Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 210 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 210 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 9922- 2018 proposto da:
COGNOME (o LYDIA), elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dalla quale è rappresentata e difesa con l’avv. NOME COGNOME giusta procura a margine del ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa
da ll’ avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al controricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1417/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, pubblicata il 28/3/2017; pubblica udienza del udita la relazione della causa svolta nella 23/4/2024 dal consigliere NOME COGNOME
sentito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria della ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato nel marzo 2006, NOME COGNOME convenne in giudizio NOME o NOME COGNOME (indicata di seguito con il solo nome di NOME), chiedendo che venisse dichiarato l’inadempimento della convenuta agli obblighi scaturenti della transazione con lei stipulata in data 21 marzo 2002, con cui erano stati definiti i due giudizi riuniti, da lei stessa instaurati nel 1991 e nel 1992, relativi allo scioglimento della comunione de ll’appartamento sito in Napoli, alla INDIRIZZO 26 e alla divisione dei beni mobili che si trovavano in quell’appartamento ; chiese altresì la condanna della convenuta al risarcimento dei danni conseguenti, patrimoniali e non.
Per la migliore comprensione dei fatti di causa è utile riportare che, nei due giudizi transatti, era stata già stata pronunciata sentenza parziale n. 2562/2000 con cui il Tribunale di Napoli, ritenuta inammissibile per tardività la domanda riconvenzionale di Lydia diretta ad ottenere anche la divisione di un immobile in INDIRIZZO, aveva attribuito a quest’ultima l’appartamento alla p.INDIRIZZO e
stabilito un conguaglio in favore di NOME di £.200.000.000, oltre interessi.
Con la transazione, eseguita l’assegnazione dell’immobile di INDIRIZZO a NOME COGNOME e il pagamento del conguaglio in favore di NOME, come disposti con sentenza parziale, le germane avevano concordato di porre a carico di NOME e in favore di NOME la somma di Euro 15.493,71 da pagarsi in due tranches , di cui la prima di Euro 5.164.56 corrisposta immediatamente a mezzo assegno; si erano, quindi, ripartite i gioielli e i restanti beni mobili e si erano accordate per vendere l’immobile in INDIRIZZO non oggetto del giudizio; avevano, infine, esplicitamente assunto l’obbligo di abbandonare definitivamente i giudizi pendenti e di rinunciare preventivamente alla proposizione di nuove azioni aventi lo stesso oggetto dell’accordo transattivo.
I due giudizi erano stati quindi definiti con sentenza del Tribunale di Napoli n. 640/2005 del 21/1/2005, con cui, preso atto dell’intervenuta transazione, era stata dichiarata la cessazione della materia del contendere. Avverso questa sentenza NOME aveva proposto appello e Lydia appello incidentale condizionato.
Nelle more del giudizio di appello, in data 11 marzo 2005, NOME COGNOME aveva effettuato offerta reale della somma di E. 11.203,15 in favore di NOME, depositata dall’ufficiale giudiziario in data 18 marzo 2005 presso un’agenzia della San Paolo s.p.a. Banco di Napoli.
Costituendosi nel nuovo giudizio, instaurato nel marzo 2006, NOME COGNOME chiese il rigetto delle domande attoree e la condanna di parte attrice al risarcimento dei danni per lite temeraria, oltre al rimborso delle spese di lite.
2.1. Quindi, con successivo atto di citazione notificato il 5 dicembre 2006, ella convenne a sua volta in giudizio la sorella NOME
chiedendo la convalida dell’offerta reale della somma di E uro 11.203,15 come effettuata in data 11 marzo 2005 e la dichiarazione della sua liberazione dall’obbligazione del pagamento dell’importo dovuto alla convenuta, oltre alla condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della mora accipiendi .
NOME COGNOME costituitasi in questo secondo giudizio, chiese fosse dichiarata l’invalidità del deposito e , quindi, l’irregolarità dell’offerta reale e il rigetto dell’avversa domanda .
Riunite le cause, con sentenza n. 6493/2008, il Tribunale di Napoli rigettò le domande proposte da entrambe le parti, compensando le spese di lite. Il primo Giudice rigettò la domanda di risoluzione perché qualificò la scrittura privata stipulata fra le parti come transazione divisoria con effetto novativo, escludendone, perciò, la risoluzione per inadempimento in forza dell’art. 1976 cod. civ.. Rigettò, altresì, la domanda di convalida dell’offerta reale per mancato rispetto delle formalità previste dall’art. 1212 cod. civ. e d all’art. 78 disp. att. cod. civ., per non avere NOME COGNOME notificato alla creditrice il processo verbale di deposito e per non averla invitata a ritirare la somma depositata.
Questa sentenza fu appellata da NOME COGNOME in INDIRIZZO e da NOME COGNOME in via incidentale.
Con sentenza n.1417/2017, la Corte d’appello di Napoli accolse l’appello principale, dichiarò risolta per inadempimento la transazione stipulata fra le parti, ritenendola non novativa, condannò NOME COGNOME al risarcimento dei danni conseguenti, dichiarò assorbito l’appello inc identale e pose, infine, a carico di NOME COGNOME il pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.
In particolare, la Corte territoriale escluse il carattere novativo della transazione per mancanza di una espressa manifestazione
dell’ animus novandi , perché le parti si erano limitate a regolamentare amichevolmente le modalità di scioglimento della comunione allo scopo di porre fine al giudizio divisorio fra loro pendente, sicché non operava la preclusione dell’art. 1976 cod. civ.; ritenne, quindi, che, sebbene il termine stabilito per l’adempimento non fosse stato stabilito come essenziale, il ritardo avesse superato ogni ragionevole tollerabilità; reputò, perciò, legittimo il rifiuto di NOME COGNOME di accettare l’offerta di p agamento e dichiarò risolta la transazione, accogliendo anche la domanda di risarcimento del danno conseguente.
Avverso la sentenza n.1417/2017 della Corte d’appello di Napoli, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a sette motivi, illustrati da successiva memoria; NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, NOME COGNOME ha denunciato, con un primo profilo articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1230, 1362, 1363, 1366, 1965, 1976, 1230 cod. civ., per non avere la Corte d’appello interpretato correttamente la volontà delle parti contraenti laddove ha escluso il carattere novativo della intervenuta transazione; in particolare, non avrebbe considerato l’espressa volontà di estinguere il preesistente rapporto giuridico e di sostituirlo con uno nuovo, contenente la previsione di nuove obbligazioni e di rinunciare espressamente a ogni futura azione; con un secondo profilo, formulato in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha poi sostenuto la Corte territoriale non avrebbe considerato che, con la scrittura transattiva del 21 marzo 2002, sarebbero stati assunti nuovi obblighi contrattuali, quali quello di
vendere altro immobile in INDIRIZZO e sarebbe pure stata chiaramente manifestata la volontà comune di definire ed estinguere completamente qualsiasi controversia, sia pendente sia futura, anche relativa a rapporti diversi, con l’espressa rinuncia a qualsiasi futura azione, addivenendo alla conclusione di un nuovo rapporto costitutivo di autonome obbligazioni.
1.1. Il motivo è ammissibile perché, in tema di interpretazione del contratto, il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima – consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti – è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., ma la seconda – concernente l’inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente – risolvendosi nell’applicazione di norme giuridiche può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda il giudizio di selezione e rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia, infine, con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo (Cass. Sez. 1, n. 29111 del 05/12/2017; Sez. 3, n. 15603 del 04/06/2021).
Ciò posto, come risulta dalla sentenza di primo grado e come riportato dalle parti, le due germane, e seguita l’assegnazione dell’immobile di INDIRIZZO a Lydia Tarsitano, con il pagamento del conguaglio in favore della sorella NOME, come disposti con sentenza parziale, hanno proceduto a definire e transigere i residui motivi del contendere e, cioè, i rapporti di dare/avere conseguenti alle
spese di gestione degli immobili e all’occupazione dell’appartamento di INDIRIZZO, ponendo a carico di Lydia e in favore di NOME la somma di Euro 15.493,71 da pagarsi in due tranches , di cui la prima di Euro 5.164.56 corrisposta immediatamente a mezzo assegno; hanno, quindi, proseguito nelle operazioni di divisione ripartendo i gioielli secondo due quote uguali da attribuire mediante sorteggio e i restanti beni mobili, costituiti dagli arredi, secondo un elenco allegato; in sentenza, tuttavia, non risulta come questo elenco sia stato formato; hanno, poi, stabilito di vendere l’immobile in INDIRIZZO senza però che risulti, nella decisione, come abbiano inteso dividere il prezzo ricavato; hanno, infine, esplicitamente assunto l’obbligo di abbandonare definitivamente i giudizi pendenti e di rinunciare preventivamente alla proposizione di nuove azioni aventi lo stesso oggetto dell’accordo transattivo.
Alle pagine 5 e 6 della sentenza impugnata, la Corte d’appello ha motivato la configurabilità, nella specie, di una transazione conservativa, come tale suscettibile di essere risolta per inadempimento, soltanto rimarcando che dalla scrittura non emergerebbe un espresso e inequivoco animus novandi : le parti, infatti, si sarebbero limitate a regolamentare amichevolmente le modalità di scioglimento della comunione, per porre fine, esplicitamente, al giudizio tra loro pendente avente ad oggetto la comunione ereditaria, concludendo perciò, allo scopo, un accordo diretto non a costituire nuove ed autonome situazioni giuridiche ma a comporre la lite mediante assunzione di obblighi tipicamente conseguenti alle operazioni di divisione.
Così motivando, la Corte territoriale non ha correttamente applicato i principi consolidati, nella giurisprudenza di questa Corte, fissati per distinguere la divisione transattiva, che conserva i caratteri propri delle
operazioni di divisione ed è, perciò, tendenzialmente conservativa, dalla transazione divisoria che, invece, ha carattere novativo in quanto regolamenta l’attribuzione dei beni a prescindere dalle quote di spettanza, perché è volontà delle parti costituire un nuovo rapporto che non trova più titolo nella domanda di divisione.
È stato costantemente ribadito, invero, che ricorre un’ipotesi di divisione transattiva quando il comune intento delle parti nella realizzazione di un accordo divisorio consista nel risolvere la controversia insorta mediante lo scioglimento della comunione e l’assegnazione proporzionale delle quote, superando in tal modo in via amichevole le questioni afferenti le operazioni divisorie.
Ricorre, invece, una transazione divisionale, avente valore e portata novativa, quando l’accordo si fondi sulla consapevolezza delle parti della differenza delle attribuzioni patrimoniali o delle quote e, dunque, quando non si sia proceduto al calcolo delle proporzioni corrispondenti. In tale seconda ipotesi, non è necessario, ai fini della ricorrenza della transazione novativa, ai sensi dell’art. 1965 cod. civ., comma 2, che le parti palesino la volontà di instaurare tra loro un nuovo rapporto e di estinguere quello originario, perché elemento inequivoco per distinguere le due ipotesi di accordo è proprio la consapevolezza delle parti della differenza delle attribuzioni patrimoniali o delle quote e, dunque, l’aver proceduto i condividenti, per porre fine alla comunione, ad attribuire le porzioni, senza procedere al calcolo delle proporzioni corrispondenti alle quote, al precipuo scopo di evitare le liti che potrebbero insorgere o di porre termine alle liti già sorte (così, costantemente, Cass. Sez. 2, n. 1496 del 17/05/1972; Sez. 1, n. 4790 del 09/11/1977; Sez. 2, n. 4106 del 10/07/1985; Sez. 2, n. 7219 del 06/08/1997; Sez. 2, n. 20256 del 18/09/2009; Sez. 3, n. 13942 del
03/08/2012; in ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 2, n. 8240 del 22/03/2019).
Il discrimine fra le due figure negoziali, dunque, non è soltanto la composizione di una controversia insorta in sede divisionale, ma, essenzialmente, l’obliterazione o non delle ragioni proporzionali di partecipazione alla comunione che comunque si intende, anche parzialmente, sciogliere: l’efficacia novativa della transazione presuppone, infatti, una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, per cui le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti debbano ritenersi sostanzialmente diverse da quelle preesistenti; in conseguenza, salvo che sussista un’espressa manifestazione di volontà conservativa, l’ accertamento sul carattere novativo richiede una verifica in ordine all’intento delle parti di addivenire, nella composizione del rapporto litigioso, alla costituzione di un nuovo rapporto, fonte di nuove ed autonome situazioni, destinate a sostituirsi a quelle preesistenti che trovavano titolo nella divisione in proporzione delle quote.
Nello svolgimento della sua operazione ermeneutica, invero, la Corte territoriale ha del tutto trascurato l’analisi in tal senso del testo dell’accordo e il rilievo dei suindicati indici rilevatori, rendendo così una motivazione non conforme a principi consolidati.
In accoglimento del primo motivo, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata.
Dall’accoglimento del primo motivo deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento dei successivi motivi di ricorso e, in particolare: il secondo motivo, con cui è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1457 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ. e, in riferimento, invece, al n. 5, l’omesso esame del fatto decisivo , per non avere la Corte
d’appello considerato il comportamento ostruzionistico della controricorrente che avrebbe determinato l’incolpevole mancata corresponsione della somma a lei dovuta; il terzo motivo, con cui è stata censurata l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1455, 1457 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ., per non avere la Corte considerato la marginalità delle obbligazioni non adempiute rispetto a quelle invece adempiute e, in relazione al n. 5, l’omesso esame del comportamento lungamente tollerante della controricorrente; il quarto motivo, pure articolato in riferimento ai n. 3. e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui è stata lamentata da un canto la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116, 244, 253 e 356 cod. proc. civ. e, dall’altro , l’omesso esame di fatti decisivi, per non avere il Tribunale prima e la Corte d’appello poi ammesso una prova testimoniale invece determinante; il quinto motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui è stata prospettata da un canto la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1206, 1218, 1220 e 1375 cod. civ. e degli art. 115 e 116 cod. proc. civ. e, dall’alt ro, l’omesso esame di fatti decisivi per non avere la Corte d’appello considerato che ella aveva eseguito la propria obbligazione, sia a mezzo di offerta formale che a mezzo di offerta reale, anni prima della proposizione dell’azione di risoluzione ma il pagamento del saldo era stato illegittimamente rifiutato da controparte; il sesto motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1218, 1220, 1453 cod. proc. civ. e l’omesso esame di fatti decisivi, per avere la Corte di merito violato il principio sancito all’art. 1220 cod. civ. , secondo cui il debitore non può essere considerato in mora se abbia offerto al creditore la prestazione anche senza l’osservanza delle
formalità previste dagli artt. 1208 e 1210 cod. civ.; infine, il settimo motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui è stata lamentata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1206, 1207, 1208, 1209, 1210, 1212 e 1375 cod. civ. e degli artt. 92, 96, 112 e 115 cod. proc. civ. e dall’altro l’omesso esame dei fatti decisivi per avere la Corte omesso di considerare che, secondo principio consolidato, la notificazione dell’atto di citazione, nella quale si dia compiuta notizia dell’offerta reale, del deposito e di ogni altro atto eseguito dal debitore, realizzerebbe gli scopi della notifica, previsti dal combinato disposto deli artt. 1212, n.4 cod. civ. e 78 disp. att. cod. civ., sostituendola validamente.
Per i motivi esposti al punto 1.1, il ricorso è, perciò accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione perché provveda al riesame della scrittura privata transattiva intercorsa tra le parti in applicazione dei principi suesposti.
Statuendo in rinvio, la Corte d’appello regolerà anche le spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda