Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4763 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4763 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 3076-2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE a socio unico soggetta all’attività di direzione e di coordinamento di RAGIONE_SOCIALE in persona dell’ Amministratore Delegato, Ing. NOME COGNOME, con sede in San Donato Milanese, INDIRIZZO codice fiscale e iscrizione al Registro delle Imprese di Milano n. 03823300821, partita I.V.A. P_IVA, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME di Roma, INDIRIZZO in forza di procura speciale alle liti in atti, ed elettivamente domiciliata ai fini del presente giudizio presso lo studio del difensore.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F. e P.IVA P_IVA, con sede in Tortona (AL), INDIRIZZO, in persona dei Curatori, dott.ri NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME,
rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME COGNOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO in forza di procura speciale in atti.
-controricorrente –
avverso il decreto ex art. 99 l. fall. pronunciato all’esito del giudizio di opposizione allo stato passivo n. 3600/2019 R.G. dal Tribunale di Alessandria in data 16.12.2020, depositato il successivo 18.12.2020 e comunicato dalla Cancelleria, a mezzo P.E.C., in data 21.12.2020, avente numero cronologico 12732/2020 rep. n. 1688/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto impugnato il Tribunale di Alessandria, decidendo sulla opposizione allo stato passivo proposta da RAGIONE_SOCIALE contro il Fall. ‘RAGIONE_SOCIALE, ha rigettato la così proposta opposizione, confermando il provvedimento emesso dal g.d. che aveva a sua volta rigettato la domanda di ammissione al passivo in via prededuttiva ovvero, in subordine, in via chirografaria del credito risarcitorio collegato alla vicenda traslativa, intervenuta ai sensi dell’art. 163 -bis l. fall., dei rami di azienda qui di seguito descritti.
Per la migliore comprensione della odierna vicenda processuale, occorre ripercorrere le vicende negoziali e procedurali antecedenti alla dichiarazione di fallimento.
2.1 Il Gruppo RAGIONE_SOCIALE, prima del fallimento, svolgeva attività nel settore delle bioenergie e delle tecnologie avanzate per la produzione di biocombustibili e di molecole ‘verdi’ da biomasse ligneocellulose. Di tale gruppo facevano parte le quattr o società raggruppate nel c.d. ‘RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
2.2 In data 16.10.2017 le società del gruppo presentavano domanda di concordato con riserva al Tribunale di Alessandria. Nelle more RAGIONE_SOCIALE
advisor del Gruppo COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME, individuava RAGIONE_SOCIALE, società controllata dall’ENI, come possibile acquirente delle aziende del ‘RAGIONE_SOCIALE‘. 2.3 RAGIONE_SOCIALE procedeva ad una due diligence sulle società del gruppo. La proposta concordataria veniva formalizzata tra il 22.02 e il 23.04.2018 e prevedeva la cessione unitaria dei complessi aziendali facenti capo alle società del ‘RAGIONE_SOCIALE‘ RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE. Contestualmente, RAGIONE_SOCIALE formulava offerta irrevocabile di acquisto dei predetti rami d’azienda, subordinata all’esito favorevole della procedura competitiva che il Tribunale avrebbe dovuto indire a norma dell’art. 163 -bis l. fall.
2.4 La procedura competitiva avviata sulla proposta di cessione unitaria delle aziende del ‘RAGIONE_SOCIALE‘ non vedeva , tuttavia, la presentazione di offerte, non permettendo di individuare altro concorrente oltre a RAGIONE_SOCIALE, che veniva pertanto individuata come acquirente definitivo, con autorizzazione resa dal Tribunale, con decreto ex art. 161, 7° co., l. fall. del 29.09.2018, alle società in concordato a concludere il contratto unitario di cessione di rami d’azienda. 2.5 Con atto pubblico datato 31.10.2018, le società del Gruppo RAGIONE_SOCIALE cedevano a RAGIONE_SOCIALE le aziende del ‘RAGIONE_SOCIALE‘, considerate come complesso unitario. Più precisamente, l’acquisto del ramo d’azienda facente capo a RAGIONE_SOCIALE (ex RAGIONE_SOCIALE) comprendeva, in Comune di Crescentino, un impianto di produzione di bio-etanolo e un annesso impianto di cogenerazione alimentato a biomasse, che avrebbe dovuto produrre simultaneamente energia termica mediante vapore ed energia elettrica con una potenza erogata di 12,5 MW/h ( l’impianto di cogenerazione, indicato come ‘RAGIONE_SOCIALE‘, era utilizzato in leasing dalla società consorella RAGIONE_SOCIALE, ed era stato da questa affittato ad RAGIONE_SOCIALE; entrambe le strutture erano state in funzione tra il 2013 e il 2017).
2.6 Dopo la conclusione del contratto di cessione del 31.10.2018, RAGIONE_SOCIALE si sarebbe avveduta, per tramite delle indagini tecniche affidate alla società RAGIONE_SOCIALE, di una serie di gravi vizi e/o difformità riguardanti sia l’impianto di produzione di bio-etanolo, sia la centrale elettrica a cogenerazione. Più in particolare, quanto al l’impianto per il bio -etanolo, (a) il 13 % delle macchine e delle quasi macchine sarebbe stato sprovvisto dei certificati amministrativi di conformità o di incorporazione; (b) l’impi anto elettrico avrebbe presentato
una serie di irregolarità rispetto alla normativa di legge, con necessità di interventi di adeguamento; (c) l’area a ridosso della caldaia non sarebbe risultata a norma per il rischio incendi; (d) il documento di valutazione rischi quanto agli scarichi in atmosfera sarebbe risultato carente o incompleto; (e) la valutazione rischi di esplosione non sarebbe stata aggiornata; e (f) le due caldaie ‘a tubi di fumo’ non sarebbero state da subito utilizzabili per via del loro cattivo stato di manutenzione. A sua volta, la centrale elettrica non avrebbe assicurato il rendimento in energia elettrica e in energia termica prodotte simultaneamente nei termini garantiti dalle venditrici.
