Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 51751 Anno 2019
Penale Ord. Sez. 7 Num. 51751 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 03/12/2019
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a AVELLINO il 15/10/1983
avverso la sentenza del 13/12/2018 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza in data 13 dicembre 2018, pet la parte che in questa sede interessa, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Avellino, in data 22 settembre 2016, nei confronti di NOME COGNOME in relazione ai reati di cui agli artt. 4 I. 110/1975 635, comma 2, cod. pen. commessi in data 7 marzo 2014.
Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità con riguardo al reato di danneggiamento non essendo provata la presenza del COGNOME sul luogo ed al momento dei fatti. Inoltre non sarebbe condivisibile la valutazione di attendibilità del teste COGNOME le dichiarazioni d quale sarebbero caratterizzate da non marginali incongruenze logiche;
2. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità con riguardo al reato di cui all’art. 4 I. 110/1975 non essendo, in particolare descritti gli elementi per ritenere il concorso del Laudati nel predetto reato.
Il ricorso è manifestamente infondato in entrambe le sue articolazioni e quindi deve essere dichiarato inammissibile.
Va detto subito che la sentenza impugnata risulta congruamente motivata proprio sotto i profili dedotti da parte ricorrente. Inoltre detta motivazione, non è certo apparente, né “manifestamente” illogica e tantomeno contraddittoria.
Per contro deve osservarsi che parte ricorrente, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione di legge nella valutazione del materiale probatorio, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito.
Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in sede di controllo della motivazione la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudic del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto, mentre questa Corte Suprema, anche nel quadro della nuova disciplina introdotta dalla legge 20 febbraio 2006 n. 46, è – e resta giudice della motivazione.
In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti
sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valen probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.