fbpx
Generic filters
Parola esatta ...
Cerca nei titolo
Search in excerpt
Filtra per categoria
Codice Civile
Codice Penale

Revisione assegno divorzile, morte del coniuge ricorrente

La L. 10 dicembre 1970, n. 898, articolo 4, commi 12, 13 e 14, (articolo sostituito dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, conv. A sua volta, la L. n. 898 del 1970, articolo 9, prevede che, qualora sopravvengano “giustificati motivi”, dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, con procedimento in camera di consiglio, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni sulla misura e sulle modalità dell’assegno.

Pubblicato il 11 September 2022 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Il procedimento di divorzio.

La L. 10 dicembre 1970, n. 898, articolo 4, commi 12, 13 e 14, (articolo sostituito dal Decreto Legge 14 marzo 2005, n. 35, conv. in L. 14 maggio 2005 n. 80) prevedono, rispettivamente, che:

a) nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno divorzile, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, e che avverso tale sentenza è ammesso solo l’appello immediato; formatosi il giudicato, si applica la previsione di cui all’articolo 10, dovendosi trasmettere la sentenza in copia autentica, a cura del cancelliere, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni e le ulteriori incombenze, onde lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio “hanno efficacia, a tutti gli effetti civili, dal giorno dell’annotazione della sentenza”;

b) quando sia stata pronunciata la sentenza non definitiva, il tribunale, emettendo la sentenza sull’an circa l’obbligo di somministrazione dell’assegno divorzile, può disporne gli effetti sin dalla domanda;

c) “per la parte relativa ai provvedimenti di natura economica la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva”.

In tal modo, si permette la definizione del giudizio sullo status al più presto, con la formazione del giudicato: onde la sentenza si limita alla statuizione sullo status, come sovente accade per l’esigenza, da un lato, di soddisfare il desiderio della rapida riconquista dello status di soggetto non coniugato (non si parla di status di divorziato “che è uno status inesistente, determinando, piuttosto, la pronuncia di divorzio la riacquisizione dello stato libero”: così, in motivazione, Cass. 23 gennaio 2019, n. 1882), e, dall’altro lato, di permettere, per i profili patrimoniali connessi alla condizione di bisogno di uno dei coniugi, il più complesso accertamento.

Il legislatore discorre qui di “sentenza non definitiva” nel senso che il giudice non si spoglia dell’intero processo: si tratta peraltro di una sentenza definitiva parziale, in quanto definisce la questione di status.

Il procedimento di revisione dell’assegno divorzile.

A sua volta, la L. n. 898 del 1970, articolo 9, prevede che, qualora sopravvengano “giustificati motivi”, dopo la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, con procedimento in camera di consiglio, può, su istanza di parte, disporre la revisione delle disposizioni sulla misura e sulle modalità dell’assegno divorzile.

La domanda di revoca o riduzione dell’assegno divorzile, già disposto in favore dell’altro coniuge, può dunque sopravvenire anche al giudicato, che viene appunto annoverato nella categoria del giudicato rebus sic stantibus, in quanto per definizione soggetto al perdurante adeguamento alle situazioni sopravvenute.

Infatti, il titolo esecutivo in materia di famiglia è sì assistito da definitività equiparabile al giudicato, ma si tratta di un giudicato del tutto peculiare (fra le altre, Cass. 2 luglio 2019, n. 17689; Cass. 30 luglio 2015, n. 16173), riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare attraverso un procedimento ad hoc, quale nella specie dettato della L. n. 898 del 1970, articolo 9, per il divorzio.

Ciò si lega alla stretta interrelazione con una determinata situazione pregressa suscettibile naturaliter di un’evoluzione imponderabile, perché legata alle vicende personali degli ex coniugi, tanto da fondare l’esigenza di un previo formale intervento, devoluto al giudice, sul titolo preesistente nel superiore e pubblicistico interesse della migliore composizione possibile delle esigenze dei componenti della famiglia disciolta.

La speciale procedura di revisione dei provvedimenti sul contributo al mantenimento dell’ex coniuge, di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 9, è volta a rivedere, modificare o neutralizzare l’efficacia propria di titolo esecutivo giudiziale.

Al riguardo, il giudice dovrà compiere la necessaria, complessiva, approfondita e comparativa valutazione tra le situazioni rilevanti di entrambi i coniugi, riferita a molteplici fattori.

La revisione dell’assegno divorzile, di cui alla norma richiamata, postula invero l’accertamento di un sopravvenuto mutamento delle condizioni economiche degli ex coniugi, idoneo a modificare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle loro condizioni, quale presupposto fattuale integrante i “giustificati motivi” di cui è parola nell’articolo 9 – necessario per procedere al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali (cfr. Cass. 5 giugno 2020, n. 10647; Cass. 20 gennaio 2020, n. 1119; Cass. 5 marzo 2019, n. 6386; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2953; Cass. 13 gennaio 2017, n. 787; Cass. 29 dicembre 2011, n. 30033; Cass. 2 maggio 2007, n. 10133; Cass. 25 agosto 2005, n. 17320).

Si deve, dunque, verificare se siano sopravvenuti elementi fattuali, idonei a destabilizzare l’assetto patrimoniale in essere, nel qual caso il giudice di merito dovrà fare applicazione dei nuovi principi, quali emergenti dalle recenti pronunce di questa Corte a Sezioni unite (Cass., sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287), per modificarlo e adeguarlo all’attualità.

In tali ipotesi, il ricorrente si propone, dunque, la cessazione o la riduzione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno all’ex coniuge, a decorrere sin dalla domanda di revisione, con la conseguente domanda di restituzione dell’indebito, ai sensi dell’articolo 2033 c.c..

Il venir meno di un coniuge nel corso del giudizio di revisione dell’assegno.

Posto quanto detto in ordine all’oggetto degli accertamenti giudiziari sulla domanda di revisione, il venir meno di un coniuge – sia egli l’obbligato, sia l’avente titolo all’assegno – non comporta la improseguibilità del giudizio di revisione.

La sentenza sullo status è, in tal caso, ormai definitiva e non più modificabile.

Al contrario, quella sull’assegno è, come visto, rivedibile, in ragione del mutamento delle condizioni e per un “giustificato motivo”: pertanto, il Collegio delle Sezioni Unite ha reputato che, venuta meno una delle parti del rapporto di solidarietà post-coniugale, la domanda di accertamento della non debenza dell’assegno dalla data della domanda stessa a quella del decesso prosegua da parte degli eredi dell’obbligato, onde il processo può giungere al suo esito, ai fini dell’accertamento della non debenza e del diritto di credito alla ripetizione dell’indebito per le somme versate sin dalla domanda di revisione, richieste in vita dal coniuge obbligato, di cui gli eredi divengono titolari.

In una situazione, come quella del caso esaminato, in cui si è verificato il decesso dell’ex coniuge, obbligato ed istante per la revisione del debito, con riguardo alla somma versata ed oggetto di domanda di ripetizione, nel periodo intercorrente dalla domanda di revisione sino al decesso dell’ex coniuge medesimo, è data dunque la possibilità, per gli eredi del de cuius, di pervenire all’accertamento richiesto.

Tale conclusione è indotta dalla considerazione che la perdurante pendenza del solo giudizio sulle domande accessorie può costituire una causa di “scissione” del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio, che perverrà così alla pronuncia su di quelle.

Il processo di divorzio ha una finalità e con essa un contenuto compositi, mirando in primo luogo a realizzare il diritto potestativo del coniuge alla elisione dello status matrimoniale, ma con esso, simultaneamente, anche a tutelare una serie di diritti fondamentali relativi alle primarie esigenze della parte eventualmente sul piano economico meno solida, nonché dei figli della coppia.

Riconoscendo e determinando l’assegno di divorzio, il giudice traduce nel linguaggio della corrispettività quanto i coniugi abbiano compiuto, durante la vita comune, nello spirito della gratuità.

Con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287, le Sezioni Unite hanno stabilito che il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione, sia sulla quantificazione dell’assegno.

Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.

La peculiarità degli accertamenti probatori prescritti per legge sul tema della debenza di un assegno di mantenimento divorzile non impedisce tale conclusione.

La L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 6, tra i parametri sull’an e sul quantum dell’assegno esige lo scrutinio, da parte del tribunale, “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”, nonché del fatto che il richiedente “non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.

Dal suo canto, la L. n. 898 del 1970, articolo 5, comma 9, dispone che i coniugi “devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune.

In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”.

Si tratta di elementi partecipativi al processo, con precisi obblighi di produzione istruttoria relativa al patrimonio personale e comune, con possibilità da parte del tribunale di disporre indagini sui redditi sui patrimoni e sul tenore di vita, che dovranno essere espletati nei confronti degli eredi.

E sui quali la Corte (Cass. 20 febbraio 1017, n. 4292; Cass. 28 gennaio 2011, n. 2098, fra le altre) ritiene che l’esercizio del potere del giudice di disporre, d’ufficio o su istanza di parte, indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria costituisca una deroga alle regole generali sull’onere della prova, potere giudiziale il quale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito.

Occorre, altresì, chiarire che possono esservi obblighi pecuniari già entrati nel patrimonio dell’avente diritto: si tratta dei c.d. arretrati, i quali, in ipotesi concessi in via provvisoria oppure da una sentenza non passata in giudicato, non siano stati corrisposti dal coniuge obbligato da tale provvedimento e sino al suo decesso, e la cui debenza dunque permane.

Infatti, essi restano acquisiti, quale debito, al patrimonio del dante causa, e, come tali, passano agli eredi: onde l’altro coniuge rimasto in vita ben potrà agire, se sia ne mancato il pagamento, direttamente in executivis nei confronti di essi, giovandosi del medesimo titolo.

Ove, dunque, sussista un simile debito come avente titolo in una sentenza sull’assegno impugnata, il quantum liquidato dal giudice, afferente il periodo tra il momento del giudicato della sentenza sullo status (o la diversa decorrenza stabilita, anche da un provvedimento provvisorio) e quello del decesso è un debito maturato in vita dal de cuius e passa agli eredi, cosi’ che avverso i medesimi potrà essere fatto direttamente valere in via esecutiva.

In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto:

Nel caso di procedimento per la revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 1, il venir meno del coniuge ricorrente nel corso del medesimo non comporta la declaratoria di improseguibilità dello stesso, ma gli eredi subentrano nella posizione del coniuge richiedente la revisione, al fine dell’accertamento della non debenza dell’assegno a decorrere dalla domanda sino al decesso, subentrando altresì essi nell’azione di ripetizione dell’indebito ai sensi dell’articolo 2033 c.c., per la restituzione delle somme non dovute.

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, Sentenza n. 20495 del 24 giugno 2022

 

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Carmine Paul Alexander TEDESCO - Avvocato
Desideri approfondire l’argomento ed avere una consulenza legale?

Articoli correlati