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Licenziamento per numerose assenze per malattia

YYY impugnava il licenziamento intimatogli dalla datrice di lavoro XXX s. p. a. in data 14. Le Sezioni Unite hanno chiarito che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art.

Pubblicato il 04 June 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

YYY impugnava il licenziamento intimatogli dalla datrice di lavoro XXX s.p.a. in data 14.1.2015, all’esito della procedura dinnanzi alla Direzione Territoriale del lavoro per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/1966, per la non proficuità della prestazione lavorativa resa dal dipendente in considerazione delle modalità e del rilevante numero delle assenze realizzate nell’arco temporale dal 1° giugno 2008 al 31.10.2014 per complessive 808 giornate lavorative.

YYY chiedeva che ne venisse accertata l’illegittimità con conseguente condanna della società a reintegrarlo nel posto di lavoro ed a risarcire il danno.

Il Tribunale di Milano, con l’ordinanza resa ex art. 1 co. 41 legge
n. 92/2012, accoglieva in parte il ricorso, accertava la illegittimità del licenziamento e, dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra le parti a far data dal 14.1.2015, condannava la società datrice al pagamento di una indennità risarcitoria commisurata a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La Corte di appello di Milano, nel decidere sui reclami di entrambe le parti, in riforma della sentenza del Tribunale, annullava il licenziamento e condannava la datrice di lavoro XXX spa a reintegrare il YYY ed a corrispondergli una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione oltre accessori dovuti per legge.

Con sentenza n. 15757 del 2019 la Cassazione accoglieva il primo motivo del ricorso proposto dalla XXX s.p.a. e cassava la sentenza di appello che aveva ritenuto inammissibile l’opposizione incidentale tardiva della società osservando che, in caso di soccombenza reciproca nella fase sommaria e di opposizione proposta da una sola delle due parti è comunque consentito all’opposta di riproporre, con la memoria difensiva, le domande e le eccezioni che non erano state accolte e ciò anche dopo la scadenza del termine per la proposizione dell’opposizione.

La Corte chiariva che nella fase di opposizione, che non ha natura impugnatoria, si determina la espansione del giudizio che si svolge davanti al giudice di primo grado con cognizione piena.

Il giudizio veniva riassunto davanti alla Corte di appello che in sede di rinvio accertava che il licenziamento era stato intimato al lavoratore in relazione alle sue numerose assenze per malattia.

Che si trattava quindi di un recesso da ricondurre ad un giustificato motivo oggettivo, atteso che la condotta tenuta dal lavoratore era lecita e priva di colpa.

Accertava, quindi, che nello specifico non era stato superato il periodo di comporto, limite oltre il quale il danno si presume come apprezzabile, ed ha ritenuto che le assenze per malattia non potessero essere rilevanti ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro.

Per la cassazione della sentenza proponeva ricorso la XXX s.p.a. affidato a due motivi.

YYY ha resistito con tempestivo controricorso.

Secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, quando, come nel caso in esame, vi sia un collegamento tra il licenziamento e le assenze per malattia del lavoratore le regole dettate dall’art. 2110 c.c. del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sulla disciplina dei licenziamenti individuali e si sostanziano nella regola consistente nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cd. comporto) predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice.

Nell’ottica di un contemperamento tra gli interessi confliggenti del datore di lavoro, a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce, e del lavoratore, a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento, solo quel superamento è condizione di legittimità del recesso.

Lo scarso rendimento e l’eventuale disservizio aziendale, determinato dalle assenze per malattia del lavoratore, infatti, non possono legittimare, prima del superamento del periodo massimo di comporto, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cfr. Cass. 07/12/2018 n. 31763).

Le Sezioni Unite hanno chiarito che il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, c.c. (Cass., SU, 22/05/2018, n. 12568)

Viene ribadito che il licenziamento per scarso rendimento è riconducibile ad una ipotesi di recesso per giustificato motivo soggettivo che, per essere legittimo, deve connotarsi di una condotta imputabile al lavoratore la quale, complessivamente valutata e sulla base delle allegazioni e delle prove offerte, evidenzi una violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente e determini una rilevante sproporzione tra gli obiettivi fissati e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione con conseguente grave inadempimento del lavoratore dei compiti a lui affidati (in questo senso proprio la sentenza richiamata dalla società ricorrente: Cass. 04/09/2014 n. 18678).

La nozione di «scarso rendimento» è legata ad un inadempimento del lavoratore che abbia carattere notevole e sia a lui imputabile e non piuttosto al dato obiettivo della inidoneità della prestazione al conseguimento degli obiettivi aziendali (cfr. Cass. n. 7522 del 2017 con riguardo ad una fattispecie disciplinata dal R.D. n. 148 del 1931).

Il licenziamento connesso all’elevata morbilità del lavoratore è qualificabile invece come un particolare tipo di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Esso si collega da un lato all’esistenza di una o più malattie e dall’altro al fatto oggettivo del tempo complessivamente trascorso in malattia.

È l’esaurimento del periodo di comporto che di per sé giustifica la risoluzione del rapporto di lavoro.

Le norme speciali che regolano il comporto perseguono il fine preservare il rapporto di lavoro durante la malattia del lavoratore impedendo al datore di lavoro di porvi unilateralmente fine per il tempo – predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice – di tollerabilità dell’assenza.

L’unica condizione di legittimità del recesso è dunque quel superamento del periodo di comporto, espressione del contemperamento degli interessi confliggenti del datore di lavoro e del lavoratore.

Né un rendimento inadeguato alle esigenze aziendali né un disservizio cagionato dalle assenze per malattia del lavoratore possono legittimare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di quel lavoratore prima che sia stato superato il periodo massimo di conservazione del posto di lavoro espressione di un bilanciamento degli opposti interessi coinvolti.

Non può essere ragionevolmente invocato il principio della insindacabilità da parte del giudice delle scelte organizzative

dell’imprenditore che abbia valutato non utile la prestazione sul rilievo che l’unico controllo possibile sarebbe quello sulla effettività delle ragioni che l’hanno determinata.

Il potere organizzativo del datore di lavoro comprende certamente la predisposizione di regole finalizzate ad una migliore efficienza dell’attività produttiva in relazione agli obiettivi economici da perseguire, espressione della libertà di iniziativa economica privata sancita dall’art. 41 Cost., ma non può prescindere da un equo bilanciamento con il diritto del lavoratore alla tutela della sua salute ai sensi dell’art. 32 Cost. ed al lavoro ex art. 4 comma 1 Cost. da conservare per un periodo di tempo ragionevole stabilito dalla legge, dal contratto, dagli usi o in via equitativa dal giudice.

Un contemperamento tra gli interessi confliggenti del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce e del lavoratore a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi, senza perdere i mezzi di sostentamento.

Il mancato superamento del periodo di comporto esclude in sé la legittimità del recesso intimato proprio a cagione delle frequenti e ripetute assenze dovute a malattia ed in tale prospettiva non rileva in che modo l’alternarsi della malattia ai periodi di presenza sul lavoro abbia potuto incidere sull’efficienza dell’organizzazione datoriale e sui risultati da conseguire.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 11174 del 27 aprile 2023

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