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Eccezione di merito respinta in primo grado

Eccezione di merito respinta in primo grado, devoluzione al giudice d’appello da parte del convenuto vittorioso, gravame incidentale.

Pubblicato il 02 October 2019 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
LA CORTE D’APPELLO DI PERUGIA
SEZIONE LAVORO

composta dai magistrati:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 184/2019 pubblicata il 30/09/2019

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. dell’anno 2018 Ruolo Gen. Contenzioso Lav. Prev. Ass.

promossa da
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S., con sede in, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. s.p.a., con sede in, in virtù di atto a rogito della dott.ssa, rappresentato e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avvocati – in virtù di procura generale alle liti a rogito del dr – ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura distrettuale dell’Istituto in

– APPELLANTE –

CONTRO
AVV. XXX , rappresentata e difesa da se medesima, ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliata presso il proprio studio sito in

– appellata –

Oggetto: appello avverso sentenza n. /17 del Tribunale di Perugia; accertamento negativo iscrizione d’ufficio gestione separata I.N.P.S.

Causa decisa all’udienza collegiale del 25 settembre 2019.

CONCLUSIONI DELLE PARTI

PER L’APPELLANTE: “Voglia la Ecc.ma Corte di Appello adita, ogni contraria istanza,

eccezione e deduzione disattesa, in via principale, in accoglimento del presente appello, riformare per intero la sentenza impugnata, rigettando il ricorso e le domande tutte originariamente svolte dall’avv. XXX, confermare l’AVA opposto n. e/o condannare in ogni caso parte appellata al pagamento dell’importo di euro 1.713,47 di contributi alla gestione separata (art. legge n. 335/1995) per l’anno 2009, oltre alle sanzioni civili ex legge n. 388/2000 art. 116, comma 8, lett. b), con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio: in via subordinata, in caso di mancato accoglimento dell’appello, compensare integralmente le spese dei due gradi di giudizio”.

PER L’APPELLATA: “Voglia la Ecc.ma Corte di Appello adita, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattesa, rigettare l’appello avversario con conferma della sentenza gravata, con vittoria di spese di lite di entrambi i gradi di giudizio”.

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Perugia il 29 febbraio 2016, XXX, iscritta all’Albo dell’Ordine degli Avvocati di, chiese accertarsi l’insussistenza dei presupposti per la sua iscrizione alla gestione separata dell’INPS, disposta d’ufficio dall’Istituto a decorrere dal 1o gennaio 2009 e comunicatagli con una nota tramite la quale gli era stato richiesto il pagamento di € 2.995,84, di cui € 1.713,47 per contributi ed € 1.282,37 per sanzioni civili, calcolate ai sensi dell’art. 116, comma 8, lettera b) della legge n. 388/2000. La ricorrente chiese che, in conseguenza dell’accertamento negativo dell’obbligo d’iscrizione, il Tribunale dichiarasse non dovute le predette somme.

Con ulteriore ricorso depositato, al Tribunale di Perugia, l’1.2.2017, l’avvocato XXX propose opposizione avverso l’avviso di addebito emesso da INPS per la somma di € 3.168,18, in relazione al mancato pagamento della contribuzione dovuta alla gestione separata, di cui € 1.713,47 per contributi riferibili all’anno 2009, € 1.028,08 per sanzioni, € 330,37 per interessi, € 92,15 per oneri di riscossione ed € 4,11 per spese di notifica.

Riuniti i due procedimenti, con sentenza n. /17 il Tribunale dichiarò l’illegittimità dell’iscrizione d’ufficio della ricorrente alla gestione separata dell’INPS e, per l’effetto, l’insussistenza dell’obbligo contributivo fatto valere dall’Istituto e l’inefficacia dell’avviso di addebito. Condannò il convenuto alla rifusione delle spese sostenute dalla ricorrente per il giudizio.

Con atto depositato l’11 aprile 2018, l’INPS interpose appello avverso la decisione, e ne chiese la riforma, con il conseguente rigetto dei ricorsi di controparte. XXX si costituì in giudizio, e concluse per il rigetto del gravame, riproponendo ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le eccezioni di prescrizione e di illegittimità delle sanzioni applicate non esaminate dal giudice di primo grado.

Il Tribunale ha rilevato che la ricorrente aveva versato alla Cassa Forense il contributo integrativo.

Il legislatore, con l’art. 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335, interpretato autenticamente dall’art. 18, comma 12 del D.L. n. 98/2011, aveva inteso sottrarre all’obbligo contributivo coloro i quali fossero dediti abitualmente a una professione, per il cui esercizio fosse necessaria l’iscrizione a un apposito albo ovvero le cui attività fossero soggette a versamento contributivo; nel caso di specie, la ricorrente era per l’appunto iscritta all’albo professionale e tenuta a versare i contributi all’ente di previdenza di categoria. Pertanto, ad avviso del primo giudice, erano illegittime l’iscrizione d’ufficio della ricorrente alla gestione separata, e la conseguente pretesa contributiva.

L’INPS contesta la decisione, rilevando come il primo giudice abbia interpretato in maniera errata l’art. 2, comma 26 della legge 3 agosto 1995, n. 335, modificato dal D.L. n. 98/2011, e richiama, a questo proposito, alcune pronunce della Suprema Corte, che hanno fornito un’interpretazione di segno contrario.

La censura dell’INPS riguardante l’applicazione dell’art. 2, comma 26 della legge n. 335/1995 è fondata. Il giudice di legittimità (v. Cass., Sez. Lav., 12 dicembre 2018, n. 32167), nel pronunciarsi su un caso analogo a quello in esame, concernente l’esistenza dell’obbligo d’iscrizione alla gestione separata di un avvocato che, in rapporto all’attività professionale svolta, era tenuto a versare soltanto la contribuzione integrativa, ha, fra l’altro, affermato:

“25. Sulle premesse sin qui esposte va esaminato il disposto dell’art. 18, comma 12, del D.L. n. 98 del 6 luglio 2011, convertito dalla legge n. 111 del 15 luglio del 2011, che, esplicitando l’intento di voler chiarire quali liberi professionisti siano tenuti alla iscrizione alla gestione separata, dispone che il comma 26 del citato art. 2 della L. 335 del 1995 va inteso nel senso che «i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo tenuti all’iscrizione presso l’apposita gestione separata INPS sono esclusivamente i soggetti che svolgono attività il cui esercizio non sia subordinato alla iscrizione ad appositi albi professionali ovvero attività non soggette al versamento contributivo agli enti di cui al comma 11 in base ai rispettivi ordinamenti, con esclusione dei soggetti di cui al comma 11».

26. La congiunzione «ovvero» può avere sia funzione meramente esplicativa, per cui sarebbero tenuti alla iscrizione i soggetti che esercitano una attività professionale per il cui esercizio non è richiesta l’iscrizione agli albi professionali e che dunque non sono tenuti al versamento di alcuna contribuzione alle casse professionali, che funzione disgiuntiva, per cui sarebbero tenuti alla iscrizione i soggetti che esercitano una attività professionale per il cui esercizio non è richiesta l’iscrizione agli albi professionali ed altresì coloro che, pur iscritti agli albi, non sono tenuti al versamento di alcuna contribuzione alle casse professionali.

27. Dal punto di vista astratto, è possibile, poi, intendere il «versamento contributivo», come riferito al contributo soggettivo o anche a quello integrativo, giacche viene messo in dubbio se il versamento che esonera dalla iscrizione sia solo quello soggettivo, finalizzato alla creazione di una posizione previdenziale o anche quello integrativo (che viene versato da tutti coloro che sono iscritti agli albi ma non alle casse). Quest’ultimo versamento in quanto «sterile», perché non produttivo di alcuna prestazione per il soggetto tenuto al pagamento, avrebbe una mera finalità solidaristica in senso lato.

