Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11926 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11926 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24589/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata all’indirizzo Pec del difensore, rappresentat a e difesa dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
–
ricorrente – contro
COGNOME NOMECOGNOME in persona del curatore, domiciliato all’indirizzo Pec del difensore, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
–
contro
ricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA n. 1458/2023 depositata il 10/10/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La vicenda nasce dall’azione giudiziaria intrapresa dal Fallimento di COGNOME NOME, titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME, con cui si deduceva che una complessa operazione immobiliare di sale and lease back , a suo tempo conclusa tra la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Giovanni a ed esclusivo vantaggio di RAGIONE_SOCIALE, era da ritenersi illegittima, in quanto in violazione del divieto di patto commissorio, e ne chiedeva accertarsi e dichiararsi la nullità.
Con sentenza n. 447/2020 il Tribunale di Teramo rigettava la domanda.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Fallimento; si costituiva, resistendo al gravame, RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, anche proponendo appello incidentale.
3.1. Con sentenza n. 1458 del 10 ottobre 2023 la Corte d’Appello di L’Aquila accoglieva l’appello del Fallimento ed in riforma della sentenza del tribunale accertava e dichiarava la nullità per illiceità della causa, ai sensi degli artt. 1344 cod. civ. e 1418, comma 2, cod. civ., del contratto di compravendita immobiliare rogato tra RAGIONE_SOCIALE, oggi RAGIONE_SOCIALE, e COGNOME NOME, e condannava RAGIONE_SOCIALE a restituire al Fallimento appellante l’immobile acquistato.
Avverso tale sentenza Vivibanca propone ora ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento di COGNOME NOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero ha depositato requisitoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
La banca ricorrente ed il fallimento controricorrente hanno
depositato rispettive memorie illustrative.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di Legge ai sensi dell’art. 360 n. c.p.c. in relazione all’art. 2744 c.c.’.
Lamenta che erroneamente la corte di merito ha escluso che l’operazione di lease back immobiliare sia stata un reale finanziamento, nonostante l’Utilizzatore avesse ottenuto la piena disponibilità delle somme frutto della cessione dell’immobile e di esse avesse disposto liberamente.
Lamenta, inoltre, che la decisione resa dalla corte d’appello si pone in aperto contrasto con la giurisprudenza in tema di finanziamenti solutori, visto che il ripianamento dei debiti è uno dei possibili esiti leciti delle molteplici ed eterogenee operazioni di finanziamento, tra cui, il lease back (o c.d. leasing di ritorno).
1.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
1.2. Giova, anzitutto, premettere che il sale and lease back è il contratto con il quale un’impresa o un lavoratore autonomo trasferisce, dietro corrispettivo, un bene di sua proprietà a un imprenditore finanziario, il quale, divenutone proprietario, lo cede in locazione finanziaria ( leasing ) all’alienante, per una durata temporale determinata e a fronte del periodico versamento di un canone. Il contratto prevede, altresì, la facoltà, per l’utilizzatore, di poter riacquistare il bene precedentemente alienato alla scadenza del contratto, previo pagamento del prezzo stabilito per il riscatto.
Il contratto di sale and lease back si caratterizza per la coincidenza soggettiva tra il venditore del bene e l’utilizzatore, differenziandosi così dal leasing tradizionale, nel quale le figure del venditore e dell’utilizzatore sono diverse. Altra differenza tra i due suddetti contratti si rinviene guardando al bene oggetto del contratto stesso: a differenza del leasing , infatti, nel sale and
lease back l’utilizzatore non gode di un bene estraneo alla sua sfera di disponibilità, ma continua a beneficiare di un bene di cui era già proprietario e che, per esigenze di liquidità, preferisce cedere e prendere in locazione.
E’ stato pertanto affermato che ‘Nel contratto di sale and lease back, con il quale una impresa commerciale o industriale vende un bene immobile di sua proprietà ad un imprenditore finanziario che ne paga il corrispettivo, diventandone proprietario, e contestualmente lo cede in locazione finanziaria ( leasing ) alla stessa venditrice, che versa periodicamente dei canoni di leasing per una certa durata, con facoltà di riacquistare la proprietà del bene venduto, corrispondendo al termine di durata del contratto il prezzo stabilito per il riscatto, la vendita ha scopo di leasing e non di garanzia perché, nella configurazione socialmente tipica del rapporto, costituisce solo il presupposto necessario della locazione finanziaria, inserendosi nella operazione economica secondo la funzione specifica di questa, che è quella di procurare all’imprenditore, nel quadro di un determinato disegno economico di potenziamento dei fattori produttivi, liquidità immediata mediante l’alienazione di un suo bene strumentale, conservandone a questo l’uso con facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto. Tale vendita, ed il complesso rapporto atipico nel quale si inserisce, non è, quindi, di per sè, in frode al divieto di patto commissorio che, essendo diretto ad impedire al creditore l’esercizio di una coazione morale sul debitore spinto alla ricerca di un mutuo (o alla richiesta di una dilazione nel caso di patto commissorio ab intervallo) da ristrettezze finanziarie, ed a precludere, quindi, al predetto creditore la possibilità di fare proprio il bene attraverso un meccanismo che lo sottrarrebbe alla regola della “par condicio creditorum”, deve, invece, ritenersi violato ogni qualvolta lo
scopo di garanzia non costituisca solo motivo, ma assurga a causa del contratto di vendita con patto di riscatto o di retrovendita, a meno che non risulti in concreto, da dati sintomatici ed obiettivi, quali la presenza di una situazione credito-debitoria preesistente o contestuale alla vendita o la sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene alienato ed, in altri termini, delle reciproche obbligazioni nascenti dal rapporto, che la predetta vendita, nel quadro del rapporto diretto ad assicurare una liquidità all’impresa alienante, è stata piegata al rafforzamento della posizione del creditore-finanziatore, che in tal modo tenta di acquisire l’eccedenza del valore, abusando della debolezza del debitore’ (v. Cass., 16/10/1995, n. 10805 e successive conformi, tra cui, di recente, Cass., n. 26225/24).
Pertanto, lo schema socialmente tipico del lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari di natura oggettiva e soggettiva che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie che – in quanto realizzi una alienazione a scopo di garanzia – si risolva in un negozio atipico, nullo per illiceità della causa concreta (Cass., 07/05/1998, n. 4612).
Tuttavia, questa Suprema Corte (v. Cass., n. 21042 del 2017) ha precisato che costituisce accertamento di fatto, in base a elementi sintomatici, soggettivi o oggettivi, ed insindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivato, stabilire se il lease back , contratto di impresa socialmente tipico ed in sé lecito, sia stato in concreto impiegato per eludere il divieto di patto commissorio, con conseguente sua nullità per frode alla legge (Cass., 22/03/2007, n. 6969), e tali indici sintomatici, che non devono necessariamente tra loro concorrere (Cass., Cass., 08/06/2023, n. 16367) sono costituiti: a) dalla presenza di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria
(concedente) e l’impresa venditrice utilizzatrice, preesistente o contestuale alla vendita; b) dalle difficoltà economiche dell’impresa venditrice, legittimanti il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza; c) dalla sproporzione tra il valore del bene trasferito e il corrispettivo versato dall’acquirente che confermi la validità di tale sospetto.
1.3. Orbene, alla luce dei suindicati principi, il motivo in scrutinio è anzitutto inammissibile, perché la società ricorrente, sotto la formale invocazione della violazione di legge, contesta la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, l’interpretazione data alle risultanze probatorie, il recepimento delle risultanze della c.t.u., e dunque, in definitiva, la motivata ed accertata esistenza, nel caso di specie, di alcuni tra gli indici sintomatici dell’illiceità del contratto – tra cui il versamento di parte del prezzo di vendita dell’immobile al fine di estinguere esposizioni debitorie del venditore nei confronti di Banca Tercas s.p.a., proprietaria della quasi la totalità delle azioni della società di leasing, ed il pagamento di una restante parte del prezzo a titolo di maxi-canone iniziale della locazione finanziaria dell’immobile ceduto, donde l’esiguità del residuo prezzo di vendita effettivamente percepito -e perviene così a sollecitare un riesame del fatto e della prova, che non compete a questa Suprema Corte di legittimità (v., tra le tante, Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 04/03/2021, n. 5987; Cass., 1620/2016).
1.4. Va d’altro canto osservato che la ricorrente in termini generici e apodittici sostiene l’applicabilità al sale and lease back oggetto di causa dei principi di diritto giurisprudenziale in tema di mutui stipulati per ripianare debiti pregressi.
Tuttavia gli istituti sono tra loro diversi, dato che a differenza dei summenzionati mutui il sale and lease back non ha finalità solutorie, dato che non è un mutuo stipulato per ripianare un
debito pregresso del mutuatario (ipotesi nella quale questa Corte ha avuto modo di escludere profili di illiceità: v. Cass., 25/07/2022, n. 23149), ma, come detto, è strutturato in modo tale che un’impresa vende un bene strumentale a una società finanziaria, che ne paga il prezzo e contestualmente lo concede in locazione finanziaria alla stessa impresa venditrice, verso il pagamento di un canone e con possibilità di riacquisto del bene al termine del contratto per un prezzo normalmente molto inferiore al suo valore.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di Legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione al combinato disposto tra gli artt. 2744 c.c., 1851 c.c. e 12 prel., nonché in relazione agli artt. 1526, co., 2 c.c., 1419, co 2, c.c., 1339 c.c. e 139 Legge n. 124/2017. Violazione e falsa applicazione del combinato disposto tra gli artt. 1526, co. 2, 1175, 1362, 1366, 1375’.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che nel contratto di lease back è presente un patto marciano volto a garantire il rapporto sinallagmatico tra le obbligazioni delle parti, e a scongiurare la violazione del divieto del patto commissorio.
Lamenta che in caso di ritenuta invalidità di tale patto marciano la corte di merito avrebbe dovuto darne un’interpretazione adeguatrice o integrativa alla luce del parametro di buona fede contrattuale ovvero avrebbe dovuto considerare che la nullità del patto, in quanto nullità parziale ex art. 1419 cod. civ., avrebbe comportato l’inserzione automatica ex art. 1339 cod. civ. del sopravvenuto art. 139 della legge n. 124/2017, che garantisce il pieno esplicarsi del rapporto sinallagmatico.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. Premesso che il patto marciano è finalizzato ad evitare che il creditore garantito possa ottenere un indebito vantaggio in
danno del debitore, questa Corte ha già avuto modo di affermare che il divieto del patto commissorio ex art. 2744 cod. civ. non opera allorquando nell’operazione negoziale (nella specie, una vendita immobiliare con funzione di garanzia) risulti inserito un patto marciano (in forza del quale, nell’eventualità di inadempimento del debitore, il creditore vende il bene, previa stima, versando al debitore l’eccedenza del prezzo rispetto al credito), trattandosi di clausola lecita, che persegue lo stesso scopo del pegno irregolare ex art. 1851 cod. civ. ed è ispirata alla medesima ratio di evitare l’ approfittamento del creditore in danno del debitore, purché le parti abbiano previsto, al momento della sua stipulazione, che, nel caso ed all’epoca dell’inadempimento, sia compiuta una stima della cosa, entro tempi certi e modalità definite, che assicuri una valutazione imparziale, ancorata a parametri oggettivi ed automatici oppure affidata ad una persona indipendente ed esperta, la quale a tali parametri debba fare riferimento [ v. Cass., 17/1/2020, n. 844; v. anche Cass., 28/01/2015, n. 1625: ‘Il contratto di sale and lease back è nullo, per illiceità della causa in concreto, ove violi il divieto di patto commissorio, salvo che le parti, con apposita clausola (cd. patto marciano), abbiano preventivamente convenuto che al termine del rapporto – effettuata la stima del bene con tempi certi e modalità definite, tali da assicurare una valutazione imparziale ancorata a parametri oggettivi ed autonomi ad opera di un terzo – il creditore debba, per acquisire il bene, pagare l’importo eccedente l’entità del suo credito, sì da ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni e da evitare che il debitore subisca una lesione dal trasferimento del bene in garanzia. Resta peraltro ammissibile la previsione di differenti modalità di stima del bene, per come emerse nella pratica degli affari, purché dalla struttura del patto marciano in ogni caso risulti, anticipatamente, che il debitore perderà la proprietà del
bene ad un giusto prezzo, determinato al momento dell’inadempimento, con restituzione della differenza rispetto al maggior valore, mentre non costituisce requisito necessario che il trasferimento della proprietà sia subordinato al suddetto pagamento, potendosi articolare la clausola marciana nel senso di ancorare il passaggio della proprietà sia al solo inadempimento, sia alla corresponsione della differenza di valore’ ].
Tuttavia, dalla lettura dell’impugnata sentenza risulta che la corte di merito ha accertato che nel caso di specie la clausola presente nel contratto di sale and lease back non integrava un valido patto marciano, perché non garantiva l’equilibrio tra le parti e dunque non tutelava la posizione del debitore.
Con il motivo in scrutinio la ricorrente pretende, inammissibilmente, mediante la formale invocazione della violazione di regole ermeneutiche, di contestare l’indagine di fatto, riservata al giudice del merito e da questi svolta mediante una motivazione congrua e scevra da vizi logico-giuridici, con la quale è stata esclusa, nel caso di specie, l’esistenza di una clausola avente le caratteristiche del patto marciano.
Per costante orientamento di questa Suprema Corte ‘Chi lamenti la violazione dei canoni di interpretazione non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di
merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (v. Cass., 06/07/2023, n.19139; Cass., n. 17706/2023 e n. 14178/2023; Cass., 12/05/2011, n. 10456).
2.3. Inconferente, infine, è sia il richiamo alle norme che disciplinano la sostituzione automatica di clausole nulle, sia il richiamo all’art. 139 L. n. 124/2017, che la stessa ricorrente afferma essere sopravvenuto rispetto alla controversia in esame.
Con il terzo motivo la ricorrente denunzia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di Legge ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 56 e 93 L.F.’.
Chiede la cassazione della sentenza impugnata là dove risulta dichiarata l’i nammissibilità del l’eccezione riconvenzionale di compensazione col maggior credito vantato dalla ricorrente, a titolo di ripetizione di indebito, sorto in caso di ritenuta nullità del rapporto di lease back , in quanto è incorsa in violazione degli artt. 56 e 93 L.F, i quali consentono la proposizione di tale eccezione al di fuori del rito concorsuale, quando il fatto generatore della compensazione è anteriore alla dichiarazione di insolvenza.
3.1. Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
3.2. Esso non risulta invero correlato alla motivazione dell’impugnata sentenza, dalla quale emerge come la corte di merito non si sia pronunciata su alcuna ‘eccezione riconvenzionale’, ma abbia invero ravvisato l’inammissibilità della domanda di ripetizione d’indebito in ossequi al principio affermato da questa Corte in base al quale ove nel giudizio promosso dal Curatore il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento detta domanda, per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento al passivo ex art. 93 e ss. L.F.., deve essere dichiarata inammissibile nel giudizio di cognizione ordinaria, dovendo essere eventualmente proposta con domanda di
ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla Curatela resta davanti al giudice per essa competente che pronunzia al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria (v. Cass. Civ., sez. I, 31/5/2012, n. 8782).
Principio ormai da tempo affermato anche dalle Sezioni Unite di questa Corte: è ‘inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto al fine di ottenere il riconoscimento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto dedotto nel giudizio di cognizione ordinario promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito’ (v. Cass. S.U. n. 21499/2004; Cass. S.U. n. 21500/2004. V. altresì Cass. 2005 n. 10414; Cass. 2011 n. 6659, Cass. sez. lav. 2012, n. 17327. V., ancora, Cass. Civ., sez. I, 9/9/2002, n. 13057: ‘La domanda riconvenzionale volta al riconoscimento di un credito nei confronti del fallito e proposta nell’ambito di un giudizio promosso dal fallimento per l’esercizio dell’azione revocatoria fallimentare, non solo non comporta il trasferimento dell’intera causa avanti al giudice della verifica dello stato passivo, ma è improponibile, attesa l’esclusività del rito per essa previsto a fini pubblicistici ‘ ).
3.3. Va altresì sottolineato come si evinca dai passaggi motivazionali sopra riportati, non specificatamente censurati dalla ricorrente con il motivo in scrutinio, che la corte di merito si è pronunciata facendo corretta applicazione del principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui la domanda riconvenzionale volta al riconoscimento di un credito verso il fallito va proposta in sede di verifica ed accertamento del passivo fallimentare, e non già nel giudizio di cognizione ordinaria.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo in favore del Fallimento controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 15.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza