Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 230 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 230 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21362/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 1489/2019, depositata l ‘ 8/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
NOME COGNOME premesso di essere creditrice del coniuge separato NOME COGNOME dell’importo di euro 54.381, 61 a titolo di ratei dell’assegno di mantenimento, ha chiamato in giudizio COGNOME e la madre NOME COGNOME chiedendo al Tribunale di Ferrara di accertare la simulazione assoluta dell’atto con il quale il marito aveva ceduto alla madre, per l’importo di euro 60.000, il 90% delle quote della società della quale il cedente era socio unico e amministratore. La domanda è stata accolta dal Tribunale di Ferrara con la sentenza n. 941/2017.
La sentenza è stata appellata, con distinti atti di impugnazione successivamente riuniti, da COGNOME e da COGNOME che hanno contestato al Tribunale di avere ritenuto provata la simulazione dell’atto di cessione delle quote sulla base di elementi privi di significato probatorio e di non avere ammesso le prove che avrebbero consentito di dimostrare l’effettiva volontà delle parti del contratto di cessione, anche richiamando i principi in tema di azione revocatoria ordinaria circa l’onere in capo a chi agisce di provare la dolosa preordinazione dell’atto.
La Corte d’appello di Bologna, con la sentenza n. 1489/2019, ha rigettato le impugnazioni. Il giudice d’appello ha anzitutto precisato che, con la sentenza impugnata, il Tribunale ha accolto la domanda di Perez di accertamento della simulazione assoluta del contratto di cessione delle quote, cosicché erano inconferenti le argomentazioni degli appellanti circa la pretesa mancanza dei presupposti per l’accoglimento dell’azione revocatoria; ha poi osservato come sia indubbio che la cessione delle quote abbia comportato un pregiudizio per la creditrice del simulato alienante, non rilevando ai fini dell’interesse e della legittimazione a proporre l’azione di simulazione che il credito sia stato accertato e determinato successivamente alla stipulazione dell’atto; ha ancora precisato che il creditore, in quanto terzo rispetto al contratto simulato, può
provare la simulazione anche a mezzo di presunzioni e nel caso in esame i numerosi elementi presi in considerazione dal Tribunale sono univocamente sintomatici della simulazione dell’atto di cessione delle quote, finalizzato a creare l’apparenza di incapacità patrimoniale in capo all’alienante e ad evitare la possibilità per il coniuge di soddisfare con i suddetti beni le pretese creditorie che sarebbero state avanzate nel giudizio di separazione.
Avverso la sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono per cassazione.
Resiste con controricorso NOME COGNOME tra l’altro chiedendo la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c.
Memoria è stata depositata dai ricorrenti, che chiedono di essere autorizzati a depositare la sentenza che ha dichiarato il fallimento della società oggetto della cessione, il provvedimento di chiusura del fallimento e la sentenza d’appello che ha riformato la sentenza di divorzio di primo grado di COGNOME e COGNOME L’istanza è inammissibile, alla luce del disposto di cui all’art. 372 c.p.c., non trattandosi di documenti relativi alla nullità della sentenza impugnata o alla ammissibilità del ricorso e del controricorso.
Memoria è stata depositata anche dalla controricorrente, in cui comunica che sono venuti meno i presupposti per la sua ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in quattro motivi:
Il primo motivo lamenta ‘falsa applicazione di norme di diritto e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti’: la Corte d’appello ha errato motivando e fondando la propria decisione sui requisiti della revocatoria.
Il motivo è infondato. La Corte d’appello non ha affatto motivato e fondato la propria decisione sui requisiti dell’azione revocatoria. La Corte ha infatti precisato che il Tribunale ha accolto la domanda di
accertamento della simulazione assoluta del contratto di cessione, ‘così che sono inconferenti tutte le argomentazioni svolte dagli appellanti circa la pretesa mancanza dei presupposti per l’accoglimento di un’azione revocatoria’, e ha sottolineato come le due azioni di simulazione e revocatoria siano diverse per contenuto e finalità (v. le pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata).
2) Il secondo motivo contesta erronea applicazione degli artt. 2727 e segg. c.c.: in relazione alla simulazione è necessario provare specificamente che l’alienazione sia stata soltanto apparente, nel senso che né l’alienante abbia inteso dismettere la titolarità del diritto, né l’altra parte abbia inteso acquisirla; tale prova non è stata raggiunta da controparte in quanto la valutazione complessiva delle circostanze e la loro concordanza avrebbero parimenti dato fondamento alle pretese dei ricorrenti.
Il motivo non può essere accolto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di simulazione assoluta del contratto, nel caso in cui la relativa domanda sia proposta da terzi estranei al negozio, ‘spetta al giudice del merito valutare l’opportunità di fondare la decisione su elementi presuntivi, da considerare non solo analiticamente, ma anche nella loro convergenza globale, a consentire illazioni che ne discendano secondo l’ id quod plerumque accidit , restando il relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se motivato’ (Cass. n. 28224/2008). Nel caso in esame i giudici di merito hanno ritenuto raggiunta la prova della simulazione assoluta del contratto di cessione delle quote sulla base di plurimi indizi, precisi e tra loro concordanti (quali la circostanza temporale nella quale è stata stipulata la cessione di quote, avvenuta a favore della madre, l’incongruità del prezzo di vendita, la mancata prova dell’effettivo pagamento del prezzo, il permanere della denominazione della società con l’indicazione a socio unico e la tardiva dichiarazione a fini fiscali dell’incasso del prezzo della cessione delle quote), indizi che sono
stati esaminati analiticamente e nella loro convergenza globale, con valutazione motivata e pertanto incensurabile da parte di questa Corte.
Il terzo motivo che denuncia ‘omesso esame circa punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio’ – ribadisce quanto sostenuto nel motivo precedente, ossia che le presunzioni che hanno fondato le sentenze di merito sono basate su valutazioni soggettive, che appaiono ‘a tutti gli effetti il risultato di una scelta piuttosto che un’altra’, e non può pertanto, per le stesse ragioni del motivo precedente, essere accolto.
Il quarto motivo fa valere ‘falsa applicazione di norme di diritto e violazione di legge’: con un ‘irrituale atto di integrazione all’atto di citazione, notificato, l’avvocato COGNOME apportava modifiche all’atto di citazione’, ma ‘di tale circostanza i giudicanti non tenevano conto; tale nullità travolge l’intero giudizio’.
Il riportato motivo appare generico e, prima ancora, incomprensibile e non può che essere dichiarato inammissibile.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Va respinta la richiesta di condanna dei ricorrenti per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c.: ‘il fondamento costituzionale della responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c., risiede nell’art. 111 Cost. – il quale, ai commi 1 e 2, sancisce il principio del giusto processo regolato dalla legge e quello, al primo consustanziale, della sua ragionevole durata -e ha come presupposto la mala fede o colpa grave, da intendersi quale espressione di scopi o intendimenti abusivi, ossia strumentali o comunque eccedenti la normale funzione del processo’ (così Cass. n. 36591/2023), presupposti che non sono ravvisabili nel caso in esame.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e comportano la condanna dei ricorrenti in favore dello Stato, essendo la controricorrente stata ammessa al patrocinio statale. È
vero che, nella memoria depositata prima dell’adunanza, la controricorrente dichiara, e deposita documentazione al riguardo, che durante il giudizio di cassazione è mutata la propria situazione patrimoniale e che non è più in possesso dei requisiti per permanere al patrocinio statale. Questa Corte, però, non è competente a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio: la competenza sulla revoca in relazione al giudizio di cassazione ‘spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002 per la revoca dell’ammissione’ (Cass., sez. un., n. 4315/2020).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore dello Stato, che liquida in euro 7.000.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione