REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D’Appello di Genova Terza
Sezione Civile R.G. 369/2023 La Corte D’Appello di Genova, Terza Sezione Civile, in persona dei magistrati:
Dott. NOME COGNOME Presidente Dott. NOME COGNOME relatore Dott. NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._1365_2024_- N._R.G._00000369_2023 DEL_12_11_2024 PUBBLICATA_IL_14_11_2024
nella causa di appello R.G. 369/2023 contro la sentenza del Tribunale di Imperia in data 05.10.2022 n.569 promossa da:
(C.F. ), elettivamente domiciliato in ALESSANDRIA, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. COGNOME che lo rappresenta e difende per mandato in atti.
appellante contro (C.F. , elettivamente domiciliata in SANREMO, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende per mandato in atti.
appellata
CONCLUSIONI
per parte appellante:
“Respinta ogni diversa istanza.
In totale riforma dell’impugnata sentenza del Tribunale di Imperia 5/10/2022 n. 569.
C.F. C.F. tenuta e condannarsi, per le causali dall’attore esposte, al pronto pagamento a favore di della somma capitale di € 91.503,26, con gli interessi di Legge dal dovuto al saldo.
Con il favore delle spese e compenso professionale di causa di entrambi i gradi di giudizio.
Per l’effetto dichiararsi tenuta e condannarsi a prontamente restituire a la somma di € 14.263,30 da quest’ultimo corrispostale il 5/12/2022 in dipendenza dell’esecutività della sentenza di primo grado;
con gli interessi di Legge dal 5/12/2022 alla data di effettivo rimborso.
Previa all’occorrenza ammissione delle prove per testi dedotte dall’attore nella propria memoria di primo grado ex art. 183, 6° comma, n. 2 c.p.c. datata 11/2/2021, sui capitoli ivi formulati n. 1, 3, 4 con i testi ivi indicati.
” per parte appellata:
“Piaccia, alla Corte d’Appello Ill.ma, contrario rejectis Dato atto che non si accetta contraddittorio su nuove domande ed eccezioni, già sin d’ora ci si oppone alla remissione in istruttoria della causa in quanto matura per la decisione poiché meramente documentale, – Previa se ritenuta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 348 ter e 348 bis c.p.c. declaratoria, all’udienza fissata ex art. 350 cc, di inammissibilità dell’appello proposto emettere ordinanza succintamente motivata con pronunzia sulle spese a favore dell’appellata ; – In subordine:
previsa se ritenuta, rilevata ai sensi dell’art 348 bis C.P.C. dell’inammissibilità dell’appello proposto disporre la discussione orale della causa ex art. 350 bis C.P.C.;
In ogni caso:
– In via principale – il rigetto della la domanda in quanto infondata in fatto e in diritto e non provata e per l’effetto confermare la sentenza di primo grado;
– In via subordinata, nella deteriore non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle domande precedentemente svolte, riconoscere che la convenuta deve all’attore , in ogni caso le spese di giudizio.
RAGIONI DI FATTO
E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1.1.
conveniva avanti il Tribunale di Imperia per sentirla condannare alla restituzione delle somme da lui impiegate per l’acquisito della casa coniugale, intestata alla sola convenuta.
Parte attrice, in particolare, deduceva:
– di aver contratto matrimonio con in data 16.5.1998, in regime di comunione legale dei beni;
– di aver acquistato, in data 14/04/2003, con atto a rogito del notaio di Sanremo, un immobile in Sanremo censito al NCEU di detto comune al foglio 46, mappale 2254, sub 12, oltre al terreno pertinenziale;
– di aver venduto il predetto immobile, in data 20/5/2010, realizzando – al netto dell’estinzione del mutuo acceso per l’acquisto – Euro 126.018,07 utilizzati per l’acquisto, in data 27/5/2010, di altro appartamento in Sanremo, sito in INDIRIZZO (Foglio INDIRIZZO, mappale INDIRIZZO, sub INDIRIZZO), al prezzo di Euro 220.000,00;
– che per la differenza, pari ad Euro 93.981,93, i coniugi avevano acceso mutuo fondiario ventennale con il Banco di San Giorgio;
– che le imposte e le provvigioni degli agenti immobiliari e le spese notarili (anche di convenzione matrimoniale) erano state pagate mediante assegni bancari per un totale complessivo di Euro 17.885,00;
– che le rate del mutuo fondiario erano state pagate da entrambi i coniugi per un ammontare complessivo di Euro 39.103,46 sino al 27.12.2016;
– che, stante la qualità di socio amministratore di una RAGIONE_SOCIALE in pesante situazione debitoria, aveva intestato l’immobile alla sola moglie, previa modifica del regime patrimoniale della famiglia in separazione dei beni;
– che, a dicembre 2016, era cessata la convivenza matrimoniale, con pronuncia della sentenza di separazione personale dei coniugi da parte del Tribunale di Imperia, in premesso, concludeva chiedendo la restituzione della somma di Euro 91.503,26, pari alla metà di quanto versato per l’acquisto dell’immobile intestato alla convenuta.
1.2.
Si costituiva la convenuta la quale, previa eccezione di nullità dell’atto di citazione, chiedeva il rigetto della domanda per carenza di prova della provenienza degli esborsi e, comunque, perché giustificati dall’animus donandi.
1.3.
Istruita la causa in via orale e documentale, il Tribunale di Imperia rigettava la domanda proposta da condannandolo alla refusione delle spese del giudizio in favore della parte convenuta, liquidate in Euro 13.430,00 per compensi, oltre IVA, CPA ed accessori di legge.
Invero, il Tribunale rilevava che l’intestazione dell’immobile di INDIRIZZO per l’intero a , in costanza di matrimonio, doveva ritenersi una donazione mista e come tale la relativa provvista di denaro fornita dal non poteva essere ripetuta.
Difatti, oggetto di liberalità doveva intendersi l’intestazione intera del bene con pagamento del prezzo soltanto parziale, ovvero con pagamento da parte di della sola metà del prezzo di acquisto, avendo utilizzato come provvista il conto corrente comune – che si presume in comproprietà tra i coniugi – e pertanto per la quota del 50%.
Il Giudice di prime cure rilevava, infatti, che “Nel caso di rapporti contrattuali tra coniugi, così come nel caso di attribuzioni patrimoniali tra genitori e figli questa causa di liberalità si presume, proprio per l’affectio coniugalis che costituisce la base del rapporto matrimoniale”.
Rilevava, inoltre, che la causa di liberalità non era stata smentita dall’istruttoria processuale (avendo parte attrice dedotto capi inammissibili, in quanto valutativi) e non era stata superata dalla generica deduzione in merito all’intento dell’attore di sottrarre il bene agli eventuali creditori sociali (circostanza incoerente con la natura di società di capitali della.1.
Con atto di citazione in appello, regolarmente notificato, impugnato la sentenza n. 569/2022, sostenendo che il coniuge non proprietario ha diritto di ripetere nei confronti dell’altro le somme spese per l’acquisto della casa anche di abitazione familiare la cui proprietà è intestata unicamente all’altro coniuge ai sensi dell’art. 2033 cod. civ..
L’appellante, in particolare, con il primo motivo di appello censura la decisione del giudice di prime cure nella parte in cui ha ritenuto la provvista di denaro fornita alla moglie per l’acquisto dell’immobile una donazione mista.
Difatti, non vi sarebbe una prestazione che superi notevolmente il valore della controprestazione, anzi non vi sarebbe stata alcuna controprestazione da parte di mancherebbe la causa di liberalità, che non può considerarsi presunta, spettando a parte convenuta l’onere di provare che il pagamento fosse avvenuto per una causale (ad esempio a titolo di liberalità), tale da non legittimare alcuna pretesa restitutoria.
Nella specie, l’appellante sostiene che la decisione di intestare la proprietà alla sola sarebbe stata concordata tra i coniugi, non a scopo di liberalità a favore di quest’ultima, ma al solo scopo di scongiurare il pericolo di azioni esecutive che coinvolgessero personalmente , stante la sua pregressa partecipazione quale socio ed amministratore alla società Inoltre, l’appellata non avrebbe dimostrato che le attribuzioni patrimoniali costituissero adempimento di un’obbligazione naturale di solidarietà tra i coniugi che, per consolidata giurisprudenza della Corte Suprema, non possono configurare l’adempimento di un’obbligazione naturale quando non siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza. Con il secondo motivo di appello, l’appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha condannato alla rifusione delle spese di lite a favore 2.2.
