando interessino le singole proprietà di tutti i condomini o, nell’ipotesi che incidano solo su alcune di esse, dai relativi titolari (cfr. Cass.civ.sez. 2, 9 luglio 1994 n.6501; Cass. civ.sez.2, 10 aprile 1968 n.1091).

Di conseguenza, in mancanza di norme limitative della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell’art. 1122 c.c. non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare lo parti comuni dell’edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune (cfr. Cass.civ.sez.2, 27 ottobre 2011 n.22428; Cass.civ.sez.2, 17 aprile 2001 n.5612).

Nel caso in esame, dai contenuti dell’estratto del regolamento condominiale prodotto in copia dalle attrici in primo grado emergono, a carico di ciascun condomino, esclusivamente il divieto di eseguire innovazioni o modifiche alle parti comuni dell’edificio e l’obbligo di effettuare tutte le riparazioni delle cose in proprietà esclusiva la cui omissione possa arrecare danno alle proprietà degli altri condomini, compromettere la stabilità dell’edificio o alterare il decoro architettonico del fabbricato.

Non sono espressamente previste ulteriori norme limitative della destinazione e dell’uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva.

Quanto illustrato vale a significare che la realizzazione di una tettoia sul terrazzo in proprietà esclusiva di un condomino sia preclusa, ai sensi dell’art.1122 c.c., nel caso in cui essa comporti una modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura del fabbricato condominiale oppure un peggioramento del decoro architettonico dello stesso. La realizzazione della tettoia è, altresì, vietata, alla stregua del regolamento condominiale, nell’ipotesi in cui comprometta la stabilità dell’edificio o procuri danno alle parti comuni dell’edificio oppure alteri il decoro architettonico dello stesso.

Orbene, la parte attrice in primo grado non ha mai allegato e dimostrato che la tettoia installata dai sigg. XXX e YYY sul terrazzo in proprietà esclusiva abbia compromesso la stabilità dell’edificio o procurato danno alle parti comuni dell’edificio oppure abbia comportato una modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura del fabbricato condominiale.

Neppure il C.t.u. ha messo in risalto elementi di valutazione oggettivi che alimentino il ragionevole convincimento che la tettoia in questione comprometta la stabilità dell’edificio, procuri danno alle parti comuni dell’edificio medesimo o comporti una modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura del fabbricato condominiale.

Con riguardo all’alterazione del decoro architettonico del fabbricato condominiale, il Tribunale di Melfi, valorizzando le osservazioni rese in merito dal C.t.u., ha escluso che l’opera realizzata dai sigg. XXX e YYY abbia comportato un peggioramento del decoro architettonico dell’edificio.

La decisione sul punto del primo giudice non ha formato oggetto di impugnazione ad opera della parte interessata, sicchè deve ritenersi che essa sia coperta da giudicato. Pertanto, non è consentito in questa sede operare ulteriori valutazioni in merito.

Da tutto ciò consegue che i sigg. XXX e YYY non incontrassero nella disciplina legale (art.1122 c.c.) o convenzionale (regolamento condominiale) del condominio di edifici nessun ostacolo o divieto alla realizzazione sul terrazzo in proprietà esclusiva della tettoia oggetto di causa e, quindi, non fosse necessaria nessuna preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale che autorizzasse l’installazione del manufatto.

Quindi, la circostanza che la tettoia come realizzata sia difforme dal manufatto assentito dall’assemblea condominiale con deliberazione del 15.4.2002 non può da sola giustificare, come invece opinato dal primo giudice, la pronuncia di condanna dei sigg. XXX e YYY all’adeguamento del manufatto e, ove questo non sia possibile, alla rimozione ed al rifacimento dello stesso nel rispetto di quanto deliberato dall’assemblea condominiale.

Tanto vale a fondare l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, la riforma della sentenza impugnata quanto al capo contemplante la predetta pronuncia di condanna dei sigg. XXX e YYY.

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7.0 Le esposte argomentazioni inducono a considerare assorbito l’ultimo motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti hanno dedotto la nullità della decisione del Tribunale di Melfi per mancata considerazione dell’accettazione implicita e/o tacita della realizzata tettoia da parte dei condomini attori in primo grado.

La figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporti un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (cfr. Cass.civ.sez.1, ordinanza 12 novembre 2018 n.28995; Cass. civ.sez.1, 27 dicembre 2013 n.28663).

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8.0 La domanda avanzata nell’atto di appello ed intesa ad ottenere la pronuncia di sentenza dichiarativa della legittimità della tettoia realizzata è inammissibile in quanto del tutto nuova, non essendo stata mai formulata nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado nel rispetto dei termini perentori imposti dalla legge processuale. *

9.0 Quanto alla regolamentazione delle spese processuali, atteso l’accoglimento dell’appello proposto dai XXX e YYY, la stessa va operata tenendo conto dell’esito complessivo del giudizio, in primo ed in secondo grado. In tal senso milita l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, a tenore del quale il giudice d’appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio ad una nuova regolamentazione delle intere spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, poiché l’onere delle stesse deve essere attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della controversia e tenuto presente, altresì, che in base al principio fissato dall’art.336 co.1 c.p.c., la riforma della sentenza ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata, sì che la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado determina la caducazione “ex lege” della statuizione sulle spese (cfr., da ultimo, Cass.civ.sez.lav., 30 agosto 2010 n.18837; Cass.civ.sez.III, 13 aprile 2010 n.8727; Cass.civ.sez.III, 19 gennaio 2010 n.714; Cass.civ.sez.lav., 22 dicembre 2009 n.26985; Cass.civ.sez.III, 30 ottobre 2009 n.23059).

