Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19199 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19199 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7597/2018 R.G. proposto da
Cassa di Risparmio di Bolzano SRAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell ‘ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa d all’avv. NOME COGNOME
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’ avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende
– controricorrente –
e contro
Ministero dello Sviluppo Economico
– intimato – avverso il decreto pronunciato nel procedimento iscritto al n. 4877/2017 R.G., depositato dalla Corte d’Appello di Milano il 26.12.2017;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14.5.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Amministrazione Straordinaria di RAGIONE_SOCIALE trasferì a RAGIONE_SOCIALE gli «immobili costituenti il compendio del Grand Hotel INDIRIZZO di Varese».
Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.A., titolare di ipoteca sui beni trasferiti, presentò ricorso al Tribunale di Varese contro gli atti esecutivi del trasferimento immobiliare, ritenendoli illegittimi e lesivi del suo diritto reale di garanzia (art. 65 d.lgs. n. 270 del 1999).
A fronte del rigetto del ricorso da parte del Tribunale, Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.A. presentò reclamo a norma dell’art. 739 c.p.c., come previsto e consentito dall’art. 65, comma 2, del d.lgs. n. 270 del 1999.
La Corte d’Appello di Milano respinse il reclamo e contro il relativo decreto Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria e RAGIONE_SOCIALE si sono difese con controricorso. Il Ministero dello Sviluppo Economico (successivamente denominato Ministero delle Imprese e del Made in Italy ) è rimasto intimato.
La ricorrente e RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione Straordinaria hanno depositato memoria illustrativa nel termine
di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell ‘ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.A. denuncia «violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 270 del 1999 -Nullità del provvedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. -Violazione di legge costituzionalmente rilevante concernente l’obbligo di motivazione sotto il profilo della ‘motivazione apparente’ e del ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c.)».
Il secondo motivo censura «violazione e falsa applicazione degli artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 270 del 1999 (art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c.)».
Il ricorso è inammissibile.
3.1. Il primo motivo si fa apprezzare, in senso negativo, già per la promiscuità di diversi profili di censura, anche incompatibili tra di loro (v. Cass. n. 3397/2024), come la contestuale denuncia del vizio di omessa pronuncia e del vizio di motivazione (il quale presuppone che una decisione, quantomeno implicita, sia stata presa: v. Cass. nn. 6150/2021; 13866/2014) e come la denuncia indifferenziata di omessa motivazione e di motivazione contraddittoria (la quale ultima presuppone l’esistenza di una motivazione, contro la quale si intende muovere la contestazione di contraddittorietà: v. Cass. n. 26874/2018).
Si aggiunga che l’omessa motivazione su questioni di puro diritto non può mai essere di per sé un motivo di ricorso per cassazione, dovendosi semplicemente riproporre la medesima questione davanti la Corte Suprema, la quale ha il potere-
dovere di affrontarla e -se la ritiene fondata -di accoglierla, adottando tutti i provvedimenti consequenziali (v. Cass. nn. 2107/2012; 1374/2002).
Per quanto riguarda poi la violazione di norme di diritto e, in particolare, degli artt. 62 e 63 del d.lgs. n. 270 del 1999, l’illustrazione del motivo sostanzialmente non se ne occupa, essendo questo il tema trattato ex professo nel secondo motivo.
3.2. Ma anche il secondo motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi del decreto impugnato.
In sostanza, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 62 e 63 d.lgs. n. 270 del 1999, sul presupposto che il Tribunale di Varese -con pronuncia poi confermata dalla Corte d’Appello di Milano -abbia applicato alla vendita in sede concorsuale del compendio immobiliare le speciali disposizioni che quel decreto legislativo pone solo per la «Vendita di aziende in esercizio».
3.2.1. È noto che la disciplina dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza privilegia, rispetto alla disciplina all’epoca contenuta nella legge fallimentare (e ora nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ; d.lgs. n. 14 del 2019), la prospettiva del risanamento aziendale e della salvaguardia dei livelli occupazionali. In particolare, nel caso di «Vendita di aziende in esercizio», è previsto che il valore di stima tenga conto «della redditività » dell’azienda, «anche se negativa» (art. 63, comma 1, d.lgs. n. 270 del 1999), e, dunque, anche se porta a una diminuzione di valore rispetto a quella che sarebbe la somma del valore di stima dei singoli beni che compongono l’azienda. Inoltre, la scelta dell’acquirente non deve seguire pianamente la consueta logica del migliore offerente, inteso come soggetto disposto ad offrire il prezzo più alto, perché « l’acquirente deve obbligarsi a proseguire per almeno un biennio le attività
imprenditoriali e a mantenere per il medesimo periodo i livelli occupazionali stabiliti all’atto della vendita» (art. 63, comma 2) ; da ciò consegue che i commissari straordinari devono scegliere l’acquirente « tenendo conto, oltre che dell ‘ ammontare del prezzo offerto, dell ‘ affidabilità dell ‘ offerente e del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali da questi presentato, anche con riguardo alla garanzia di mantenimento dei livelli occupazionali» (art. 63, comma 3).
Tale speciale disciplina -che consente, e anzi impone, agli organi della amministrazione straordinaria di mettere in secondo piano, o comunque di non considerare da solo risolutivo, il profilo del prezzo della vendita -si giustifica e si applica solo nel caso di «Vendite di aziende in esercizio» (art. 63) e non anche nel caso di «Alienazione di beni» (art. 62).
3.2.2. Ebbene, la ricorrente denuncia la violazione delle citate disposizioni, ma, a tal fine, si limita a contestare la perizia di stima effettuata nell’ambito della procedura concorsuale , opponendole il diverso risultato della perizia che era stata svolta nell’esecuzione individuale che essa aveva a suo tempo attivato in forza dell’iscritta ipoteca. Il che evidentemente non ha nulla a che vedere con la violazione delle norme che prevedono, appunto, che «Il valore dei beni è preventivamente determinato da uno o più esperti nominati dal commissario straordinario» (art. 62, comma 3, d.lgs. n. 270 del 1999), senza alcuna necessità che tale perizia di stima sia condivisa dal creditore ipotecario o sia conforme a quanto stabilito da altri periti in altre sedi. Né la ricorrente sostiene che il diverso valore indicato nelle due perizie dipenda dal fatto che quella effettuata dall’incaricato dei commissari straordinari avesse diminuito il valore degli immobili tenendo conto di una redditività negativa aziendale, alla quale non si fa alcun cenno nel ricorso.
La dissociazione tra questione di diritto prospettata e allegazioni fattuali risulta quanto mai evidente se si confronta la presente vicenda con quella giudicata nel precedente di legittimità invocato (quindi a sproposito) dalla banca ricorrente (Cass. S.u. n. 12247/2009).
In quel caso, infatti, gli organi dell’Amministrazione Straordinaria avevano posto in vendita come azienda in esercizio un compendio immobiliare che non era in realtà (e non era mai stato) un’azienda e, in tal modo, avevano anche limitato la possibilità di partecipare alla gara ai soli imprenditori di quel determinato settore commerciale (invece di allargarla a tutti i potenziali interessati all’acquisto degli immobili), con il risultato di avere venduto i beni al prezzo di € 3.600.000, a fronte di un valore di stima (determinato nella stessa procedura concorsuale, ai sensi del citato art. 62, comma 3) di € 8.617.722. Nel c aso qui in esame, all’opposto, non fu messa in vendita un’azienda (tanto meno un’azienda inesistente ) e non viene allegata alcuna incongruenza tra la stima effettuata nella procedura e il prezzo di vendita, ma soltanto si contesta (con giudizio in fatto) il valore indicato dallo stimatore. Critica, com’è ovvio, non pertinente in questa sede di legittimità.
3.2.3. Proprio perché quella di cui qui si discute è una vendita di beni immobili -e non una cessione di azienda in esercizio -non trova applicazione, e non ha quindi alcun rilievo, l’interpretazione che dell’art. 6 3 del d.lgs. n. 270 del 1999 ha dato l’art. 9, comma 2 -bis , del d.l. n. 136 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 6 del 2014, aggiunto dall’art. 11, comma 3 -quinquies , del d.l. n. 145 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014 (norma che, ove applicabile, certamente non avrebbe potuto essere di alcun aiuto alla ricorrente, posto che si limita ad affermare che -nella
vendita delle aziende in esercizio -il valore della stima effettuata nell’ambito della procedura «non costituisce un limite inderogabile ai fini della legittimità della vendita»).
3.2.4. Nell’illustrazione del ricorso compare solo un cenno a quello che era stato invece oggetto di un motivo di reclamo alla Corte d’Appello, ovverosia la necessità che la vendita in sede concorsuale fosse «effettuata previo espletamento di idonee forme di pubblicità». Sul punto la Corte milanese ha puntualmente rilevato che la pubblicità effettuata non poteva essere considerata incongrua solo perché «non estesa a una specifica rivista di settore, apparendo più che sufficiente quella realizzata con gli annunci a quotidiani locali, nazionali ed esteri, quali il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, la Prealpina ed il Financial Times ».
In mancanza di uno specifico motivo di ricorso, questo aspetto non dovrebbe neanche essere qui menzionato, se non fosse per precisare che proprio all’importanza decisiva della pubblicità della vendita -che determina il «prezzo di cessione» e, quindi, il valore «attribuito al bene dal mercato», al di là del «valore di stima» -si riferisce l ‘affermazione della Corte territoriale che «il principio, benché affermato con riguardo al caso di una cessione di azienda in esercizio, sottoposta alla diversa e specifica disciplina di cui all’articolo 63 d.lgs. cit. , riveste nondimeno portata generale nella materia esecutiva».
Del tutto a sproposito, pertanto, tale affermazione è riportata nel ricorso per supportare la tesi secondo cui il giudice del merito sarebbe caduto nell’errore di diritto di applicare alla vendita di immobili la disciplina speciale prevista dal l’art. 63 del d.lgs. n. 270 del 1999 per la vendita delle aziende in esercizio.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo. Ovviamente non occorre pronunciare sulle spese con riguardo alla parte rimasta intimata.
5 . Si dà atto che, in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida -in favore di ciascuna delle controricorrenti -in € 8.000, per compensi, oltre alle spese generali al 15%, a € 200 per esborsi e agli accessori di legge ;
dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del