28. Queste ulteriori questioni derivate dalla legge interpretativa, come già sottolineato dai precedenti specifici di questa Corte nn. 30344 del 2017, n. 30345 del 2017, n. 1172 del 2018, n. 2282 del 2018, n.1643 del 2018, vanno risolte, necessariamente, alla luce della ricostruzione sistematica sopra rappresentata perché una interpretazione meramente letterale non potrebbe mai giungere a soluzioni certe essendo il termine «versamento contributivo» senza ulteriore specificazione del tutto ambiguo così come la valenza della congiunzione «ovvero». Per tale ragione va certamente condivisa l’impostazione dei precedenti specifici di questa Corte ricordati al punto 3) che hanno correttamente rimarcato che la legge interpretativa non può essere letta senza considerare la norma che si intende interpretare e sul cui contenuto di centrale rilievo sistematico si è sin qui detto.

29. La norma interpretata, infatti, significativamente intitolata all’armonizzazione degli ordinamenti pensionistici, pur nel rispetto della pluralità degli organismi assicurativi (art. 1, comma 1 L. n. 335 del 1995), ha chiaramente indicato la volontà di estendere l’area della tutela assicurativa attraverso l’istituzione della Gestione separata, facendone un principio dell’intera riforma. Il principio ha trovato sostanziale, seppure non totale, concretizzazione nei sensi sopra ricordati, e la sua portata deve incidere anche sulla disciplina sostanziale delle previdenze di categoria, ridimensionando in caso di sua negazione, i criteri di autonomia e di separazione delle tutele, che caratterizzano il provvedimento sulla privatizzazione, adottato dal D.Lgs n. 509 del 1994.

30. Pertanto, l’unica forma di contribuzione obbligatoriamente versata che può inibire la forza espansiva della norma di chiusura contenuta nell’art. 2, comma 26 , L. n. 335 del 1995 come chiarita dall’art. 18, comma 12, D.L. n. 98 del 2011, non può che essere quella correlata ad un obbligo di iscrizione ad una gestione di categoria, in applicazione del divieto di duplicazione delle coperture assicurative incidenti sulla medesima attività professionale.

31. Per tale ragione la contribuzione integrativa, in quanto non correlata all’obbligo di iscrizione alla cassa professionale, ed a prescindere dalla individuazione della funzione assolta all’interno del sistema di finanziamento delle attività demandate alla cassa professionale, non attribuisce al lavoratore una copertura assicurativa per gli eventi della vecchiaia, dell’invalidità e della morte in favore dei superstiti per cui non può essere rilevante ai fini di escludere l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata presso l’INPS.

32. La conclusione qui esposta non è contraddetta, infine, neanche dalle considerazioni, evocate soprattutto in sede di discussione, circa la eventuale non utilità della contribuzione versata dal professionista presso la Gestione separata a seguito della sua iscrizione d’ufficio, posto che questa Corte di cassazione ha avuto modo da tempo (Cass. n.10396 del 2009) di ribadire che dall’obbligo introdotto dall’art. 2, comma 26, L. n. 335 del 1995 e dal successivo comma 32, che regola l’emanazione di norme regolamentari, si trae la deduzione che la nuova gestione separata è chiamata fondamentalmente a rappresentare un’ulteriore gestione della assicurazione generale obbligatoria, che si aggiunge a quelle preesistenti per i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi dell’agricoltura, commercio e artigianato. Peraltro, anche gli sviluppi recenti della legislazione (vd. L. n. 228 del 2012 e L. n. 232 del 2016) si sono mossi nel senso di ampliare la sfera della cumulabilità della diversa contribuzione, non coincidente, maturata da ciascun lavoratore secondo le proprie valutazioni di convenienza.

