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Collegamento tra la malattia e le mansioni espletate

Incombe sul lavoratore l’onere di provare il collegamento causale tra la malattia che ha determinato l’assenza e le mansioni espletate.

Pubblicato il 13 June 2022 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
Corte d’Appello di Lecce – Sezione Distaccata di Taranto
Sezione Lavoro e Previdenza

in persona dei magistrati

ha emesso la seguente

SENTENZA n. 410/2022 pubblicata il 31/05/2022

nella causa di lavoro/previdenza in fase di reclamo, iscritta al n. 106 del ruolo generale anno 2022, decisa nell’udienza del 25 maggio 2022,

tra

XXX,

Reclamante

YYY spa,

Controparte

I procuratori delle parti costituite hanno così concluso:

L’Avv. per il XXX: “Voglia la corte, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarare illegittimo il licenziamento comminato con lettera raccomandata del 21/6/2016, per l’effetto ordinando la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro e condannando controparte al risarcimento del danno (indennità commisurata alla retribuzione) ed al versamento dei contributi previdenziali, con vittoria di spese, da distrarre”.

L’Avv. per l’YYY spa: “Voglia la corte rigettare il reclamo, con integrale conferma della sentenza n. 2761/2018 del tribunale di Taranto – sezione lavoro, con vittoria di spese di tutti i gradi di giudizio, compreso quello di legittimità“.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza n. 72/2022 la Corte di Cassazione annullava la sentenza n. 503/2018 di questa Corte (in riforma della sentenza n. 2761/2018 del tribunale di Taranto/sez. lavoro – il giudice del reclamo aveva dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato a XXX dall’YYY il 21/6/2016 per superamento del periodo di comporto, con condanna del datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro), ritenendo (contro le determinazioni del giudice del reclamo) che: il termine di trenta giorni previsto dall’art. 1 co. 51 legge 92/2012 per l’opposizione avverso l’ordinanza in materia di licenziamento decorreva dalla comunicazione o dalla notificazione del provvedimento, sicchè il ricorso in opposizione proposto da YYY spa il 19/10/2018 era tempestivo, risalendo la notificazione al 22/9/2018; nessuna preclusione poteva essersi verificata a carico della opponente, costituitasi solo nella fase di opposizione, poiché questa fase era una prosecuzione della prima fase sommaria.

XXX ha riassunto la causa, osservando che: l’YYY aveva fondato il secondo licenziamento sul presupposto dell’avvenuta acquiescenza all’ordinanza di reintegrazione del XXX nel posto di lavoro; nel periodo dal 17/6/2013 al 17/6/2016 le assenze per malattia del XXX erano state 361, come evincibile dalla nota INPS del 25/9/2018; in ogni caso, il ricorrente aveva diritto (art. 42 cap. VII lett. B punto 3) alla conservazione del posto di lavoro per ulteriori 120 giorni, per avere documentato le assenze con certificazioni provenienti da ricoveri presso il pronto soccorso; l’azienda doveva comunicare ai dipendenti, che avessero accumulato 250 giorni di assenza per malattia nei 1095 precedenti, le informazioni sulla situazione relativa alla conservazione del posto; le malattie erano state causate dall’adibizione del lavoratore all’attività di raccolta rifiuti in epoca successiva al giudizio di inidoneità rilasciato dal medico competente; ingiustamente il ricorrente era stato condannato alle spese processuali.

L’YYY spa ha riassunto la causa nel procedimento n. 110/2022, riunito, osservando che: il secondo licenziamento era stato irrogato solo per la sopravvenuta reviviscenza del rapporto di lavoro per effetto dell’ordinanza emessa nella fase sommaria; sulla base dei certificati trasmessi al datore di lavoro dai medici del XXX, i giorni di malattia dal luglio 2013 al giugno 2016 erano stato 367, con superamento del periodo di 365 giorni in 1095 giorni (art. 42 capo B CCNL Federambiente); non era stato dimostrato che il XXX avesse pernottato in ospedale o nelle strutture di pronto soccorso; solamente in sede di gravame il XXX aveva dedotto che l’azienda non avrebbe preventivamente comunicato l’accumulo di 250 giorni di malattia nei 1095 giorni precedenti; era inammissibile la documentazione prodotta in fase di reclamo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il licenziamento intimato in data 24/11/2017 non si poneva in acquiescenza alla reintegrazione nel posto di lavoro ordinata all’esito della fase sommaria, bensì in ottemperanza all’ordinanza (come peraltro riferito nel testo della comunicazione), in ossequio all’esecutività della misura, con ogni conseguenza sull’ammissibilità dell’opposizione dell’YYY avverso l’ordinanza di reintegrazione.

Sostiene il XXX che nel periodo 17/6/2013 – 17/6/2016 le assenze per malattia sarebbero state 361, giusta nota INPS del 25/9/2018.

Tuttavia, l’allegazione è sopravvenuta nella fase di appello, con la conseguente sua inammissibilità, a mente dell’art. 437 co. 2 c.p.c., atteso che il ricorrente avrebbe potuto provvedere alla produzione nel primo grado.

In ogni caso, il prospetto (peraltro neppure sottoscritto) riporta una lista di certificati, senza enumerare la consistenza finale delle assenze per malattia.

Si aggiunga che – a fronte della puntuale e dettagliata elencazione dei giorni di malattia da parte dell’azienda, con sostegno probatorio reso dagli attestati di malattia allegati al rispettivo fascicolo – il XXX non ha precisato quali assenze non sarebbero sussistite, così da consentire un effettivo controllo, con la conseguenza che la contestazione è rimasta confinata in ambito generico.

Sostiene ancora il lavoratore che alcune delle assenze sarebbero coincise con ricoveri presso il pronto soccorso, sicchè avrebbe dovuto beneficiare di 120 giorni ulteriori di comporto, nel periodo di 1095 giorni, ai fini della conservazione del posto lavoro, in ossequio alla clausola n. 42 lett. b) n. 3 del CCNL di categoria.

Tuttavia, né il ricorrente ha indicato in quali casi ed in quali giorni si sarebbe verificato il ricovero né consta che effettivamente ricovero sia sussistito.

Inammissibile (perchè mai sollevato in primo grado) è il rilievo circa l’omessa comunicazione – da parte dell’azienda – del compimento di 250 giorni di assenza nei 1095 giorni precedenti.

Sostiene il XXX che nel periodo di comporto non dovrebbero computarsi i giorni di malattia verificatasi per sua adibizione a mansioni alle quali non era stato giudicato idoneo, conformemente a comunicazione medica del 30/3/2016.

A prescindere dal rilievo che la presunta inidoneità viene ivi genericamente indicata, senza specificazione delle ragioni, e che non sono dal ricorrente individuate le giornate di malattia verificatasi per (assunta) adibizione a mansioni cui non sarebbe stato idoneo, sta di fatto che la conseguenza invocata dal XXX potrebbe essere operante solamente all’esito di riscontro probatorio del nesso causale tra malattia ed inottemperanza del datore agli obblighi su di lui incombenti ai sensi dell’art. 2087 c.c., riscontro in concreto inesistente.

Insegna infatti il giudice di legittimità che “In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, le assenze del lavoratore per malattia non giustificano il recesso del datore di lavoro ove l’infermità dipenda dalla nocività delle mansioni o dell’ambiente di lavoro che lo stesso datore di lavoro abbia omesso di prevenire o eliminare, in violazione dell’obbligo di sicurezza (art. 2087 cod. civ.) o di specifiche norme. Peraltro, incombe sul lavoratore l’onere di provare il collegamento causale tra la malattia che ha determinato l’assenza e le mansioni espletate, in mancanza del quale deve ritenersi legittimo il licenziamento” (Cass. Civ. 7946/2011) e che “Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinchè l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.” (Cass. Civ. 15972/2017).

Infine, corretta è la condanna del XXX al rimborso delle spese processuali, in ossequio al disposto ex art. 91 c.p.c.; né consta che le liquidate spese comprendano anche la fase sommaria.

Nessuna integrazione istruttoria si appalesa necessaria ai fini decisori, attesa la completezza degli elementi in atti.

Pertanto, il reclamo avverso la sentenza n. 2761/2018 del tribunale di Taranto – sezione lavoro, come proposto dal XXX, è destituito di fondamento.

Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – sezione lavoro così decide:

1) Rigetta il reclamo interposto da XXX avverso la sentenza n. 2761/2018 del tribunale di Taranto – sezione lavoro;

2) Condanna il reclamante al rimborso delle competenze giudiziali sostenute globalmente in questo grado e nel giudizio di legittimità da YYY spa, liquidate rispettivamente in complessivi € 3000,00 ed in complessivi € 1600,00, oltre accessori di legge, ivi incluso il rimborso forfettario delle spese nella misura del 15% del compenso totale.

Taranto, 25 maggio 2022

Il presidente

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