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Codice Penale

Prescrizione triennale presuntiva dei compensi

La prescrizione triennale presuntiva dei compensi non trova applicazione quando il credito tragga origine da un contratto stipulato in forma scritta.

Pubblicato il 22 October 2021 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D’Appello di Roma
II SEZIONE controversie di LAVORO e PREVIDENZA

La Corte nelle persone dei seguenti magistrati:

all’esito del deposito delle note di trattazione scritta ex art. 221, comma quarto, decretolegge 19 maggio 2020, n. 34 convertito in legge 17 luglio 2020, n. 77 e s.m.i., in sostituzione dell’udienza del 19.10.2021 nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 1048/2017

tra

XXX parte domiciliata in

 Parte appellante- appellata incidentale

contro

CENTRO CLINICO YYY SRL e ZZZ SRL parte domiciliata in

Parte appellata-appellante incidentale

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 3688/2021 pubblicata il 21/10/2021

Oggetto: appello avverso la sentenza n. 368/2016 emessa dal Tribunale di Tivoli in funzione di Giudice del Lavoro in data 5.4.2016

Conclusioni: come da scritti difensivi in atti

Svolgimento del processo

Con il ricorso di primo grado XXX ha dedotto di avere lavorato dall’1.6.1994 al settembre 2004 con formali contratti di collaborazione coordinata e continuativa (1.6.1994, 1.6.1999 e 29.12.2003) per il CENTRO CLINICO YYY SRL, ma di avere sempre svolto attività con il vincolo di subordinazione, dapprima come assistente sociale fino al 31.5.1999, poi svolgendo mansioni dirigenziali di Responsabile del servizio Accoglienza e Servizi alberghieri fino al 30.4.2002, della Manutenzione dal 16.5.2001 per un anno, di Assistente alla Direzione per l’Area sanitaria dal 1.11.2001 al 30.4.2002 e infine di Responsabile dell’Area sanitaria dal 1.5.2002 al termine del rapporto (10.9.2004), lamentando che dal dicembre 2003 a fine rapporto nessun emolumento era stato erogato ad eccezione del compenso del mese di agosto ed un acconto di euro 1000,00.

Impugnava altresì il recesso dal rapporto di lavoro autonomo in quanto licenziamento ingiusto comminato in violazione dell’articolo 2112 c.c. e chiedeva la condanna della ZZZ SRL, cessionaria dell’azienda Centro Clinico YYY srl nelle more in amministrazione giudiziaria, al pagamento dell’indennità di preavviso di licenziamento e dell’indennità supplementare prevista dal contratto collettivo Dirigenti in caso di recesso illegittimo.

Chiedeva, previo riconoscimento della natura subordinata del rapporto con qualifica dirigenziale, l’inquadramento nel livello di Dirigente ed il pagamento in solido, a carico delle due convenute, delle differenze retributive e TFR maturati, pari ad euro 235.750,08 (o in subordine il riconoscimento della qualifica di quadro, con ordine di reintegra nel posto di lavoro).

In ogni caso chiedeva l’emissione di ordinanza di pagamento di euro 54.300,00 corrispondente alle retrubuzioni maturate e non corrisposte dal dicembre del 2003 fino alla risoluzione del rapporto.

Sempre in subordine, ove non riconosciuta la natura subordinata del rapporto, il pagamento di una somma di euro 150.000,00 pari al compenso pattuito nel contratto 29.12.2003 dal quale la ZZZ SRL era receduta anticipatamente (10.9.2004) rispetto alla scadenza naturale (31.12.2005).

Le convenute si costituivano e sollevavano, tra le altre, eccezione di nullità del ricorso per mancata indicazione dei documenti offerti in comunicazione, contestavano nel merito sia l’an che il quantum della domanda, lamentando il mancato deposito dei conteggi.

Sollevavano eccezione di prescrizione quinquennale dei vantati crediti retributivi, la carenza allegatoria sulla domanda di inquadramento nel ruolo dirigenziale; che alcun bonus poteva riconoscersi in mancanza di raggiungimento degli obiettivi posti.

Con la sentenza impugnata, in parziale accoglimento del ricorso, è stato riconosciuto il diritto di XXX al pagamento dei compensi dovuti in esecuzione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa maturati alla data di proposizione del giudizio, quantificati in euro 46.842,65; è stata revocata l’ordinanza di pagamento ex art. 423 c.p.c. limitatamente a quanto eccede la somma di euro 46.842,65 maggiorata di interessi e rivalutazione, ed ordinata la restituzione dell’eccedenza.

Nel resto il ricorso veniva respinto.

Appellano la sentenza la XXX con appello principale e le società con appello incidentale.

Depositate note di trattazione scritta, la causa è stata così decisa.

Motivi della decisione

Il Tribunale ha escluso la subordinazione poiché non era stato provato il vincolo di eterodirezione e soggezione al potere direttivo organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, nel caso di specie da rinvenire, data la complessità della prestazione, non compatibile con ordini specifici, nell’obbligo di presenza, che mancava poichè i testimoni avevano riferito: 1. che la XXX lavorava solo 4 ore al giorno per 5 giorni (testi *** e ***); non aveva il cartellino marcatempo (*** e ***); non era inserita nel piano ferie aziendale (***).

I compensi erano stati invece riconosciuti perchè pacificamente non corrisposti.

Per la quantificazione veniva espletata una CTU, che evidenziava come dovuti euro 46.842,65 (da escludersi il bonus degli anni 2002 e 2003 per mancato riscontro degli obiettivi); la ricorrente avrebbe dovuto restituire la differenza tra quanto dovuto e la maggior somma versata dalla YYY ex art. 423 c.p.c..

Non era ammissibile l’eccezione di prescrizione come proposta dal nuovo difensore di parte convenuta (prescrizione presuntiva) poiché nuova rispetto alla originaria eccezione di prescrizione quinquennale ordinaria.

Nulla era dovuto a titolo di compenso nei rapporti con la ZZZ, basati su di un contratto di collaborazione fondato sull’intuitus personae e soggetto a libera recedibilità, senza necessità di giusta causa (potendo invocarsi solo il preavviso da recesso, che però non era stato chiesto).

Con l’appello principale si lamenta una erronea lettura del materiale istruttorio ed una omessa lettura di tutti i documenti prodotti, oltre alla mancata considerazione delle circostanza non contestate.

Si è rimarcato come la teste *** affermava che la ricorrente “era l’interfaccia dell’amministratore nel settore non sanitario, gestendo i servizi sanitari”; il teste *** aveva riferito che la ricorrente sostanzialmente assumeva le decisioni che prima erano di competenza dell’amministratore delegato, cui si rapportava. Era presente alle riunioni relative all’organizzazione e alla gestione dei reparti…..gestiva il personale del servizio lavanderia, cucina, magazzino, accettazione, che gestiva sotto l’aspetto operativo, a cui dava disposizioni…..aveva una segreteria….le è stata affidata la gestione della farmacia, degli acquisti dei farmaci.., è diventata il collegamento tra la direzione sanitaria e gli organi societari”.

Il teste ***, di parte resistente, aveva riferito che “spesso la XXX era in direzione generale…..faceva riferimento direttamente alla direzione amministrativa nella persona dell’Ing. ***”.

Lo stesso *** aveva riferito che il personale del servizio lavanderia, cucina, accettazione, pulizie, in tutto una trentina di persone, era gestito dalla ricorrente, che verificava il rispetto delle procedure certificate e prendeva lei direttamente i provvedimenti per risolvere eventuali anomalie, riferendo al CDA, in pratica a me. …Sostanzialmente ha rivestito una figura intermedia di nuova istituzione fra il CDA e tutta l’attività aziendale….il Servizio Accoglienza era un incarico di tipo operativo affidato alla ricorrente che si occupava di tutta la gestione alberghiera dei pazienti. In tale posizione la ricorrente dirigeva gli altri dipendenti.

Segnalava l’appellante l’ordine di servizio del 2.10.1998 con cui il *** disponeva al personale di rivolgersi alla XXX per degli specifici adempimenti, dando atto che la ricorrente avrebbe dovuto provvedere a contattare i familiari dei pazienti o le strutture di riferimento; l’ordine di servizio del 4.6.1999 attribuiva alla XXX il compito di organizzare e gestire il servizio di accoglienza, rispondere direttamente all’amministratore delegato, evidenziare quale Responsabile i servizi effettivamente erogabili. Il servizio Accoglienza provvedeva alla rilevazione dei reclami e predisponeva relazioni e proposte da sottoporre alla Direzione. Il Ricevimento dipendeva funzionalmente dal Servizio Accoglienza e manteneva la dipendenza gerarchica dall’amministrazione …aveva delega esterna con firma come da organigramma approvato dal CDA il 29.5.2003.

Lamentava che il giudice avesse erroneamente considerato l’orario lavorativo di sole 4 ore al giorno poiché nell’ordine di servizio 17.9.99 l’orario di lavoro era su cinque – sei turni settimanali, e alla XXX fu assegnata una segreteria con ordine di servizio 8/01; la natura stessa degli incarichi era incompatibile del resto con una rigidità di orari, non avendo i dirigenti un orario prestabilito di lavoro.

Vi erano anche gli indici sussidiari della subordinazione quali la corresponsione periodica della retribuzione prevista nei contratti, il rapporto di monocommittenza, lo stabile inserimento nella struttura, l’utilizzo degli strumenti del datore di lavoro; una postazione fissa.

Il recesso andava dunque qualificato come licenziamento, riguardo al quale l’appellante reiterava a tutte le deduzioni sulla mancanza di giusta causa svolte in primo grado (ed assorbite dalla prima pronuncia), con tutte le conseguenze economiche.

Le censure non possono essere condivise.

Il Tribunale ha mostrato di avere tenuto in debito conto la copiosa documentazione versata in atti dalla ricorrente, nonchè l’ampiezza e l’articolazione delle attività demandatele nei contratti di collaborazione, che mal si concilia con la previsione di direttive stringenti e specifiche ai fini della individuazione del potere eterodirettivo datoriale, ravvisando nondimeno la carenza di un potere di conformazione della prestazione che pur deve connotare il rapporto svolto nelle modalità del lavoro subordinato, e che il giudice ha ritenuto di intravedere in primo luogo nella libertà di orari intesa come libertà di adempiere all’incarico nei tempi autostabiliti ed autorganizzati dal collaboratore, non essendo emerso che la ricorrente osservasse degli orari che comportassero una sua presenza in ufficio secondo tempistiche prestabilite dal datore, e che pure avrebbero dovuto riscontrarsi in ragione del rapporto gerarchico che gli ordini di servizio menzionati dall’appellante istituivano tra il servizio di cui la XXX era nominata responsabile e il personale dei servizi sottordinati, non potendo certo ipotizzarsi un’efficiente attività direttiva dei dipendenti delle strutture gerarchicamente sottoposte senza una presenza costante e prestabilita dello stesso dirigente.

In questa prospettiva, il motivo di appello si appalesa insufficiente a scalfire la correttezza della gravata statuizione, limitandosi l’appellante a rilevare in buona sostanza che l’osservanza di un rigido orario di lavoro non è prerogativa del rapporto di lavoro di livello dirigenziale.

La previsione dell’orario di lavoro indicata nell’ordine di servizio non ha ricevuto un riscontro probatorio nella concretezza delle mansioni svolte.

D’altro canto lo stesso giudice di primo grado riporta la deposizione del *** che, nel riferire sul livello delle mansioni affidate alla ricorrente, ammette che la stessa operava nei due anni di collaborazione come assistente sociale “con libertà di orari, operando già da allora in staff con il CDA” e che anche per il periodo successivo “il rapporto era sempre di tipo coordinato e continuativo ma l’ampiezza dell’incarico era tale da richiedere la presenza giornaliera”, circostanza che il giudice reputava rivelatrice non già di un assoggettamento ad un obbligo di orario o presenza in ufficio quanto piuttosto della complessità dell’incarico conferito alla ricorrente, per la quale era stato infatti pattuito il considerevole compenso di 150.000,00 euro.

D’altra parte nella lettera di incarico dell’1.6.99 alla XXX veniva richiesta, quale Responsabile del servizio Accoglienza, una disponibilità di almeno 4 giorni a settimana ma non risulta che mai alcuno abbia operato un controllo sul rispetto dell’orario o che la stessa abbia dovuto avvisare in caso di assenza o indisponibilità.

