Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5116 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 27189 anno 2020 proposto da:
COGNOME PATRIZIA, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso ed elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO nello studio dell’avvocato NOME COGNOME
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME come da procura alle liti redatta su foglio separato ma da intendersi apposta in calce al controricorso;
contro
ricorrente e ricorrente incidentale
avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 1441/2019 pubblicata in data 14/06/2019 non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal
consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione la signora COGNOME NOME conveniva in giudizio la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio al fine di sentirla condannare al risarcimento dei danni derivanti dal l’illegittimo protesto da parte della suddetta banca di due effetti cambiari di lire 1.500.000 e di lire 329.491 scadenti in data 31 luglio 1989, momento nel quale era stata già costituita la provvista.
In particolare, i danni erano stati richiesti dalla signora COGNOME sia a titolo di danno all’onore ed alla reputazione della persona in quanto tale, che a titolo di danno determinato dal discredito in ambito commerciale e dalla lesione della reputazione commerciale, nonché per danno emergente e lucro cessante derivanti dal fallimento della ditta e della persona fisica, con conseguente perdita dell’attività commerciale e dell’immobile di proprietà.
Il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda risarcitoria e condannava la Banca a pagare alla attrice la somma di euro 10.000,00 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e quella di euro 60.000,00 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, nonché a rifondere le spese di lite e di CTU. Proponeva appello avverso la predetta sentenza la Banca, eccependo la prescrizione e nel merito la insussistenza del danno a proprio carico.
La Corte di appello di Firenze accoglieva il gravame, ritenendo decorso il termine di prescrizione decennale del diritto al risarcimento dei danni di natura patrimoniale e non patrimoniale vantato dalla signora NOME in difetto di
idonei atti interruttivi. Osservava, al riguardo, la Corte, quanto ai danni liquidati in primo grado, che l’atto interruttivo della prescrizione deve provenire dal titolare del diritto fatto valere in giudizio, cui corrisponde un obbligo di prestazione della controparte. Nel caso in esame, invece, la prima richiesta stragiudiziale di risarcimento danni era stata formulata in data 30/3/1990 solo in nome e per conto della ditta RAGIONE_SOCIALE all’epoca RAGIONE_SOCIALE, mentre la seconda lettera di messa in mora del 12 ottobre 1999 (riferita alla richiesta di risarcimento danni formulata dallo Studio legale COGNOME di Empoli in data 30/3/1990), seppur non potesse essere riferita alla predetta RAGIONE_SOCIALE, già sciolta e dichiarata fallita in data 10 ottobre 1991, al pari della lettera di messa in mora del 30 gennaio 2002, e dovendo essere, pertanto, imputata alla sola signora COGNOME, doveva essere riferita ai danni di natura patrimoniale ivi indicati ovvero a quelli correlati alla drastica contrazione del volume di affari della SNC a causa dell’annullamento degli ordini ricevuti da parte dei fornitori e della mancata disponibilità degli istituti di credito di concedere finanziamenti.
Conseguentemente, ad avviso della Corte territoriale, entrambe le predette missive erano inidonee ad interrompere la prescrizione per i danni non patrimoniali subiti dalla signora COGNOME, mentre quella del 12 ottobre 1999 in quanto avente ad oggetto la richiesta dei soli danni di natura patrimoniale patiti dalla società era inidonea ad interrompere il corso della prescrizione del diritto al risarcimento dei danni patrimoniali patiti dalla COGNOME in proprio.
Per quanto riguarda i danni patiti dalla società di cui risulta lo scioglimento volontario con effetto dal 9 Aprile 1990, rilevava la Corte l’intervenuta prescrizione dell’azione risarcitoria,
atteso che la lettera di messa in mora del 12/10/1999 non poteva essere riferita alla società (già sciolta e dichiarata fallita), in quanto formulata in nome per conto della signora COGNOME soggetto non legittimato a richiedere i danni in nome e per conto di tale disciolta società, non essendosi verificato alcun fenomeno successorio della medesima nella società cancellata.
