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Contratto di affitto di ramo d’azienda

Nel caso esaminato, la ricorrente XXX aveva stipulato con un contratto di affitto di ramo d’azienda, con cui la società YYY le concedeva in godimento un fabbricato su due livelli, destinato alla somministrazione di alimenti e bevande ed alla commercializzazione di beni e servizi, per € 6. Per la Cassazione, la Corte di Appello di Campobasso aveva posto correttamente alla base della propria decisione la distinzione tra opere di manutenzione ordinaria e straordinaria: distinzione che, peraltro, trattandosi di affitto di ramo d’azienda, deve muovere dalla considerazione che sull’affittuario grava l’obbligo di conservare l’azienda, in tutte le sue componenti, nello stato in cui viene affittata e, perciò, di sostenere tutte le spese necessarie a tale scopo.

Pubblicato il 12 June 2022 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Nel caso esaminato, la ricorrente XXX aveva stipulato con un contratto di affitto di ramo d’azienda, con cui la società YYY le concedeva in godimento un fabbricato su due livelli, destinato alla somministrazione di alimenti e bevande ed alla commercializzazione di beni e servizi, per € 6.000,00 mensili.

La conduttrice eseguiva sull’immobile, a propria cura e spese, talune opere urgenti ed improcrastinabili che la locatrice, pur più volte sollecitata, non aveva provveduto a realizzare, neppure si era opposta alla loro esecuzione e tantomeno aveva dato riscontro alle numerose richieste di intervento.

Di conseguenza, la società YYY veniva convenuta dinanzi al Tribunale di Isernia affinché, accertato il carattere di urgenza ed improcrastinabilità dei lavori eseguiti, venisse condannata a pagare l’importo di € 9.143,87.

La società YYY si costituiva in giudizio e deduceva che le opere non erano urgenti, che l’importo richiesto era eccessivo, che esso non era a suo carico, perché le opere erano state realizzate su attrezzature non di sua proprietà, lamentava, in aggiunta, che le opere erano state eseguite senza mancato preavviso.

Il Tribunale di Isernia, con sentenza n. 251/18, accoglieva la domanda attorea e condannava la locatrice al pagamento di € 9.143,867, oltre agli interessi ed alle spese di lite.

La Corte d’Appello di Campobasso, a sua volta, accoglieva il gravame proposto dalla società YYY e riformava la decisione di prime cure, evocando la distinzione tra opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, sottolineando che l’ascrizione di un intervento all’una o all’altra categoria spetta al giudice e richiamando le disposizioni di cui al contratto, articoli 13 e 14:

il primo, nella parte in cui prevedeva che in ogni caso sarebbero stati considerati interventi di ordinaria manutenzione, le sostituzioni di materiali d’usura inerenti gli impianti e le dotazioni ed in quella in cui considerava di straordinaria manutenzione, gli interventi effettuati su strutture portanti derivanti dall’usura del tempo o dagli adeguamenti richiesti dalle normative in materia di sicurezza sul lavoro;

il secondo, nella parte in cui faceva divieto alla conduttrice di eseguire opere di modifica dell’immobile, degli impianti e delle attrezzature, anche se dirette a garantire il migliore utilizzo dei beni costituenti l’azienda, se non espressamente autorizzate per iscritto dalla società locatrice.

La società YYY concludeva nel senso che gli interventi eseguiti dovevano essere annoverati tra quelli che spettava alla conduttrice eseguire, in quanto di ordinaria amministrazione, trattandosi: 1) di riparazioni di guasti e deterioramenti derivanti dall’uso, non imprevedibili né eccezionali, non volte ad ovviare a vetustà e al degrado edilizio; 2) di interventi svoltisi nell’arco di quattro anni di non rilevante entità, avuto riguardo per la natura del contratto e per l’importo del canone.

La tesi della conduttrice, invece, era che i lavori fossero stati definiti, denunciati alla locatrice e dimostrati come improcrastinabili e che quindi non fosse rilevante lo stabilire se fossero di manutenzione ordinaria o straordinaria, ma se essi rientrassero tra quelli di cui all’articolo 1577 c.c..

Per la Cassazione, la Corte di Appello di Campobasso aveva posto correttamente alla base della propria decisione la distinzione tra opere di manutenzione ordinaria e straordinaria: distinzione che, peraltro, trattandosi di affitto di ramo d’azienda, deve muovere dalla considerazione che sull’affittuario grava l’obbligo di conservare l’azienda, in tutte le sue componenti, nello stato in cui viene affittata e, perciò, di sostenere tutte le spese necessarie a tale scopo.

Ne consegue, ai fini della distinzione tra spese di manutenzione ordinaria e straordinaria, che – a differenza di quanto avviene per il contratto di locazione di beni non produttivi (nel quale il conduttore non fa proprio il reddito derivante dalla cosa) – i lavori di manutenzione ordinaria vanno individuati “in negativo” e, cioè, escludendo quelle opere che sono da reputarsi straordinarie perché non finalizzate alla conservazione della originaria destinazione economica del bene e al ripristino della sua attitudine produttiva, eventualmente adoperando, in via orientativa e in assenza di un criterio discretivo certo, l’elenco esemplificativo delle riparazioni straordinarie di cui all’articolo 1005 c.c., norma applicabile anche ad istituti diversi dall’usufrutto: Cass. 18/09/2020 n. 19632; Cass. 03/04/1979, n. 1881.

L’articolo 1577 c.c., comma 2, disciplina pur sempre le riparazioni che, sebbene a carico del locatore per legge, riparazioni per manutenzione straordinaria – o anche per contratto – posto che le parti potrebbero provvedere ad una diversa distribuzione degli obblighi di manutenzione – siano eseguite dal conduttore per il loro carattere di urgenza.

La disposizione non introduce una categoria di opere che prescindono dall’inquadramento nell’ambito di quelle a carico del locatore o del conduttore, ma si limita ad individuare, tra le opere poste a carico del locatore, alcune, quelle urgenti, che impongono al conduttore di intervenire, eseguendole a sue spese, allo scopo di tutelare sé o terzi dalle conseguenze che potrebbero derivare dalla mancata riparazione, stante l’attuale esistenza di un pericolo immediato di deterioramento o di guasto della cosa locata.

La ragione d’essere dell’articolo 1577 c.c., comma 2, è da ricercarsi nel dovere di cooperazione che grava sul conduttore, il quale, avendo la detenzione della cosa, è in grado di avvedersi della necessità di intervenire sul bene, mentre il locatore potrebbe ignorare la sussistenza di tale esigenza.

Ciò spiega anche la ragione per cui a carico del conduttore è posto un obbligo di avviso, il quale assolve ad una duplice funzione: preclude al locatore di poter invocare l’ignoranza del bisogno della riparazione, allo scopo di liberarsi dall’obbligo di rimborsare il conduttore, ed è d’ostacolo all’accoglimento di una sua eventuale richiesta di risarcimento dei danni arrecati alla cosa locata derivanti dalla omissione delle riparazioni dovuta non a propria negligenza, ma a colpa del conduttore.

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 17226 del 27 maggio 2022

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