2.7 Dichiarato inammissibile il concordato del gruppo ed apertosi il fallimento per tutte le società, RAGIONE_SOCIALE ha presentato domanda di ammissione al passivo del Fall. RAGIONE_SOCIALE GIÀ RAGIONE_SOCIALE per un danno quantificato in € 43.800.000, che le sarebbe derivato, in termini di lucro cessante, dalle difformità riscontrate nel complesso aziendale acquistato rispetto a quanto indicato nel contratto di cessione e a quanto programmato nel business plan predisposto, in fase di trattative, da COGNOME come advisor di COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME; la somma è stata richiesta, in via gradata, in prededuzione come debito sorto nel corso della procedura concordataria ovvero in chirografo.
3. Il Tribunale di Alessandria, nel rigettare la proposta opposizione allo stato passivo e nella resistenza della curatela fallimentare, ha osservato e rilevato che: (i) risultava fondato il rilievo della curatela sulla non applicabilità nel caso di specie della garanzia per i vizi, di cui agli artt. 1490 e 1497 cod. civ., essendo quella in esame una vendita forzata, agli effetti dell’esclusione prevista dall’art. 2922 cod. civ.; (ii) la natura di vendita forzata della cessio ne di aziende, rami d’azienda o di singoli cespiti, avvenuta all’esito di una procedura competitiva avviata ai sensi dell’art. 163 -bis l. fall., poteva infatti essere agevolmente desunta sia dall’art. 182, 5° co., l. fall., sia più in generale dalle speciali modalità con cui veniva effettuata e dalle finalità che la relativa procedura perseguiva; (iii) l’art. 182, 5° co., l. fall. stabilisce che ‘alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli artt. da 105 a 108ter l. fall. in quanto compatibili’, con la conseguenza
che il richiamo alle disposizioni riguardanti l’alienazione del patrimonio del fallito consentiva di ritenere che tutte le vendite disposte dal tribunale o sotto il controllo di esso in una procedura di concordato fossero attuative di un concordato omologato ovvero prodromiche e strumentali ad una composizione concordata della crisi, ma pur sempre svolgendosi sotto il controllo giudiziale, alla stregua di vendite forzate cui si applicavano pertanto le disposizioni dettate dagli artt. 2919 ss. cod. civ.; (iv) la circostanza che il procedimento delineato dall’art. 163 -bis l. fall. fosse in parte diverso e speciale rispetto a quello descritto dagli artt. 105 -108 ter l. fall. non impediva di ritenere comunque ricompresa nella generale previsione dell’art. 182, 5° co., la vendita avvenuta ai sensi dell’art. 163 -bis l. fall.; (iv) la natura coattiva della vendita in esame era inoltre stata confermata sia dalla circostanza che doveva essere disposta obbligatoriamente dal Tribunale, a prescindere dalla volontà del debitore (il quale avrebbe dovuto, anzi, nella ipotesi si fosse pervenuti all’individuazione di un diverso e miglior offerente, modificare di conseguenza l’originaria proposta di concordato, con conseguente prevalenza della selezione giudiziale sulla autonoma privata), sia dalla destinazione del ricavato al soddisfacimento dei creditori concorsuali, sia infine dagli effetti di essa vendita, che prevedono (se si tratta di azienda), l’esenzione da responsabilità per i debiti del cedente, in deroga all’art. 2560 cod. civ.; (v) peraltro, anche il ‘bando’, che aveva dato avvio alla procedura, specificava che la futura cessione delle aziende del ‘RAGIONE_SOCIALE‘ era da ritenersi a tutti gli effetti una vendita forzata, ‘non soggetta alle norme concernenti la garanzia per i vizi o mancanza di qualità’; (vi) non poteva essere invocata, in relazione a vizi o a mancanza di qualità essenziali del bene compravenduto, la disciplina dettata in materia di compravendita, ma solo quella dell’ aliud pro alio ; (vii) nel caso in esame, le carenze riscontrate dalla società di revisione RAGIONE_SOCIALE nell’impianto per il bio -etanolo riguardavano la mancanza di certificazioni di una parte (invero modesta: il 13 % del totale) delle macchine e delle quasi macchine, la conformità di una parte delle strutture (impianto elettrico, le due caldaie ‘a tubi di fumo’, l’area a ridosso delle caldaie) alla normativa di settore e l’incompletezza e/o il mancato aggiornamento di taluni documenti di rischio; (viii) in tema di carenza di autorizzazioni amministrative necessarie
allo svolgimento dell’attività d’impresa inerente l’azienda ceduta, la giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che l’inadempimento consistente nella consegna di un aliud pro alio ricorreva soltanto allorquando la mancanza dei titoli abilitativi corrispondesse all’impossibilità assoluta per l’acquirente di conseguirli, mentre quando a tale mancanza il compratore poteva porre rimedio chiedendo il rilascio dei titoli mancanti agli Enti competenti, sarebbe stata ravvisabile la diversa e minore ipotesi dell ‘assenza di qualità essenziali o pattuite o del vizio redibitorio; (ix) la perizia redatta da APS indicava chiaramente come possibile la messa a norma delle macchine e degli apparecchi dell’impianto nel sito di Crescentino che avrebbero difettato delle prescritte autorizzazioni o che si sarebbero rivelati non conformi alla disciplina di settore, tanto da descrivere il tipo di interventi da compiere e da quantificarne i costi; (x) allo