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La responsabilità del liquidatore nei reati fallimentari

La responsabilità del liquidatore nei reati fallimentari trova il suo fondamento nella violazione degli obblighi in cui si specifica la posizione di garanzia, circoscritta dal mandato liquidatorio cui è finalizzata la fase societaria. Nondimeno, ove la vendita sia eseguita con modalità tali da configurarsi quale operazione priva ex ante di qualsivoglia grado di ragionevolezza rispetto al raggiungimento dello scopo liquidatorio, la dismissione del patrimonio viene ad iscriversi a pieno titolo nel novero delle condotte che generano la responsabilità del liquidatore.

La responsabilità del liquidatore nei reati fallimentari trova il suo fondamento nella violazione degli obblighi in cui si specifica la posizione di garanzia, circoscritta dal mandato liquidatorio cui è finalizzata la fase societaria.

La responsabilità del liquidatore deriva, infatti, non solo dall’art. 223 L.F., ma anche dall’art. 2489 c.c., che rinvia alle norme in tema di responsabilità degli amministratori e, quindi, anche all’art. 2392 c.c., il quale fissa un principio di ordine generale – per il quale l’amministratore deve vigilare sulla gestione ed impedire il compimento di atti pregiudizievoli, oltre che attenuarne le conseguenze dannose – di guisa che sussiste anche per i liquidatori una posizione di garanzia del bene giuridico penalmente tutelato, con conseguente ineludibile responsabilità, ex art. 40 cpv c.p., ove i detti obblighi siano disattesi; inoltre, i liquidatori hanno l’obbligo di ricevere in consegna i libri sociali.

Nella delineata prospettiva, deve affermarsi come, nella fase di liquidazione, al perseguimento dello scopo sociale si sostituisce il mandato, teleologicamente orientato, di liquidazione delle attività, finalizzata al soddisfacimento dei creditori – che, difatti, sono titolari di poteri di vigilanza, controllo e persino di veto – di cui la vendita costituisce lo strumento principale, assumendo precipua funzione di monetizzazione.

Nondimeno, ove la vendita sia eseguita con modalità tali da configurarsi quale operazione priva ex ante di qualsivoglia grado di ragionevolezza rispetto al raggiungimento dello scopo liquidatorio, la dismissione del patrimonio viene ad iscriversi a pieno titolo nel novero delle condotte che generano la responsabilità del liquidatore.

Deve, pertanto, affermarsi che costituisce condotta dissipativa la vendita, da parte del liquidatore, di beni sociali, eseguita con modalità tali da configurarsi quale operazione priva ex ante di qualsivoglia grado di ragionevolezza rispetto al raggiungimento dello scopo liquidatorio, con la consapevolezza dell’autore della condotta di diminuirne il patrimonio per scopi estranei al mandato liquidatorio.

La bancarotta fraudolenta per dissipazione ha, infatti, natura di reato di pericolo concreto a dolo generico.

In relazione a tale reato non ha, pertanto, incidenza né la finalità perseguita in via contingente dal soggetto, né si richiede uno specifico intento di arrecare un pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevolezza della mera possibilità di danno che possa derivare alle ragioni creditorie.

Cassazione Penale, Sezione Quinta, Sentenza n. 34812 ud. 20/05/2019 – deposito del 30/07/2019

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