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Apertura di credito in conto corrente

Apertura di credito in conto corrente, presupposto per la restituzione dell’indebito è che esista un pagamento, chiusura del conto

Pubblicato il 15 July 2020 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di TERAMO

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. ssa ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 596/2020 pubblicata il 10/07/2020

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2007 promossa da:

XXX, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. sito in che la rappresentata e difende giusta procura in calce all’atto di citazione.

ATTRICE CONTRO

BANCA YYY S.P.A, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. del Foro di, giusta procura generale alle liti autenticata dal Notaio in data 14.02.1995, entrambi elettivamente domiciliati in presso lo studio dell’Avv.

CONVENUTA

Conclusioni: le parti precisano come da verbale di udienza del 23.11.2017 e 06.12.2018

Oggetto: Bancari (deposito bancario, cassetta di sicurezza, apertura di credito bancario).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con atto di citazione, ritualmente notificato il 07.03.2007, la sig.ra XXX conveniva in giudizio la Banca YYY SpA (d’ora in avanti YYY) per sentirla, previo accertamento della nullità delle condizioni applicate dalla Banca, condannare, in ordine al rapporto di conte corrente con affidamento n. acceso in data 1° agosto 1990 presso la filiale di, al pagamento della somma complessiva di € 25.000,00, o di quella maggiore o minore che sarà accertata in corso di causa, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole operazioni ovvero dal giorno della domanda, nonché condannare la convenuta al risarcimento dei danni sofferti dall’attrice nella misura che risulterà in corso di istruttoria con interessi e rivalutazione monetaria. Con vittoria di spese e competenze di giudizio.

A fondamento della domanda l’attrice deduce l’illegittima applicazione di tasso usurario nonché, in assenza di valida pattuizione scritta, di: interessi ultralegali, capitalizzazione trimestrale degli interessi, commissioni di massimo scoperto nonché spese e commissioni addebitate a vario titolo.

Alla prima udienza del 04.07.2007 si costituiva in giudizio la YYY respingendo la domanda attorea per infondatezza in fatto e in diritto ed eccependo la legittimità delle condizioni praticate. Deduceva in particolare: 1) la legittimità degli elementi che hanno concorso a formare le risultanze del conto corrente in ragione della decadenza del correntista dal diritto di contestare le annotazioni contabili di cui agli estratti conto e conseguente cristallizzazione dei reciproci rapporti di credito– debito derivanti dal rapporto di conto corrente; 2) la legittimità degli addebiti di interessi ultralegali il cui pagamento, in assenza di pattuizione scritta, configurerebbe l’adempimento di un’obbligazione naturale non ripetibile ai sensi dell’art. 2034 c.c.; 3) la legittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi in forza di consolidato uso normativo cui deve ricondursi l’uso bancario della capitalizzazione; 4) la legittima applicazione delle CMS, comunicate periodicamente alla cliente, quale legittima retribuzione dell’affidamento concesso; 5) l’intervenuta prescrizione decennale dell’eventuale diritto alla restituzione delle somme asseritamente versate senza titolo.

Depositate le memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c. veniva disposta CTU nominando consulente la Dott.ssa ***.

All’udienza del 19.12.2011 il giudizio veniva sospeso ai sensi dell’art. 295 c.p.c. e successivamente riassunto con istanza del 14.09.2012 di parte attrice. Con ordinanza del 17.09.2012 il G.I. disponeva quindi la comparizione delle parti con invito a transigere la controversia. La causa subiva, su richiesta delle parti, diversi rinvii per favorire lo svolgimento di trattative di bonario componimento della lite, comunque non andate a buon fine.

Le parti precisavano le conclusioni come da verbale di udienza del 23.11.2017 e del 06.12.2018 e la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c..

La domanda è solo in parte fondata e deve essere accolta nei limiti e per le ragioni che seguono. L’attrice deduce l’apertura di un conto corrente di corrispondenza n. acceso in data 01.08.1990 presso la YYY filiale di cui veniva concessa una linea di credito e sul quale la Banca provvedeva ad addebitare somme per illegittima applicazione di interessi ultralegali, CMS e altre spese e commissioni a vaio titolo addebitate e anatocismo, chiedendo quindi la ripetizione di quanto indebitamente corrisposto alla Banca previo accertamento della nullità delle clausole contrattuali applicate e ricalcolo del saldo.

Passando subito ad analizzare il merito della controversia deve rilevarsi in primis che dagli atti di causa nulla si rinviene in ordine alla data di estinzione del conto corrente in contestazione e l’espressione utilizzata dall’attrice nel suo atto introduttivo “Dalla data di accensione (1990) ad oggi ” portano a ritenere che detto conto era ancora aperto al momento della notifica dell’atto di citazione. Ne consegue che la domanda restitutoria è inammissibile in quanto, nell’ipotesi di conto corrente ancora aperto, non è configurabile alcun “pagamento” in senso proprio. Come affermato da ormai costante giurisprudenza sulla scia delle note decisioni delle Sezioni Unite, il presupposto per la restituzione dell’indebito è che esista un pagamento, vale a dire un versamento solutorio: situazione che si verifica quando il versamento avviene in un conto scoperto privo di un’apertura di credito oppure quando il limite dell’apertura di credito è stato superato. Invero, i versamenti effettuati intra fido nel corso del rapporto svolgono una funzione unicamente ripristinatoria della provvista della quale il correntista può ancora continuare a godere. In tale situazione, potrà dunque parlarsi di pagamento soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto. L’inammissibilità dell’azione di ripetizione assorbe l’eccezione di prescrizione decennale sollevata dalla Banca convenuta, eccezione che avrebbe dovuto, comunque, essere dichiarata inammissibile in quanto proposta oltre il termine di decadenza stabilito dall’art. 167 c.p.c..

Ma l’inammissibilità dell’azione di restitutoria in caso di conto ancora aperto non preclude al correntista la facoltà di agire nel corso del rapporto per ottenere una rettifica delle risultanze del conto. Invero la Corte di Cassazione ha individuato l’interesse ad agire da parte del correntista per almeno tre ordini di ragioni: a) l’esclusione, in futuro, di annotazioni illegittime; b) il ripristino, per il correntista, di una maggiore estensione dell’affidamento concesso, nel tempo eroso da addebiti contra legem; c) la riduzione dell’importo (se) a credito richiedibile dalla Banca, alla chiusura del conto (Cass. n. 21646/2018).

Pertanto, il Giudice non può esimersi dal pronunciarsi, sulla domanda di accertamento della nullità delle clausole contrattuali su cui si fondano gli addebiti in contestazione nonché di rideterminazione del saldo quale conseguenza delle dette nullità, giacché, come detto, l’acclarata insussistenza di rimesse solutorie (era onere della Banca indicare, individuandole in maniera specifica, quali fossero le singole rimesse solutorie) non esclude l’interesse della correntista rispetto alle pronunce invocate.

Nemmeno può attribuirsi rilievo a quanto dedotto dalla Banca convenuta in ordine al fatto che, nel corso del rapporto, sia eventualmente intervenuta tacita approvazione ex art. 1832 c.c. (applicabile al conto corrente bancario in forza del richiamo operato dall’art. 1857 c.c.) degli estratti conto periodicamente trasmessi al cliente, atteso che la loro mancata tempestiva contestazione rende inoppugnabili gli accrediti e gli addebiti solo sotto il profilo fattuale/contabile, ma non sotto quello della validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti e che hanno dato luogo agli stessi addebiti e accrediti (ex multis: Cass. 11626/11; 12372/06; Cass. 3574/11).

Passando ad analizzare le altre questioni, in atti risulta prodotto, come verificato anche dal CTU, documento sottoscritto dall’attrice datato 01.08.1990 contenente comunicazione al cliente dell’apertura a suo nome di un conto corrente di corrispondenza in cui si precisa che “detto conto sarà regolato, salva diversa pattuizione, dalle norme che regolano i conti correnti di corrispondenza e servizi connessi a tergo della presente riportate ed alle “Condizioni d’uso””. (All.7 fascicolo di parte attrice). Come allegato 7, vi è altro documento sottoscritto dall’attrice in data 01.08.1990, in cui la stessa dichiara di aver preso nota che i conti correnti accesi, nonché i servizi ad essi connessi, sono regolati dalle norme riportate a tergo dello stesso modulo, con dichiarazione di conoscere e accettare. In atti non si rinvengono pattuizioni ulteriori e diverse.

