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Codice Penale

Violazione delle distanze legali

E’ sempre possibile azionare gli strumenti civilistici di tutela per violazione delle distanze legali in caso di violazione delle disposizioni codicistiche.

Pubblicato il 29 July 2022 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE CIVILE DI LATINA I SEZIONE CIVILE

in composizione monocratica, in persona della dott.ssa, ha emesso la seguente

SENTENZA n. 1531/2022 pubblicata il 19/07/2022

nella causa civile iscritta al numero 4456 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2014, trattenuta in decisione con i termini di legge all’udienza del 26.04.2022

TRA

XXX & C., in persona del legale rappresentante protempore

ATTRICE

E

YYY e ZZZ, entrambi rappresentati e difesi, giusta delega a margine della comparsa di costituzione e risposta, dall’Avv.,

CONVENUTI RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione ritualmente notificato, la società XXX & C. conveniva in giudizio dinanzi l’intestato Tribunale i sig.ri YYY e ZZZ lamentando la violazione da parte di costoro della disciplina sulle distanze legali e chiedendo conseguentemente la riduzione in pristino dei luoghi ed il risarcimento dei danni patiti.

La società XXX S.a.s. deduceva di essere proprietaria di un complesso immobiliare ad uso commerciale ed artigianale, sito in, distinto in catasto fabbricati al foglio, particella n., confinante, tra gli altri, con la proprietà degli odierni convenuti, sig.ri YYY e ZZZ, quest’ultima consistente in un fabbricato con circostante corte, distinto in catasto al foglio, Mappale, sub.

Adduceva la società XXX s.a.s che i convenuti realizzavano degli ampliamenti del fabbricato insistente sul terreno di loro proprietà, apponendo le nuove costruzioni a circa 2 metri dal confine con la proprietà attrice, così come documentato dalla domanda di sanatoria presentata al Comune di Latina in data 28.02.1995, prot. n. del 2.3.1995, e che sul medesimo immobile i convenuti realizzavano altresì la chiusura di portici, la costruzione di un tetto ed ulteriori ampliamenti successivi alla medesima istanza di sanatoria.

A sostegno della domanda avanzata, la società attrice rappresentava che i terreni oggetto di causa ricadono nella sottozona F/2 Piave del P.R.G. del Comune di Latina, afferente ad aree per piccole industrie, artigianato, depositi e magazzini, per la quale le norme tecniche di attuazione vietano la costruzione di case di abitazione (art. 9) e prescrivono una distanza degli edifici dal confine non inferiore a metri 10 (art. 11).

In ragione della realizzazione delle lavorazioni anzidette ad una distanza di circa 2 metri dal confine, la società attrice lamentava il mancato rispetto delle distanze minime previste dalla legge e formulava, pertanto, le seguenti conclusioni: “Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, accertata la lamentata violazione delle distanze legali dal confine, di cui in narrativa, condannare i convenuti ZZZ e YYY alla riduzione in pristino mediante demolizione delle opere realizzate illegittimamente, con termine perentorio, oltre al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa. Con vittoria di spese e compensi di causa”. Si costituivano in giudizio i sig.ri YYY e ZZZ, rappresentando preliminarmente la pendenza, dinanzi la Corte di Cassazione, di un giudizio di accertamento dei confini esistenti tra i fondi oggetto di causa la cui definizione doveva ritenersi pregiudiziale alla statuizione sulla violazione delle distanze legali. A tal fine, i sig.ri YYY e ZZZ formulavano istanza di sospensione del presente giudizio ex art. 295 c.p.c.

Nel merito, i convenuti eccepivano l’infondatezza della domanda attorea in ragione della perfetta conformità dell’immobile di loro proprietà al vigente ordinamento urbanistico. In particolare, questi ritenevano inapplicabili al caso di specie le norme di attuazione al P.R.G. richiamate dalla parte attrice, deducendo la natura sopravvenuta di tali norme rispetto all’edificazione dell’immobile ed escludendo che queste potessero applicarsi ad una privata abitazione, essendo espressamente riferite agli edifici industriali ed artigianali.

Concessi i termini per il deposito di memorie ex art. 183, co. 6, c.p.c., con ordinanza n. 6196/2015 del 16/11/2015, il Giudice, ritenuti sussistenti i presupposti per la sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 c.p.c., essendo l’accertamento sul confine una questione pregiudiziale rispetto alla domanda di accertamento di violazione delle distanze legali, disponeva la sospensione della causa in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa dalla Corte d’Appello in data 27.07.2011.

Con ricorso del 5.08.2021, la parte attrice riassumeva il giudizio mediante allegazione di copia conforme della sentenza n. 2345/2014 pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma – Sez. Prima Civile, nonché certificazione attestante la mancata proposizione di ricorso per Cassazione, quale documentazione certificante la definizione del giudizio di accertamento del confine.

In data 16.9.2021, il ricorso in riassunzione e il relativo decreto di fissazione di udienza venivano notificati ai convenuti, i quali si costituivano nei termini riportandosi alle conclusioni precedentemente formulate.

La causa proseguiva con l’espletamento della Consulenza tecnica d’ufficio a firma del CTU nominato, Arch., al quale veniva posto il seguente quesito: “tentata la conciliazione tra le parti e previo sopralluogo, descriva, anche effettuando rilievi fotografici, i fabbricati in proprietà alle parti e verifichi se sussista, in relazione alle doglianze di parte attrice, violazione, da parte del convenuto delle distanze legali tra costruzioni previa individuazione dei parametri stabiliti dagli strumenti urbanistici locali applicabili (piano regolatore generale, piano di fabbricazione, regolamento edilizio o altro) attraverso l’utilizzo della necessaria strumentazione, computando la distanza dai punti di massima sporgenza – tra i fabbricati delle parti in lite; in ipotesi di violazione delle distanze minime, indichi le possibili soluzioni per il rispristino dei limiti legali, individui le eventuali modificazioni al fabbricato di parte convenute subite nel tempo indicando l’anno e se esse abbiano comportato una modifica nelle distanze tra costruzioni”, successivamente precisato dal G.I., previa istanza di parte attrice, richiedendosi di accertare l’eventuale “violazione delle distanze legali delle costruzioni di parte convenuta rispetto al confine”.

In seguito al deposito della relazione peritale, all’udienza del 26.04.2022, il Giudice, non ritenendo necessari ulteriori adempimenti istruttori, tratteneva la causa in decisione con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionale e memorie di replica. La domanda spiegata dalla parte attrice deve ritenersi infondata, non meritando accoglimento per le seguenti motivazioni.

Vertendosi in materia di diritti reali, deve preliminarmente darsi atto dell’espletamento del tentativo di mediazione obbligatoria ex D.Lgs. n. 28/2010, conclusosi con esito negativo a causa del mancato raggiungimento dell’accordo e al quale, tuttavia, risultano aver partecipato tutte le parti del presente giudizio (cfr. all.to n. 10, fasc.lo parte attrice).

In punto di diritto, va osservato che l’azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell’actio negatoria servitutis, essendo rivolta non già all’accertamento del diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù; essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell’immobile a cui favore l’azione viene esperita, essendo sufficiente che l’attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di acquisto (Cfr. Cass. n. 25342/2016). Ebbene, nel caso di specie ciò risulta provato sulla base della documentazione acquisita in atti e allegata al fascicolo di parte attrice (cfr, in particolare, all.ti nn. 5 e 6). Non vi sono poi sul punto contestazioni di parte avversa, di talché la società XXX s.a.s. deve ritenersi legittimata ad esperire l’azione in commento.

Ciò premesso, come chiarito nelle memorie di cui all’art. 183, co. 6, c.p.c., le contestazioni di parte attrice circa il mancato rispetto delle distanze legali si appuntano sulla realizzazione degli ampliamenti attuati dai convenuti successivamente al 1971, quale anno di approvazione del P.R.G. e delle relative norme tecniche di attuazione. In particolare, le lavorazioni che avrebbero causato tale violazione sono indicate come attuate nell’anno 1983, in base a quanto dichiarato dal convenuto YYY nell’istanza di concessione della sanatoria e di quanto risulta dalla successiva concessione N. 791/C.

Come dedotto dalla parte attrice, le nuove costruzioni attuate sulla proprietà dei convenuti avrebbero violato le norme tecniche di attuazione al P.R.G. applicabili alla zona per cui è causa, le quali, in deroga a quanto disciplinato dalla normativa codicistica, prescrivono un arretramento degli edifici dal confine del lotto per una misura pari all’altezza dei fabbricati ad essi fronteggianti e comunque non inferiore a metri 10.

Ebbene, va innanzitutto rilevato come la sussistenza dei dedotti ampliamenti debba ritenersi provata in quanto confermata dalla stessa parte convenuta e dimostrata altresì sulla base della documentazione depositata in atti e delle risultanze della Consulenza tecnica d’ufficio espletata. Nello specifico, come chiarito dai convenuti nei propri scritti di parte, l’avvenuto ampliamento dell’immobile insistente sul fondo di loro proprietà, attuato per circa 30 mq, è avvenuto in virtù di domanda in sanatoria n. 13007, prot. 70351 presentata in data 30.09.1986 e di relativa concessione n. /C rilasciata il 14.10.1999 (all.to n. 4 fasc.lo parte convenuta). Successivamente venivano attuati ulteriori interventi di straordinaria manutenzione e la realizzazione di un tetto a copertura della costruzione già esistente, opere per cui il Comune di Latina rilasciava relativa autorizzazione n. /2003 (all.to n. 5 fasc.lo parte convenuta).

Trattasi di deduzioni confermate dalle risultanze emerse dalla relazione peritale redatta a firma dell’Arch., che appare adeguatamente motivata e sorretta da pertinenti considerazioni ed osservazioni, onde si ritiene suscettibile di essere condivisa per quanto di competenza.

In particolare, dall’esame peritale emerge che l’immobile di proprietà dei convenuti risulta edificato anteriormente al 1 settembre 1967 e che, in seguito, per effetto di lavori di ampliamento risalenti al 1983, effettuati in assenza di titolo autorizzativo, venivano presentate le istanze di Condono Edilizio n. (in data 30/09/1986, prot. 70351 del 25/11/1986), n. (in data 28/02/1995, prot. 16817 del 02/03/1995), a seguito delle quali veniva rilasciata dal Comune di Latina in data 14/10/1999, Concessione Edilizia in Sanatoria n. /C. Emerge poi che in un secondo tempo veniva presentata domanda prot. n. del 20/05/2002 e successiva integrazione prot. n. del 24/07/2002, per la realizzazione di alcune opere che tuttavia non hanno comportato variazioni di consistenza. In particolare, si è trattato della realizzazione di un nuovo tetto di copertura dell’intero fabbricato, della ridistribuzione degli ambienti interni, del rifacimento e realizzazione di due nuovi bagni con apertura finestra, del rifacimento della pavimentazione interna e sistemazione delle pavimentazioni esterne, della sostituzione di tutti gli infissi interni ed esterni e sistemazione e rifacimento degli intonaci interni ed esterni con tinteggiatura a quarzo delle facciate dell’edificio. In ragione di tali nuovi interventi, il Comune di Latina rilasciava, in data 13/03/2003, Autorizzazione n..