Con comparsa di costituzione e risposta del 9/07/2023, , parte appellata evidenzia l’incertezza e carenza dell’oggetto della domanda di controparte, dal momento che non si comprenderebbe quale sia il “petitum” o la “causa petendi”.
L’appellata precisa, inoltre, che l’acquisto sarebbe avvenuto in costanza di matrimonio, ma successivamente alla convenzione sottoscritta da entrambi per il mutamento del regime patrimoniale dalla comunione dei beni alla separazione dei beni, e che le somme di cui il richiede la restituzione non sarebbero state versate alla moglie direttamente, ma sarebbero state appunto utilizzate per comprare l’immobile.
Detti presunti pagamenti non sarebbero stati provati e rappresenterebbero delle donazioni indirette come affermato dal Giudice di Prime Cure sulla base della costante giurisprudenza decennale.
3. Sulle conclusioni come innanzi precisate, la causa è stata riservata in decisione ai sensi dell’art. 352 cod. proc. civ., con i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
3.1.
L’appello è infondato e va rigettato per i seguenti motivi.
Con l’atto di appello, ha specificato che la restituzione delle somme versate per l’acquisto della casa coniugale intestata alla sola era fondata ai sensi dell’art. 2033 cc.
Il Collegio evidenzia che è onere del provare il diritto alla restituzione delle somme versate per l’acquisto dell’immobile ai sensi dell’articolo 2697 c.c., secondo cui “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”.
In questo senso si espressa la Corte di Cassazione, la quale ha affermato che “Nella ripetizione di indebito opera il normale principio dell’onere della prova a carico dell’attore il quale, quindi, è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi” (Cass n. 30713/2018).
L’indebito, invero, presuppone un pagamento, consistente in un “facere” o un dare (Cass. n. 25270/2016), del solvens a favore dell’accipiens che risulti privo di causa.
rileva, innanzitutto, che a stretto rigore nessun pagamento da parte di favore della è stato provato, avendo l’appellante tuttalpiù dimostrato con i documenti allegati il pagamento delle spese relative all’acquisto dell’immobile tramite il conto cointestato dei coniugi.
Tuttavia, anche ammettendo la configurabilità di un pagamento a favore della o la qualificazione della domanda di restituzione delle somme versate in termini di azione generale di arricchimento ex art. 2041 c.c., si rileva che il non ha comunque provato che l’esborso fosse privo di causa.
Questa Corte, difatti, ritiene corretta la decisione del Giudice di prima cure che ha qualificato l’intestazione dell’immobile di INDIRIZZO a una donazione indiretta.
Invero, con le donazioni indirette il donante, utilizzando l’archetipo d’uno schema negoziale tipico, persegue l’interesse concreto d’arricchire il donatario non direttamente tramite il contratto donativo, ma appunto indirettamente.
Nel caso di specie, l’effetto donativo si sarebbe prodotto mediante rinunzia alla propria quota di proprietà del bene, atto che ai sensi della giurisprudenza di legittimità può configurare una donazione indiretta.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti, l’esborso con il quale il marito fornisce il denaro affinché la moglie divenga proprietaria o comproprietaria di un immobile è riconducibile nell’ambito della donazione indiretta, così come sono ad essa riconducibili, finché dura il matrimonio, i conferimenti eseguiti spontaneamente per il finanziamento di lavori nell’immobile. (Cass. n. 24160/2018).
La Corte di Cassazione, inoltre, ha precisato che in tal caso non si verifica la donazione della somma di denaro ma la donazione del bene (nel caso di specie della propria quota).
In questo senso la Corte di Cassazione ha affermato che “Si ha donazione indiretta di un bene (nella specie, un immobile) anche quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo della relativa compravendita dovuto dal donatario, laddove sia dimostrato lo specifico collegamento tra dazione e successivo analogamente a quanto affermato in tema di vendita mista a donazione, nella percentuale di proprietà del bene acquistato pari alla quota di prezzo corrisposta con la provvista fornita dal donante” (Cass. n. 10759/2019). Dunque, la configurabilità dell’intestazione dell’immobile all’ex coniuge come donazione indiretta, comporta che “La domanda di restituzione delle somme impiegate non può essere accolta se il donante non prova l’assenza della volontà di donare, anche se successivamente viene meno l’affectio familiaris” (Cass. n. 24160/2018).
Difatti, occorre valutare la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’animus donandi, ovvero lo spirito di liberalità che muove il donante ad impoverirsi per l’arricchimento del donatario, cioè accertare che il proprietario del denaro non aveva altro scopo che quello della liberalità (Cass. n. 4682/2018; Cass., n. 26983/2008; Cass. n. 468 del 2010).
L’appellante ha indicato quale ragione dell’intestazione dell’immobile al coniuge il pericolo di azioni esecutive che coinvolgessero personalmente stante la sua partecipazione quale socio ed amministratore alla società in pesante situazione debitoria, a prova della quale il produceva in primo grado i relativi bilanci sociali.
Se è pur vero, come evidenziato dal Giudice di prime cure, che la circostanza è apparentemente incoerente con la natura di società di capitali della è anche vero che il ruolo di amministratore della società svolto dal potrebbe comportare la responsabilità ex art.2476 c.c., ai sensi del quale “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.
L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”.
Il fatto che l’intestazione dell’immobile alla sola moglie sia avvenuto in ragione del rischio di azioni esecutive risulterebbe peraltro suffragato dal fatto che lo stesso dell’acquisto dell’immobile i coniugi hanno mutato il regime patrimoniale da comunione legale a separazione dei beni.
Tuttavia, occorre precisare che lo spirito di liberalità deve essere tenuto distinto dai motivi, ossia dalle finalità perseguite dal soggetto che pone in essere la donazione.
Difatti, nonostante l’animus donandi faccia emergere le motivazioni, esso deve essere colto nel suo atteggiamento oggettivo e non come requisito soggettivo dell’attribuzione.
Infatti, secondo l’ordinanza n. 982/2024 della Corte di Cassazione, l’animus donandi, che partecipa alla causa del contratto come qualificazione in senso soggettivo della gratuità, consiste nella consapevolezza, in capo al donante, di attribuire ad altri un vantaggio patrimoniale nullo jure cogente, ossia in assenza di un obbligo giuridico, extragiuridico o morale (Cass. n. 2001/1996;
Cass. 12325/1998; Cass. n. 8018/2012,), e, dunque, di agire a titolo di mera spontanea elargizione fine a sé stessa (Cass. n. 737/1977; Cass. n. 21781/2008,), senza che debba necessariamente essere caratterizzato dall’intento benefico o altruistico e senza necessità di una diversa manifestazione specifica, identificandosi con l’obiettiva gratuità dell’attribuzione considerata ex parte donantis (Cass. n. 1728/1965; Cass., n. 651/1980).
Ciò significa che la spontaneità dell’attribuzione patrimoniale, una volta accertata, non può essere esclusa da spinte motivazionali del donante, le quali, quando non integranti ipotesi di cogenza giuridica o costrizione morale, mantengono valenza neutra rispetto a quella causale dell’atto di liberalità.
avrebbe dovuto piuttosto dimostrare che l’intestazione alla sola moglie dell’immobile avesse carattere fiduciario.
Tale circostanza, peraltro, oltre a non essere stata dedotta e a non essere stata provata in alcun modo, rappresenta comunque domanda diversa, rispetto alla quale l’esame del collegio è dunque precluso ai sensi dell’art. 112 cpc.
Quanto alle pronunce della Corte di Cassazione invocate dall’appellante a sostegno della domanda di restituzione delle somme, si evidenzia che queste riguardano di proprietà personale esclusiva di uno dei coniugi in virtù dei principi generali in materia di accessione e, in quanto tali, non pertinenti al caso di specie.
Il rigetto del primo motivo d’appello comporta l’assorbimento del secondo motivo relativo alla condanna alle spese di lite.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, secondo i valori minimi, esclusa la fase istruttoria, scaglione da € 52.000,00 a € 260.000,00.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dell’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il gravame.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando così provvede:
– rigetta l’appello appello proposto da ei confronti avverso la sentenza del Tribunale di Imperia n. 569/2022, che conferma;
– condanna pagamento, favore delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in € 4.997.00, oltre 15 % per spese generali, i.v.a. qualora dovuta e c.p.a. come per legge;
– dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, in favore dell’erario di un importo ulteriore, pari a quello del contributo unificato previsto per il gravame.
Così deciso nella camera di consiglio in data 30/10/2024.
Il Consigliere relatore/estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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