Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7732 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7732 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
Oggetto:
società di fatto
AC – 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22796/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrenti e controricorrenti incidentali –
Contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
NOME
– intimata – avverso la sentenza non definitiva della Corte di appello di Lecce n. n.
1125/2018 e la sentenza definitiva della medesima Corte 582/2020, pubblicata in data 22 giugno 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, avverso la sentenza non definitiva con cui la Corte di appello di Lecce ha riconosciuto l’esistenza di una società di fatto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME disponendo che, sulla base di una c.t.u., venisse determinato e liquidato il valore della quota in favore del predetto NOME COGNOME e di NOME COGNOME e NOME COGNOME queste ultime in qualità di eredi di NOME COGNOME, deceduto nelle more; contestuale ricorso le predette hanno proposto avverso la successiva sentenza definitiva con cui la medesima Corte ha condannato le predette eredi a pagare in favore di NOME COGNOME la somma di euro 123.773,51, a titolo di liquidazione della quota sociale a lui spettante.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso, contestualmente proponendo ricorso incidentale avverso le predette sentenze affidato a tre motivi, a sua volta resistito da NOME COGNOME e NOME COGNOME con controricorso.
e nei confronti di
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, con la sentenza non definitiva ha osservato che, sulla base delle risultanze istruttorie acquisite agli atti (fideiussioni omnibus di NOME COGNOME, istruzioni di versamento a una banca, deposizioni testimoniali), era provato che tra i fratelli NOME e NOME COGNOME era esistita una società di fatto, in cui l’NOME figurava quale socio d’opera , dovendo ritenersi fittizia l’apparente esistenza di due imprese autonome intestate ai predetti fratelli, siccome in effetti aventi la stessa sede, gli stessi mezzi d’ impresa, gli stessi cantieri di attività per l ‘esecuzione dei medesimi appalti; b) che, ai fini della determinazione del valore della quota sociale da attribuirsi all’NOME COGNOME, dopo la morte del di lui fratello NOME e la conseguente cessazione della società di fatto tra i due, dovessero valutarsi i valori economici assegnati al complesso degli immobili di proprietà dell’ impresa edile eredi COGNOME, come definititi da una consulenza tecnica disposta nel giudizio nel 2012 e integrata nel 2016, depurati delle spese sostenute per la realizzazione dell’ attività economica; con la sentenza definitiva, il valore della quota era definitivamente determinato, tramite ulteriore c.t.u. del 2019, in complessivi euro 123.773,51.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. Il ricorso principale lamenta:
1.1. Primo motivo (riferito a entrambe le sentenze impugnate): «Violazione dell’art. 116 c.p.c.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussio ne tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, c.p.c.», deducendo che la Corte di appello avrebbe
omesso di esaminare il fatto dell’ affectio societatis nella sua declinazione della gestione in comune dell’attività , e di valutarne la decisività in ordine alla prova dell’ esistenza di una società di fatto tra i fratelli COGNOME.
Il motivo è inammissibile; in relazione alla lamentata violazione o falsa applicazione dell’art . 116 cod. proc. civ., perché tende a far sindacare a questa Corte di sola legittimità la correttezza del convincimento maturato dal giudice di appello sull’esistenza agli atti di prove della sussistenza della società di fatto; come la stessa censura riconosce, la sentenza parziale impugnata (pagg.7/9) ha largamente motivato sulla ‘ conducenza ‘ delle richiamate prove orali e documentali alla dimostrazione della sussistenza degli elementi costitutivi della società di fatto (correttamente richiamati nella loro astrattezza a pagina 5). Ed è noto che la selezione del materiale probatorio è operazione che spetta in via esclusiva al giudice del merito e che in questa sede il relativo sindacato è, sotto il profilo della falsa applicazione di legge, limitato alla verifica che in tale attività non risultino violati i canoni astratti di gerarchia delle prove, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 20867 del 30/09/2020. Nella specie, la censura non deduce alcuna violazione di tali criteri, ma assume che il risultato della valutazione avrebbe dovuto essere opposto a quello adottato: ciò che non è consentito dedurre in questa fase.
In relazione al vizio di motivazione, va rilevato che la censura è parimenti inammissibile , poiché non deduce l’omesso esame di un fatto storico-naturalistico dedotto e discusso in atti, potenzialmente decisivo al fine di far mutare l’esito del percorso valutativo del quadro probatorio; in effetti, ciò che sarebbe stato
omesso, o più precisamente non correttamente effettuata, è la valutazione della ricaduta degli elementi probatori acquisiti sulla dimostrazione dell’ affectio societatis : concetto che, con ogni evidenza, non è un fatto, ma è un giudizio di diritto, come tale non deducibile nell’ alveo dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.
1.2. Secondo motivo (riferito a entrambe le sentenze impugnate) « Violazione dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.; Violazione degli artt. 2247 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», deducendo che la sentenza impugnata sarebbe nulla laddove avrebbe rilevato d’ufficio e ‘a sorpresa’ , rispetto alle difese svolte dalle parti in causa, la natura di socio d’opera in capo a l COGNOME NOME, e comunque erronea laddove avrebbe omesso di rilevare il mancato assolvimento dell’onere della prova della congruenza del conferimento di NOME COGNOME nell’impresa di NOME COGNOME .
Il motivo è infondato in relazione alla denunciata nullità della sentenza, atteso che in alcun caso la qualificazione giuridica dei fatti dedotti in lite può ridondare in nullità della sentenza, per la semplice ragione che è precipuo compito del giudice sussumere i fatti allegati dalle parti nell’ alveo delle norme di diritto applicabili alla fattispecie. Nel caso concreto, la circostanza che la Corte territoriale abbia inteso arricchire la motivazione inerente all’accertamento della sussistenza di una società di fatto con la specificazione anche del ruolo che i due soci avrebbero ricoperto all’interno del sodalizio, ben lungi che costituire una violazione del principio del contradditorio, rappresenta solo una colorazione motivazionale che, senza minimamente eccedere quanto dedotto per il tramite della domanda giudiziale, finisce anche per essere
a ben vedere superflua rispetto alla ratio decidendi adottata, atteso che le funzioni svolte dai soci all’interno della società non sono affatto rilevanti ai fini di ciò che in questo processo effettivamente rileva, ovvero l’ accertamento che tra i germani COGNOME è esistita una società di fatto.
Sotto diverso profilo, laddove la censura evoca l’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., essa è inammissibile perché pretende ancora una volta da questa Corte di legittimità un sindacato sull’ esistenza e sulla congruità delle prove esaminate al fine di dimostrare l’esistenza o meno di un’ affectio societatis , con riferimento alla congruità dell’attività svolta all’ interno dell’ ente dal COGNOME NOME.
1.3. Terzo motivo (riferito a entrambe le sentenze impugnate) «Violazione degli artt. 1345 e 1418 c.c. Nullità del contratto sociale in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.», deducendo che la Corte territoriale avrebbe omesso di rilevare che l’eventuale società di fatto tra i fratelli COGNOME sarebbe stata radicalmente nulla in quanto avrebbe avuto un motivo illecito e avrebbe violato norme imperative, realizzando il reato di turbativa d’asta, e violando il divieto di controllo reciproco previsto dall’ art. 10, comma 1bis , della legge n. 109 del 1994 (c.d. ‘legge quadro sui lavori pubblici’ ).
Il motivo è inammissibile perché privo di autosufficienza, non risultando dedotto, né documentato, come, dove e quando sia stata introdotta nel giudizio e coltivata nei vari gradi la domanda di nullità della società di fatto; circostanza che la censura avrebbe dovuto documentare con estrema precisione, atteso che la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento alla proposizione di tale domanda, ciò che determina inammissibilità
del motivo, del tutto a prescindere dalla congruità delle allegazioni addotte a sostegno dell’invocata invalidità, che largamente fanno riferimento a fatti e circostanze che non risultano parimenti minimamente affrontati nella fase di merito.
1.4. Quarto motivo (riferito a entrambe le sentenze impugnate) «Violazione del combinato disposto di cui agli artt. 2272 e 2284 cod. civ; falsa ed erronea applicazione dell’art. 345 c.p.c.; il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata per non aver rilevato l’ inammissibilità della domanda dell’NOME COGNOME, conseguente all’avvenuto scioglimento della società di fatto per mancanza di pluralità di soci e per morte di uno di essi. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata è erronea laddove ha ritenuto costituire eccezione nuova, e pertanto preclusa in appello, la difesa delle odierne ricorrenti e allora appellate basata sul fatto che lo scioglimento della società si determina, ex 2272 n. 4 cod. civ., solo quando la pluralità dei soci non è ricostituita entro sei mesi. Verificatasi la causa di scioglimento, nel caso di morte del secondo socio, è il socio rimasto in vita a dover liquidare la quota del defunto ai suoi eredi. Con tale prospettazione, le odierne ricorrenti intendevano, quindi, dire da un canto che, morto il de cuius , l’attività era proseguita e comunque che, in caso contrario, competeva ad NOME COGNOME liquidare la quota a loro spettante. In tali termini, rispetto alla domanda originariamente proposta, l’eccezione non era che una sua naturale specificazione in relazione all’andamento della vicenda concreta e, come tale, doveva essere ritenuta ammissibile dal giudice di appello e, come tale, esaminata.
1.5. Quinto motivo (riferito a entrambe le sentenze impugnate) «Violazione dell’art. 2272 e ss. cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; violazione e falsa applicazione degli artt. 2253 e 2263 cod. civ. sia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., sia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver erroneamente proceduto alla determinazione del valore della quota del COGNOME NOME, in violazione della disciplina dell’inventario, della vendita in blocco dei beni sociali, del pagamento dei debiti sociali e del rimborso degli eventuali conferimenti effettuati dai soci, nonché per non aver tenuto conto che il principio di pari valore del conferimento dei soci di capitale non vale per il socio d’opera, il cui contributo va determinato invece dal giudice secondo equità».
Il motivo, che riguarda i criteri di determinazione della quota, resta assorbito dall’accoglimento del quarto motivo di ricorso.
1.6. Sesto motivo (riferito alla sola sentenza definitiva) « Falsa ed erronea applicazione dell’art. 1224 cod. civ.; il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.», deducendo l’ erroneità della sentenza impugnata per aver riconosciuto un indimostrato maggior danno da rivalutazione monetaria sulla somma dovuta al COGNOME NOME
Anche tale motivo, afferente la statuizione sul quantum contenuta nella sentenza definitiva, resta assorbito.
Il ricorso incidentale lamenta:
2.1. Primo motivo «I. Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, n. 3) c.p.c., in relazione agli artt. 2775 e ss. c.c. e, in quanto applicabili, agli artt. 2487 e ss. c.c.», deducendo che la Corte di appello – come concordemente
censurato anche dalle ricorrenti principali nel quinto motivo di ricorso – avrebbe erroneamente proceduto alla determinazione della quota di liquidazione senza nominare un liquidatore.
2.2. Secondo motivo «II. Nullità delle sentenze ex art. 360, n. 4) c.p.c., per violazione del principio di valutazione delle prove di cui all’art. 116 c.p.c., del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., oltre che dell’art. 132 c.p.c., e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», deducendo la nullità della sentenza impugnata per aver omesso di includere nel patrimonio della società di fatto alcuni beni mobili e immobili indicati dal COGNOME NOME nella memoria di precisazione della domanda depositata in primo grado, mai contestati dalla controparte.
2.3. Terzo motivo «Violazione di legge ex art. 360 n. 3) c.p.c., in relazione agli artt. 2253 e 2263 c.c. e nullità delle sentenze ex art. 360, n. 4) c.p.c., per violazione del principio di valutazione delle prove di cui all’art. 116 c.p.c. », deducendo l’erroneità delle sentenze laddove hanno ritenuto di dover detrarre dal valore patrimoniale della società le spese occorse per la realizzazione degli immobili oggetto di impresa.
Il ricorso incidentale, che formula censure inerenti ai criteri astratti e alle concrete modalità di determinazione del valore della quota di liquidazione, resta assorbito dall’accoglimento del ricorso principale.
La sentenza non definitiva va dunque cassata in relazione al quarto motivo, e così pure quella definitiva, vertente sul quantum (per tutte: Sez. 2, Sentenza n. 21456 del 19/08/2019). La causa è rinviata alla Corte di appello di Lecce, in diversa
composizione, alla quale è demandato di regolare le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie, con riguardo al ricorso principale, il quarto motivo, dichiara inammissibili il primo e il terzo, rigetta il secondo e dichiara assorbiti il quinto e il sesto; dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza non definitiva, in relazione al motivo accolto, e quella non definitiva; rinvia la causa innanzi alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, la quale provvederà anche a regolare le spese processuali di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’ 11 febbraio