Ciò detto in merito agli ampliamenti realizzati, va osservato che l’analisi degli elaborati grafici ante e post operam, così come allegati alla concessione in sanatoria n. /C, ha consentito al Consulente tecnico di risalire all’originaria consistenza dell’immobile di proprietà dei convenuti al fine di evidenziare una modifica delle distanze dal confine, sul solo lato destro, dagli originari 6 metri circa agli attuali 1.36 metri circa.

Come precisato nella relazione, tali misurazioni sono state attuate considerando l’asse centrale del muretto posto al confine tra i due fondi, senza tener conto delle sporgenze presenti oltre la muratura (aggetto di copertura in cemento di circa 20 cm + canale di gronda di circa 30 cm), trattandosi di elementi di limitata entità, aventi sostanzialmente funzione accessoria e di rifinitura, non comportati un aumento della consistenza del fabbricato.

Il confine tra i due fondi peraltro deve dirsi correttamente individuato anche tenendo conto della sentenza n. /2021 pronunciata dalla Corte d’Appello di Roma a conclusione del giudizio di regolamento dei confini pendente tra le odierne parti del giudizio, nella quale la delimitazione tra i fondi viene definitivamente individuata nella “linea retta corrispondente al muro di cinta attualmente esistente ed alla sua ideale prosecuzione” (cfr. sentenza allegata in atti).

Premesso ciò, quanto alla valutazione circa il rispetto delle distanze legali, va chiarito che la disciplina risultante dalle norme tecniche di attuazione (in particolare dall’art. 11) previste per la sottozona F2/Piave in cui sono inseriti i fondi oggetto di giudizio non si ritiene per ciò solo applicabile al caso in esame, a ciò ostando la natura di abitazione privata dell’immobile dei convenuti.

Invero, come pacificamente risulta dalla disciplina pubblicistica, la sottozona F2/Piave è funzionale alla regolamentazione di aree espressamente destinate ad “artigianato, piccole industrie, depositi e magazzini”, risultando peraltro vietata la costruzione di case di abitazione, salvo che si tratti di dimore per il personale dirigente e di custodia o per gli artigiani “purché localizzate in modo da restare direttamente connesse agli spazi riservati alle rispettive attività e comunque disciplinate dal piano particolareggiato o da un piano di lottizzazione convenzionato con il Comune”. Trattasi, difatti, di un’area espressamente deputata alla costruzione di edifici ed impianti posti al servizio degli insediamenti artigianali e delle piccole industrie (cfr. in particolare, art. 6, NTA).

Ebbene, in una zona che presenta una tale funzionalizzazione e un conseguente divieto di realizzazione di case di abitazione, la presenza dell’immobile di proprietà di parte convenuta – la cui costruzione, come confermato altresì nella relazione peritale, risale ad epoca precedente all’approvazione del Piano regolatore e delle relative NTA – si giustifica alla luce della irretroattività della disciplina urbanistica, non potendo questa esplicare efficacia sulle costruzioni già presenti nella zona prima della sua entrata in vigore.

In un tale contesto, la natura di casa di abitazione dell’immobile in commento e l’espressa funzionalizzazione delle NTA relative alla sottozona in esame ai soli insediamenti artigianali e alle piccole industrie, conduce a ritenere inapplicabile al caso in esame la normativa sulle distanze legali come risultante dalle predette norme tecniche. Queste ultime, invero, derogando la disciplina di default di cui all’art. 873 c.c., e prescrivendo, a tal fine, una distanza dal confine ben maggiore di quella codicistica, dimostrano di tutelare specifici interessi afferenti agli insediamenti industriali e artigianali propri della sottozona di riferimento. Ed infatti, nelle norme tecniche risulta espressamente regolata non solo la distanza dal confine – parametrata, peraltro, anche sulla base dell’altezza dei fabbricati fronteggianti (art. 11) – ma anche il distacco dal fronte stradale (art. 11, co. 2) e l’altezza massima degli edifici (art. 10), prescrizioni, queste, tendenzialmente assenti in sottozone che non presentano una specifica vocazione industriale.

Esclusa l’applicazione all’immobile in esame delle norme tecniche di attuazione, neppure può dirsi sussistente un’ulteriore specifica regolamentazione locale applicabile (a cui, del resto, si fa espressamente riferimento al fine di disciplinare le case di abitazione eccezionalmente consentite nella sottozona).

In un quadro così articolato, deve quindi affermarsi l’applicazione al caso in esame della normativa di default codicistica di cui all’art. 873 c.c., secondo cui, salva l’eventuale maggiore distanza prescritta nei regolamenti locali (inapplicabile al caso di specie per le motivazioni suesposte), le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri.

Va sul punto osservato che, in tal caso, a differenza di quanto prescritto dall’art. 11 NTA, la distanza di tre metri deve essere calcolata come distanza intercorrente tra i due fabbricati e non, come prescritto dall’art. 11, come spazio di arretramento del fabbricato dal confine.

Ciò detto, il rispetto della distanza prescritta dalla disciplina codicistica ha costituito oggetto di accertamento nella relazione peritale a cura del Consulente tecnico, il quale, in risposta alle osservazioni formulate da parte attrice, ha chiarito che la distanza tra i fabbricati di proprietà delle parti del giudizio supera ampiamente i tre metri previsti dall’art. 873 c.c. (pag. 12, relazione peritale).

Ne discende che gli ampliamenti realizzati sulla proprietà di parte convenuta non violano le disposizioni applicabili in merito alle distanze legali.

Deve tuttavia chiarirsi come tale conclusione non appaia in alcun modo motivata dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria n. /C, relativa agli ampliamenti di cui si discute in tale sede. I provvedimenti amministrativi di licenza o concessione edilizia, invero, assumono rilevanza solo nell’ambito dei rapporti tra pubblica amministrazione e privato, non avendo invece nessuna importanza nei rapporti orizzontali tra privati, di talché è sempre possibile azionare gli strumenti civilistici di tutela per violazione delle distanze legali in caso di violazione delle disposizioni codicistiche e di quelle integrative in tema di distanze tra le costruzioni a prescindere dal fatto che la costruzione sia stata eseguita in conformità di licenza o concessione edilizia (cfr. Corte appello Roma sez. VII, 05/02/2021, n.904; Corte appello, Cagliari, sez. II, 26/01/2022 , n. 26).

Come precisato, quindi, le motivazioni del rigetto della domanda attorea risiedono nell’infondatezza delle deduzioni da questa spiegate circa la violazione delle distanze legali. L’esclusione dell’applicazione delle NTA relative alla sottozona F2/Piave e la conseguente applicazione della normativa codicistica di cui all’art. 873 c.c. per le motivazioni anzidette consente di escludere che gli ampliamenti attuati sull’immobile di proprietà dei convenuti abbiano violato la disciplina sulle distanze legali.

Ciò detto, resta assorbita dal rigetto della domanda di accertamento della violazione delle distanze altresì la richiesta di condanna alla riduzione in pristino dei luoghi di causa e la conseguente istanza risarcitoria.

Quanto alle spese di lite, queste seguono la soccombenza e sono poste a carico della parte attrice in base del valore della domanda.

P.Q.M.

Il Tribunale di Latina, definitivamente pronunciando, in persona della dott.ssa Concetta Serino, ogni ulteriore domanda ed eccezione disattesa, così provvede:

– rigetta la domanda spiegata dalla parte attrice XXX & C.;

– pone definitivamente a carico della parte attrice le spese della Consulenza tecnica d’ufficio;

– condannala la parte attrice XXX & C., al pagamento in favore dei convenuti, YYY e ZZZ, delle spese del presente giudizio che liquida in € 600,00 per la fase di studio, € 500,00 per la fase introduttiva, € 800,00 per la fase istruttoria e € 900,00 per la fase decisoria oltre a Iva, spese generali e Cpa.

Latina, 19.07.2022

Il Giudice

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