stesso modo sarebbe risultato possibile, sia pure con maggiori costi per l’acquirente, l’aggiornamento e la correzione dei documenti di valutazione del rischio; (xi) era dunque insussistente sotto quest’ultimo profilo la fattispecie dell’ aliud pro alio ; (xii) a loro volta, i difetti riguardanti la centrale elettrica, per quanto emergeva dagli atti, consisteva no, in ultima analisi, nell’assenza di un’adeguata tubazione di collegamento tra le strutture che consentisse di realizzare una cogenerazione di energia elettrica e calore ad alto rendimento; (xiii) tali criticità non avevano determinat o un’oggettiva impossibilità di utilizzare quell’impianto per produrre nello stesso tempo energia elettrica ed energia termica, ovvero di produrla in quantità minimali rispetto a quelle pattuite, bensì non consentivano solo di generare simultaneamente energia elettrica e calore con i rendimenti assicurati dalle società venditrici; (xiv) si trattava, dunque, anche in questo caso, di profili al più riconducibili alle fattispecie di cui agli artt. 1490 o 1497 c.c., ma non certamente alla figura dell’ aliud pro alio ; (xv) nel caso in esame, infatti, sulla base della sola descrizione compiuta dalla compratrice, la centrale elettrica venduta a VERSALIS, anche ammettendo che avesse presentato i difetti di funzionamento e di produzione riscontrati dalla società di revisione, rimaneva sostanzialmente immutata nella sua materialità rispetto alla descrizione contenuta in contratto e nei documenti preparatori, oltre che nella sua concreta idoneità all’utilizzo per gli scopi suoi
propri, ossia per la cogenerazione di energia elettrica e calore; (xvi) se si fosse trattato, infatti, come assumeva COGNOME, di un bene non in grado di funzionare come centrale di cogenerazione o di funzionare in modo assolutamente antieconomico, tale impianto non sarebbe stato attualmente in funzione; (xvii) i difetti in parola, in definitiva, avrebbero inciso solo in termini di minor redditività del bene compravenduto rispetto ai guadagni sperati dall’acquirente, senza tuttavia renderlo totalmente inada tto a svolgere la sua funzione economico-sociale e, in ultima analisi, a produrre reddito, o da renderlo capace di produrre utili in misura assolutamente minimale in rapporto alle caratteristiche proprie di quel tipo di beni; (xviii) tali conclusioni rimanevano immutate sia che la fattispecie dell’ aliud pro alio , come diversità ontologica del bene consegnato rispetto a quello definito in contratto, fosse stata valutata con riferimento al singolo cespite (il ramo IMPIA), sia che la stessa fattispecie fosse stata invece apprezzata con riferimento al complesso unitario di beni (insieme delle aziende del Polo Bio) oggetto del contratto di cessione del 31.10.2018; (xviii) in una valutazione atomistica, i difetti dell’impianto di produzione di bio -etanolo e della annessa centrale elettrica a cogenerazione, pur se ammessi, non avrebbero prodotto in alcun modo una radicale difformità sostanziale del ramo IMPIA rispetto all’impegn o traslativo assunto per esso dai cedenti verso RAGIONE_SOCIALE; e (xix) a maggior ragione, se l’ aliud pro alio fosse stato valutato con riferimento all’intero ‘pacchetto’ oggetto di cessione, formato anche dai rami d’azienda RAGIONE_SOCIALE, tale fattispecie non sarebbe stata comunque rintracciabile nel caso di specie, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE limitandosi a denunciare in giudizio i difetti del ramo RAGIONE_SOCIALE, non aveva né allegato né aveva preso posizione sull’incidenza che tali difformità avrebbero avuto sull’intero complesso compravenduto (ossia, tutte le aziende del Polo Bio), per dimostrare che i vizi da essa riscontrati nell’azienda RAGIONE_SOCIALE avessero prodotto una diversità ontologica di tutto l’insieme delle aziende cedute da COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME ; (xx) la pretesa risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE verso il fall. RAGIONE_SOCIALE si rivelava in conclusione infondata nell’an, con conseguente assorbimento delle questioni relative alla prova dell’esistenza e della quantificazione del danno.
2. Il decreto, pubblicato il 18.12.2020, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1490 e 1497 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. ‘ per aver l’impugnato Decreto attribuito una errata qualificazione giuridica alla fattispecie concreta ‘. 1.1 Si denuncia, cioè, la violazione e falsa applicazione delle norme in materia di vizi e difformità del bene venduto (artt. 1490 e 1497 c.c.) e delle norme in tema di valutazione delle prove da parte del Giudice (artt. 115 e 116 c.p.c.). La ricorrente, in primo luogo, lamenta che il giudice di merito, facendo erronea applicazione della legge e dei principi statuiti dalla giurisprudenza di legittimità, abbia escluso nel caso di specie la sussistenza di un aliud pro alio per aver ritenuto tale fattispecie integrata solo quando il bene venduto sia radicalmente diverso da quello pattuito.
COGNOME passa poi a dolersi di una presunta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per non avere il giudice di merito dedotto dalla relazione redatta da RAGIONE_SOCIALE, società di consulenza ‘appositamente incaricata RAGIONE_SOCIALE‘, ‘l’inservibi -lità’ della centrale elettrica.
1.1.2 Le doglianze, così articolate dalla società ricorrente, cercano, tuttavia, di veicolare in questo giudizio di legittimità, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, un nuovo scrutinio della quaestio facti , tramite la rilettura degli atti istruttori, e ciò con particolare riferimento alla valutazione dell’idoneità economico -funzionale dell’azienda oggetto di trasferimento alle finalità produttive promesse in vendita dalla parte venditrice, giudizio quest’ul timo che, riguardando apprezzamenti di merito, è invece inibito al giudice di legittimità.
1.1.3 Sul punto non è inutile ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, – in tema di ricorso per cassazione –
il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017). Più precisamente è stato affermato sempre dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità che le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019).
Nel caso di specie, la parte ricorrente – solo formalmente dichiarando una presunta difformità tra i principi giurisprudenziali regolanti la materia in esame e le statuizioni del Tribunale – si duole, in realtà, delle valutazioni di merito compiute dal primo giudice, sulla base dell’apprezzamento delle
risultanze probatorie. Censure che rendono, dunque, inammissibile il mezzo di impugnazione così articolato.
1.1.4 Per tali censure non vi è accesso in sede di legittimità neanche invocando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..
Sul punto, è stato infatti chiarito, sempre dalla giurisprudenza di questa Corte, che, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021). Invero, la censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto – come sopra detto – che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., fra le più recenti, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) (Cass. 3 novembre 2020, n. 24395). Nel caso di specie, le censure della ricorrente riguardano una diversa lettura del merito che in questa sede non è consentita, ma a cui la società ricorrente cerca di fornire la veste di un vizio di legittimità.
Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della decisione per violazione dell’art. 132, n. 4,
c.p.c. ‘ per essere il Decreto impugnato affetto da manifesta ed irriducibile contraddittorietà e illogicità ‘.
2.1 Secondo la ricorrente, tale contraddittorietà sarebbe dimostrata dalla circostanza che il Tribunale avrebbe motivato la sua decisione, con riguardo all’impianto di bioetanolo, ‘omettendo di argomentare sulle altre difformità e irregolarità denunciate e documentate e che avrebbero dovuto essere necessariamente considerate per una coerente e logica motivazione del provvedimento’ e, con riguardo alla centrale elettrica, giungendo a d ‘affermazioni con tutta evidenza assolutamente inconciliabili’. Le conclus ioni del giudice di merito, secondo COGNOME sarebbero in particolare in contraddizione con i passaggi delle relazioni APS riportati nello stesso decreto. 2.2 Anche il secondo motivo è inammissibile.
2.2.1 Occorre subito evidenziare che, ancora una volta, la censura avanzata dalla parte ricorrente promuove il tentativo – celato sotto la veste di vizio di legittimità – di sollecitare questa Corte di legittimità ad una diversa valutazione del merito di una vicenda il cui perimetro è stato già insindacabilmente definito dal tribunale, con motivazione adeguata e scevra da evidenti profili di criticità argomentativa. La prospettiva della società ricorrente è sempre quella (già agitata nel primo motivo) di superare le limitazioni in tema di garanzia proprie delle vendite forzate, tentando di percorrere la strada dell’unica censura proponibile, ossia la dimostrazione della esistenza nel caso di specie di un aliud pro alio .
2.2.2 Non esiste la lamentata ‘ manifesta ed irriducibile contraddittorietà e illogicità’ della motivazione impugnata, proprio perché il Tribunale ha spiegato le ragioni per le quali la cessione del ramo di azienda sopra descritto non integrasse un aliud pro alio (con le argomentazioni sopra riassunte in premessa e che qui devono intendersi richiamate), e dunque la idoneità funzionale del complesso aziendale alle finalità produttive offerte dalla parte venditrice.
2.2.3 A ciò va anche aggiunto che la ricorrente richiama strumentalmente nel corpo del motivo solo la prima parte del decreto qui impugnato, laddove lo stesso affermava che ‘ a loro volta, i difetti riguardanti la centrale elettrica, per quanto emerge dagli atti, consistono, in ultima analisi, nell’assenza di
un’adeguata tubazione di collegamento tra le strutture che consenta di realizzare una cogenerazione di energia elettrica e calore ad alto rendimento, ma non determinano un’oggettiva impossibilità di utilizzare quell’impianto per produrre nello stesso tempo energia elettrica ed energia termica, ovvero di produrla in quantità minimali rispetto a quelle pattuite, bensì non consentono di generare simultaneamente energia elettrica e calore con i rendimenti assicurati dalle società venditrici. Così, sul punto, la relazione di APS, riportata alle pagg. 1819 del ricorso introduttivo: ‘Dall’analisi dello stato di fatto della centrale elettrica dell’impianto di Crescentino si è evidenziato che tale centrale non è ad oggi, e non è mai stata, grado di produrre simultaneamente energia elettrica e calore utilizzabile all’esterno del sistema centrale’ (così, richiamando p. 9, decreto impugnato).
Tuttavia, il decreto impugnato prolunga la sua argomentazione e – dopo avere affermato che ‘ d all’analisi dello stato di fatto della centrale elettrica dell’impianto di Crescentino si è evidenziato che tale centrale non è ad oggi, e non è mai stata, in grado di produrre simultaneamente energia elettrica e calore utilizzabile all’esterno del sistema centrale’ – prosegue, affermando che ‘ è attualmente presente la possibilità di ‘spillare’ vapore dalla turbina, che potrebbe quindi consentire la produzione simultanea di energia elettrica e di calore (in forma appunto di vapore esportabile all’impianto di bio -etanolo), ma non esiste alcun collegamento fisico e regolazione di processo che consenta di poter realizzare tale cogenerazione ad alto rendimento, se non un tubo ‘fantasma’ non completato verso l’utenza, senza regolazione. Questa difformità ha generato nel passato il vantaggio di massimizzare la produzione di energia elettrica e il suo export, sovvenzionata dal GSE poiché prodotta da fonte rinnovabile ….’. (c osì, p. 9, decreto impugnato).
