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Cancellazione della società e fallimento

La Corte di Cassazione ha stabilito che il termine annuale per la dichiarazione di fallimento decorre dalla cancellazione della società dal Registro delle Imprese e che il decreto della Corte d’Appello deve intervenire entro tale termine.

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Pubblicato il 18 maggio 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile

XXX s.r.l.c.r., società a capitale ridotto, già cancellata dal Registro delle imprese in data 5 febbraio 2021, era stata oggetto di istanze di fallimento da parte di diversi creditori, domande rigettate dal Tribunale di Latina con decreto del 27 novembre 2021 per mancato superamento del requisito soggettivo.

La Corte di Appello di Roma accoglieva il reclamo dei creditori istanti con decreto del 14 giugno 2022, all’esito del quale la società era stata successivamente dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Latina in data 6 ottobre 2022.

La Corte di Appello di Roma, adita in sede di reclamo ex art. 18 l. fall. da YYY, legale rappresentante della cessata società debitrice, aveva accolto il reclamo, dando atto dell’applicazione dell’art. 10 l. fall., il cui termine era elasso alla data del deposito del decreto della Corte di Appello di Roma in data 14 giugno 2022.

Riteneva, in particolare, il giudice del reclamo che il dies ad quem al quale fare riferimento ai fini della consumazione del termine annuale per la dichiarazione di fallimento andasse computato al momento del decreto della Corte di Appello che accoglieva il reclamo ex art. 22 l. fall.

Proponevano ricorso per cassazione i creditori istanti.

La sentenza dichiarativa di fallimento deve intervenire entro l’anno successivo alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese (art. 10 l. fall.), norma che individua un termine all’ultrattività della società insolvente ai fini della dichiarazione di fallimento.

Ove, poi, il ricorso o la richiesta venga rigettata dal Tribunale, il termine si computa in relazione al successivo decreto della Corte di Appello che accolga il reclamo e rimetta gli atti al Tribunale per i provvedimenti conseguenti (art. 22, commi quarto e quinto, l. fall.).

Il rinvio per relationem contenuto nell’art. 22, quinto comma, l. fall., all’art. 10 l. fall. rende evidente come non sia travalicabile – quale che sia l’esito del procedimento davanti al Tribunale – questo termine annuale, che attua un «bilanciamento tra il principio dell’affidamento dei terzi tutelato dalle iscrizioni nel registro dell’imprese e quelli della certezza delle situazioni giuridiche e della tutela dell’imprenditore».

Il termine stabilito nella legge fallimentare all’art. 10 «costituisce un limite oggettivo per la dichiarazione di fallimento (Cass. 28 marzo 1969, n. 998), svolgendo […] la funzione di garantire la certezza delle situazioni giuridiche e l’affidamento dei terzi (altrimenti esposti illimitatamente al pericolo di revocatorie), ponendo un preciso limite temporale alla possibilità di dichiarare il fallimento di chi non è più imprenditore.

Tale conclusione trova conferma nella L. Fall., art. 22, comma 5, secondo cui, nella versione successiva alla riforma, in caso di vittorioso gravame contro il provvedimento che respinge l’istanza di fallimento, il termine di cui alla L. Fall., art. 10, si computa con riferimento al decreto della corte di appello che ha accolto il reclamo» (Cass., n. 8932/2013).

Laddove, pertanto, a ridosso della scadenza del termine annuale di cui all’art. 10 l. fall. il Tribunale dovesse rigettare con decreto la domanda di fallimento del debitore, l’eventuale decreto della Corte di Appello di riforma di tale decreto, per giovare al ricorrente, dovrebbe intervenire entro la scadenza del medesimo termine.

È, infatti, con il decreto della Corte di Appello di accoglimento del reclamo che si cristallizzano i fatti costitutivi ai fini della dichiarazione di fallimento, rendendo irrilevante attendere, sotto questo profilo, la successiva pronuncia del Tribunale.

Ove, invece, la decisione della Corte di Appello intervenga oltre detto termine, il giudice che procede deve, anche di ufficio, rilevare tale circostanza e, in fase di gravame, deve dichiarare la nullità della sentenza dichiarativa di fallimento (Cass., n. 8932/2013, cit.).

Resta, in questo caso, a carico del creditore che procede, «il rischio della durata del procedimento per la dichiarazione di fallimento», senza che l’avere il legislatore posto la durata del processo a carico dell’attore costituisca un vulnus al diritto di difesa (Cass., n. 8932/2013, cit.).

Il bilanciamento tra l’interesse del creditore alla dichiarazione di fallimento del debitore insolvente e quello del debitore e dei terzi alla certezza delle situazioni giuridiche è, pertanto, stato operato dal legislatore, nella misura in cui ha previsto l’ultrattività annuale della società dopo la cancellazione ai fini della dichiarazione di fallimento, termine entro il quale deve intervenire la dichiarazione di fallimento ovvero – in caso di rigetto dell’istanza di fallimento – il decreto della Corte di Appello che disponga la dichiarazione coatta ex art. 22, quarto comma, l. fall. In quest’ultimo caso, la sentenza dichiarativa di fallimento può intervenire oltre l’anno dalla cancellazione, purché il decreto – che in accoglimento del reclamo accerta i presupposti della dichiarazione di fallimento – intervenga entro il termine di cui all’art. 10 l. fall.

principio di diritto:

«La regola prevista dall’art. 10, primo comma, l. fall. secondo cui la dichiarazione di fallimento nei confronti di una società insolvente deve intervenire entro l’anno dalla cancellazione della società dal Registro delle Imprese è comunque rispettata, nel senso previsto dall’art. 22, comma cinque, l. fall., ove il decreto della Corte di Appello che accolga il reclamo avverso il decreto di rigetto delle domande di fallimento intervenga entro e non oltre il decorso dell’anno dalla cancellazione della società, restando solo in tal caso irrilevante la circostanza che la pronuncia della successiva sentenza dichiarativa di fallimento intervenga oltre il suddetto termine annuale».

Corte di Cassazione, sez. I, Ordinanza n. 10775 del 24 aprile 2025

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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