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Codice Civile
Codice Penale

Perdita dell’ animale da affezione, risarcimento danno

Danno da sofferenza soggettiva in caso di perdita dell’ animale da affezione, liquidazione del danno mediante presunzioni

Pubblicato il 21 February 2022 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI PAVIA
SEZIONE TERZA CIVILE

in composizione monocratica, nella persona del Dott., sulle conclusioni prese all’udienza del 15.12.2021, ha pronunciato la seguente

SENTENZA N. 207/2022 pubblicata il 17/02/2022

nella causa civile iscritta al n. 4728/2020 di R.G., promossa da:

XXX (C.F.:), YYY (C.F.:) e ZZZ (C.F.:), elettivamente domiciliati in

– attori –

contro

CLINICA VETERINARIA KKK S.R.L. (C.F.:), in persona del legale rappresentante pro tempore,

– convenuta contumace –

CONCLUSIONI

Per gli attori:

«Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione accogliere le seguenti conclusioni: in via principale: 1) accertare e dichiarare l’inadempimento contrattuale della Clinica Veterinaria KKK s.r.l., in persona del direttore sanitario e del legale rappresentante p.t., per le ragioni meglio esposte negli scritti difensivi di parte attrice; 2) accertare e dichiarare la risoluzione del contratto concluso tra gli attori e la Clinica Veterinaria KKK, in persona del direttore sanitario e del legale rappresentante p.t., per inadempimento della convenuta; 3) e per l’effetto condannare la Clinica Veterinaria KKK, in persona del direttore sanitario e del legale rappresentante p.t., al risarcimento dei danni patrimoniali, che si quantificano in € 3.444,02 e dei danni non patrimoniali che si quantificano in € 20.000,00, per un totale di € 23.444,02 ovvero nella maggior o minor somma che il Giudice riterrà di giustizia; in ogni caso, con vittoria di spese, competenze ed onorari del presente giudizio, comprensivi di rimborso forfettario spese generali, Iva e C.p.a. come per legge».

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

L’azione proposta trova fondamento nella dedotta negligenza ed imperizia della convenuta nell’effettuazione delle cure ad una gatta che aveva riportato lesioni a seguito di investimento: questa, a seguito di tale sinistro, veniva portata presso la clinica veterinaria della convenuta ove era sottoposta ad alcuni interventi, successivamente ai quali moriva.

Gli attori chiedono il ristoro di quanto pagato sia alla stessa convenuta sia a terzi in conseguenza del fatto di cui sopra nonché il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla perdita dell’animale da affezione.

La convenuta non si è costituita in giudizio.

Ciò posto, si rileva quanto segue.

La C.T.U. licenziata in causa ha stabilito la sussistenza di una responsabilità in capo alla convenuta. Tale elaborato viene da questo giudice richiamato a costituire parte integrante della decisione, in quanto immune da vizi logici e metodologici.

Si può presumere che gli attori, perlomeno coloro che si sono rivolti alla convenuta ed hanno sostenuto spese a fronte della vicenda di cui trattasi, fossero proprietari o possessori dell’animale.

In merito alla rifusione degli esborsi, gli attori hanno indicato le seguenti causali:

a) “compensi Clinica Veterinaria KKK”: € 1.338,00;

b) “esame necroscopico e relativi accertamenti”: € 574,02;

c) “cremazione”: € 330,00;

d) “perizia Dott.ssa ***” (trattasi del costo di una perizia di parte): € 1.202,00.

La causale di cui al punto a) non può avere un titolo analogo a quelle di cui ai punti b), c) e d).

Queste ultime costituiscono un danno risarcibile, in quanto pregiudizi patrimoniali conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento.

Quella di cui al punto a), ossia il compenso che è stato pagato alla convenuta a fronte dell’attività di cura della gatta, in quanto tale non può costituire un danno risarcibile, trovando causa in un contratto validamente concluso. La sua ripetizione, non a titolo di risarcimento del danno, è possibile solo qualora il contratto stesso fosse ritenuto improduttivo di effetti, il che può avvenire anche a seguito della sua risoluzione per inadempimento: tale risoluzione, con riferimento al contratto d’opera, opera ex tunc ex art. 1458 comma 1° c.c., esponendo le parti all’obbligo di restituire le prestazioni ricevute in forza di esso.

Per ottenere la condanna a tale restituzione, non è peraltro sufficiente la domanda di risoluzione contrattuale, ma è necessaria un’ulteriore domanda specifica fondata sul combinato disposto degli artt. 1458 comma 1° c.c. e 2033 c.c.

Nello stabilire se una siffatta domanda vi sia, il giudice deve valutare le allegazioni difensive della parte, senza fermarsi alla qualificazione giuridica da questa offerta, quando il titolo fondante la domanda stessa appare comunque sufficientemente chiaro alla luce dell’attività assertiva svolta.

Ciò posto, sebbene non vengano esplicitamente menzionate le disposizioni di cui sopra e l’attrice evochi per il titolo in esame (erroneamente) il “risarcimento del danno”, la volontà di ottenere la ripetizione di quanto pagato essendo venuto meno il titolo che la giustificava, può desumersi dal fatto che vi è espressa domanda di risoluzione del contratto nonché alla luce del tenore dell’atto di citazione, laddove la parte attrice invoca “i generali principi vigenti in materia di inadempimento contrattuale, come unanimemente riconosciuti dalla giurisprudenza” secondo i quali “il veterinario è comunque tenuto a rimborsare il costo dell’operazione non eseguita correttamente (o non potrebbe pretenderne il pagamento) …”.

La domanda di risoluzione contrattuale, alla luce delle risultanze della C.T.U., merita accoglimento e così anche, di conseguenza, quella di ripetizione degli importi pagati in forza del contratto medesimo.

La fattura risulta intestata alla sola attrice XXX e, pertanto, deve presumersi che il relativo contratto sia stato da lei stipulato o, comunque, il compenso da lei pagato.

Per quanto riguarda le ulteriori causali, alla stessa suddetta attrice risultano essere stati addebitati il costo di € 150,00 per l’esame necroscopico, di € 330,00 per la cremazione e di € 1.202,00 per la perizia veterinaria di parte.

Il totale dovuto all’attrice XXX ammonta dunque a complessivi € 3.020,00.

Invece, all’attore ZZZ risulta essere stato addebitato il costo di € 424,00 sempre per esame necroscopico, e pertanto egli ha diritto a vedersi rifusa la relativa spesa.

Gli attori, premessa una dissertazione giuridica in merito al valore dell’animale da affezione e delle conseguenze della sua privazione, concludono nel senso della sussistenza del diritto anche al risarcimento del danno “non patrimoniale” nella specifica accezione del “danno morale” (ciò si presume dal fatto che non sono state neppure genericamente allegate le conseguenze che, sul piano “esistenziale”, la morte della gatta avrebbe loro in concreto provocato), quantificato nell’importo di € 20.000,00.

In atto di citazione, ci si limita ad affermare che la gatta era di proprietà dell’attrice XXX, che veniva “correntemente accudita” anche dagli altri attori e che “viveva con loro da circa 10 anni e veniva considerata a tutti gli effetti un membro del nucleo famigliare”.

Gli attori hanno articolato nove capitoli di prova testimoniale, otto dei quali aventi od oggetto fatti rilevanti ai limitati fini dell’affermazione della dedotta colpa (superflui, essendo essa accertata tramite C.T.U.) ed uno solo riguardante i pregressi rapporti con l’animale da parte del solo attore ZZZ: tale ultimo capitolo, formulato in termini generici e valutativi, non è stato ammesso.

Non sono prodotte fotografie ritraenti gli attori con la gatta e non può dirsi neppure raggiunta la prova che si trattasse di un animale domestico, essendo solo affermato, ma non dimostrato, il fatto che convivesse con gli attori o con alcuni di essi (invero, non è neanche chiaro se gli attori stessi convivessero tra loro).

Ad ammettere la possibilità di riconoscere il danno da “sofferenza soggettiva” in caso di perdita dell’animale da affezione e, quindi, di liquidare il danno stesso mediante presunzioni, i presunti danneggiati dovrebbero comunque fornire tutti gli elementi che consentano di ritenerne la sussistenza alla luce dell’effettiva frequentazione e cura dell’animale stesso.

Tali elementi sono del tutto mancanti.

Non è sufficiente il mero fatto che si fossero rivolti alla convenuta per la cura della gatta e che, successivamente, avessero effettuato approfondimenti sulla causa della sua morte.

Ciò, oltre a non fare presumere la ricorrenza di un vero e proprio danno morale (consistente in un turbamento dell’animo che va al di là del mero dispiacere o disappunto), non consente comunque di effettuare una liquidazione del danno in via equitativa.

La S.C. ha avuto modo di precisare, in proposito, che “il concreto

esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice del merito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., s’inquadra nel potere generale attribuitogli dal disposto dell’art. 115 c.p.c., sì che non si estrinseca in un giudizio d’equità ma in un giudizio di diritto caratterizzato dall’equità giudiziale correttiva od integrativa, e trova ingresso, a condizione che la sussistenza di un danno risarcibile nell’an debeatur sia stata dimostrata ovvero sia incontestata o infine debba ritenersi in re ipsa in quanto discendente in via diretta ed immediata dalla stessa situazione illegittima rappresentata in causa, nel solo caso di obiettiva impossibilità o particolare difficoltà di fornire la prova del quantum debeatur. Grava pertanto sulla parte interessata dimostrare, secondo la regola generale posta dall’art. 2697 c.c., ogni

elemento di fatto, di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, al fine di consentire che l’apprezzamento equitativo esplichi la sua peculiare funzione di colmare soltanto le lacune riscontrate insuperabili nell’iter della precisa determinazione della misura del danno stesso (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. n. 127 dell’8.1.2016 e, conforme, Cass. civ., sez. III, sent. n. 20889 del 17.10.2016).

Chi chiede la liquidazione equitativa del danno non può fare affidamento sul fatto che questo sia dal giudice presunto nella sua astratta ricorrenza ed, al contempo, quantificato sulla base dell’equità “pura” (in ipotesi, in un importo “intuitivamente” congruo alla luce di valutazioni prive di aderenza alla fattispecie concreta), poiché, così facendo, si ammetterebbe surrettiziamente al risarcimento un cd. “danno sanzione”, la cui liquidazione è consentita solo in ipotesi normativamente tipizzate. Come evidenziato, l’apprezzamento equitativo ha la funzione di colmare le lacune “insuperabili” nella determinazione della misura del danno e, pertanto, deve escludersi che possa essere invocato dal danneggiato per essere mandato assolto dall’onere di allegare e provare gli elementi funzionali ad avvicinare il più possibile la liquidazione all’effettivo pregiudizio subito.

In definitiva, tale domanda deve essere rigettata.

Per quanto concerne le spese, si reputa equa la condanna della convenuta alla loro rifusione sulla base del “decisum” avuto riguardo ai valori parametrici minimi di cui al D.M. n. 55/2014.

Le spese di C.T.U. devono essere poste definitivamente a carico della convenuta.

P.Q.M.

 

il Tribunale di Pavia, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda, istanza ed eccezione:

1. dichiara la risoluzione, per inadempimento della convenuta Clinica Veterinaria KKK S.r.l., del contratto per cui è causa e, per l’effetto, condanna la convenuta stessa a rimborsare all’attrice XXX l’importo da essa pagato di € 1.338,00;

2. dichiara tenuta e condanna la suddetta convenuta al risarcimento del danno in favore dell’attrice XXX per l’importo di € 1.682,00 e dell’attore ZZZ per l’importo di € 424,00;

3. condanna la convenuta stessa alla rifusione in favore della parte attrice delle spese di lite, che liquida, per compenso di difensore, in complessivi € 1.378,00, oltre 15% spese generali, C.P.A. ed I.V.A. come per legge;

4. pone le spese di C.T.U. definitivamente a carico della convenuta.

Così deciso in Pavia il 17 febbraio 2022.

Il Giudice

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