Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11604 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11604 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25000/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOMENOME COGNOME
– intimati
–
avverso la sentenza della C orte d’appello di Catania n. 815/2023 depositata l’ 8/5/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/3/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME, dipendenti e creditori di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Catania la società datrice di lavoro, RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e RAGIONE_SOCIALE affinché, una volta accertato che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE costituivano di fatto un’unica organizzazione societaria e un unico centro di imputazione giuridica, fossero dichiarate l’inefficacia della delib era di scissione societaria dell’8 ottobre 2012 e del conseguente atto pubblico posti in essere dalla RAGIONE_SOCIALE nonché l’inefficacia dell’atto di trasferimento del patrimonio immobiliare compiuto dalla medesima compagine in favore della società di nuova costituzione RAGIONE_SOCIALE e venisse ordinata la cancellazione dell’iscrizione ipotecaria effettuata , in epoca successiva, sui medesimi beni immobili in favore di Credito Etneo-Banca di Credito Cooperativo.
Il giudizio, dichiarato interrotto in conseguenza dell’intervenuto fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, era riassunto dagli originari attori nei confronti della procedura concorsuale, la quale, costituendosi, dichiarava di subentrare nel l’azione proposta in forza del disposto dell’art. 66 l. fall., competendo alla stessa la relativa legittimazione come sostituto processuale della massa dei creditori.
Il Tribunale di Catania, con sentenza n. 3752/2018, dichiarava il difetto di legittimazione del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione a subentrare nel giudizio.
La Corte distrettuale di Catania, a seguito dell’appello presentato dal fallimento di RAGIONE_SOCIALE, ravvisava non solo l’interesse, ma anche la legittimazione esclusiva del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione a ottenere la pronuncia di accertamento dell’esistenza di un’unica società di fatto (la RAGIONE_SOCIALE), articolata nelle due componenti denominate RAGIONE_SOCIALE
e RAGIONE_SOCIALE, dato che tale pronuncia avrebbe avuto effetto per l’intera massa dei creditori del fallimento, consentendole di aggredire e soddisfare le pretese creditorie indistintamente su tutti i beni formalmente intestati alle singole società, ma in realtà appartenenti alla società di fatto RAGIONE_SOCIALE
Riconosceva, di conseguenza, la legittimazione esclusiva del fallimento a subentrare nell’azione promossa dai singoli creditori ex art. 66 l. fall..
Riteneva, nel merito, che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE costituissero un’unica società di fatto, tenuto conto dell’identica compagine sociale delle due società, del fatto che la stessa persona rivestiva la carica di amministratore unico delle apparentemente distinte società, della comunanza ed identità degli elementi organizzativi, strutturali ed amministrativi delle due imprese, comprovata anche dal vicendevole utilizzo del personale dipendente dell’una a favore dell’altra società, e degli scopi dell’esercizio dell’attività economica, volta a fornire ai clienti sia la vendita di macchine industriali, edili e stradali, sia i servizi di supporto meccanico e di assistenza post- vendita.
Osservava che l’operazione di scissione, attraverso la quale il patrimonio di RAGIONE_SOCIALE era stato assegnato alla società di nuova costituzione RAGIONE_SOCIALE, aveva avuto certamente come scopo quello di sottrarre l’originario patrimonio immobi liare, formalmente intestato alla RAGIONE_SOCIALE ma in realtà appartenente all’organizzazione societaria denominata RAGIONE_SOCIALE, alle ragioni creditorie.
Rammentava l’ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria, che nel caso di specie era stato formalmente compiuto da RAGIONE_SOCIALE anche se in realtà doveva ritenersi che fosse stato compiuto dalla società di fatto Ortes, di cui faceva parte anche RAGIONE_SOCIALE
Giudicava che nella fattispecie in esame sussistessero tutti i presupposti dell’azione richiesti dall’art. 2901 cod. civ..
Reputava inammissibile la domanda di cancellazione dell’iscrizione ipotecaria effettuata in favore di Credito Etneo -Banca di Credito Cooperativo a garanzia della concessione di un mutuo fondiario a La Fenice sRAGIONE_SOCIALEr.l., dato che nessuna domanda di inefficacia era stata avanzata rispetto all’atto di mutuo e l’istituto di credito non era mai stato evocato in giudizio.
Dichiarava, in conclusione, la legittimazione esclusiva del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, l’esistenza di una società di fatto tra RAGIONE_SOCIALE, fallita, e RAGIONE_SOCIALE denominata ‘OrtesRAGIONE_SOCIALE, l’inefficacia nei con fronti della massa dei creditori del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione della delibera di scissione societaria in data 8 ottobre 2012 e del successivo atto di scissione del 4 gennaio 2013 posti in essere, formalmente, da Ortes RAGIONE_SOCIALE, ma in realtà dalla società di fatto RAGIONE_SOCIALE, a favore di RAGIONE_SOCIALE, la conseguente inefficacia dell’atto di trasferimento del patrimonio immobiliare posto in essere, formalmente, da RAGIONE_SOCIALE, ma in realtà dalla società di fatto RAGIONE_SOCIALE, a favore della scissa società RAGIONE_SOCIALE e contenuto nell’atto di scissione.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 8 maggio 2023, prospettando sette motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
Gli intimati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, già soci della cancellata RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, NOME COGNOME, già liquidatore della medesima società, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME COGNOME, originari attori, non hanno svolto difese.
La società ricorrente e la procedura controricorrente hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Il primo motivo di ricorso assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per difetto di integrità del contraddittorio, in quanto non sono stati evocati in giudizio né il terzo acquirente del bene costituente l’ogge tto di uno degli atti impugnati con l’azione revocatoria (RAGIONE_SOCIALE), né il creditore che aveva erogato il mutuo garantito dall’ipoteca per la quale era stata avanzata domanda di cancellazione (Credito Etneo -Banca di Credito Cooperativo); il mezzo, nel contempo, denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in quanto è stata omessa la pronuncia sulla relativa eccezione di parte tempestivamente formulata e ritualmente reiterata.
Il motivo risulta, nel suo complesso, inammissibile.
5.1 All’interno dell’atto di citazione (che questa Corte può prendere direttamente in esame, quale giudice del fatto processuale), in effetti, è indicato che gli attori intendevano chiedere, ai sensi dell’art. 2901 cod. civ., la dichiarazione di inefficacia anche dell’atto di trasferimento intercorso, in data 1° giugno 2012, fra RAGIONE_SOCIALE
Una simile domanda, tuttavia, non è stata riportata all’interno delle conclusioni subito dopo formalizzate all’interno del medesimo atto, dove risulta indicata solo la richiesta di dichiarare l’inefficacia della delibera di scissione societaria posta in essere da RAGIONE_SOCIALE a favore della nuova società RAGIONE_SOCIALE e del correlato atto di trasferimento del patrimonio immobiliare.
Trattandosi di due atti negoziali diversi, coinvolgenti differenti compagini, l’odierna ricorrente non aveva (in appello) e non ha (in questa sede) alcun interesse a dedurre il difetto di integrità del contraddittorio rispetto a un atto che non l’ha coinvolta in alcun modo e a una domanda che, se posta, non la riguardava.
5.2 La domanda di cancellazione dell’ipoteca è stata rigettata dalla decisione impugnata senza che alcuna delle parti dell’odierno giudizio di legittimità abbia proposto impugnazione al riguardo.
Ne discende l’inammissibilità, per carenza di interesse, della doglianza concernente la mancata integrazione del contraddittorio rispetto a una domanda oramai definitivamente rigettata.
5.3 La mancata pronuncia della Corte distrettuale a proposito di queste eccezioni non è denunciabile in questa sede, perché il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito.
La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è ferma nel ritenere che il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non possa dar luogo a vizio di omessa pronunzia, il quale attiene al mancato esame delle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (si vedano in questo senso, fra molte, Cass. 25154/2018, Cass. 1876/2018, Cass. 10073/2003, Cass. 14670/2001).
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità dell’intero procedimento e della sentenza impugnata a causa della mancata notifica alla convenuta e contraddittore necessario RAGIONE_SOCIALE in liquidazione dell’atto introduttivo del giudizio, del ricorso in riassunzione del giudizio a seguito della sua interruzione per il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e della comparsa in riassunzione, contenente la dichiarazione di subentro della curatela nella domanda originaria, nei termini perentori al riguardo reiteratamente assegnati dal giudice, omissione a cui doveva conseguire l’estinzione di diritto del giudizio, nel senso
previsto dal combinato disposto degli artt. 291 e 307, ultimo comma, cod. proc. civ..
7. Il motivo non è fondato.
7.1 Risulta dagli atti del procedimento – a cui questa Corte, come detto, ha diretto accesso, quale giudice del fatto processuale -che gli originari attori, successivamente alla dichiarazione di interruzione del giudizio per il fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, presentarono un ricorso per la riassunzione del processo interrotto ex art. 303 cod. proc. civ. a seguito del quale il giudice istruttore fissò udienza per il 6 novembre 2015, assegnando termine per la notifica del ricorso e del decreto sino al 10 luglio 2015. All’udienza del 6 novembre 2015 il giudice, vista la richiesta formulata da parte attrice con cui era stata chiesta l’autorizzazione alla rinnovazione della notifica ai convenuti contumaci RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in liquidazione dell’atto di riassunzione, ordinò ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. il rinnovo della notifica del ricorso in riassunzione e del pedissequo decreto entro il termine perentorio del 12 gennaio 2016, rinviando all’udienza del 10 giugno 2016.
All’udienza del 10 giugno 2016 il difensore degli originari attori rappresentò che RAGIONE_SOCIALE in liquidazione era risultata sconosciuta all’indirizzo, mentre il difensore del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione dichiarò di subentrare nell’azione proposta dagli originari attori, regolarmente insinuati al passivo fallimentare, e chiese di essere autorizzato a provvedere al rinnovo della notifica dell’atto di citazione, non andata a buon fine, del ricorso in riassunzione e della comparsa di costituzione contenente la dichiarazione di subentro nella domanda degli attori.
Il giudice istruttore, con ordinanza del 15 giugno 2016, preso atto del subentro in causa del curatore e constatato che non si era instaurato il contraddittorio nei confronti della convenuta RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, non essendo andate a buon fine le notifiche relative sia all’originario atto di citazione, sia al successivo
ricorso per riassunzione a seguito dell’interruzione del giudizio conseguente all’intervenuto fallimento del debitore, fiss ò alla curatela, subentrata nella posizione degli attori, termine perentorio ai sensi dell’art. 291 cod. proc. civ. fino al 29 luglio 2016 per la rinnovazione della notifica a RAGIONE_SOCIALE in liquidazione dell’originario atto di citazione del ricorso in riassunzione, unitamente al pedissequo decreto e all’ordinanza del 6 novembre 2015, della comparsa di costituzione contenente la dichiarazione di subentro nella domanda dei creditori originari attori e del medesimo provvedimento, rinviando all’udienza del 20 gennaio 2017.
Il difensore della curatela fallimentare in data 28 luglio 2016 presentò istanza per riassumere e proseguire il giudizio nei confronti dei soci e del liquidatore della società, a seguito della quale il giudice, ai sensi dell’art. 303 cod. proc. civ., assegn ò termine sino al 5 ottobre 2016 per la notifica del ricorso e del decreto, ritualmente avvenuta senza che NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, già soci della cancellata RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, e NOME COGNOME, già liquidatore della medesima società, si costituissero in giudizio.
7.2 Così ricostruito lo sviluppo della vicenda processuale, occorre poi rilevare che l’atto di citazione del 26 giugno 2014 era stato ritualmente notificato in data 1° luglio 2014 soltanto a RAGIONE_SOCIALE ma non a RAGIONE_SOCIALE dato che la notifica tentata nei confronti di quest’ultima compagine il 4 luglio 2014 non era andata a buon fine.
RAGIONE_SOCIALE era stata cancellata dal registro delle imprese, a seguito di liquidazione, in data 20 ottobre 2014; sino a quella data nessuna valida notifica dell’atto di citazione era mai stata effettuata nei suoi confronti.
Ora, la cancellazione di una società dal registro delle imprese priva la società stessa, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, della capacità di stare in giudizio (con la sola
eccezione della fictio iuris contemplata dall’art. 10 l. fall.); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., 6070/2013).
Nel caso di specie nel corso del giudizio di primo grado una convenuta (RAGIONE_SOCIALE) era stata dichiarata fallita, l’altra (RAGIONE_SOCIALE) era stata cancellata dal registro delle imprese sin dal 20 ottobre 2014, a giudizio già pendente e nelle more della celebrazione della prima udienza di comparizione; la lite, quindi, ha subito una teorica duplice causa di interruzione, in quanto non solo la dichiarazione di fallimento, ex art. 43, comma 3, l. fall., ma anche la cancellazione della società dal registro delle imprese, causando l’estinzione della società, ove intervenga nella pendenza di un giudizio nel quale essa sia parte determina un’ipotesi di interruzione, con possibilità di prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. (Cass. 19580/2017).
Ciò nonostante, mentre alla prima udienza del 2 dicembre 2014 è stata dichiarata l’interruzione del processo in conseguenza dell’intervenuto fallimento di RAGIONE_SOCIALE (declaratoria rispetto alla quale vi è stata tempestiva riassunzione del giudizio), non è mai stata dichiarata l’interruzione del processo ex art. 299 cod. proc. civ. in conseguenza della cancellazione dal registro delle imprese di RAGIONE_SOCIALE
7.3 La declaratoria di estinzione ai sensi dell’art. 307, comma 3, cod. proc. civ. presuppone che il termine di cui all’art. 291 cod. proc. civ. sia stato assegnato correttamente, a seguito della declaratoria di interruzione del giudizio (cfr. Cass., Sez. U., 12154/2021), condizione che nel caso di specie non si è mai verificata perché non
vi è mai stata alcuna dichiarazione giudiziale dell’interruzione del procedimento a causa della cancellazione della società convenuta dal registro delle imprese e l’assegnazione del termine è sempre stata effettuata per notificare alla società, benché la stessa fosse oramai cancellata.
Ne discende che l’inattività della parte verificatasi nelle more del giudizio interrotto per questo secondo evento non è in grado di determinare gli effetti previsti dal combinato disposto degli artt. 291, ultimo comma, e 307, comma 3, cod. proc. civ..
Il terzo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e 4, cod. proc. civ., l’inammissibilità dell’appello per carenza di interesse e difetto di autosufficienza in relazione a tutti i capi della sentenza di primo grado, in quanto il gravame era stato proposto limitatamente al solo profilo della legittimazione ad agire, ma senza alcuna impugnazione dei restanti capi della decisione concernenti i profili di merito.
Il ricorrente denuncia, inoltre, la nullità della sentenza per extrapetizione, in conseguenza della violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum , nonché la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione tanto alla pronunzia di revocatoria, quanto alla declaratoria di inefficacia degli atti sottostanti, dato che queste domande non erano state riproposte né ritualmente formulate in seno all’atto di appello dell’unica parte impugnante, cioè dalla subentrante curatela fallimentare, già soccombente in primo grado.
Il motivo, in subordine, denuncia la violazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in quanto la curatela appellante, in violazione del divieto di introduzione di domande nuove in appello, ha presentato diverse conclusioni con le note cartolari depositate all’u dienza del 23 dicembre 2022.
Il motivo non è fondato.
Non è in contestazione che il giudice di primo grado si sia pronunciato esclusivamente dichiarando il difetto di legittimazione del fallimento di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione a subentrare nel giudizio avviato dagli originari attori.
Ora, l’appellante che impugni la sentenza con la quale il giudice di primo grado non si sia espressamente pronunciato su una domanda, avendola ritenuta assorbita da un’altra decisione di carattere logicamente preliminare, non ha l’onere di formulare uno sp ecifico motivo di gravame sulla questione assorbita, ma soltanto di riproporre la relativa domanda nel rispetto dell’art. 346 cod. proc. civ. (Cass. 13768/2018, Cass. 17749/2017, Cass., Sez. U., 7700/2016).
Ne discende che, in ragione dell’esito del giudizio di primo grado, l’atto di appello non poteva che investire l’unica statuizione assunta dal tribunale, mentre le ulteriori domande di merito dovevano essere prospettate riproponendo, in caso di accoglimento della doglianza prioritaria, le richieste presentate dagli originari attori.
Il che è esattamente quanto avvenuto nel caso di specie, dato che la procedura appellante, dopo aver richiamato (a pag. 9 dell’atto di citazione in appello) le domande presentate dagli attori, non si è limitata a domandare che fosse accertata la propria legittimazione a subentrare nell’azione revocatoria in origine presentata, ma ha pure insistito per l’istruzione della causa (attraverso la remissione degli atti al tribunale o direttamente avanti alla Corte distrettuale), all’evidente scopo di veder accogli ere nel merito la domanda introdotta dai creditori a cui era subentrata.
10. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2247 cod. civ.: sostiene la ricorrente, stante il basilare principio di autonomia giuridica e patrimoniale di ciascuna società eventualmente interessata, che l’eventuale esistenza di una società di fatto fra le due compagini postulasse necessariamente l’accertamento di un patto sociale fra le partecipanti, l’esercizio
congiunto di un’attività economica, l’esistenza di un’alea comune dei guadagni e delle perdite e il ricorrere di un vincolo di collaborazione in funzione dello svolgimento di tale attività; la Corte distrettuale, invece, ha desunto -in tesi l’esistenza di una società di fatto esclusivamente da fattori estrinseci e di per sé assolutamente neutri, come tali del tutto irrilevanti sul piano del sillogismo giuridico e probatorio, quali l’identità della compagine sociale, il vicendevole utilizzo del personale dipendente e la comunanza di intenti nella vendita e nell’ assistenza post vendita di macchine edili-stradali.
11. Il motivo non è fondato.
La riforma del diritto societario ha espressamente consentito la partecipazione, anche di fatto, di una società di capitali a una società di persone (cd. ‘supersocietà’).
Gli artt. 2361 cod. civ. e 111duodecies disp. att. cod. civ., infatti, hanno inequivocamente previsto che una società di capitali possa assumere la qualità di socio illimitatamente responsabile, tra l’altro, di una società in nome collettivo, pur se irregolare (art. 2297 cod. civ.) come la società di fatto.
La prova della sussistenza di tale società dev’essere fornita attraverso la dimostrazione dei presupposti costituiti dall’esercizio in comune dell’attività economica, dall’esistenza di un fondo comune (da apporti o attivi patrimoniali) e dall’effettiva par tecipazione ai profitti e alle perdite e, dunque, da un agire nell’interesse, ancorché diversificato, dei soci (v. Cass. 5458/2023, Cass. 12120/2016).
La Corte distrettuale si è attenuta a questi principi.
Infatti, la sentenza impugnata ha accertato, in fatto, ‘ la comunanza ed identità degli elementi organizzativi, strutturali ed amministrativi delle due imprese – comprovata anche dal vicendevole utilizzo del personale dipendente, dell’una a favore dell’altra società e degli scopi dell’esercizio dell’attività e conomica volta a fornire ai clienti sia la vendita di macchine industriali, edili, stradali sia i servizi di
supporto meccanico e di assistenza post-vendita ‘ (pag. 11 della decisione impugnata).
Questi elementi, uniti al fatto che le due società avevano una compagine sociale coincidente e un identico amministratore unico, hanno indotto i giudici distrettuali a ritenere dimostrato, in via indiziaria, che le singole società avessero operato secondo i consolidati tratti dell’esercizio in comune dell’attività economica, di un agire unitario nell’interesse dei soci, nonché dell’assunzione ed esteriorizzazione del vincolo, anche verso i terzi, e dunque a ravvisare l’esistenza tra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di una società di fatto (Ortes) che appariva ed era rappresentata nei confronti dei terzi come un’unica realtà societaria. Un simile accertamento, che risponde alle caratteristiche richieste dall’art. 2247 cod. civ., costituisce un apprezzamento di merito incensurabile in sede di legittimità (se non attraverso la deduzione di un vizio di motivazione, non prospettata nel caso di specie).
12. Il quinto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod. civ., in quanto la Corte distrettuale, dopo aver riconosciuto l’esistenza di una società di fatto, vale a dire di un unico soggetto di diritto, quale indistinto centro di imputazione di diritti, interessi e capacità di agire, ha accolto l’azione revocatoria esercitata ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. dagli originari attori e proseguita dal fallimento di RAGIONE_SOCIALE malgrado tale norma presupponga, necessariamente ed ontologicamente, una duplicità di soggetti agenti, cioè il cedente/alienante, da un lato, e il cessionario/acquirente revocato dall’altro.
13. Il motivo non è fondato.
La Corte distrettuale, infatti, ha ritenuto che l’operazione di scissione, attuata mediante l’assegnazione del patrimonio formalmente intestato a RAGIONE_SOCIALE, ma in realtà appartenente all’organizzazione societaria denominata Ortes, alla società di nuova costituzione RAGIONE_SOCIALE, sia stata compiuta in
frode delle ragioni creditorie della società di fatto e della massa dei creditori della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Una simile statuizione individua non solo l’esistenza di una duplicità di soggetti coinvolti nel negozio revocando, costituiti da un lato dalla cedente società di fatto Ortes, dall’altro dalla scissionaria RAGIONE_SOCIALE, ma anche il ricorrere di un eventus damni correlato proprio alla riduzione del patrimonio immobiliare su cui il ceto creditorio di RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto soddisfarsi (per effetto della dichiarazione di fallimento del socio della supersocietà di fatto, della sua esclusione di diritto ai sensi del combinato disposto degli artt. 2293 e 2288, comma 1, cod. civ. e dell’acquisizione della quota del socio uscente alla massa fallimentare).
E’ opportuno, infine, ricordare che , conformemente a quanto statuito dalla Corte di Giustizia UE (con sentenza del 30 gennaio 2020 in causa C-394/18), la revocatoria ordinaria dell’atto di scissione societaria è ammissibile, poiché mira ad ottenere l’inefficacia relativa di tale atto, così da renderlo inopponibile al solo creditore pregiudicato (al contrario di ciò che si verifica nell’opposizione dei creditori sociali prevista dall’art. 2503 cod. civ., che è finalizzata a farne valere l’invalidità), dovendosi ritenere che la tutela dei creditori, a fronte di atti societari, si estende sino a ricomprendervi, sia pure in via mediata, qualsiasi attribuzione patrimoniale, a sua volta, “indiretta” ivi contenuta (Cass. 12047/2021).
14. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione del giudicato penale venutosi a formare ex art. 652 cod. proc. pen. e l’omesso esame del fatto, decisivo per il giudizio e discusso tra le parti, costituito dall’intervenuta assoluzione dell’amministratore unico della società fallita, per insussistenza del fatto, dal reato di bancarotta per distrazione, malgrado tale statuizione fosse stata adottata con riferimento agli stessi atti dispositivi oggetto dell’azione revocatoria.
15. Il motivo è inammissibile in ragione della sua genericità.
Il mezzo, infatti, non precisa quale specifica imputazione fosse stata ascritta all’amministratore unico in sede penale e se all’interno della stessa fosse stato indicato anche l’atto di trasferimento del patrimonio immobiliare posto in essere, formalmente, da RAGIONE_SOCIALE a favore della scissa società RAGIONE_SOCIALE cosicché non è dato sapere se la portata assolutoria del giudicato penale involga anche tale atto.
Allo stesso modo la censura non spiega se la procedura fallimentare rimanendo così impossibile verificare il ricorrere del presupposto a cui l’art. 652, comma 1, cod. proc. pen. ricollega l’e
16. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 100 cod. proc. civ. e 2901 cod. civ., in quanto il fallimento di RAGIONE_SOCIALE doveva considerarsi privo di legittimazione in relazione agli atti dispositivi di soggetti terzi (RAGIONE_SOCIALE) dei quali la società fallita non era creditrice.
17. Il motivo è inammissibile.
Esso muove da un presupposto di fatto -costituito dalla circostanza che l’atto dispositivo fosse stato posto in essere da RAGIONE_SOCIALE -che risulta in contrasto con gli accertamenti compiuti dalla Corte distrettuale, a dire della quale ‘ l’atto di scissione formalmente è stato compiuto dalla RAGIONE_SOCIALE anche se in realtà deve ritenersi sia stato compiuto dalla società di fatto RAGIONE_SOCIALE, di cui faceva parte anche la RAGIONE_SOCIALE ‘ (pag. 15 della decisione impugnata).
La censura risulta perciò inammissibile per incoerenza col contenuto della decisione impugnata, il cui approdo fattuale il ricorrente intende nella sostanza porre in discussione in questa sede di legittimità.
18. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 26 marzo 2025.