A tal fine la corte distrettuale operava un richiamo a quanto affermato dalla Cassazione con sentenza numero 16758 del 2010, secondo cui i singoli soci non sono legittimati all’esercizio di azioni giudiziarie, la cui titolarità sarebbe spettata alla società prima della cancellazione, ma che essa ha scelto di non esperire sciogliendosi e facendosi cancellare, atteso che in tal modo la società ha posto in essere un comportamento inequivocabilmente inteso a rinunciare a quelle azioni, facendo così venir meno l’oggetto stesso di una trasmissione successoria ai soci.
La sentenza veniva impugnata dalla signora COGNOME NOME con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resisteva con controricorso e ricorso incidentale condizionato la Banca.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente affrontare la eccezione di invalidità della procura alle liti conferita da parte ricorrente per il giudizio di Cassazione.
La controricorrente rappresenta che il testo della procura alle liti contenuta in un foglio separato allegato al ricorso notificato a mezzo posta elettronica certificata non fa alcun riferimento specifico alla sentenza impugnata e comunque si presenta generico anche in riferimento ai poteri di difesa conferiti nel presente giudizio. Infatti, tali poteri sarebbero espressi come
mera conferma della delega e procura già conferita per il precedente grado di giudizio facendo menzione al conferimento di inappropriata ed oscura rappresentanza per ogni stato e grado di questo ricorso di Cassazione, compreso l’eventuale rinvio e la successiva esecuzione ed eventuale opposizione.
L’eccezione è infondata.
Questa Suprema Corte a sezioni unite ha affermato il principio secondo cui ‘I n tema di procura alle liti, a seguito della riforma dell’art. 83 c.p.c. disposta dalla l. n. 141 del 1997, il requisito della specialità, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione, tenendo presente, in ossequio al principio di conservazione enunciato dall’art. 1367 c.c. e dall’art. 159 c.p.c., che nei casi dubbi la procura va interpretata attribuendo alla parte conferente la volontà che consenta all’atto di produrre i suoi effetti. ‘ (Cass. Sez. Un., Sentenza n. 36057 del 09/12/2022).
E’, altresì, priva di pregio l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione.
Ad avviso della Banca tra il dies a quo del termine legale di
decadenza dall’impugnazione del 14 giugno 2019 e quello ad quem di scadenza del 14 giugno 2020 si è inserita la parentesi della sospensione cosiddetta straordinaria dei termini processuali per emergenza sanitaria di cui agli articoli 83, comma 2 del decreto Cura Italia e 36, comma 1 del decreto Liquidità relativa al periodo dal 09/03/2020 all’11/05/2020 per un totale di 64 giorni. Tale periodo non è coinciso con la scadenza del termine per l’impugnazione del 14 giugno 2020 per cui, in assenza di espressa contraria previsione normativa, non vi sarebbero, ad avviso del controricorrente, ragioni per sostenere che detto periodo possa essere calcolato in aggiunta a quello annuale già maggiorato del periodo corrispondente a quello della sospensione feriale. Conseguentemente il termine per la scadenza dell’impugnazione dovrebbe rimanere quello del 15 luglio 2020; in secondo luogo coincidendo in parte il periodo di 64 giorni di proroga dei termini di impugnazione conseguente alla sospensione straordinaria con quello feriale dal 1 agosto 2020 al 31 agosto 2020, il primo resta comunque in esso assorbito non ravvisandosi alcuna ragione in assenza, anche in questo caso di espressa contraria previsione, perché detto periodo debba essere calcolato in aggiunta allo stesso. Orbene, va premesso che nel computo dei termini processuali mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma degli artt. 155, comma 2, c.p.c., e 2963, comma 4, c.c., il sistema della computazione civile, non “ex numero” bensì “ex nominatione dierum”, nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale; analogamente si deve procedere quando il termine di decadenza interferisca
con il periodo di sospensione feriale dei termini: in tal caso, infatti, al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327, comma 1, c.p.c., devono aggiungersi 46 giorni computati “ex numeratione dierum”, ai sensi del combinato disposto degli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 1, comma 1, della l. n. 742 del 1969 (nella formula vigente “ratione temporis”), non dovendosi tener conto dei giorni compresi tra il primo agosto e il quindici settembre di ciascun anno per effetto della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Pertanto, si verifica il doppio computo del periodo feriale nell’ipotesi in cui, dopo una prima sospensione, il termine iniziale non sia decorso interamente al sopraggiungere del nuovo periodo feriale. (Vedi Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 15029 del 15/07/2020).
Conseguentemente, vanno conteggiati due periodi di sospensione, ossia quello feriale e la c.d. sospensione COVID, per cui il ricorso è da ritenersi tempestivamente proposto entro la scadenza del 18/10/2020.
La tesi che non si applichi la sospensione RAGIONE_SOCIALE, laddove il termine di impugnazione scada dopo la sospensione, è contraria alla legge, che ha sospeso i termini processuali a prescindere dalla circostanza se gli stessi scadessero o meno nel periodo indicato.
Ciò premesso, con il primo motivo di ricorso si deduce l ‘omesso esame della trasformazione impropria della società in impresa individuale con conseguente errata dichiarazione della maturazione del termine di prescrizione decennale.
La corte distrettuale avrebbe ritenuto erroneamente non sussistere un fenomeno successorio della signora COGNOME nei diritti della società estinta. Al riguardo, la corte avrebbe
omesso di considerare la trasformazione della Parentesi
RAGIONE_SOCIALE in impresa individuale di cui la signora COGNOME era divenuta unica titolare, con conseguente successione nei diritti e nelle pretese in capo alla società. Nell’atto notarile di scioglimento della società del 21/3/1991 risulta evidente che contestualmente allo scioglimento della società di persone ai sensi dell’art. 2272, n. 4 c.c. la signora COGNOME NOME dichiarava di accollarsi ‘tutte le attività e le passività facenti capo alla società medesima’, per cui l’attività sociale veniva proseguita in forma individuale fino alla dichiarazione di fallimento. In buona sostanza, con tale atto, oltre allo scioglimento, si era dato luogo ad una trasformazione atipica della società in impresa individuale di cui la odierna ricorrente rimaneva titolare in via esclusiva, con conseguente operatività in suo favore degli atti interruttivi eseguiti dalla società medesima.
Conseguentemente la corte gigliata avrebbe errato nel ritenere decorso il termine di prescrizione in considerazione della irrilevanza degli atti interruttivi in quanto riferentisi in via esclusiva alla società e non alla persona fisica.
Con il secondo motivo di ricorso si contesta l’errata individuazione del dies a quo della prescrizione per omessa individuazione del giorno di pubblicazione del bollettino dei protesti in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nonché falsa applicazione dell’art. 2935 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.. I giudici di appello avrebbero confuso la data di levata dei protesti (2/8/1989) con la data di pubblicazione del bollettino (15/1/1990). Pertanto, la prescrizione del diritto al risarcimento sia per i danni economici riferiti alla società sia per i danni alla reputazione personale di NOME decorrerebbe dal 15 gennaio 1990 giorno di pubblicazione sul bollettino dei protesti, sebbene poi
questi siano poi determinati in modo definitivo con la chiusura del fallimento, quando la signora COGNOME NOME ha potuto avere la piena e concreta percezione delle conseguenze sia aziendali che di natura personale. Ad avviso della ricorrente, una corretta interpretazione dell’art. 2935 c.c. comporterebbe che, in tema di risarcimento del danno contrattuale, per determinare il dies a quo dal quale comincia a decorrere il termine di prescrizione occorrerebbe verificare il momento in cui si sia prodotto il pregiudizio economico nella sfera patrimoniale del danneggiato, per cui la corte avrebbe dovuto correttamente postdatare la decorrenza al momento in cui i danni si sono concretizzati e cristallizzati nella loro interezza e cioè dalla dichiarazione di chiusura del fallimento intervenuta in data 18/10/1995; ed invero solo in tale momento si sono pienamente integrati sia i danni economici derivanti dal tracollo societario personale dell’attività imprenditoriale sia i danni di reputazione personale subiti dall’odierna ricorrente. Inoltre, è da rilevarsi che il termine risulta interrotto con un’ulteriore missiva del 30/1/2002 e ciò vale anche con riferimento ai danni non patrimoniali comprensivi dei danni alla reputazione personale e commerciale dell’odierna ricorrente.
Con il terzo motivo ci si duole dell’omesso esame della ricognizione del diritto al risarcimento operata dalla Banca in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.. La corte di appello non avrebbe tenuto conto che in ben due occasioni l’istituto di credito aveva ammesso la propria responsabilità per l’errata levata dei protesti.
Con il quarto motivo si contesta l’eccessiva genericità dell’eccezione di prescrizione. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2938, 2696 c.c. in relazione all’art. 360,
comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.. La difesa della ricorrente ripropone una censura già formulata in sede di gravame su cui la corte di appello non si è pronunciata. In particolare, l’eccezione di prescrizione è stata sollevata senza la specifica indicazione dell’arco temporale entro il quale sarebbe maturata, impedendo alla odierna ricorrente una precisa contestazione; in particolare, la eccezione è stata formulata senza indicazione specifica del dies a quo che invece è stato individuato autonomamente dalla corte.
Con il quinto motivo si contesta il mancato esame dell’appello incidentale con il quale si censurava l’errata quantificazione dei danni operata dal Tribunale.
Il primo motivo è fondato.
Va, al riguardo, premesso che lo scioglimento della società, che a norma dell’art. 2272 c.c., n. 4, si determina per la sopravvenuta mancanza della pluralità dei soci, se la questa non sia ricostituita nel termine di sei mesi, ove riguardi una società di persone, non determina alcuna modificazione soggettiva dei rapporti facenti capo all’ente, la titolarità dei quali si concentra nell’unico socio rimasto; l’attesa semestrale dell’eventuale ricostituzione della pluralità dei soci può essere anticipatamente interrotta dalla scelta del socio superstite di non trovare altri soci, bensì di continuare l’attività come impresa individuale. Una siffatta vicenda non integra una trasformazione nel senso tecnico inteso dall’art. 2498 c.c., riferito alla trasformazione di una società da un tipo ad un altro, bensì un rapporto di successione tra soggetti distinti, distinguendosi, appunto, persona fisica e società per natura, e non solo per forma. L’ ‘atipica trasformazione’ in parola è preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della stessa, concludentesi con l’assegnazione del patrimonio
sociale residuo al socio superstite ai fini della successiva estinzione della società stessa (cfr. Cass. Sez.1, 14 gennaio 2015, n. 496; Cass. Sez. 5, n. 3670/2007). Ciò è accaduto nel caso di specie in cui la signora COGNOME, quale unico socio rimasto della RAGIONE_SOCIALE, ha scelto di non trovare altri soci, per continuare l’attività come impresa individuale. Conseguentemente, la odierna ricorrente nel momento del subentro come ditta individuale nelle attività e passività della società non confluite nel successivo fallimento ha legittimamente interrotto il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno subito dalla società con la lettera di messa in mora del 12/10/1999 riproduttiva della precedente nota interruttiva del 30/3/1990. Pertanto, il diritto al risarcimento del danno occorso alla società di natura patrimoniale non può ritenersi prescritto, stante la piena efficacia degli atti interruttivi sopraindicati che possono validamente riferirsi alla signora NOME COGNOME succeduta nei rapporti attivi e passivi in virtù dell’atto di trasformazione atipica.
Il secondo motivo è inammissibile. Con l’accoglimento del primo motivo viene meno l’interesse in ordine alla corretta individuazione del dies a quo, atteso che gli atti interruttivi riconducibili alla società sono operanti anche nei confronti della ricorrente quale titolare del diritto al risarcimento del danno patito dalla società. In ordine alla interruzione della prescrizione in virtù della missiva del 30/1/2002 ai fini del risarcimento dei danni patiti in proprio dalla ricorrente non è possibile scrutinarne il rilievo mancando nel ricorso la riproduzione del suo contenuto ai fini dell’autosufficienza della censura.
Anche il terzo motivo è inammissibile in quanto non si
confronta con la ratio decidendi della sentenza nella misura in cui la stessa ha affermato che il riconoscimento riguarda il diritto, ma non la verificazione del danno.
Il quarto motivo è inammissibile. Con l’accoglimento del primo motivo viene meno l’interesse in ordine alla corretta individuazione del dies a quo, atteso che gli atti interruttivi riconducibili alla società sono efficaci anche nei confronti della ricorrente quale titolare del diritto al risarcimento del danno patito dalla società.
Il quinto motivo risulta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso con cui si è ritenuto sussistere la titolarità della ricorrente in ordine ai diritti risarcitori di cui era originariamente titolare la società cancellata e poi fallita.
Con il motivo di ricorso incidentale la Banca eccepisce plurimi profili di censura.
Un primo profilo concerne l’errata interpretazione della normativa sul mandato di pagamento in relazione alla domiciliazione della cambiale ed in particolare dell’articolo 4 R.D. 1699/1933 e conseguente errato inquadramento dei rapporti inter partes nell’ambito della responsabilità contrattuale in violazione dell’art 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c..
Inoltre, si eccepisce l’errata interpretazione dell’articolo 43 legge cambiaria ed omessa ed errata valutazione di un fatto decisivo circa la sussistenza di provvista nel conto corrente al momento della levata del protesto in violazione dell’art 360, comma 1 n. 3 n. 5 c.p.c..
In sintesi, il motivo del ricorso incidentale contesta la natura contrattuale del rapporto tra la società e la banca.
In tema di prova dell’esistenza di un mandato di pagamento di cambiali conferito dal correntista alla banca, costituiscono
circostanze rilevanti sia la domiciliazione presso l’istituto bancario, dovendosi presumere ai sensi dell’art. 4 Legge cambiaria che il terzo domiciliatario fosse autorizzato a provvedere al pagamento, sia la predisposizione della provvista da parte del cliente, mentre è ininfluente l’eventuale falsità della sottoscrizione sui titoli da parte dell’obbligato cambiario, perché il contratto bancario è negozio autonomo e l’istituto di credito mandatario è terzo rispetto all’obbligazione cartolare. (Cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22960 del 31/10/2007).
Orbene, la corte distrettuale ha ricostruito la fattispecie concreta in linea con il suesposto principio; la censura è pertanto inammissibile nella misura in cui è finalizzata a sottoporre al riesame di questa Corte la ricostruzione di fatto operata dal giudice di merito.
La controricorrente, inoltre, formula ulteriori due profili di censura per violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, lettera 4 e dell’articolo 118 disp. att. c.p.c. per errata insufficiente motivazione della sentenza in relazione alla sussistenza sia del danno che del nesso causale tra la levata del protesto e i danni lamentati, nonché la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. per insufficiente contraddittoria valutazione delle prove da parte del tribunale, nonché violazione degli articoli 115 e 116 in relazione all’assenza di riscontri probatori ed errori di valutazione delle prove in punto di quantificazione dei danni patrimoniali e non patrimoniali. dell’articolo 118 disp. Att. c.p.c. per contraddittoria danni patrimoniali e non patrimoniali
Violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, lettera 4 e e insufficiente motivazione in relazione alla quantificazione di nonché violazione dell’articolo 112 c.p.c. in relazione alla liquidazione del danno
per perdita dell’avviamento e per perdita della vettura dell’attrice.
Tali profili di ricorso incidentale come esposti aggrediscono la sentenza di prime cure senza alcuno specifico riferimento alla sentenza impugnata in cassazione per cui vanno dichiarati inammissibili.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibili i motivi 2, 3 e 4, assorbito il quinto. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa e rinvia alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione anche sulle spese della presente fase.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del DPR 115/2002, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione Civile,