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Disparità di trattamento a sfavore dei lavoratori precari

Disparità di trattamento a sfavore dei lavoratori precari, contratti a termine e tempo indeterminato.

Pubblicato il 16 May 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI MILANO – Sez. Lavoro

 

La dott.ssa, in funzione di giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 1540/2023 pubblicata il 03/05/2023

nella causa iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con ricorso depositato in data 7 febbraio 2023

da

XXX

rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso dagli

MINISTRO DELL’ISTRUZIONE in persona del Ministro pro tempore,

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER LA LOMBARDIA in persona del

Direttore in carica,

AMBITO TERRITORIALE DI MILANO in persona del Dirigente in carica, convenuti contumaci OGGETTO: carta docenti

Conclusioni delle parti: come in atti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in data 7 febbraio 2023, la docente XXX si è rivolta al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, esponendo di aver prestato servizio alle dipendenze del Ministero dell’istruzione in qualità di docente in forza di una serie di contratti a tempo determinato, negli anni scolastici meglio indicati nel ricorso.

Attualmente (doc. 1) è titolare di un contratto a tempo determinato fino al 30 giugno 2023.

In esecuzione dei contratti a termine, ha sostenuto d’aver svolto mansioni del tutto identiche a quelle proprie dei docenti assunti a tempo indeterminato.

Ciò nonostante, il MI, agendo in violazione del divieto di discriminazione tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato, non le ha accordato la somma annua di euro 500,00, vincolata all’acquisto di beni e servizi formativi finalizzati allo sviluppo delle competenze professionali – la c.d. Carta elettronica del docente – e prevista dall’art. 1, comma 121, della legge n. 107 del 2015.

Ha perciò agito in giudizio chiedendo la condanna dell’amministrazione al pagamento dell’importo di euro 500 parametrato agli anni scolastici nei quali ha prestato la sua attività di insegnante.

Il Ministero dell’istruzione non si è costituito ed è stato dichiarato contumace.

Omessa ogni attività istruttoria, all’udienza del 3 maggio 2023, la causa è stata quindi discussa.

All’esito della camera di consiglio, il giudice ha pronunciato la presente sentenza, depositando dispositivo e contestuale motivazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso va accolto.

In diritto, la pretesa della docente XXX va valutata alla luce del disposto dell’art. 1, comma 121, l.n. 107/15 che così prevede: “al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali è istituita la Carta elettronica del docente per l’aggiornamento e la formazione del docente di ruolo delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado. La Carta, dell’importo nominale di euro 500 annui per ciascun anno scolastico, può essere utilizzata per l’acquisto di libri e di testi, anche in formato digitale, di pubblicazioni e di riviste comunque utili all’aggiornamento professionale, per l’acquisto di hardware e software, per l’iscrizione a corsi per attività di aggiornamento e di qualificazione delle competenze professionali, svolti da enti accreditati presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, a corsi di laurea, di laurea magistrale, specialistica o a ciclo unico, inerenti al profilo professionale, ovvero a corsi post lauream o a master universitari inerenti al profilo professionale, per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l’ingresso a musei, mostre ed eventi culturali e spettacoli dal vivo, nonché per iniziative coerenti con le attività individuate nell’ambito del piano triennale dell’offerta formativa delle scuole e del Piano nazionale di formazione di cui al comma 124. La somma di cui alla Carta non costituisce retribuzione accessoria ne’ reddito imponibile”

In attuazione di quanto previsto dal successivo comma 122 della legge citata, è stato adottato il d.p.c.m. del 23 settembre 2015, poi sostituito dal d.p.c.m. 28 settembre 2016; questo, nell’identificare i «beneficiari della carta» ha confermato quanto già previsto dall’atto ministeriale previgente (art. 2) e ha chiarito – all’art. 3 – che la platea è composta dai «docenti di ruolo a tempo indeterminato delle Istituzioni scolastiche statali, sia a tempo pieno che a tempo parziale, compresi i docenti che sono in periodo di formazione e prova, i docenti dichiarati inidonei per motivi di salute di cui all’articolo 514 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, e successive modificazioni, i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati, i docenti nelle scuole all’estero, delle scuole militari».

Sulla base di tali disposizioni, il MI ha negato alla docente, in quanto titolare di contratti a termine, la carta di cui sopra.

In merito a questa previsione il Consiglio di Stato, pur prescindendo da parametri di valutazione di provenienza eurounitaria, ha però ritenuto che la scelta ministeriale forgi «un sistema di formazione “a doppia trazione”: quella dei docenti di ruolo, la cui formazione è obbligatoria, permanente e strutturale, e quindi sostenuta sotto il profilo economico con l’erogazione della Carta, e quella dei docenti non di ruolo, per i quali non vi sarebbe alcuna obbligatorietà e, dunque, alcun sostegno economico».

Secondo il Consiglio di Stato «un tale sistema collide con i precetti costituzionali degli artt. 3, 35 e 97 Cost., sia per la discriminazione che introduce a danno dei docenti non di ruolo (resa palese dalla mancata erogazione di uno strumento che possa supportare le attività volte alla loro formazione e dargli pari chances rispetto agli altri docenti di aggiornare la loro preparazione), sia, ancor di più, per la lesione del principio di buon andamento della P.A.».

Secondo il Consiglio ricorrerebbe un contrasto «con l’esigenza del sistema scolastico di far sì che sia tutto il personale docente (e non certo esclusivamente quello di ruolo) a poter conseguire un livello adeguato di aggiornamento professionale e di formazione, affinché sia garantita la qualità dell’insegnamento complessivo fornito agli studenti» corrispondente al canone di buona amministrazione.

Canone che risulterebbe tradito da «un sistema che, ponendo un obbligo di formazione a carico di una sola parte del personale docente (e dandogli gli strumenti per ottemperarvi), continua nondimeno a servirsi, per la fornitura del servizio scolastico, anche di un’altra aliquota di personale docente, la quale è tuttavia programmaticamente esclusa dalla formazione e dagli strumenti di ausilio per conseguirla: non può dubitarsi, infatti, che, nella misura in cui la P.A. si serve di personale docente non di ruolo per l’erogazione del servizio scolastico, deve curare la formazione anche di tale personale, al fine di garantire la qualità dell’insegnamento fornito agli studenti».

Sulla base di tali argomentazioni il Consiglio di Stato ha concluso dicendo «il dirittodovere di formazione professionale e aggiornamento grava su tutto il personale docente e non solo su un’aliquota di esso…Del resto, l’insostenibilità dell’assunto per cui la Carta del docente sarebbe uno strumento per compensare la pretesa maggior gravosità dell’obbligo formativo a carico dei soli docenti di ruolo, si evince anche dal fatto che la Carta stessa è erogata ai docenti part-time (il cui impegno didattico ben può, in ipotesi, essere più limitato di quello dei docenti a tempo determinato) e persino ai docenti di ruolo in prova, i quali potrebbero non superare il periodo di prova e, così, non conseguire la stabilità del rapporto. E l’irragionevolezza della soluzione seguita dalla P.A. emerge ancora più chiaramente dalla lettura del d.P.C.M. del 28 novembre 2016 (che, come già ricordato, ha sostituito quello del 23 settembre 2015), il quale, all’art. 3, individua tra i beneficiari della Carta anche “i docenti in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o altrimenti utilizzati”», sicché «vi sarebbero dei docenti che beneficerebbero dello strumento pur senza essere impegnati, al momento, nell’attività didattica, mentre altri docenti, pur svolgendo diversamente dai primi l’attività didattica, non beneficerebbero della Carta e, quindi, sarebbero privati di un ausilio per il loro aggiornamento e la loro formazione professionale».

Il Consiglio di Stato ha poi ritenuto che il contrasto evidenziato con gli artt. 3, 35 e 97 Cost. possa essere superato mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, commi 121 ss., legge cit.; il collegio è giunto a tale esito evidenziando che, nella specie, mancando una norma innovativa rispetto al d.lgs. n. 165/2001, la materia della formazione professionale dei docenti è ancora rimessa alla contrattazione collettiva di categoria.

Le regole dettate dagli artt. 63 e 64 del Ccnl di riferimento «pongono a carico dell’Amministrazione l’obbligo di fornire a tutto il personale docente, senza alcuna distinzione tra docenti a tempo indeterminato e a tempo determinato, “strumenti, risorse e opportunità che garantiscano la formazione in servizio” (così il comma 1 dell’art. 63 cit.).

E non vi è dubbio che tra tali strumenti possa (e anzi debba) essere compresa la Carta del docente, di tal ché si può per tal via affermare che di essa sono destinatari anche i docenti a tempo determinato (come gli appellanti), così colmandosi la lacuna previsionale dell’art. 1, comma 121, della l. n. 107/2015, che menziona i soli docenti di ruolo».

Sulla conformità di questa disposizione rispetto alla disciplina eurounitaria è successivamente intervenuta la Corte di giustizia dell’Unione europea, a seguito del rinvio pregiudiziale con cui il Tribunale di Vercelli l’ha investita dell’analisi del rapporto tra la disciplina interna e le clausole 4 punto 1 e 6 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato.

La Corte ha ritenuto che «la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che riserva al solo personale docente a tempo indeterminato del Ministero, e non al personale docente a tempo determinato di tale Ministero, il beneficio di un vantaggio finanziario dell’importo di EUR 500 all’anno, concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e di valorizzarne le competenze professionali», mediante la c.d. carta elettronica del docente.

Ha in proposito osservato che, salve le valutazioni del giudice a quo, la misura in questione pare rientrare tra le “condizioni di impiego” ai sensi della clausola 4, punto 1, perché essa «è versata al fine di sostenere la formazione continua dei docenti, la quale è obbligatoria tanto per il personale a tempo indeterminato quanto per quello impiegato a tempo determinato presso il Ministero»

La Corte ha altresì escluso la configurabilità di ragioni oggettive che possano giustificare la disparità di trattamento tra docenti di ruolo e non di ruolo e ha ricordato che «la nozione di “ragioni oggettive” richiede che la disparità di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti, che contraddistinguono il rapporto di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto cui s’inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale disparità risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti necessaria a tal fine». Si tratta di elementi che «possono risultare, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti alle medesime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro», mentre va escluso che rilevi la «mera natura temporanea del lavoro degli impiegati amministrativi a contratto» perché ciò significherebbe pregiudicare «gli obiettivi della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare il mantenimento di una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato».

Così ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, va affermato, quindi, affermato che, in linea generale, la natura temporanea del rapporto tra docente e MI non incide sulla titolarità del diritto a ricevere la carta del docente.

Questa spetta a tutti i docenti, anche a quelli con contratto a termine, purché si trovino in una situazione analoga a quelli di ruolo.

A questo proposito, va ricordato che la disparità di trattamento (a sfavore dei lavoratori precari o già precari) tra periodi di lavoro con contratti a termine e periodi di lavoro a tempo indeterminato, «non può essere giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad assicurare» [cfr. Cass., n. 31149/2019].

Alla luce delle considerazioni sopra riportate, va rilevato che il ricorrente ha svolto un’attività pienamente equiparabile a quella del personale di ruolo.

Il MI, anche decidendo di non costituirsi, non ha né allegato né provato ragioni concrete che smentiscano la sovrapponibilità delle mansioni del ricorrente a quelle svolte da dipendenti a tempo indeterminato aventi la medesima qualifica.

Ciò posto, la domanda va accolta.

Va tuttavia precisato che l’importo di euro 500 non può essere maggiorato degli interessi, in quanto ex art. 2 DPCM del 28 novembre 2016 l’importo è chiaramente indicato al valore nominale, senza ulteriori maggiorazioni nemmeno ove non venga utilizzato nell’anno di erogazione ma in quello successivo

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, con distrazione a favore dei difensori dei ricorrenti, antistatari.

P.Q.M.

Il Tribunale di Milano, definitivamente pronunciando, così decide:

-accerta e dichiara il diritto della ricorrente all’attribuzione della carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione (c.d. Carta docenti) di importo pari a euro 500,00 annui prevista dall’art. 1 comma 121, L. 107/2015; e al conseguente pagamento dei relativi importi con riferimento a tutti gli anni di servizio resi in favore dell’amministrazione scolastica – elencati in atti ;

– per l’effetto condanna il Ministero dell’Istruzione al pagamento degli importi pari a euro 500,00 annui corrispondenti alla carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione (c.d. Carta docenti) ex art. 1 comma 121, L. 107/2015, con riferimento a tutti gli anni di servizio resi in favore dell’amministrazione scolastica – come infra elencati;

-condanna il Ministero dell’istruzione a rifondere a parte ricorrente le spese del giudizio, liquidate in euro 1.000, oltre accessori con distrazione in favore dei difensori antistatari

Milano 3 maggio 2023

Il giudice del lavoro

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