Da ciò emerge l’assoluta pretestuosità delle argomentazioni poste a sostegno della già sopra evidenziata ‘irrimediabile contraddittorietà’ della motivazione qui impugnata, posto che non è dato comprendere la denunciata ‘inconciliabilità’ tra quanto si legge nel passaggio argomentativo citato dal Tribunale in cui RAGIONE_SOCIALE, società incaricata da RAGIONE_SOCIALE riconosce come possibile la ‘produzione simultanea di energia elettrica e di calore’ e quanto si legge subito dopo nel decreto allorquando il giudice afferma che la centrale elettrica
‘rimane sostanzialmente immutata nella sua materialità rispetto alla descrizione contenuta in contratto e nei documenti preparatori, oltre che nella sua concreta idoneità all’utilizzo per gli scopi suoi propri ossia per la cogenerazione di energia elettr ica e calore’ ( v. p. 10, decreto impugnato).
Il terzo mezzo denuncia l” omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. in tema di travisamento della prova ‘.
3.1 Secondo la società ricorrente, il decreto impugnato avrebbe riportato ‘informazioni probatorie’ che il Giudice avrebbe posto alla base delle proprie valutazioni che non solo sarebbero con tutta evidenza mancanti sia nella Perizia Stato dei Luoghi che nella Relazione APS Impianto, che, infine, nella Relazione RAGIONE_SOCIALE ma che sarebbero state comunque contraddette dal contenuto di detti documenti, che avrebbero racchiuso risultanze con tutta evidenza diverse e inconciliabili con quelle assunte dal Tribunale. Sussisterebbe pertanto una evidente contraddittorietà tra il dato esistente in atti e quello preso in considerazione dal tribunale.
3.1.2 Ritiene invece il Collegio che quanto denunciato non integri un vizio di travisamento della prova, quanto piuttosto un ‘ impropria richiesta di nuovo apprezzamento dei fatti di causa, su profili argomentativi neanche decisivi ai fini della decisione.
Sul punto, risulta utile ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito che «il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedi o nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto p robatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» (sentenza n. 5792 del 5 marzo 2024).
3.1.3 Nel caso di specie, la ricorrente deduce solo formalmente un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e, in realtà, lamenta, nella sostanza, un presunto errore del giudice di merito per aver asseritamente apprezzamento, in modo contraddit torio, le ‘risultanze istruttorie’.
3.1.4 A ciò va anche aggiunto che il vizio denunciato risulta comunque formulato fuori dal paradigma applicativo delineato dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per come perimetrato dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
Sul punto giova ricordare che, secondo l’arresto da ultimo citato (che ha poi uniformato la successiva giurisprudenza di legittimità), l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Ne consegue che la sottoposizione a questa Corte di una quaestio facti è oggi ammessa solo nei limiti in cui dalla decisione di merito venga in rilievo l’omesso esame non di qualunque circostanza discussa dalle parti, ma solo di quel fatto rilevante che, se preso in considerazione dai giudici di merito, avrebbe determinato una diversa decisione. Ciò non significa, tuttavia, che possa darsi ingresso, in alcun modo, ad una surrettizia revisione del giudizio di merito, dovendosi tener per fermo, il principio secondo cui, in sede di
legittimità, il controllo della motivazione in fatto si compendia nel verificare che il discorso giustificativo svolto dal giudice del merito circa la propria statuizione esibisca i requisiti strutturali minimi dell’argomentazione, senza che sia consentito alla Corte confrontare la sentenza impugnata con le risultanze istruttorie, al fine di prendere in considerazione un fatto probatorio diverso o ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione.
3.1.5 Nel caso di specie, la società ricorrente pretenderebbe invece una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, tramite un riesame degli atti istruttori, per dimostrare l ‘ inidoneità funzionale del compendio aziendale alle finalità promesse nella offerta di vendita del ramo aziendale, scrutinio quest’ultimo che neanche enuclea un ‘fatto storico’, secondo il modello applicativo sopra delineato, nel cui omesso esame sarebbe incorso il giudice dell’opposizione allo stato passivo. A ciò va anche aggi unto che nessuna delle generiche circostanze di fatto ripetutamente evidenziate dalla ricorrente assurge al grado di decisività richiesto dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ, e cioè, nessuna di esse, in altre parole, risulta in grado di interrompere il nesso tra la premessa e la conclusione raggiunta dal giudice di merito, indirizzando il giudizio verso un esito diverso, in ordine alla sussistenza nel caso di specie di un aliud pro alio .
4. Nel quarto motivo la società ricorrente deduce che, nell’ipotesi in cui non si fossero ritenuti ‘ sussistenti i vizi di cui ai precedenti mezzi n. I, II e III ‘ ritenuti assorbenti, il decreto sarebbe ‘ censurabile per violazione e falsa applicazione degli artt. 163 bis, 182, comma 5 e 161, comma 7, tutti r.d. 16.3.1942 n. 267 (‘Legge Fallimentare’ o anche ‘L.F.’) per aver ritenuto applicabile alla fattispecie in esame le disposizioni in tema di vendita forzata agli effetti dell’esclusione prevista dall’art . 2922 c.c .’.
4.1 Ricorda la ricorrente che il provvedimento impugnato aveva infine respinto la sua opposizione, assumendo che si era in presenza di una vendita competitiva di natura coattiva soggetta al regime delle vendite fallimentari, con la conseguente applicazione del principio di competitività e dei suoi corollari, tra i quali l’applicazione dell’art. 2922 c.c., stabilito proprio a garanzia dei creditori.
4.2 Secondo la ricorrente, invece, ‘la fattispecie astratta prevista da dette norme, pur rettamente individuate e interpretate dal Tribunale, non è idonea a regolarlo (cfr. Cass. n. 22084/2020; Cass. n. 21994/2020)’. Il Tribunale avrebbe, così, errato nell’assumere il caso in esame sotto le norme di cui agli artt. artt. 163-bis e 182, comma 5, l. fall. e 2922 cod. civ., qualificando la vendita oggetto di causa come vendita forzata. Secondo la diversa prospettazione della ricorrente, la cessione dei rami di azienda sopra descritti non avrebbe costituito, in alcun modo, una vendita coattiva, in quanto la vendita delle RAGIONE_SOCIALE era stata espressamente autorizzata come atto di straordinaria amministrazione ex art. 161, comma 7, l. fall. a seguito dell’esito negativo della procedura competitiva ex art. 163 -bis l. fall.. Si sarebbe trattato, pertanto, di una vendita di carattere privatistico conclusa a seguito dell’invio dell’offerta vincolante da parte di RAGIONE_SOCIALE e dell’accettazione da part e delle Società del Gruppo, alla quale non si sarebbero potute applicare le norme della legge fallimentare erroneamente richiamate dal Tribunale di Alessandria.
4.3 Sempre secondo la società ricorrente, nella fattispecie in esame non troverebbe applicazione l’art. 182 l. fall., che rinvia agli artt. 105 108 l. fall., atteso che detta disciplina si applicherebbe unicamente ed esclusivamente a tutte quelle vendite competitive che si rendono necessarie in qualsiasi fase della procedura concordataria, prima o dopo l’omologa, ad esclusione della fase ante ammissione concordataria che è regolamentata dall’art. 163 -bis l. fall., con la conseguenza che alle procedure competitive ex art. 163-bis l. fall. non si applicherebbe, con evidenza, la disciplina di cui agli artt. 182 e 105 108 l. fall.
4.4 Ricorda, infatti, la ricorrente che, nel caso in esame, il Tribunale di Alessandria aveva disposto l’apertura di una unica procedura competitiva ex art. 163-bis l. fall. per la vendita dei rami di azienda delle Società del Gruppo, fissando come termine ultimo per la presentazione delle offerte la data del 24.9.2018. Atteso che nel termine del 24.9.2018 non era stata presentata alcuna offerta nell’ambito della procedura competitiva sopra indicata, il Tribunale di Alessandria, con provvedimento in data 26.9.2018 aveva autorizzato tutte le società del gruppo ad accettare l’offerta vincolante come
atto urgente di straordinaria amministrazione ex art. 161, comma 7, L.F. Ne consegue, nella prospettiva della ricorrente, che RAGIONE_SOCIALE non avrebbe acquistato i rami di azienda sopra indicati nell’ambito della procedura competitiva ex art. 163-bis l. fall. disposta dal Tribunale.
4.4.1 Le doglianze articolate dalla ricorrente non meritano condivisione.
Va detto in premessa che la giurisprudenza di questa Corte ha da tempo ritenuto estendibile la disciplina dell’art. 2922 c.c. e, dunque, l’esclusione della garanzia prevista dagli artt. da 1490 a 1497 c.c., relativa ai vizi della cosa e alla mancanza di qualità del bene venduto, a tutte le ipotesi di trasferimenti per loro natura assimilabili a una vendita coattiva e, in particolare, alle vendite disposte in sede di liquidazione dell’attivo fallimentare (in questo senso, cfr. Cass. 12 luglio 2016, n. 14165).
Tale conclusione può essere naturalmente estesa anche con riguardo alle vendite così dette concordatarie. Ed invero, la norma che regola i trasferimenti realizzati nell’ambito di una procedura concordataria (l’art. 182, comma 5, l.fall.) fa espresso rinvio alla disciplina in materia di vendite fallimentari, estendendo alle vendite ‘concordatarie’ i c.d. effetti purgativi, contemplati per l’ipotesi di vendite fallimentari dall’art. 108 l. fall., il quale, come è noto, prevede la cancellazione con decreto del giudice delegato delle iscrizioni relative a diritti di prelazione, delle trascrizioni dei pignoramenti, dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo sui beni trasferiti. Peraltro, l’art. 182, comma 5, l.fall., richiama anche l’art. 105, comma 4, l. fall., che disciplina in realtà gli effetti liberatori dei trasferimenti e delle cessioni di beni nel fallimento, stabilendo che ‘salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedut e, sorti prima del trasferimento’.
4.4.2 A ciò va aggiunto che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 22 ottobre 2020, n. 23139), pur chiamata a pronunciarsi sulla diversa fattispecie della cancellazione delle ipoteche nel caso di cessione realizzata in esecuzione di un concordato in continuità, ha comunque chiarito, in un obiter dictum , che ‘ un simile disposto normativo deve essere inteso come rinvio alle norme espressamente evocate nella loro complessità e, loro tramite, alle regole di pubblicità, competitività e stima che ne costituiscono la precipua trama. La
necessaria competizione nell’ambito di una procedura pubblica di dismissione del bene, che muova dal suo prezzo di stima e favorisca la massima informazione e partecipazione di tutti i soggetti interessati al fine di assicurare il conseguimento del maggior risultato possibile e con esso la miglior soddisfazione dei creditori, costituisce quindi il coacervo di principi a cui intende far richiamo la l.fall., art. 182, comma 5 e la cui applicazione giustifica l’effetto purgativo della vendita procedimentalizza ta ‘. Evidenziando, inoltre, che tale ultima norma è stata introdotta contestualmente all’inserimento ‘ nel panorama normativo concordatario, della l.fall., art. 163-bis, in tema di offerte concorrenti ‘, questa Corte, nell’arresto da ultimo citato, ha ulteriormente chiarito che ‘ la disciplina delle offerte concorrenti, con l’apertura di un procedimento competitivo volto alla ricerca di altri interessati all’acquisto, trova applicazione anche al caso in cui il piano comprenda un’offerta da parte di un soggetto già individuato avente ad oggetto il trasferimento in suo favore a titolo oneroso di specifici beni (e ciò pure nell’ipotesi in cui il debitore abbia stipulato un contratto che abbia la finalità del trasferimento non immediato di tali beni) ‘.
4.4.3 Va rilevato che se pur è vero che l’art. 163 -bis l. fall. prevede una procedura competitiva ancora più stringente rispetto a quella prevista per le vendite effettuate dopo l’omologa dagli artt. 182, comma 5 , e 105 e seguenti l. fall., risulta altrettanto vero che lo stesso 182, comma 5, l. fall., con la modifica introdotta contestualmente all’introduzione dell’art. 163 -bis, medesima legge, si applica, ora, a tutte le vendite ‘effettuate dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di q uesto’. Ne consegue che una formulazione così ampia (e, peraltro, ben diversa da quella che si sarebbe utilizzata se si fosse voluto restringere il campo d’applicazione alle sole vendite successive all’omologazione del concordato) deve ritenersi comprensiv a anche delle vendite precedenti all’omologa e disciplinate dall’art. 163-bis, l. fall.. Con il necessario conseguente corollario che le vendite effettuate, ai sensi dell’art. 163 -bis l. fall., devono ritenersi disciplinate dalla stessa norma e, per quanto non previsto e in quanto compatibile, dagli 105 e seguenti l. fall., in quanto richiamati espressamente dall’art. 182, comma 5, l. fall., con ciò confermandosi l’assunto preliminare secondo cui nel caso di
specie si tratta di vendita coattiva a tutti gli effetti, con tutte le conseguenze sopra illustrate in premessa in ordine al regime normativo applicabile quanto alla disciplina dei vizi e della evizione. Si tratta, infatti, di vendite che si collocano già in una dimensione in cui l’interesse primario da salvaguardare è quello del migliore soddisfacimento dei creditori concorsuali e che vengono eseguite in un regime procedimentalizzato volto alla selezione della migliore offerta di vendita e di cessione dei beni, non lasciate, dunque, alla libera contrattazione delle parti, ma irrigimentate in una procedura che, sebbene non sfociata in una aggiudicazione diretta dopo la competizioni tra le varie offerte concorrenti (qui invero mancanti), ha comunque visto intervenire il trasferimento dei beni (rami di aziende) dalle procedure concordatarie alla società offerente (RAGIONE_SOCIALE tramite la conclusione di singoli atti di cessione d’azienda in favore della predetta società cessionaria, dopo l’espletamento comunque delle procedure competitive. E ciò secondo uno schema espressamente previsto dall’ultimo comma dell’art. 163 -bis l. fall., norma secondo la quale ‘la disciplina del presente articolo si applica, in quanto compatibile, anche agli atti di da autorizzare ai sensi dell’art. 161, settimo comma, nonché all’affitto di azienda o di uno o più rami di azienda’.
4.4.4 Tali conclusioni sono state ora autorevolmente avallate anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sentenza n. 7337 del 19/03/2024) che, nella parte argomentativa della sentenza da ultima citata, hanno definitivamente chiarito, sebbene con riferimento alla potestà purgativa delle vendite coattive, il confine tra vendita negoziale e trasferimento coattivo nell’ambito delle procedure concorsuali. È stato infatti statuito nell’arresto sopra ricordato che ‘ l’art. 108, comma 2, l.fall. prevede il potere purgativo del giudice delegato in stretta ed esclusiva consonanza con l’espletamento della liquidazione concorsuale dell’attivo (disciplinata nella sezione II del capo VI della medesima normativa) secondo le alternative indicate nell’art. 107 l.fall., perché in essa il curatore esercita la sua funzione secondo il parametro di legalità dettato nell’interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine; al contrario, va escluso che la norma possa essere applicata – e il potere purgativo esercitato dal giudice delegato – nei diversi casi in cui il curatore agisce, ex art. 72, ult. comma, l.fall. quale
semplice sostituto del fallito nell’adempimento di obblighi contrattuali da questo assunti con un preliminare di vendita (Cass. Sez. Un., n. 7337/2024, cit. supra ). Secondo il ragionamento delle Sezioni Unite, il risultato al quale tende l’art. 108, comma 2, l. fall. non sarebbe concepibile al di fuori di una procedura coattiva aperta al mercato e finalizzata al realizzo dell’intero (e anzi del migliore) prezzo di vendita del bene acquisito all’attivo. Ciò sarebbe in certa misura presupposto dalla norma da ultimo citata per essere la stessa riferibile al profilo di necessaria competizione nell’ambito di una procedura pubblica di dismissione dei beni, procedura che dovrebbe sempre muovere da un prezzo di stima e favorire la massima informazione e partecipazione di tutti i soggetti interessati, al fine di assicurare il conseguimento del maggior risultato possibile e con esso la miglior soddisfazione dei creditori.
4.4.5 Occorre dunque ritenere, nel solco argomentativo tracciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, che la natura coattiva della vendita e della cessione dei beni (così come il conseguente potere purgativo previsto dall’art. 108, secondo comma, l. fall.) debba essere rintracciata nel sistema della legge fallimentare, in consonanza con l’espletamento della liquidazione concorsuale dell’attivo disciplinata nella Sezione II del Capo VI secondo le alternative indicate nell’art. 107 e, nel caso delle procedure concordatarie, dall’art. 163 -bis l. fall., proprio perché in esse il curatore ovvero il commissario giudiziale esercitano la funzione di legge secondo il parametro di legalità dettato nell’interesse esclusivo del ceto creditorio mediante gli appositi procedimenti destinati al fine.
4.4.6 Sul punto qui da ultimo in discussione le Sezioni Unite (v. sempre Cass. Sez. Un., n. 7337/2024, cit. supra) hanno evidenziato che la riforma del diritto concorsuale del 2006-2007 si è mossa – sia per il concordato che per il fallimento – nel solco di un medesimo schema procedimentalizzato. Nel prescrivere, cioè, che alla vendita dei beni oggetto della cessione ai creditori si debbano applicare (sia pure con la clausola della compatibilità) le disposizioni della stessa legge fall., art. 105 e seg., ivi compreso l’art. 107 in ordine alle modalità attuative, la nuova disciplina ha rafforzato la convinzione ‘che la liquidazione concordataria sia, proprio come quella fallimentare, disciplinata da rigorose disposizioni sul cui rispetto gli organi della procedura
sono chiamati a vigilare’ (così testualmente Cass. Sez. U n. 19506 -08, così richiamata nell’arresto del 2024). Tali rigorose disposizioni, senza modificare la natura e le caratteristiche essenziali della procedura di concordato, confermerebbero – sempre secondo le condivisibili osservazioni dei precedenti arresti delle Sezioni Unite da ultimo menzionati – la preesistente assimilabilità tra la fase esecutiva del concordato per cessione dei beni del debitore (pur con la sua origine negoziale e con le sue ovvi e peculiarità) e ‘il procedimento di vendita coatta di detti beni’ sotteso dalla vendita fallimentare propriamente intesa.
4.4.7 La cd. vendita fallimentare, nella estensione qui da ultimo chiarita anche con riferimento alle vendite concordatarie, si qualifica come vendita coattiva proprio in ragione della sua natura esecutiva (e procedimentale), poiché ‘ codesta è la vera vendita forzata e non ogni vendita che avviene in ambito fallimentare può esser considerata tale’ e perché ‘ la funzione liquidatoria esclude di contro il vincolo negoziale, essendo l’organo fallimentare astretto all’osservanza delle (sole) modalità procediment ali dettate per il legittimo esercizio del potere di realizzazione coattiva’ (così espressamente, Cass. Sez. Un., n. 7337/2024, cit. supra).
4.4.8 Nel caso di specie, la cessione dei rami di azienda in favore della cessionaria RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, già offerente nel corso delle procedure concordatarie sopra descritte in premessa, è comunque intervenuta in un ambito procedimentalizzato che ha visto la conclusione del trasferimento tramite i singoli atti di cessione negoziali stipulati con le procedure concorsuali, solo dopo l’esito negativo delle procedure competitive delineate nel regolamento di gara delle offerte concorrenti previste secondo lo schema applicativo di cui all’art. 163 -bis l. fall., con la conseguenza che tali trasferimenti non possono che essere ricondotti nell’alveo delle vendite esecutive coattive, secondo il paradigma delineato dalle Sezioni Unite nel 2024. E con l’ulteriore conseguenza che risulta applicabile al caso di specie anche il disposto normativo di cui all’art. 2922 cod. civ., come anche correttamente ritenuto nel decreto qui impugnato.
4.4.9 Deve dunque ritenersi che la vendita sia ‘competitiva’ , e dunque ‘forzosa’ , e non già privatistica, anche se non si siano registrate offerte, dopo
l’indizione della gara ex art. 163 -bis l. fall. e l’acquirente, tramite il successivo atto negoziale di acquisito, abbia ottenuto la proprietà del bene oggetto di liquidazione, senza aver partecipato ad alcuna gara e senza aver modificato la propria originaria offerta. In tal caso, il Tribunale ha comunque autorizzato, ai sensi dell’art. 161, 7 comma, l. fall., ad accettare l’offerta all’esito di un procedimento competitivo volto alla ricerca di altri interessati e la vendita, tramite la conclusione dell’at to di trasferimento, si è conclusa, in tale peculiare evenienza, sempre in seguito ad una gara.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
In relazione all’ultimo motivo di ricorso, deve essere espresso il seguente principio di diritto:
‘ Nel sistema di liquidazione dei beni delineato per il concordato preventivo dall’art. 163bis l.fall. tramite il sistema delle cd. offerte concorrenti, deve riconoscersi natura di vendita esecutiva coattiva anche al trasferimento dei beni intervenuto tramit e atto negoziale, autorizzato ai sensi dell’art. 161, 7 comma, l. fall., dopo che la procedura competitiva non abbia registrato valide offerte ulteriori ed i beni siano stati pertanto assegnati all’originario offerente individuato nel piano concordatario, in quanto in tal caso il trasferimento interviene comunque all’esito (negativo) di un procedimento competitivo volto alla ricerca di altri interessati e la vendita, tramite la conclusione dell’atto di trasferimento, si conclude, in tale peculiare evenienza, sempre in seguito ad una gara ‘.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 35.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 29.1.2025