33. Si tratta certamente di una estensione della copertura assicurativa e non può certo confondersi la funzione dell’imposizione dell’obbligo dell’iscrizione alla Gestione separata con la concreta valorizzazione della contribuzione maturata da ciascun iscritto, come tale legata alle peculiarità della vita lavorativa di ciascuno, in assenza un rapporto di indefettibile corrispondenza tra le pensioni e le retribuzioni e tra le pensioni e l’ammontare della contribuzione versata, ed in presenza di «[…] una tendenziale correlazione, che salvaguardi l’idoneità del trattamento previdenziale a soddisfare le esigenze di vita» (Corte Cost. n. 259 del 2017)”.

Il collegio condivide le considerazioni così autorevolmente espresse, da cui deriva che, nel caso di specie, l’avvocato XXX era tenuta all’iscrizione alla gestione separata, avendo versato – in qualità di professionista iscritto all’albo di categoria e in rapporto all’attività professionale svolta – soltanto la contribuzione integrativa.

Dev’essere, a questo punto, esaminata l’eccezione di prescrizione, riproposta dall’appellata nella memoria di costituzione.

L’eccezione in discorso poteva in realtà essere legittimamente proposta pur in assenza di appello incidentale, dal momento che la stessa non è stata esaminata dal primo giudice, evidentemente in quanto ritenuta assorbita; sul punto è sufficiente richiamare due pronunce del giudice di legittimità, che reputa necessaria l’impugnazione incidentale quando l’eccezione sia stata respinta nel precedente grado di giudizio:

In tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure. (Cass. n. 24658/17)

Per le ipotesi nelle quali, viceversa, il primo giudice non si sia pronunciato sull’eccezione, la suprema Corte ha insegnato che:

La parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo. (Cass. Sez. U, n. 13195/18)

Nella fattispecie, l’eccezione in discorso poteva essere legittimamente proposta in questa sede, pur in assenza di appello incidentale, dal momento che la stessa non venne esaminata dal primo giudice, evidentemente in quanto ritenuta assorbita.

In ordine a tale eccezione la difesa dell’INPS ha inoltre controeccepito la sospensione del termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 2941 n. 8 c.c., perché la ricorrente non avrebbe compilato, per l’anno d’imposta in questione, il mod. RR della dichiarazione dei redditi.

L’assunto è da ritenersi correlato ad una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass., Sez. Lav., 7 marzo 2019, n. 6677), secondo cui l’omessa compilazione, in sede di dichiarazione dei redditi, del quadro RR comporterebbe la sospensione della prescrizione, ai sensi dell’art. 2941, n. 8 c.c. La richiamata pronuncia n. 6677/2019 del giudice di legittimità è un’ordinanza che riguarda un fatto analogo a quello oggetto di esame in questa sede: in quel caso si trattava di un avvocato che non aveva versato la contribuzione dovuta alla gestione separata per l’anno 2004, né aveva compilato, redigendo la dichiarazione dei redditi presentata nel 2005, il modello RR. La Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di merito, secondo il quale v’era stato, da parte del soggetto obbligato, un doloso occultamento del debito, che aveva determinato la sospensione della prescrizione. Nella citata ordinanza, il giudice di legittimità motiva la decisione con le seguenti considerazioni:

“11. … la sentenza ora gravata, come illustrato nei paragrafi che precedono, ha chiaramente valutato e dato atto della condotta dolosa della professionista, di occultamento del credito per non avere compilato, dichiarando i relativi proventi, il quadro adibito alla determinazione dei contributi da parte del Fisco (ex art.1, D.Lgs n.462 del 1997 e art. 10, D.Lgs n. 241 del 1997), con giudizio di fatto che si sottrae ad ogni sindacato in sede di legittimità;

12. la sentenza impugnata, muovendo dunque dalla descritta premessa fattuale, ha correttamente applicato l’insegnamento di questa Corte, nel senso che l’operatività della causa di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941, n. 8 cod. civ. («tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto») ricorre quando sia posta in essere, dal debitore, una condotta tale da comportare, per il creditore, una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito, e dunque quando sia posto in essere dal debitore un comportamento intenzionalmente diretto ad occultare, al creditore, l’esistenza dell’obbligazione (cfr., tra le tante, Cass. 18 ottobre 2018, n. 26269; Cass. 11 settembre 2018, n. 22072; Cass. 7 marzo 2012, n.3584);

13. nella vicenda all’esame del Collegio, la compilazione del quadro RR della dichiarazione dei redditi costituiva l’unico ed esclusivo documento che avrebbe consentito all’INPS di verificare la produzione di un reddito da lavoro autonomo, da parte della professionista, non assoggettato ad altre obbligazioni contributive, e suscettibile dell’obbligo di iscrizione alla gestione separata e dell’obbligazione contributiva in proporzione matematica predeterminata rispetto al reddito prodotto”.

Questa Corte territoriale non condivide l’orientamento espresso dalla Suprema Corte con l’ordinanza citata. La causa di sospensione prevista dall’art. 2941, n. 8 c.c. implica che il debitore tenga una condotta deliberatamente (dolosamente) orientata a mantenere il creditore all’oscuro dell’esistenza del diritto; in una simile ipotesi, la legge, in ossequio al principio nemini dolus suus prodesse debet, impedisce al debitore di trarre vantaggio dal proprio comportamento fraudolento.

Nella vicenda in esame non si ravvisa, però, il dolo dell’obbligata, la quale nella propria dichiarazione dei redditi denunciò esattamente (fatto incontroverso) i propri introiti. È ben vero che ella non compilò il quadro RR, ma ciò avvenne in un contesto in cui la consapevolezza dell’obbligo era – e non poteva che essere – tutt’altro che scontata, tanto che, dopo i fatti per cui è causa, il legislatore ha reputato la necessità di chiarire meglio, con l’art. 18, dodicesimo comma del D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111), quali categorie di persone fossero tenute all’iscrizione alla gestione separata, risultandone, all’esito, che anche i professionisti erano tenuti all’iscrizione e al pagamento della contribuzione, in rapporto ai redditi derivanti da attività per le quali l’obbligo verso le casse professionali riguardava soltanto il contributo integrativo. In una simile situazione, è veramente arduo ravvisare, nell’omessa compilazione del modello RR, un comportamento doloso volto a occultare un debito contributivo, la cui esistenza ben poteva non apparire, all’epoca, verosimile. In mancanza di occultamento doloso, è applicabile la regola generale – desumibile dall’art. 2935 c.c. – secondo cui l’ignoranza, da parte del titolare, dell’esistenza del proprio diritto costituisce un impedimento soggettivo, e di mero fatto, all’esercizio del diritto e dunque non ostacola il decorso della prescrizione.

Quanto al dies a quo della prescrizione quinquennale, il collegio concorda con la tesi dell’appellata, secondo il quale si deve tener conto della scadenza prevista per il pagamento dei contributi INPS, coincidente con il termine previsto per il pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Su questa tematica si è espressa di recente la Corte di cassazione, nel senso che, “in materia previdenziale, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo” (così Cass., Sez. Lav., 31 ottobre 2018, n. 27950).

Il principio, peraltro riaffermato in epoca ancor più recente (vedi Cass., sez. VI – L., ord. 14 febbraio 2019, n. 4329, Cass. sez. VI – L, ord. 18 luglio 2019, n. 19403), è certamente condivisibile, tenuto conto che il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) e, quindi, nel caso di specie, dal momento in cui la contribuzione asseritamente omessa era dovuta, ossia dalla data in cui scadeva il termine per il suo versamento. La dichiarazione dei redditi, invece, non è presupposto del credito contributivo; pertanto, tra il momento di esigibilità del credito e il momento successivo in cui interviene la dichiarazione dei redditi, o comunque l’accertamento tributario, l’accertamento del credito contributivo è ostacolato da una difficoltà di mero fatto, il che, come già rilevato, secondo l’insegnamento costante della giurisprudenza di legittimità, non impedisce il decorso della prescrizione.

Quanto alle modalità e ai tempi di versamento del contributo alla gestione separata, il decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale del 24 novembre 1995, cui l’art. 2, comma 30 della legge n. 335/1995 rinvia, stabilisce che il versamento è effettuato, “con le modalità stabilite dall’INPS, nei termini previsti per il pagamento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche”.

Il termine per il versamento del saldo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche era fissato dall’art. 17, comma 1 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435 – nel testo all’epoca vigente, in seguito alle modifiche introdotte dal D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella legge 4 agosto 2006, n. 248 – al 16 giugno dell’anno di presentazione della dichiarazione dei redditi, che è l’anno successivo a quello in cui i redditi sono stati prodotti.

Il suddetto termine (16 giugno 2010) venne peraltro differito al 6 luglio 2010 (senza alcuna maggiorazione) ed al 5 agosto 2010 (con una maggiorazione delle somme da versare dello 0,40 %) in favore dei contribuenti che esercitavano attività economiche per le quali erano stati elaboratori gli studi di settore (art. 1 D.P.C.M. 10 giugno 2010), attività fra le quali era compresa quella degli studi legali (D.M. 12.3.2010). Sostiene l’appellata che, nel suo caso, la proroga non sarebbe stata operante in quanto “contribuente minimo”, circostanza questa di cui avrebbe dato atto nell’ambito di una memoria autorizzata depositata in primo grado, senza contestazione da parte di INPS. La questione, di fatto, riguardante l’inclusione o meno dell’attuale appellata nell’ambito dei contribuenti minimi, in realtà, non è stata dedotta ritualmente con il ricorso di primo grado, essendo evidentemente tardivo il fugace riferimento fatto a tale circostanza nell’ambito di una memoria autorizzata successiva al ricorso introduttivo.

Pertanto, del fatto in esame non può tenersi conto, con la conseguenza che, nel caso dell’avv. XXX, il dies a quo della prescrizione coincideva con il 6 luglio 2010. Pertanto la richiesta di pagamento di INPS, pervenuta al destinatario il 2 luglio 2015, deve ritenersi tempestiva, poiché avanzata dall’INPS entro il quinquennio. L’eccezione di prescrizione dev’essere, quindi, disattesa.

In conclusione, la pretesa contributiva dell’INPS era fondata e dev’essere accolta, e la sentenza impugnata dev’essere riformata. Si deve, perciò, dichiarare che l’avvocato XXX è tenuto a versare alla gestione separata dell’ente di previdenza € 1.713,47 a titolo di contributi previdenziali per l’anno 2009. A quest’importo dovranno essere aggiunte le sanzioni civili, determinate non nella misura pretesa dall’INPS per evasione, bensì ai sensi dell’art. 116, comma 10 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, dovendosi accogliere, sul punto, la prospettazione dell’appellata: nel caso di specie, come si è già rilevato, l’affermazione dell’obbligo contributivo suscitava notevoli dubbi, che neppure l’approvazione di una norma d’interpretazione autentica riuscì a fugare. Il collegio ritiene, dunque, che non si possa ravvisare in una situazione simile un’ipotesi di evasione contributiva.

Entro questi limiti, le deduzioni dell’appellata sono meritevoli di accoglimento.

In considerazione dei contrastanti orientamenti giurisprudenziali di merito sulla questione oggetto di esame e del fatto che solo recentemente la giurisprudenza di legittimità pare essersi consolidata sul principio qui illustrato e condiviso, ricorrono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P. Q. M.

LA CORTE D’APPELLO

In riforma della sentenza impugnata, dichiara che XXX è tenuta a versare all’INPS la somma di € 1.713,47 a titolo di contributi previdenziali per l’iscrizione alla gestione separata per l’anno 2009, oltre alle sanzioni civili, da determinarsi ai sensi dell’art. 116, comma 10 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.

Compensa fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Così deciso in Perugia, il 25 settembre 2019.

IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE

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