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Simulazione vendita: prova per l’erede legittimario

Un fratello cita in giudizio l’altro, sostenendo che due compravendite immobiliari stipulate dalla loro madre in favore di quest’ultimo fossero in realtà una simulazione vendita per mascherare delle donazioni. La Corte di Cassazione, confermando la decisione d’appello, ha ribadito un principio fondamentale: l’erede legittimario che agisce per tutelare la propria quota di legittima è considerato un ‘terzo’ rispetto all’atto simulato. Di conseguenza, può dimostrare la simulazione con ogni mezzo di prova, incluse le presunzioni come lo stretto rapporto di parentela e la mancata prova del pagamento del prezzo.

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Simulazione Vendita: La Cassazione Chiarisce la Posizione dell’Erede Legittimario

Quando una compravendita immobiliare tra familiari nasconde in realtà una donazione, l’erede che si sente danneggiato può agire in giudizio. Ma come può provare la simulazione vendita? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: l’erede legittimario che agisce per tutelare la propria quota di eredità è considerato un ‘terzo’ e gode di importanti agevolazioni probatorie. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

La vicenda giudiziaria nasce dalla domanda di un uomo contro suo fratello. L’attore sosteneva che due atti di compravendita, stipulati in anni diversi (1979 e 1989), con cui la loro madre, poi defunta, aveva ceduto al fratello la nuda proprietà di due immobili, fossero in realtà delle donazioni simulate. Tali atti, a suo dire, avevano leso la sua quota di legittima, ovvero la parte di eredità che la legge gli riserva.

Secondo l’attore, le vendite mascheravano delle donazioni, nulle per vizio di forma poiché non erano state stipulate alla presenza dei due testimoni richiesti dalla legge per questo tipo di atto. Mentre il Tribunale di primo grado aveva respinto la sua domanda, la Corte d’Appello gli aveva dato ragione, accertando la simulazione e dichiarando la nullità delle donazioni dissimulate.

Il fratello beneficiario degli immobili ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando principalmente le modalità con cui la Corte d’Appello aveva ritenuto provata la simulazione.

La Prova della Simulazione Vendita per l’Erede

Il punto centrale della controversia riguarda l’onere della prova. Il ricorrente sosteneva che non fossero stati forniti elementi sufficienti per dimostrare la simulazione, ritenendo che il solo rapporto di parentela non potesse costituire un indizio valido. La questione giuridica fondamentale è: l’erede legittimario che impugna un atto del defunto è considerato una ‘parte’ del contratto (soggetta a rigidi limiti probatori) o un ‘terzo’ (che può provare la simulazione con ogni mezzo)?

La Posizione di ‘Terzo’ del Legittimario

La Corte di Cassazione ha sciolto ogni dubbio, confermando il suo orientamento consolidato. Il legittimario che agisce per la reintegrazione della sua quota di legittima, contestando una simulazione vendita compiuta dal de cuius, agisce in qualità di terzo. Questo perché non fa valere un diritto ereditato dal defunto (che era parte del contratto simulato), ma un diritto proprio e personale, quello alla quota di eredità intangibile per legge.

Questa qualificazione ha conseguenze pratiche enormi sul piano probatorio. Essendo terzo, il legittimario non è soggetto ai limiti previsti per le parti contrattuali e può provare la simulazione senza restrizioni, avvalendosi anche di testimoni e, soprattutto, di presunzioni.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

Nel rigettare il ricorso, la Suprema Corte ha spiegato che la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi in materia. La prova della simulazione, in assenza di una controdichiarazione scritta, è per sua natura indiziaria. Spetta al giudice di merito valutare gli elementi presuntivi, purché siano gravi, precisi e concordanti.

Nel caso specifico, la Corte d’Appello ha giustamente valorizzato due elementi chiave:
1. Lo stretto rapporto di parentela tra la madre venditrice e il figlio acquirente.
2. L’assenza di prova del pagamento del prezzo, considerata un indizio fondamentale della natura gratuita dell’atto.

La Cassazione ha inoltre ribadito un altro principio importante: quando un terzo fornisce indizi sufficienti del carattere fittizio di una compravendita, l’onere di provare l’effettivo pagamento del prezzo si sposta sull’acquirente. La semplice dichiarazione contenuta nel rogito notarile, con cui la venditrice dava atto di aver ricevuto il prezzo, non è una prova sufficiente contro il terzo, in quanto costituisce una mera dichiarazione favorevole alla parte stessa.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza per la tutela degli eredi legittimari. Stabilisce chiaramente che chi agisce per proteggere la propria quota di eredità da una simulazione vendita posta in essere dal defunto gode di una posizione processuale privilegiata. Non essendo vincolato dai limiti probatori delle parti, può basare la sua azione su elementi presuntivi, come i legami familiari e la mancanza di un flusso di denaro, per svelare la reale natura dell’atto e ottenere la reintegrazione dei propri diritti ereditari.

L’erede che contesta una vendita fatta dal defunto è considerato una ‘parte’ del contratto o un ‘terzo’?
Secondo la Corte di Cassazione, il legittimario che agisce per la reintegrazione della sua quota di eredità, lesa da un atto simulato del defunto, agisce a tutela di un proprio diritto e va considerato ‘terzo’ rispetto al contratto.

Quali prove può usare l’erede per dimostrare una simulazione di vendita?
In qualità di terzo, l’erede legittimario può provare la simulazione con ogni mezzo, senza i limiti previsti per le parti. Può quindi avvalersi di testimonianze e di presunzioni semplici, come lo stretto rapporto di parentela tra le parti del contratto e la mancanza di prova del pagamento del prezzo.

In caso di azione di simulazione, chi deve provare che il prezzo è stato effettivamente pagato?
Quando il terzo che agisce in giudizio fornisce indizi sufficienti a far dubitare della veridicità della vendita, l’onere della prova si sposta sull’acquirente. È quest’ultimo che deve dimostrare di aver realmente pagato il corrispettivo pattuito, e la sola dichiarazione contenuta nell’atto notarile non è considerata una prova sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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