Sugli interessi ultralegali si deve aggiungere poi che, in ordine al tasso convenzionale degli interessi passivi, determinato in misura ultralegale, l’art. 7 delle Norme generali (allegato 7 pag. 18 fascicolo parte attrice) stabilisce che: “Gli interessi dovuti dal Correntista all’Azienda di credito sono determinati nella misura che l’Azienda di credito porta a conoscenza del Correntista con apposita comunicazione o mediante indicazione negli estratti conto ;…In mancanza di determinazione del Tasso ai sensi del precedente comma, gli interessi sono dovuti nella misura pari al Tasso Ufficiale di Sconto maggiorato di cinque punti e mezzo”.

L’art. 1284, co. 3, c.c., a mente del quale gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, è rispettato laddove la determinazione del tasso convenzionale degli interessi ultralegali avvenga anche per relationem, a condizione però che la relativa pattuizione contenga un richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obiettivamente individuabili e funzionali alla concreta definizione del saggio di interesse (Cass. n. 12967/2018;Cass. n. 22179/2015; Cass. n. 25205/2014; Cass. n. 2072/2013).

Ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione (Cass. n. 12967/2018; Cass. n. 22179/2015; Cass. n.2072/2013; Cass. nn. 12276/2010, 2317/2007, 14684/2003).

In base a tali presupposti la Cassazione ha ritenuto rispettati il requisito della pattuizione scritta e il criterio della determinazione del saggio ultralegale in maniera obiettiva ed individuabile, nella seguente clausola: «gli interessi dovuti dal correntista all’azienda di credito sono determinati nella misura che l’azienda di credito porta a conoscenza del correntista con apposita comunicazione o mediante gli estratti conto …in mancanza di determinazione gli interessi sono dovuti in misura pari al tasso ufficiale di sconto maggiorato di cinque punti e mezzo”, affermandone, quindi la legittimità. (Cass. n.12967/ 2018).

Pertanto, non è affetta da nullità la clausola di cui all’art. 7 delle predette Norme generali di contratto che individua per relationem il tasso di interesse passivo, facendo riferimento, in mancanza di altra indicazione, al tasso ufficiale di sconto maggiorato di cinque punti e mezzo. Quanto alle Commissioni di Massimo Scoperto, già prima dell’entrata in vigore dell’art. 2 bis della Legge n. 2 del 2009, in assenza di previsione normativa, la Corte di Cassazione aveva definito la c.m.s. definendola come la “remunerazione accordata alla Banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma” (Cass. n. 870/2006; Cass. n. 11772/2002).

Successivamente all’entrata in vigore della suddetta normativa l’applicazione della c.m.s. era considerata legittima solo se conforme alle condizioni ivi indicate, dovendo altrimenti essere considerata nulla e disapplicata (art. 2 bis: 1. Sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido. Sono altresì nulle le clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore del cliente titolare di conto corrente indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma, ovvero che prevedono una remunerazione accordata alla banca indipendentemente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, salvo che il corrispettivo per il servizio di messa a disposizione delle somme sia predeterminato, unitamente al tasso debitore per le somme effettivamente utilizzate, con patto scritto non rinnovabile tacitamente, in misura onnicomprensiva e proporzionale all’importo e alla durata dell’affidamento richiesto dal cliente e sia specificatamente evidenziato e rendicontato al cliente con cadenza massima annuale con l’indicazione dell’effettivo utilizzo avvenuto nello stesso periodo, fatta salva comunque la facoltà di recesso del cliente in ogni momento). Norma successivamente abrogata dall’art. 27 comma 4 del d.l. 24 gennaio 2012 n.1 convertito in L. n. 27 del 24 marzo 2012.

Con l’entrata in vigore del nuovo art. 117 bis del D.Lgs. 385/93 – Testo Unico Bancario- inserito dall’articolo 6-bis, comma 1, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 (convertito con L. n. 214 del 22/12/2011) – si è provveduto a disciplinare per il futuro la clausola contrattuale della c.m.s., stabilendo precisi requisiti, in assenza dei quali la clausola deve ritenersi nulla.

Per i rapporti già in essere l’art. 27 del D.L. 24 gennaio 2012 n.1 (convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27) ha stabilito che le disposizioni applicative dell’art. 117-bis devono essere adottate con delibera CICR entro il 31 maggio 2020 e la complessiva disciplina entra in vigore non oltre il 1º luglio successivo. I contratti di apertura di credito e di conto corrente in corso sono adeguati entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della predetta delibera CICR con l’introduzione di clausole conformi alle disposizioni di cui all’articolo 117-bis del D.Lgs 385/1993.

Fatti questi brevi cenni sulla c.m.s., passiamo ad esaminare al caso che ci occupa.

Come osservato correttamente dal CTU, il contratto sottoscritto il 01.08.1990 non contiene alcuna specifica pattuizione in ordine alle c.m.s. All’art. 7 delle “Norme generali” viene stabilito che le c.m.s. verranno applicate e rese note secondo gli stessi criteri stabiliti per gli interessi, ma non vengono indicati criteri univoci per la determinazione, infatti si legge: “le operazioni di accredito e di addebito vengono regolate secondo i criteri concordati con il Correntista o usualmente praticati dalle Aziende di credito sulla piazza con le valute indicate nei documenti contabili o comunque negli estratti conto. Secondo gli stessi criteri sono applicate e rese note le commissioni di massimo scoperto e le spese di tenuta conto”

Una tale pattuizione è del tutto generica e rinvia sia ad accordi che non risultano, sia a usi di piazza, sia a indicazioni future e unilaterali, e le eventuali comunicazioni periodiche di variazione delle condizioni economiche non sono sufficienti a sanare l’eventuale assenza o nullità della pattuizione originaria della diverse condizioni economiche.

La c.m.s. deve ritenersi legittima solo ove contrattualmente determinata sia per quanto concerne l’aliquota sia per quanto concerne l’individuazione della base di calcolo, o quanto meno determinabile nel suo ammontare e nelle modalità con cui viene computata. Nel caso di specie, dunque, l’applicazione di c.m.s. deve ritenersi illegittima per violazione dell’art. 1418, c.2, c.c. per indeterminatezza dell’oggetto.

In punto di anatocismo, poi, si osserva che, come riferito dal CTU, la Banca ha applicato la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e alla capitalizzazione annuale degli interessi creditori sino al 22/04/2000, successivamente ha applicato la capitalizzazione trimestrale in modo reciproco sia per gli interessi attivi che per i passivi, oltre che per la c.m.s., le spese di chiusura, di invio documentazione, di rimborso imposta di bollo ecc…

Indubbio che per quanto concerne il periodo precedente il primo luglio 2000 non è possibile alcuna capitalizzazione degli interessi passivi, e ciò sulla base della ormai granitica giurisprudenza inaugurata dalle sezioni semplici della Corte di Cassazione nel 1999 e confermata dalle Sezioni Unite con le storiche sentenze 21095/2004 e 24418/2010 e mai più disattesa che ritiene illegittimo l’anatocismo trimestrale degli interessi debitori applicato dagli istituti di credito in quanto fondato su un uso negoziale contrariamente a quanto previsto dall’art. 1283 c.c., difettando tale uso del necessario requisito soggettivo consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, adottando un certo comportamento, ad una norma giuridica.

Successivamente l’art. 25 del D.Lgs. n. 342 del 1999 modificando l’art. 120 del T.U.B aveva consentito le clausole di capitalizzazione anticipata, stabilendo al 2° e 3° comma che: “Il CICR stabilisce modalita’ e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attivita’ bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori. Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma 2, sono valide ed efficaci fino a tale data e, dopo di essa, debbono essere adeguate al disposto della menzionata delibera, che stabilirà altresì le modalità e i tempi dell’adeguamento. In difetto di adeguamento, le clausole divengono inefficaci e l’inefficacia può essere fatta valere solo dal cliente”.

Ecco allora che con la delibera CICR del 09.02. 2000, si è consentito alle banche di continuare ad applicare l’anatocismo trimestrale, seppur condizionata ad una uniforme periodicità degli interessi a debito e a credito. Così, mentre per i nuovi contratti l’art. 6 della citata delibera richiede che le “clausole relative alla capitalizzazione degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto”, per i contratti in corso la norma transitoria dell’art. 7 prevede un meccanismo di adeguamento basato sulla specifica approvazione da parte del cliente delle nuove condizioni contrattuali qualora peggiorative rispetto alle condizioni precedentemente applicate. Qualora invece le nuove condizioni non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, l’art. 7 consente l’adeguamento, da parte della Banca e degli intermediari, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, e delle nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, e, comunque, entro il 30/12/00. 3.

La Banca espone di essersi adeguata, dopo l’entrata in vigore della delibera CICR, alle condizioni in essa indicate e ritiene pertanto che, a decorrere da tale data, la capitalizzazione fosse legittima. La tesi non ha pregio in ragione della declaratoria di incostituzionalità che ha investito il comma 3 dell’art. 25 del D.Lgs 342/1999 per violazione dell’art. 76 della Costituzione. (Corte Cost. n. 425 del 17.10.2000).

La declaratoria di incostituzionalità ha comportato la disapplicazione dell’art. 7 della delibera CICR del 9.2.2000 (Norme transitorie), che non ha più un fondamento nella normativa primaria (art. 25 comma 3 D.Lgs 342/1999). Ne consegue che le clausole anteriormente stipulate sono nulle e restano nulle, sia per il periodo anteriore, sia per il periodo successivo, e non ne è possibile alcun adeguamento.

Ma, quand’anche si ritenesse diversamente, sarebbe stato comunque necessario, ai sensi del combinato disposto degli artt. 6 e 7 comma 2 della delibera, trattandosi di modifica evidentemente peggiorativa rispetto alla pregressa situazione nella quale gli interessi anatocistici erano tout court nulli, una nuova specifica pattuizione.

Non risultando dedotto dalla Banca che vi sia mai stata, dopo il 09.04.2000, una nuova valida pattuizione della capitalizzazione, deve quindi essere esclusa qualsiasi forma di capitalizzazione (sullo specifico punto, si veda Cass., 17.8.2016 n. 17150).

Sotto altro profilo, non possono nemmeno applicarsi, al contratto di conto corrente bancario, come invece sostenuto dalla Banca convenuta, gli artt. 1823 e 1831 c.c., previsti per il conto corrente ordinario, secondo i quali gli interessi sono liquidati ad ogni chiusura del conto e la relativa capitalizzazione è inserita nella liquidazione del saldo, atteso che il contratto di conto corrente bancario, diverso per struttura e funzione dal conto corrente ordinario (nel c/c ordinario le rimesse annotate sono inesigibili ed indisponibili sino alla chiusura del conto essendo destinate alla compensazione con eventuali futuri crediti di controparte mentre in quello bancario il credito disponibile nel conto è sempre quello disponibile sulla base del saldo giornaliero; nel conto corrente ordinario le singole rimesse mantengono la loro individualità mentre in quello bancario perdono la loro individualità, nel senso che non danno luogo a rapporti di credito/debito autonomi tra loro ingenerando semplici variazioni del saldo disponibile), risulta essere specificamente disciplinato dagli artt. 18521857 c.c. e l’art.1857 c.c. non richiama, tra le norme del conto corrente ordinario applicabili al conto corrente bancario, gli artt. 1823 e 1831 c.c. (v. sul punto Cass. n.14091/2002; n.6187/2005).

Deve pertanto dichiararsi la nullità della clausola contrattuale relativa alla capitalizzazione degli interessi e il saldo dovrà essere ricalcolato senza meccanismi anatocistici.

Sulle altre spese la Ctu ha evidenziato l’addebito in ogni trimestre di spese a vario titolo (spese per bollo, invio estratto conto e documentazione varia, come previsto nell’art. 7 delle Norme generali di contratto, oltre spese forfettarie non meglio specificate, variate nel corso del rapporto da un importo di € 10,33, come risultante dal primo estratto conto disponibile, ad un importo di € 16,00, nell’ultimo estratto conto) malgrado nel contratto di conto corrente manchi di qualsivoglia pattuizione al riguardo. Ne consegue che nel ricalcolo del saldo detti costi dovranno essere epurati.

Pertanto, per quanto riguarda il metodo di calcolo, nel rispetto del principio generale sull’onere della prova, qualora sia il correntista ad agire in giudizio, formulando domanda di accertamento del saldo e di ripetizione delle somme indebitamente riscosse dalla Banca, sarà suo onere provare i fatti costitutivi della domanda producendo in giudizio la sequenza completa degli estratti conto a partire dal saldo zero. In mancanza, la base del ricalcolo dovrà individuarsi nel saldo iniziale evincibile dal primo estratto conto disponibile, non potendo trovare applicazione, in tal caso, il principio della vicinanza della prova con l’azzeramento del saldo negativo riportato dal primo estratto conto disponibile, in quanto l’estratto iniziale “ era necessariamente stato inviato ex lege ai correntisti i quali ne avevano o ne avevano avuto la disponibilità avendone altresì l’onere di conservazione e sotto tale profilo gli stessi erano in posizione paritaria rispetto alla banca sotto il profilo della possibilità di produrre il documento”. (Cass. Civ. Sez. I, n. 9201/2015). Del resto non risulta che nel corso del rapporto l’attrice abbia mai contestato omissioni o ritardi da parte della Banca nell’invio degli estratti e delle altre comunicazioni.

Nel caso di specie l’esame del CTU e il ricalcolo del saldo sono stati effettuati sulla base di una documentazione incompleta e frammentaria. Il CTU ha, dunque, effettuato la ricostruzione del saldo, assumendo quale saldo iniziale del conto corrente quello per valuta relativo al primo estratto conto disponibile (31.03.1995), e, successivamente, i saldi per valuta degli estratti immediatamente precedenti depurati delle rettifiche operate.

Il CTU ha quindi provveduto al ricalcolo del saldo del c/c considerando il tasso convenzionale come stabilito in via suppletiva dall’art. 7 delle Norme generali di contratto (facendo riferimento, al Tasso Ufficiale di Sconto maggiorato di 5 punti e mezzo) avendo cura di verificare che non sia stato mai superato dalla Banca. Ha provveduto alla eliminazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi (dare/avere) e di ogni forma di capitalizzazione, fino all’entrata in vigore della delibera CICR del 09.02.2000 (entrata in vigore 22.04.2000) e, per il periodo successivo, non rinvenendo agli atti approvazione scritta delle nuove condizioni nonché la comunicazione di cui all’art. 7 della citata delibera (sul punto si rinvia quanto sopra detto in merito all’art. della delibera CICR del 2000), non operando alcuna capitalizzazione. Il Ctu ha provveduto, inoltre, a calcolare la c.m.s. con capitalizzazione trimestrale, specificandone il relativo importo qualora ritenuta non dovuta.

Sulla base del suesposto ricalcolo è emerso un saldo a debito del correntista al 30.09.2006 (ultimo estratto conto disponibile) di € 2.384,75 (Tabella C). Tale saldo deve essere epurato dalle c.m.s. e le spese applicate dalla Banca, pari a € 56,12 le prime e € 591,13 (Tabella C) in quanto prive di pattuizione, con conseguente riduzione dell’esposizione debitoria a € 1.737,50.

Concludendo, si può affermare che il conto corrente n. 11115 alla data del 30.09.2006 presentava un saldo a debito di € 1.737,50.

Deve essere rigettata la domanda di risarcimento del danno alla luce dell’inammissibilità della domanda di ripetizione di indebito.

Quanto alle spese di lite, l’inammissibilità della domanda di ripetizione e il rigetto della domanda di risarcimento, inducono questo Giudicante a compensare interamente tra le parti le spese di giudizio, compreso le spese di CTU.

P.Q.M.

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa, definitivamente pronunciando nella causa iscritta in primo grado al n. /07 R.G.A.C.C. promossa da XXX nei confronti di Banca YYY SpA, in persona del legale rappresentante p.t., ogni altra istanza e richiesta disattesa o assorbita, così provvede:

– Dichiara inammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito;

– Dichiara la nullità della clausola negoziale relativa alle c.m.s. nonché l’illegittima applicazione delle spese a vario titolo applicate ;

– Dichiara che il c/c n. acceso presso la filiale di presenta un saldo a debito al 30.06.2006 di € 1.737,50;

– Le spese di giudizio e le spese di CTU sono interamente compensate tra le parti.

Così deciso in Teramo, il 10. 7.2020

IL GIUDICE ONORARIO

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