In applicazione dei suindicati principi, tenuto conto dell’accertata integrale infondatezza della domanda azionata in primo grado da ZZZ, KKK, JJJ e FFF, le spese processuali relative ad entrambi i gradi di giudizio vanno poste a carico esclusivo delle anzidette appellate, in quanto parte soccombente. In tema di condanna alle spese processuali, infatti, il principio della soccombenza va inteso nel senso che la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse e il suddetto criterio non può essere frazionato secondo l’esito delle varie fasi del giudizio ma va riferito unitariamente all’esito finale della lite, senza che rilevi che in qualche grado o fase del giudizio la parte poi soccombente abbia conseguito un esito a lei favorevole (cfr. Cass.civ.sez.III, 11 gennaio 2008 n.406; Cass. 9 marzo 2004 n.4778; Cass. 6 giugno 2003 n.9060).

Pertanto, va disposta la condanna in solido di ZZZ, KKK, JJJ e FFF al pagamento, in favore di XXX e YYY, delle spese processuali relative al giudizio di primo grado nonché di quelle relative al presente grado di giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

A tale proposito, ritiene la Corte, in aderenza al principio stabilito da Cass.Sezioni Unite 25 settembre 2012 n.17406 depositata il 12.10.2012 e ribadito da Cass.civ.sez. 6-2, 11 febbraio 2016 n.2748, che i nuovi parametri introdotti dal D.M. 20 luglio 2012 n.140 e dai successivi D.M. siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate. In tale ottica, le prestazioni professionali rese dal difensore dei sigg. XXX e YYY nel giudizio di primo grado, esauritosi in epoca antecedente alla data di entrata in vigore del D.M. 10.3.2014 n.55, vanno liquidate secondo le abrogate tariffe professionali (D.M. 20 luglio 2012 n.140). Per converso, le attività esplicate nell’ambito del presente giudizio di impugnazione, che si è esaurito in data successiva all’entrata in vigore del D.M. 10.3.2014 n.55, vanno liquidate nel rispetto dei nuovi parametri introdotti dal decreto ministeriale medesimo, in riferimento al valore della causa (valore € 5.100,00; scaglione da € 1.100,01 a € 5.200,00).

Infine, a carico esclusivo di ZZZ, KKK, JJJ e FFF vanno poste le spese occorse per l’espletamento in primo grado della consulenza tecnica d’ufficio, come liquidate dal giudice a quo, con diritto riconosciuto in capo alla parte appellante di rivalersi nei confronti della controparte nei limiti delle somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. a titolo di anticipo e/o di saldo dei compensi a quest’ultimo spettanti.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Potenza – Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello avverso la sentenza n.303/13 emessa dal Tribunale di Melfi in composizione monocratica il 5.8.2013 e pubblicata il 12.8.2013, proposto da XXX e YYY con atto di citazione spedito il 9.10.2013 per la notificazione a mezzo del servizio postale nei confronti di ZZZ, KKK, JJJ e FFF nonché del sig. HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni altra istanza, difesa, eccezione e deduzione respinta, così provvede:

A) Dichiara la contumacia del sig. HHH, in qualità di amministratore p.t. del condominio.

B) Accoglie l’appello proposto da XXX e YYY con atto di citazione spedito il 9.10.2013 per la notificazione a mezzo del servizio postale e, per l’effetto, in riforma della sentenza n.303/13 emessa dal Tribunale di Melfi in composizione monocratica il 5.8.2013 e pubblicata il 12.8.2013, rigetta integralmente la domanda avanzata in primo grado da ZZZ, KKK, JJJ e FFF con atto di citazione notificato in data 23.3.2007 e condanna in solido ZZZ, KKK, JJJ e FFF al pagamento, in favore di XXX e YYY, delle spese processuali relative al giudizio di primo grado che liquida in complessivi euro 2.100,00 (fase di studio € 550,00, fase introduttiva € 300,00, fase istruttoria € 550,00, fase decisoria € 700,00), oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CAP nei limiti e sulle voci come per legge, e pone a carico esclusivo di ZZZ, KKK, JJJ e FFF le spese occorse per l’espletamento in primo grado della consulenza tecnica d’ufficio, come liquidate dal giudice a quo, con diritto riconosciuto in capo a XXX e YYY di rivalersi nei confronti della controparte nei limiti delle somme eventualmente già corrisposte al c.t.u. a titolo di anticipo e/o di saldo dei compensi a quest’ultimo spettanti;

C) Condanna in solido ZZZ, KKK, JJJ e FFF al pagamento, in favore di XXX e YYY, delle spese processuali relative al presente grado di giudizio che liquida in complessivi euro 2.929,50, di cui euro 154,50 per spese vive ed euro 2.775,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali, IVA e CAP nella misura e sulle voci come per legge.

La presente sentenza per legge è provvisoriamente esecutiva tra le parti.

Così deciso nella camera di consiglio del 22 maggio 2020 svoltasi mediante collegamento da remoto.

Il Consigliere estensore Il Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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