La conformazione della prestazione non si ricava nemmeno dalla corrispondenza intercorsa con l’amministratore delegato che, nel rapporto pluriennale che lo ha legato alla ricorrente, del tutto episodicamente risulta averle rivolto richieste di adempimenti, pur di carattere generale e non stringente, tali da incidere sulle modalità e sul contenuto della prestazione, in modo da rivelare un assoggettamento, anche in forma lieve o attenuata, alle direttive e al controllo del datore di lavoro, che devono pur sussistere nel rapporto di lavoro subordinato dirigenziale.

Tali non possono ritenersi gli ordini indicati dall’appellante alla pagina 28 dell’atto di appello (richiesta di contatti, di una relazione, di un ordinativo, di un commento su una relazione, preparazione di registri, spiegazioni sul comportamento di una lavoratrice), poiché attività rientranti nelle ordinarie dinamiche relazionali con il collaboratore in merito all’incarico demandato, senza alcun riferimento alle tempistiche del lavoro o alle modalità del loro svolgimento, non escludendo che la ricorrente rimanesse libera nell’impostare il lavoro secondo una gestione autonoma dello stesso. Senza contare che in talune occasioni (doc. 160 e ss), è la stessa ricorrente a formulare proposte all’amministratore.

Ciò che si riscontra nel corredo documentale è che l’oggetto della collaborazione, formalizzato nei vari contratti, è stato nel tempo individuato nella gestione di servizi di cui la ricorrente veniva nominata Responsabile e di cui si istituiva formalmente un rapporto di gerarchia funzionale rispetto ad altri servizi: ad es. nell’ODS n.10/99 del 4.6.1999 la XXX, già collaboratrice in forza della lettera di incarico 1.6.99 per gestire il servizio Accoglienza, viene indicata tre giorni dopo come Responsabile della funzione dei Servizi Alberghieri, sovraordinata ai Responsabili Cucina, Lavanderia, Magazzino, Pulizie e Bar, ma in alcun documento si riscontra l’esistenza di atti effettivamente espressivi di tale potere gerarchico sul relativo personale.

Tutti i documenti fanno infatti riferimento a ordinarie comunicazioni con i responsabili di tali servizi, necessari all’adempimento della gestione dell’Accoglienza e dei Servizi Alberghieri (es. preventivi per forniture, gestione disservizi, che sfociavano in altrettante relazioni al Presidente, come relazioni sulla situazione biancheria dei pazienti, su schede soddisfazione clienti…..), senza alcuna disposizione rivolta al personale dipendente del servizio. Nello stesso documento 21, recante la firma della XXX e riguardante la comunicazione agli interessati dei turni dell’Accoglienza, non vi sono evidenze del fatto che la turnazione del servizio sia stata stabilita dalla ricorrente; in altri documenti (105 e ss.) è poi evidente come la turnazione e le sue problematiche siano state semplicemente riferite alla Presidenza.

Stesso è a dirsi per gli adempimenti relativi alla Manutenzione (v. la copiosa documentazione relativa agli interventi manutentivi) e alle altre arre di responsabilità.

Inserite in tale contesto, le deposizioni richiamate dall’appellante in merito al ruolo di collegamento della XXX con i vertici dell’amministrazione non valgono ad evidenziare una inserimento organico della sua prestazione nella vita dell’impresa, dovendosi piuttosto concludere per lo svolgimento di un attività di indubbio rilievo per la gestione delle attività non sanitarie dell’azienda, ma che il Centro ha via via convogliato nell’attività della XXX oggetto delle collaborazioni in esame.

Ne consegue il rigetto dell’appello principale, assorbita ogni questione sulla configurabilità e legittimità del licenziamento e sulle conseguenze sanzionatorie.

Rimane da osservare che se pure l’appellante ha concluso in via subordinata per il pagamento dell’intero importo pattuito nel contratto 29.12.2003 e dovuto fino alla scadenza del 31.12.2005 (euro 150.000,00), alcuna censura ha mosso sulla statuizione che escludeva tale pagamento sul presupposto della libera recedibilità stabilita in contratto, salvo preavviso di un mese, non richiesto.

Quanto all’appello incidentale, hanno lamentato le appellate la erroneità della pronuncia del primo giudice nel disattendere l’eccezione di nullità del ricorso per mancata indicazione dei documenti offerti in comunicazione e l’eccezione di prescrizione presuntiva nonché, in subordine, nel pronunciare ultra petita riconoscendo un credito da mancata corresponsione di quanto dovuto e non pagato in forza del rapporto di collaborazione dal dicembre 2003 alla risoluzione del rapporto (10.9.2004) quando la domanda atteneva invece ad un credito definito dalla stessa ricorrente come credito retributivo (domanda sub E).

Il gravame è infondato.

In primo luogo i documenti offerti in comunicazione, pur non indicati nella parte conclusiva del ricorso, sono stati purtuttavia indicati nel corpo dell’atto, identificati con un numero progressivo da 1 a 248 ed abbinati ognuno alla singola deduzione, in modo da porre controparte in condizione di apprezzarne la finalità probatoria perseguita dalla ricorrente e per nulla risultandone compromesso il diritto di difesa, avendo le convenute preso posizione anche sui singoli documenti richiamati.

Quanto all’eccezione di prescrizione la stessa è stata disattesa, in quanto prima proposta per i crediti da lavoro in caso di riconoscimento della natura subordinata del rapporto (prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c.), e solo tardivamente (nelle note conclusive) prospettata quella ex art. 2956 n. 2 (prescrizione triennale dei crediti dei professionisti).

Sostiene l’appellante che avendo la convenuta sollevato l’eccezione con riferimento al quinquennio “ovvero al diverso periodo ritenuto di giustizia”, la prospettazione che il credito potesse essersi prescritto sotto il diverso profilo della prescrizione triennale (sub specie di prescrizione presuntiva) non modificava l’eccezione originariamente proposta.

Il motivo è infondato dovendosi osservare, in senso dirimente, che la prescrizione triennale (presuntiva) dei compensi non può qui operare, non trovando applicazione quando il credito, come nella specie, tragga origine da un contratto stipulato in forma scritta (v. Cass. 13 gennaio 2017, n. 763). Ciò in quanto il credito si presume prescritto (rectius, pagato) decorso il breve arco triennale, e tale presunzione ha la sua ragion d’essere nel fatto che si tratta di crediti relativi a rapporti che si svolgono senza formalità, in riferimento ai quali il pagamento avviene solitamente senza dilazione e senza il rilascio di una quietanza.

A ciò si aggiunga che la prescrizione fondata sulla presunzione del pagamento non opera allorquando – proprio come nella fattispecie in esame – chi oppone la prescrizione abbia sostanzialmente ammesso in giudizio di non avere estinto l’obbligazione; infatti il Centro YYY non ha contestato di non avere pagato i compensi della collaborazione cui il giudice lo ha condannato.

Infondata è anche la censura sulla pronuncia ultra petita riguardo alle somme riconosciute alla ricorrente quali compensi da collaborazione autonoma.

Si lamenta in buona sostanza che la qualificazione come retributivi dei crediti maturati dal dicembre 2003 non solo aveva indotto le controparti a sollevare la sola eccezione di prescrizione quinquennale, ma avrebbe impedito una pronuncia del giudice sui compensi derivanti dai contratti di co.co.co..

Il rilievo non può condividersi in quanto il contenuto della domanda, riferito alle somme non corrisposte dal dicembre del 2003, data di sottoscrizione dell’ultimo contratto di collaborazione, ben evidenziava il fatto costitutivo posto alla base, ossia la stipula di un contratto di lavoro autonomo da cui origina il diritto a percepire il corrispettivo della prestazione, così non potendosi ingenerare alcun dubbio sulla riferibilità della domanda sub E) ai compensi spettanti per la collaborazione, pur indicati come “retribuzioni maturate”.

Non si è pertanto verificato alcun superamento dei limiti della domanda né alcuna alterazione degli equilibri processuali in grado di comprimere il diritto di difesa. Pertanto, e conclusivamente, vanno respinti tanto l’appello principale che quello incidentale.

Le spese del grado, tenuto conto della soccombenza reciproca, della complessità della materia e della obiettiva incertezza degli accertamenti richiesti, possono essere integralmente compensate tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta l’appello principale e l’appello incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del grado.

Roma, 19/10/2021

Il Consigliere estensore

Il Presidente

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