Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28736 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28736 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/10/2025
SANZIONI AMMINISTRATIVE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30396/2020 R.G. proposto da: BANCA CONSULIA SPA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, quest’ultima erede con beneficio d’inventario di NOME COGNOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME.
– Ricorrenti –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME, dall’avvocato NOME e dall’avvocato NOME COGNOME .
– Controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 686/2020 depositata il 28/02/2020.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del giorno 08 ottobre 2025.
Rilevato che:
Con delibera sanzionatoria n. 20936 del 14 maggio 2019, a conclusione del procedimento avviato sulla scorta dell’attività di vigilanza della Banca d’Italia, la RAGIONE_SOCIALE ha contestato alla Banca NOME Spa (‘NOME‘) e a 16 esponenti aziendali e dipendenti tre distinte violazioni dell’ art. 21 comma 1, lett. a) e d), TUF:
violazione 1 (periodo dall’11 febbraio 2016 al 22 marzo 2018) dell’art. 21, comma 1, lett. a), TUF, che impone agli intermediari l’obbligo di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti, nonché dell’art. 21, comma 1, lett. d)», TUF, e dell’art. 15 del Regolamento Congiunto Banca RAGIONE_SOCIALE‘Italia/RAGIONE_SOCIALE del 29 ottobre 2007 -adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2-bis, TUF, che impongono all’intermediario di dotarsi di procedure idonee ad assicurare il corretto svolgimento dei servizi di investimento»;
violazione 2 (periodo dal 1° luglio 2015 al 22 marzo 2018) dell’art. 21, comma 1, lett. a), TUF, e dell’art. 21, comma 2, lett. d), del Regolamento Congiunto «che impone agli intermediari che vengano adottate misure idonee, se risulta possibile che il fornitore di servizi non esegua le funzioni in maniera efficiente ed in conformità con la normativa e i requisiti vigenti, nonché dell’art. 21, comma 1, lett. d), TUF, e dell’art. 15 del Regolamento Congiunto, come pure dell’art. 21, comma 1, lett. a), TUF, e degli artt. 39 e 40, del Regolamento RAGIONE_SOCIALE n. 16190 del 29 ottobre 2007 -adottato ai sensi dell’art. 6, comma 2, TUF (“Regolamento Intermediari”) -che disciplinano la valutazione di adeguatezza degli investimenti;
– violazione 3 (periodo dal 1° luglio 2015 al 30 ottobre 2015) dell’art. 21, comma 1, lett. a), TUF, che impone agli intermediari l’obbligo di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti, e degli artt. 39 e 40, del Regolamento RAGIONE_SOCIALE n. 16190 del 29 ottobre 2007 che disciplinano la valutazione di adeguatezza degli investimenti nonché dell’art. 21, comma 1, lett. d), TUF, e dell’art. 15 del Regolamento Congiunto Banca d’Italia/RAGIONE_SOCIALE del 29 ottobre 2007 che impongono all’intermediario di dotarsi di procedure idonee ad assicurare il corretto svolgimento dei servizi di investimento.
In applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni, la Commissione ha inflitto le seguenti sanzioni (vedi pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata): ‘ A) Quanto alla violazione n. 3, ai sensi della disciplina in vigore anteriormente all’8 marzo 2016: 1. Sig. NOME COGNOME, Presidente del Consiglio di Amministrazione: euro 15.000,00; 2. Sig. NOME COGNOME, Vice Presidente del Consiglio di Amministrazione: euro 15.000,00; 3. Sig. NOME COGNOME, Amministratore Delegato: euro 35.000,00; 4. Sig. NOME COGNOME, Consigliere di Amministrazione: euro 15.000,00; 5. Sig. NOME COGNOME, Consigliere di Amministrazione: euro 15.000,00; 6. Sig. NOME COGNOME, Consigliere di Amministrazione: euro 15.000,00; 7. Sig. NOME COGNOME, Consigliere di Amministrazione: euro 15.000,00; 8. Sig. NOME COGNOME, Consigliere di Amministrazione: euro 15.000,00; 9. Sig. NOME COGNOME, Presidente del Collegio Sindacale: euro 15.000,00; 10. Sig. NOME COGNOME, Sindaco Effettivo: euro 15.000,00; 11. Sig. NOME NOME COGNOME, Sindaco Effettivo: euro 15.000,00; 12. Sig. NOME COGNOME, Responsabile della Funzione di Compliance: euro 15.000,00; 13. Sig. NOME COGNOME, Responsabile della Funzione di Risk Management: euro 15.000,00. Il pagamento di tali sanzioni, per un importo complessivo di euro
215.000,00, è stato ingiunto a Banca NOME S.p.A., in qualità di soggetto responsabile in solido, ai sensi dell’art. 195, comma 9, del TUF, vigente ratione temporis , con obbligo di regresso nei confronti degli autori delle violazioni. B) Quanto alle violazioni nn. 1 e 2, ai sensi della disciplina in vigore a partire dall’8 marzo 2016: Banca NOME S.p.A., euro 200.000,00 (pari alla sanzione di euro 140.000,00 per la violazione n. 2, aumentata, per effetto del cumulo giuridico, di euro 60.000,000 in relazione alla violazione n. 1)’ ;
NOME e gli esponenti aziendali hanno proposto opposizione avverso la delibera n. 20936/2019, allegando: la mancata applicazione della lex mitior sopravvenuta, in relazione alla violazione 3; la macroscopica violazione del principio di legalità in relazione alle violazioni 1 e 2; la tardiva contestazione degli addebiti; l’erronea quantificazione delle sanzioni.
La Corte d’appello di Milano, nel contraddittorio della RAGIONE_SOCIALE, ha respinto l’opposizione e ha condannato gli opponenti alle spese del grado, per quanto ancora di interesse, sulla base dei seguenti argomenti:
(a) con riferimento alla violazione 3, al contrario di quanto prospettano gli opponenti, l’art. 190 TUF novellato non ha circoscritto l’applicazione delle sanzioni amministrative sol tanto a carico degli enti con esclusione della responsabilità degli esponenti aziendali, ma ha aggiunto, nella fattispecie punitiva, la condizione del verificarsi dei presupposti dell’art. 190 -bis, TUF; inoltre, le nuove disposizioni del d.lgs. n. 72 del 2015 hanno sensibilmente innalzato i limiti edittali delle sanzioni pecunia rie, coll’ulteriore considerazione che (vedi pag. 21 della sentenza) ‘la condotta degli esponenti aziendali ben farsi rientrare nell’ipotesi sub a) del succitato articolo 5, comma 5, D. lgs. 72/2015, in quanto, non comportandosi con diligenza correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e non dotandosi di procedure
idonee a garantire ed assicurare il corretto svolgimento dei servizi bancari e di investimento hanno provocato un grave pregiudizio per il corretto funzionamento del mercato, nonché per la tutela degli investitori; ancor più se si considera che si tratta di esponenti aziendali di una società di gestione del denaro e del risparmio. A fronte di tali violazioni consegue che le condotte contestate agli esponenti aziendali sono sanzionate sia sulla base della normativa precedente al decreto del 2015, sia sulla base della normativa successivamente in vigore e anche l’entità della sanzione in concreto irrogata risulta legittima’;
(b) con riferimento alle violazioni nn. 1 e 2, non sussiste l’eccepita violazione del principio di legalità per essere stati addebitati a NOME, quale responsabile in via principale, in base alla nuova disciplina recata dall’art. 190, TUF, i fatti commessi prima dell’8 marzo 2016 (data di entrata in vigore della nuova normativa per effetto dell’emanazione delle disposizioni secondarie della RAGIONE_SOCIALE) poiché si è in presenza di illeciti di durata, che si sono perfezionati, con la cessazione della permanenza, in epoca successiva all’8 marzo 2016, ragion per cui la Commissione ha correttamente imputato le predette violazioni per l’intero arco temporale sopra indicato , fino alla cessazione della permanenza, in data 22 marzo 2018;
(c) non sussistono i presupposti per applicare le sanzioni nel minimo edittale: quanto alla sanzione a carico di COGNOME (violazioni 1 e 2, consumate dopo l’8 marzo 2016), la sanzione complessiva di euro 200.000 è congrua tenuto conto della gravità dei fatti, della durata (oltre due anni), dell’elemento soggettivo (colpa), della capacità finanziaria dell’ente (bilancio al 31/12/2017: patrimonio netto, oltre euro 28mln; utile euro 951.483); con riferimento alla violazione 3, ascritta agli esponenti aziendali e alla banca, consumata anteriormente all’8 marzo 2016, per l’importo complessivo di euro
215.000, la sanzione è giustificata dai parametri previsti dall’art. 11 della legge n. 689 del 1981, con la precisazione che le sanzioni a carico degli opponenti sono prossime al minimo edittale (l’art. 190, TUF, nella versione vigente ratione temporis , prevedeva una sanzione pecuniaria da un minimo di euro 2.500 a un massimo di euro 250.000);
avverso la sentenza della Corte d’appello, la Banca NOME e gli altri destinatari delle sanzioni hanno proposto ricorso, affidato a sei motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
In prossimità della camera di consiglio le parti hanno depositato memorie.
Considerato che:
1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la ‘ Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, Cod. Proc. Civ. dell’art. 190 del TUF (nella formulazione vigente anteriormente al Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72), dell’art. 190-bis del TUF (introdotto dal Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72) e dell’art. 6 del Decreto Legislativo 12 maggio 2015, n. 72, per eccesso di delega, per inosservanza del principio della retroattività in mitius della disciplina delle sanzioni afflittive, come definito e riconosciuto dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dalla Convenzione Europea dei Diritto dell’Uomo, nonché del principio di retroattività delle modifiche alle sanzioni amministrative promananti dal diritto dell’Unione. La Sentenza va cassata nella parte in cui (cfr. pagg. 17-22) ha respinto la censura relativa alla mancata applicazione da parte della RAGIONE_SOCIALE del principio del favor rei in relazione all’Ipotesi di Violazione 3 ‘.
Il complesso motivo, sviluppato in 23 pagine (da pag. 7 a pag. 29 del ricorso), si articola in sei distinte censure.
Prima censura: sul nuovo regime sanzionatorio introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015: in applicazione del principio del favor rei , gli esponenti aziendali non sarebbero punibili in quanto il neo introdotto art. 190-bis, TUF, ha ridotto l’area delle condotte illecite, sicché, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello, soltanto se ricorrono tutti i presupposti per l’applicazione della nuova fattispecie è possibile interrogarsi su quale disciplina sia applicabile tra quella vigente all’epoca dei fatti e la disciplina attuale.
Seconda censura: il differimento del termine di applicazione del nuovo regime sanzionatorio, ai sensi dell’art. 6 comma 2 del d.lgs. n. 72 del 2015, all’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla RAGIONE_SOCIALE (ciò che è accaduto in data 8 marzo 2016) costituirebbe un eccesso di delega in quanto la legge delega n. 154 del 2014 non autorizzava il Governo a prevedere una decorrenza della nuova disciplina sanzionatoria sostanziale diversa dalla normale vacatio legis di cui all’art. 73 Cost. Donde la richiesta dei ricorrenti di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 comma 2 d.lgs. n. 72 del 2015, per eccesso di delega.
Terza censura: violazione del principio, enunciato dalla Convenzione EDU e riconosciuto dalla giurisprudenza europea, della retroattività in mitius delle disposizioni in materia di sanzioni afflittive, sostanzialmente penali, e violazione altresì dei principi affermati dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 63 del 2019.
Quarta censura: violazione dei principi dell’ acquis comunitario: sulla premessa che il d.lgs. n. 72 del 2015 è stato adottato in attuazione del diritto dell’UE, ossia della direttiva 2013/36/UE (CRD IV), i ricorrenti sostengono che, nel caso di specie, l’applicazione del principio del favor rei s’impone a prescindere dalla natura afflittiva o meno delle sanzioni.
Quinta e sesta censura: facendo leva sul primato del diritto unionale su quello interno, i ricorrenti chiedono che venga disposta la disapplicazione dell’art. 6 comma 2 del d.lgs. n. 72 del 2015, per violazione degli artt. 49 par. 1, 52 par. 3 della CEDU, o che (vedi pagg. 27-28 del ricorso) «in via subordinata, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 72/2015, per violazione dell’art. 117 Cost. e dell’art. 7 della Convenzione EDU, in subordine, venga disposto rinvio pregiudiziale ex art. 267 par. 3, TFUE, alla Corte di giustizia UE, oppure che venga sollevata questione di legittimità costituzionale della stessa norma, per violazione dell’art. 117 Cost. e dell’art. 7 della CEDU, ‘ nella parte in cui non ha espressamente riconosciuto la retroattività in mitius delle modifiche in parola ovvero non ha previsto l’immediata entrata in vigore del D.Lgs. 72/2015, essendo tale questione non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio ai fini dell’applica zione delle sanzioni per violazione dell’art. 21 del TUF in via ulteriormente subordinata, questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117 Cost. e dell’art. 7 della Convenzione EDU, dell’art. 3, comma 1, lettera m), n. 1), della L. 7 ottobre 2014, n. 154, nella parte in cui ha conferito al Governo la delega, poi esercitata con l’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 72/2015, con riferimento alle modifiche del sistema sanzionatorio del TUF, a ‘ valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione ‘ , nel senso che il Governo fosse autorizzato a negare il principio della retroattività in mitius solo in presenza di valide giustificazioni fondate sull’esigenza di proteggere valori di rango costituzionale almeno equivalente, e di conseguenza per la sollevazione della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 72/2015, per eccesso di delega, nella parte in
cui ha invece negato in via generale e senza giustificazione alcuna la retroattività in mitius delle modifiche in parola, essendo tale questione non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio ai fini dell’applicazione delle sanzioni per violazione dell’art. 21 del TUF in via ancora ulteriormente subordinata questione di legittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117 Cost. e dell’art. 7 della Convenzione EDU, dell’art. 3, comma 1, lettera m), n. 1), della L. 7 ottobre 2014, n. 154, nella parte in cui, nell’attribuire al Governo la delega, poi esercitata con l’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 72/2015, con riferimento alle modifiche del sistema sanzionatorio del TUF, a ‘ valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione ‘ , non ha vincolato il Governo ad affermare il principio della retroattività in mitius salvi solo i casi in cui sussistano valide giustificazioni fondate sull’esigenza di proteggere valori di rango costituzionale almeno equivalente, essendo tale questione non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio ai fini dell’applicazione delle sanzioni per violazione dell’art. 21 del TUF»;
1.1. il motivo è infondato.
La critica ad ampio spettro al dictum del giudice di merito collide in maniera evidente con la costante giurisprudenza di questa Corte, alla quale, viceversa, si attiene la sentenza qui impugnata.
Per un verso, la RAGIONE_SOCIALE (vedi, tra le altre, Cass. nn. 20981/2025, 9019/2025) ha ripetutamente affermato che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE, diverse da quelle per manipolazione del mercato ai sensi dell’art. 187 -ter, TUF, non hanno natura penale, con la conseguenza che, in relazione alle prime (ivi incluse le sanzione opposte nel presente giudizio) non trovano applicazione le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 per le
violazioni commesse prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca d’Italia, poiché così è disposto dall’art. 6 del citato d.lgs. n. 72 del 2015 che non dà luogo a dubbi di legittimità (Cass. nn. 1740/2022, 8855/2017, 1621/2018, 4/2019, 5/2019 e 31632/2019; in termini, Cass. 21397/2024, 26584/2022, 17399/2022, 17381/2022). Tale statuizione collima con l’interpretazione della S.C. (Sez. 2, Sentenza n. 20689 del 09/08/2018, Rv. 650004 -03), secondo cui, in materia di intermediazione finanziaria, le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 apportate dal d.lgs. n. 72 del 2015 si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla RAGIONE_SOCIALE, in tal senso disponendo l’art. 6 del medesimo decreto legislativo, e non è possibile ritenere l’applicazione immediata della legge più favorevole, atteso che il principio del ‘ favor rei ‘, di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del ‘ tempus regit actum ‘. Né tale impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed altri c. Italia), atteso che tali principi vanno considerati nell’ottica del giusto processo, che costituisce l’ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dal diritto interno, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost.
Più specificamente, la decisione impugnata si colloca nel solco della giurisprudenza di legittimità, di recente ribadita da Cass. n. 25441/2025, la quale, nel rigettare una doglianza sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame, richiama Cass. n. 13346 del 2022, secondo cui « Anche dopo l’intervento della CEDU, le misure adottate
non sono equiparabili, quanto a tipologia, severità, incidenza patrimoniale e personale, alle sanzioni irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE per manipolazione del mercato ai sensi dell’art. 187 ter t.u.f. (sulle quali si è pronunciata la richiamata sentenza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), dovendo escludersi che abbiano natura sostanzialmente penale, non configurandosi, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU (Cass. n. 8855/2017; Cass. n. 1621/2018; Cass. n. 4/2019; Cass. n. 5/2019; Cass. n. 31632/2019; Cass. n. 13433/2016; Cass. n. 4114/2016; Cass. n. 3656/2016, tutte in rapporto a Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 4 marzo 2014, RAGIONE_SOCIALE e altri c. Italia). Secondo la giurisprudenza comunitaria – per stabilire la sussistenza di un’accusa di natura penale, occorre impiegare tre criteri: la qualificazione giuridica della misura secondo il diritto nazionale, la natura nonché il grado di severità della “sanzione”. Sebbene i suddetti criteri (cd. Engel) siano alternativi e non cumulativi e per quanto debba aversi riguardo alla misura della sanzione edittale e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta – va tuttavia considerato che la valutazione sull’afflittività economica di una sanzione non può essere svolta in termini totalmente astratti, ma va necessariamente rapportata al contesto normativo nel quale la disposizione punitiva si inserisce. Nel caso in esame, il diritto nazionale attribuisce chiaramente natura amministrativa alla misura adottata e la medesima qualificazione pare confermata dalle specifiche connotazioni della sanzione, apparendo indirizzata ad una platea ristretta di possibili destinatari (i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle banche), a conferma del fatto che la disposizione non contempla un divieto di generale applicabilità. La natura penale va poi esclusa anche alla luce del grado di afflittività della misura. Da tale prospettiva, specie sul terreno delle violazioni consumate nell’ambito del settore bancario e
finanziario (che contempla sanzioni penali finanche detentive, nonché sanzioni amministrative pecuniarie che, come quelle per gli abusi di mercato, possono ascendere a molti milioni di euro: cfr. 187 bis t.u.f. oggetto anche della sentenza della Corte costituzionale 63/2019 ) una sanzione pecuniaria compresa tra il minimo edittale di € 2.500 ed il massimo edittale di € 250.000, non corredata d a sanzioni accessorie né da confisca, non può ritenersi connotata da un grado di afflittività tale da trascendere dall’ambito amministrativo a quello penale. Nella sentenza 14.3.2014 RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE c. Italia, la stessa Corte Edu ha ritenuto, in tema di market abuse, che la conformità con l’art. 6 CEDU non viene meno nel caso in cui una sanzione di natura penale sia inflitta da un’autorità amministrativa, la cui decisione non soddisfi le condizioni di cui al paragrafo 1 della norma, laddove sul provvedimento adottato sia previsto un controllo a posteriori da parte di un organo indipendente e imparziale avente giurisdizione piena. Sul punto questa Corte ha perciò ribadito che “in tema di sanzioni che, pur qualificate come amministrative, abbiano natura sostanzialmente penale, la garanzia del giusto processo, ex art. 6 Cedu, può essere realizzata, alternativamente, nella fase amministrativa – nel qual caso, una successiva fase giurisdizionale non sarebbe necessaria – ovvero mediante l’assoggettamento del provvedimento sanzionatorio – adottato in assenza di tali garanzie ad un sindacato giurisdizionale pieno, di natura tendenzialmente sostitutiva ed attuato attraverso un procedimento conforme alle richiamate prescrizioni della convenzione, il quale non ha l’effetto di sanare alcuna illegittimità originaria della fase amministrativa giacché la stessa, sebbene non connotata dalle garanzie di cui al citato art. 6, è comunque rispettosa delle relative prescrizioni, per essere destinata a concludersi con un provvedimento suscettibile di controllo giurisdizionale (fattispecie in tema di sanzioni applicate dalla RAGIONE_SOCIALE
all’esito del procedimento amministrativo previsto dall’art. 187 septies D.lgs. n. 58 del 1998: Cass. n. 770/2017). È escluso che i principi convenzionali possano indurre a ritenere che una sanzione qualificata come amministrativa dal diritto interno abbia – sempre e a tutti – gli effetti natura sostanzialmente penale (Cass. n. 1621/2018; Cass. n. 8855/2017; Cass. n. 770/2017; Cass. n. 13433/2016). Il regime transitorio delle novità normative apportate alla disciplina del t.u.f. è previsto dall’art. 6, comm a secondo, D.lgs. n. 72/2015, per il quale le modifiche alla parte V, D.lgs. 58/1998, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca d’Italia, secondo le rispettive competenze ai sensi dell’art. 196-bis, D.lgs. n. 58/1998. Analoga previsione è stata introdotta con riferimento alla disciplina contenuta nel capo VIII, D.lgs. n. 385/1993, introdotte dal D.lgs. n. 72/2015: il comma terzo, dell’art. 2 ne esclude l’applicabilità alle violazion i commesse prima dell’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Banca d’Italia ai sensi dell’articolo 145-quater, D.LGS. n. 385/1993 (Cass. n. 23814/2019). Alla luce del tenore testuale delle norme transitorie, non è consentito distinguere tra disposizioni sostanziali immediatamente applicabili e norme procedurali ad entrata in vigore differita, essendo chiaro l’intento del legislatore di far decorrere l’efficacia delle nuove disposizioni dal momento del completamento, in sede attuativa, del nuovo quadro normativo, fermo peraltro che l’art. 3 delle legge delega non imponeva affatto la generalizzata applicazione del principio del favor rei, rimettendo al legislatore delegato la facoltà di estenderne l’ambito applicativo anche per il periodo anteriore. Si è già detto che le sanzioni irrogate non hanno carattere penale, essendo sottratte al principio del favor rei. Deve quindi tenersi fermo il principio generale dell’irretroattività della legge più favorevole che vige in materia di sanzioni amministrative, non
senza osservare che nessun argomento è esposto in ricorso riguardo alla concreta possibilità della ricorrente di beneficiare di circostanze idonee a contenere la sanzione al di sotto dell’importo irrogato (Cass. n. 4114/2016; Cass. n. 20689/2017; Cass. n. 13433/2016; Cass. n. 4114/2016). Quanto affermato è coerente con le indicazioni della Corte costituzionale, secondo cui la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di retroattività della legge penale più favorevole ha riguardato non l’intero sistema sanzionatorio unitariamente considerato, ma le singole e specifiche discipline sanzionatorie (Corte cost. n. 193/2016; Corte Cost. n. 43/2017). I principi di legalità, irretroattività e di divieto dell’applicazione analogica di cui all’art. 1 L. n. 689/1981, in tema di sanzioni amministrative, comportano infatti l’assoggettamento della condotta illecita alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, sia che si tratti di illeciti amministrativi derivanti da depenalizzazione, sia che essi debbano considerarsi tali “ab origine”, senza che possano trovare applicazione analogica, attesa la differenza qualitativa delle situazioni considerate, gli opposti principi di cui all’art. 2, commi 2 e 3, c.p., i quali, recando deroga alla regola generale dell’irretroattività della legge, possono, al di fuori della materia penale, trovare applicazione solo nei limiti in cui siano espressamente richiamati dal legislatore (Cass. n. 29411/2011). Tale interpretazione non viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014 (NOME RAGIONE_SOCIALE ed altri c/o Italia): tali principi non possono indurre a ritenere che una sanzione, qualificata come amministrativa dal diritto interno, abbia sempre ed a tutti gli effetti natura sostanzialmente penale, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità, anche ai sensi dell’art. 117 Cost. (Cass. n. 13433/2016; Cass. n. 26131/2015). Nel quadro delle garanzie
apprestate dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, non si rinviene -dunque – l’affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio di retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative. Né sussiste un analogo vincolo interno di matrice costituzionale: rientra nella discrezionalità del legislatore, nel rispetto del limite della ragionevolezza, modulare le proprie determinazioni in materia secondo criteri di maggiore o minore rigore. Il differente e più favorevole trattamento riservato ad alcune sanzioni trova -difatti -fondamento nelle peculiarità che le caratterizzano e non è automaticamente estensibile ad ipotesi diverse (cfr. Cass. n. 23814/2019, in tema di intermediazione finanziaria; Cass. n. 20689/2018). Non è dato trarre indicazioni difformi dall’intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 63/2019), che, pur ritenendo costituzionalmente illegittimo l’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 72/2015, in relazione agli artt. 3 e 117, comma primo, della Costituzione (quest’ultimo per rinvio all’art. 7 della CEDU), nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche favorevoli apportate dal terzo comma dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito disciplinato dall’art. 187-bis t.u.f., ha però precisato che la regola di derivazione penale deve ritenersi applicabile agli illeciti amministrativi aventi natura e funzione punitiva, salvo che vi sia la necessità di tutelare interessi di rango costituzionale prevalenti, tali da resistere al ‘ vaglio positivo di ragionevolezza ‘ , al cui metro debbono essere valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius ».
In ragione della infondatezza del motivo non sussistono i presupposti per sollevare questione di legittimità delle disposizioni in esame né per disporre il rinvio pregiudiziale, sollecitato dai ricorrenti,
alla Corte di giustizia UE al fine di verificare se le sanzioni per le violazioni in questione siano o meno compatibili con i principi e la normativa europea (vedi, al riguardo, Cass. n. 20981/2025).
Come si è già sottolineato, sono privi di fondamento anche i dubbi di illegittimità costituzionale dell’art. 6 comma 2 del d.lgs. n. 72 del 2015 per eccesso di delega, in violazione dell’art. 76 Cost., rispetto alla delega conferita al Governo dall’art. 3 comma 1 della legge n. 154 del 2014 (vedi sopra la seconda censura).
L’articolo 3 , in tema di principi e criteri direttivi per il recepimento della direttiva 2013/36/UE, al comma 1, lett. b), prescriveva al Governo di prevedere, ove opportuno, il ricorso alla disciplina secondaria della RAGIONE_SOCIALE e della Banca d’Italia, secondo le rispettive competenze, e alla lett. m) , ‘ con riferimento alla disciplina sanzionatoria adottata in attuazione delle lettere i) e l): 1) valutare l’estensione del principio del favor rei ai casi di modifica della disciplina vigente al momento in cui è stata commessa la violazione 4) attribuire alla Banca d’Italia e alla RAGIONE_SOCIALE, secondo il vigente riparto di competenze, il potere di definire disposizioni attuative, con riferimento, tra l’altro, alla definizione della nozione di fatturato utile per la determinazione della sanzione, alla procedura sanzionatoria e alle modalità di pubblicazione dei provvedimenti che irrogano le sanzioni ‘.
È dunque coerente con i principi della delega, come sottolinea la RAGIONE_SOCIALE in controricorso, la previsione, da parte del Governo, del differimento dell’entrata in vigore della novella al momento del completamento del quadro normativo, per effetto dell’adozione, da parte delle autorità di vigilanza, secondo le rispettive competenze, delle necessarie disposizioni attuative.
La scelta del legislatore delegato non supera, quindi, i limiti imposti dall’art. 76 Cost., risultando coerente con la formulazione
letterale della delega e con i principi ispiratori sia della direttiva che della legge n. 154 del 2014, oltre che con l’evoluzione del quadro comunitario derivante dalle pronunce della Corte EDU (tra cui anche la più volte menzionata sentenza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ed altri c. Italia). Il contenuto della delega deve essere identificato, tenendo conto del contesto normativo nel quale si inseriscono la legge-delega ed i relativi principi, oltre che delle finalità che la ispirano, verificando, nel silenzio di criteri direttivi su uno specifico tema, se le scelte adottate non siano in contrasto con gli indirizzi generali della delega stessa (Corte cost. 341/2007; Corte cost. 426/2006; Corte cost. 285/2006). Al legislatore delegato compete uno spazio di discrezionalità che può essere più o meno ampio in relazione al grado di specificità dei criteri della delega (Corte cost. 213/2005; Corte cost. 490/2000), consentendo comunque l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante (Corte Cost. 98/2008; su questi aspetti, vedi Cass. n. 6035 del 2025).
Soluzione, questa, che, preme ripeterlo, segue la scia della giurisprudenza della Corte (vedi Cass. n. 16517 del 2020) che (per quanto rileva nel presente giudizio), con riferimento «art.6, comma secondo, D.LGS. 72/2015, per il quale le modifiche apportate alla parte V, D.LGS. 58/1998, si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla Banca d’Italia, secondo le rispettive competenze ai sensi dell’art. 196-bis, D.LGS 58/1998 », ha chiarit o che «lla luce del tenore testuale delle norme transitorie, non è dunque consentito distinguere tra disposizioni sostanziali immediatamente applicabili e norme procedurali ad entrata in vigore differita, essendo chiaro l’intento del legislatore di far decorrere l’efficacia delle nuove disposizioni dal
momento del completamento, in sede attuativa, del nuovo quadro normativo » ;
con il secondo motivo è denunciato l” Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, Cod. Proc. Civ. (nelle forme della “motivazione apparente” e/o in “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”) e/o nullità della sentenza per violazione ex art. 360, comma 1, n. 4, Cod. Proc. Civ. per violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 Cod. Proc. Civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. Cod. Proc. Civ., in relazione all’asserita applicazione -in ogni caso -agli Esponenti Aziendali del nuovo e più severo regime sanzionatorio prescritto dall’art. 190-bis del TUF ‘ .
I ricorrenti lamentano il vizio strutturale della motivazione della sentenza, nella parte in cui afferma che la condotta degli esponenti aziendali della banca si caratterizza anche per la presenza degli elementi costitutivi dell’art. 19 0-bis, TUF, specie in forza della considerazione che la stessa RAGIONE_SOCIALE, in memoria, nel giustificare il quantum delle sanzioni, ha precisato che ‘non rilevava l’assenza di conseguenze pregiudizievoli al fine di provare la scarsa portata offensiva dell’illecito’ ;
2.1. il motivo, che reca più censure, è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte sulle norme poste a base dell’ampio rilievo critico può essere così sintetizzata:
(i) è stato affermato (vedi, tra le altre, Sez. 2, Ordinanza n. 10525 del 31/03/2022, Rv. 664330 – 01) che, in tema di giudizio di cassazione, il motivo di ricorso di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., deve riguardare un fatto ‘storico’ considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né
le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio;
(ii) il vizio di motivazione apparente ricorre quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (vedi, Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639, che, in motivazione , richiama Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022, Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019, Rv. 654145);
(iii) la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 10/06/2016, n. 11892; conf., Cass. 11/10/2016, n. 20382; Cass. 28/02/2018, n. 4699; Cass. 03/11/2020, n. 24395; Cass. 26/10/2021, n. 30173); si è anche chiarito (vedi Cass. n. 11892/2016) che la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente
prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.
Svolta questa premessa, diventa agevole rispondere, negandone la fondatezza, al motivo di ricorso: la motivazione della sentenza soddisfa il cosiddetto minimo costituzionale; in ricorso non è indicato alcun fatto storico, decisivo, discusso dalle parti, il cui omesso esame sia addebitabile al giudice di merito; infine, non è nemmeno prospettata la violazione, ad opera della Corte d ‘appello , delle norme processuali sulla valutazione del materiale probatorio.
A queste considerazioni se n ‘affianca un’altra, altrettanto importante: a proposito della violazione 3 – violazione, da parte degli intermediari, dell’obbligo di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti, per quanto riguarda ‘le procedure nonché le condizioni operative poste in essere nel caso specifico del collocamento’ di un prestito obbligazionario sottoscritto da 83 clienti della banca nel periodo dal 1° luglio al 30 ottobre 2015 la Corte d’appello , dopo avere correttamente escluso, per le ragioni in precedenza evidenziate, che la novella del 2015 sia applicabile retroattivamente, ha semplicemente affermato che le condotte attribuite ai ricorrenti costituiscono un illecito sia in base alla vecchia disciplina, sia in base al d.lgs. n. 72 del 2015;
3. con il terzo motivo è lamentata l a ‘ Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3, Cod. Proc. Civ. dell’art. 25 Cost., dell’art. 1 della L. 689/1981 e dell’art. all’art. 6, comma 2, del D.Lgs. 72/2015, e/o, ex art. 360, comma 1, n. 4, e/o n. 5 -Violazione del principio di legalità nell’accertamento della responsabilità della Banca in relazione alla Ipotesi di Violazioni 1 e alla Ipotesi di Violazione 2, e/o omesso esame di fatto decisivo, e/o motivazione apparente ‘.
I ricorrenti stigmatizzano l’erroneità dell’argomento della Corte d’appello secondo cui il dies a quo della violazione, qualificabile come illecito di durata -illecito contestato ad una società ex art. 190 TUF, dopo l’entrata in vigore della fattispecie illecita, ossia dopo l’8 marzo 2016 -possa essere, artificialmente, retrodatato ad un momento anteriore all’effettiva entrata in vigore della nuova previsione normativa, con ciò finendo per sanzionare l’ente per condotte o inadempimenti che, all’epoca dei fatti rilevanti, non integravano alcun illecito, ciò al solo scopo di aumentare la sanzione pecuniaria;
3.1. il motivo, che fa riferimento a più di un parametro normativo, è fondato nei termini che seguono.
Debbono essere disattesi i rilievi sussumibili entro i parametri dell’art. 360 comma 1 nn. 4 e 5 c.p.c.: ed infatti (come osservato al punto 2.1.) la motivazione della sentenza soddisfa il cosiddetto minimo costituzionale; in ricorso non è indicato alcun fatto storico, decisivo, discusso dalle parti, il cui omesso esame sia addebitabile al giudice di merito; infine, non è nemmeno prospettata la violazione, ad opera della Corte di merito, delle norme processuali sulla valutazione del materiale probatorio.
La sentenza impugnata, tuttavia, è viziata da un errore di diritto.
L’art. 190, TUF, nella versione applicabile ratione temporis , che, per quello che si è osservato in precedenza, è entrato in vigore dopo l’8 marzo 2016, data di adozione della normativa secondaria da parte della RAGIONE_SOCIALE (e della Banca d’Italia), al primo comma, prevede che ‘ Nei confronti dei soggetti abilitati, dei depositari e dei soggetti ai quali sono state esternalizzate funzioni operative essenziali o importanti si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro trentamila fino a cinque milioni di euro, ovvero al dieci per cento del fatturato, quando tale importo è superiore a cinque milioni di euro e il fatturato è disponibile e determinabile, per la mancata osservanza
degli articoli 6, 7, commi 2, 2-bis e 3, 8, commi 1 e 1-ter; 9, 10, 12, 13, comma 3, 21, 22, 24, comma 1, 25, 25-bis, commi 1 e 2, 27, commi 3 e 4, 28, comma 3, 30, commi 3, 4 e 5, 31, commi 1, 2, 5, 6 e 7, 32, comma 2, 33, comma 4, 35-bis, comma 6, 35-novies, 35decies, 36, commi 2, 3 e 4, 37, commi 1, 2 e 3, 39, 40, commi 2, 4 e 5, 40-bis, comma 4, 40-ter, comma 4, 41, commi 2, 3 e 4, 41-bis; 41-ter, 41-quater; 42, commi 1, 3 e 4, 43, commi 2, 3, 4, 7, 8 e 9, 44, commi 1, 2, 3 e 5, 45, 46, commi 1, 3 e 4, 47, 48, 49, commi 3 e 4, 55-ter, 55-quater, 55-quinquies, 65, 79-bis, 187-novies, ovvero le disposizioni generali o particolari emanate dalla Banca d’Italia o dalla RAGIONE_SOCIALE in base ai medesimi articoli. La stessa sanzione si applica nei confronti di società o enti in caso inosservanza delle disposizioni dell’articolo 18, comma 2, ovvero in caso di esercizio dell’attività di gestore di portale in assenza dell’iscrizione nel registro di cui all’articolo 50-quinquies ‘.
La Corte d’appello , con un giudizio di fatto che è estraneo al perimetro del controllo di legittimità demandato alla RAGIONE_SOCIALE, ha stabilito (vedi pag. 24 della sentenza) che RAGIONE_SOCIALE non si era dotata di procedure idonee a garantire un appropriato monitoraggio della rete dei consulenti finanziari, ad evitare la discrezionalità degli stessi nella profilatura della clientela e nella valutazione dell’adeguatezza delle operazioni disposte dai clienti e ad assicurare l’oggettiva ed ordinata prestazione del servizio di consulenza, considerate le carenze che inficiavano le procedure interne alla banca.
Detto questo, il giudice di merito avrebbe dovuto verificare la congruità della sanzione che era stata inflitta alla banca, anche in applicazione del cumulo giuridico, facendo esclusivamente riferimento all’arco temporale nel quale sono state commesse le violazioni 1 e 2 che va dal 9 marzo 2016 al 22 marzo 2018, e non, come invece ha fatto, dall’11 febbraio 2016 al 22 marzo 2018, quanto alla violazione
1, e dal 1° luglio 2015 al 22 marzo 2018, quanto alla violazione 2, in ragione della decisiva circostanza che, fino all’8 marzo 2016, non era applicabile alcuna sanzione, a titolo di responsabilità diretta degli intermediari, in relazione alle violazioni elencate dall’art. 190, TUF.
Ne consegue che, previo annullamento di questo capo della decisione, il giudice del rinvio dovrà verificare la congruità o meno della sanzione inflitta da RAGIONE_SOCIALE alla banca, per la responsabilità diretta di quest’ultima, prendendo in considerazione, in relazione alle violazioni 1 e 2, i segmenti temporari sopra indicati, più brevi di quelli a cui fa riferimento la delibera sanzionatoria;
4. con il quarto motivo si fa valere l” Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, Cod. Proc. Civ. (nelle forme della “motivazione graficamente inesistente”) e/o nullità della sentenza per violazione ex art. 360, comma 1, n. 4, Cod. Proc. Civ. per violazione degli artt. 112 e 132 Cod. Proc. Civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. Cod. Proc. Civ., in relazione all’eccezione pregiudiziale di incompetenza della RAGIONE_SOCIALE ad intervenire su pratiche commerciali scorrette ‘.
Ad avviso dei ricorrenti la sentenza avrebbe omesso di esaminare l’eccezione degli stessi opponenti di difetto di competenza della RAGIONE_SOCIALE ad intervenire su pratiche commerciali scorrette.
L’assunto è che i comportamenti dell’intermediario che sono qualificati quali “pratiche commerciali scorrette”, ai sensi della disciplina di cui al Codice del consumo, e che sono al tempo stesso in violazione della normativa di settore che tutela il consumatoreinvestitore, in assenza di contrasto tra tali discipline ai sensi dell’art. 19, comma 3, del codice del consumo, sono di esclusiva competenza, per previsione dell’ art. 27, comma 1-bis dello stesso codice, dell’AGCM, la quale ha sempre la potestà di intervenire nei confronti
delle ‘ pratiche commerciali scorrette ‘ , così assicurando una migliore tutela dei consumatori anche nei cosiddetti settori regolati;
4.1. il motivo è infondato;
è necessaria una premessa: trattandosi dell’allegazione di un error in procedendo -omessa pronuncia su un motivo di opposizione -la Cassazione è giudice del ‘ fatto processuale ‘ , ragion per cui, al fine di risolvere la questione sottoposta alla sua attenzione, deve poter prendere visione degli atti del giudizio di merito.
Indubitabilmente che su questo specifico aspetto la Corte d’appello non si è pronunciata, il che non esclude, tuttavia, che all’omissione possa porre rimedio questa Corte, trovando qui applicazione il principio di diritto per il quale, nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di impugnazione, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che (come nella specie) non richiede ulteriori accertamenti di fatto (Sez. 3, Ordinanza n. 17416 del 16/06/2023, Rv. 668197 -01; in termini, Cass. nn. 21968/2015, 4051/2024).
La censura va disattesa in applicazione del principio, che il Collegio intende riproporre, secondo cui, in materia di sanzioni amministrative nei confronti degli intermediari mobiliari, ove la condotta sanzionata consista nella violazione, da parte di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, dei doveri relativi alla sfera organizzativa, preordinati alla tutela non solo del cliente, ma anche della trasparenza e correttezza dell’operato della banca e dell’i ntegrità del mercato, si applicano le
norme contenute nel TUF con competenza sanzionatoria della RAGIONE_SOCIALE, ai sensi degli artt. 5, 21 e 190 del medesimo testo unico e non dell’AGCM (Sez. 2, Sentenza n. 1154 del 11/01/2024, Rv. 669969 -01);
5. con il quinto motivo è prospettato l” Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, Cod. Proc. Civ. (nelle forme della “motivazione graficamente inesistente”) e/o nullità della sentenza per violazione ex art. 360, comma 1, n. 4, Cod. Proc. Civ. per violazione degli artt. 112 e 132 Cod. Proc. Civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. Cod. Proc. Civ., atteso il mancato esame nel merito della contestazione circa l’infondatezza degli addebiti, e di conseguenza, ex art. 360, comma 1, n. 3, Cod. Proc. Civ. violazione dell’art. 190 del TUF per mancato accoglimento delle censure deducenti tale infondatezza ‘ ;
5.1. il motivo è infondato;
la censura in esso contenuta, frammentata in vari rilievi critici, in sostanza lamenta l’ error in procedendo ex art. 112 c.p.c. consistente nell’omessa pronuncia, da parte della Corte territoriale, sul motivo d’opposizione concernente l’infondatezza degli addebiti indicati nell’atto sanzionatorio.
Per la giurisprudenza costante di questa Corte (vedi, tra le altre, Sez. 2, Ordinanza n. 25710 del 26/09/2024, Rv. 672295 -02, in connessione con Sez. 2, Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018, Rv. 650016 – 01), non ricorre il vizio di omessa pronuncia ove la decisione comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione, da ritenersi ravvisabile quando la pretesa non espressamente esaminata risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia, nel senso che la domanda o l’eccezione, pur non espressamente trattate, siano superate e travolte
dalla soluzione di altra questione, il cui esame presuppone, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza.
Nella fattispecie concreta in esame è indubitabile l’insussistenza della prospettata omessa pronuncia poiché è evidente che la Corte di Milano lì dove, da un lato, reputa che gli illeciti contestati abbiano natura permanente e , dall’altro, ritiene congrue le sanzioni pecuniarie applicate ai trasgressori (vedi punto 2, lett. b), c) del ‘Rilevato che’), intende implicitamente respingere l’opposizione dei soggetti sanzionati, basata (tra l’altro) sull’infondatezza degli addebiti.
A ben vedere, però, la censura è priva di pregio ancor prima perché -lo si evince dal l’intero impianto argomentativo della sentenza -al contrario di quanto si assume nel ricorso per cassazione, la Corte di Milano esprime, a più riprese, un puntuale ed esplicito giudizio di fondatezza delle contestazioni dell’atto sanzionatorio.
Si fa riferimento, soprattutto, ai seguenti snodi argomentativi: «a Corte ritiene che, nel caso di specie, la condotta degli esponenti aziendali ben possa farsi rientrare nell’ipotesi sub a) del succitato articolo 5, comma 5, D. Lgs. 72/2015, in quanto, non comportandosi con diligenza correttezza e trasparenza nell’interesse dei clienti e non dotandosi di procedure idonee a garantire ed assicurare il corretto svolgimento dei servizi bancari e di investimento hanno provocato un grave pregiudizio per il corretto funzionamento del mercato, nonché per la tutela degli investitori; ancor più se si considera che si tratta di esponenti aziendali di una società di gestione del denaro e del risparmio » (vedi pag. 21 della sentenza); « n primo luogo, si deve rilevare che le violazioni accertate nella fattispecie attengono a carenze ed irregolarità perduranti nel tempo, discendenti da condotte che hanno consentito il protrarsi, nell’intero periodo rilevante,
dell’offesa al bene – interesse tutelato dalla normativa di riferimento, violazioni perpetratesi in un arco temporale a cavallo dell’8 marzo 2016, data di entrata in vigore delle novellate norme del TUF. Dette violazioni, come specificato nell’atto di accertamento, non hanno carattere istantaneo, ma si configurano piuttosto come illeciti permanenti, integrati dalla violazione dei canoni procedurali e comportamentali prescritti dall’art. 21 TUF » ( ibidem , pag. 23); « el caso di specie, come indicato nell’atto di accertamento, risultava dalle evidenze emerse ad esito dell’ispezione e dalla successiva nota di risposta del marzo 2018, che l’Intermediario non si era dotato di procedure idonee a garantire un appropriato monitoraggio della rete dei consulenti finanziari, ad evitare la discrezionalità degli stessi nella profilatura della clientela e nella valutazione dell’adeguatezza delle operazioni disposte dalla clientela e ad assicurare l’oggettiva ed ordinata prestazione del servizio di consulenza, considerate le carenze che inficiavano i processi e le procedure interne alla Banca. Dette violazioni perduravano presso la Banca alla data del 22 marzo 2018, data di ricezione della nota di risposta di quest’ultima, i cui contenuti andavano a corroborare le irregolarità già riscontrate dalla Banca d’Italia ed esposte nel rapporto ispettivo, sia in ordine all’aspetto procedurale che a quello comportamentale » ( ibidem , pag. 24);
6. con il sesto motivo è dedotto l” Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, comma 1, n. 5, Cod. Proc. Civ. (nelle forme della “motivazione apparente”) e/o nullità della sentenza per violazione ex art. 360, comma 1, n. 4, Cod. Proc. Civ. per violazione degli artt. 115 e 116 Cod. Proc. Civ. in relazione all’erronea quantificazione delle sanzioni ‘.
Rimarcano i ricorrenti che la sentenza, attenendosi pedissequamente alle valutazioni espresse dalla RAGIONE_SOCIALE, avrebbe confermato le sanzioni, senza indicare le ragioni della ravvisata congruità delle stesse;
6.1. il motivo è assorbito, per quanto attiene alla sanzione inflitta alla banca per le violazioni 1 e 2 , per effetto dell’accoglimento del terzo motivo: infatti, è rimesso al giudice di rinvio individuare la sanzione pecuniaria da applicare a NOME tenuto conto dell’esatta durata degli illeciti amministrativi ad essa ascritti; è inammissibile, invece, con riferimento alle sanzioni a carico delle persone fisiche e della banca per la violazione 3.
Il giudice di merito, con giudizio di fatto insindacabile in questa sede, ha condiviso l’entità delle sanzioni applicate agli esponenti aziendali (nonché a RAGIONE_SOCIALE quale soggetto responsabile in solido) in ossequio ai criteri di cui all’art. 11 della legge n. 689 del 1981.
A proposito del quantum della sanzione amministrativa pecuniaria, è il caso di rammentare che, per la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di adeguatezza e proporzionalità della sanzione amministrativa è rimesso dalla legge alla discrezionalità del giudice di merito, che ha il potere di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti dalla disposizione applicata, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, con conseguente insindacabilità della relativa valutazione in sede di legittimità (Cass. n. 19856/2024 che, in motivazione, richiama Cass. n. 4844/2021; Cass. nn. 5526/2020, 9126/2017; in termini, Cass. nn. 11481/2020, 10277/2024; 19716/2024, 32010/2024, 9018/2025);
7. in conclusione: sono respinti il primo, il secondo, il quarto e il quinto motivo; è accolto il terzo motivo nei termini sopra indicati
(vedi punto 3.1.); il sesto motivo è inammissibile quanto alla posizione dei ricorrenti esponenti aziendali e della banca, quale responsabile in solido, ed è assorbito (dall’accoglimento del terzo motivo) quanto alla responsabilità diretta della Banca RAGIONE_SOCIALE; ne consegue che la sentenza è cassata per effetto dell’accoglimento del terzo motivo.
Al giudice di rinvio sono altresì demandate, oltre alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, le statuizioni conseguenti alle morti degli opponenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, eventi attestati dai difensori degli stessi.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo nei termini indicati in motivazione; rigetta il primo, il secondo, il quarto e il quinto motivo; dichiara inammissibile il sesto motivo in relazione agli esponenti aziendali e alla banca, quale responsabile in solido; dichiara assorbito il sesto motivo in relazione alla responsabilità diretta della banca; cassa la sentenza impugnata in relazione al terzo motivo, e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, in data 8 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME