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Sale and lease back: quando è nullo per patto commissorio

La Corte di Cassazione conferma la nullità di un’operazione di sale and lease back. La decisione si basa sulla presenza di indici sintomatici, come una preesistente situazione debitoria e la sproporzione tra valore del bene e prezzo, che rivelavano una violazione del divieto di patto commissorio, mascherando una funzione di garanzia anziché una vera compravendita.

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Sale and Lease Back: Quando è Nullo per Violazione del Patto Commissorio

L’operazione di sale and lease back è uno strumento finanziario diffuso, ma nasconde insidie che possono portarne alla nullità. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare i confini tra un’operazione lecita e una che viola il divieto di patto commissorio, sancito dall’art. 2744 del Codice Civile. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dai giudici.

I Fatti del Caso: Un’Operazione Sotto Esame

Una società di costruzioni, in difficoltà economica, stipulava un contratto di compravendita per un terreno con un capannone in costruzione con una società finanziaria. Contestualmente, la stessa società finanziaria concedeva in locazione finanziaria (leasing) il medesimo immobile alla società venditrice.

L’operazione, apparentemente un normale sale and lease back, presentava però alcune anomalie:
1. Preesistente debito: La società venditrice era già indebitata con istituti di credito appartenenti allo stesso gruppo bancario della società acquirente.
2. Sproporzione del prezzo: Il prezzo di vendita era significativamente inferiore al valore reale del bene. Inoltre, una cospicua ‘maxi-rata’ iniziale del leasing, pari a quasi il 50% del prezzo, veniva immediatamente detratta dall’importo versato, riducendo ulteriormente la liquidità effettivamente ricevuta dalla venditrice.

Fallita la società di costruzioni, il curatore fallimentare agiva in giudizio per far dichiarare la nullità dell’intera operazione negoziale, sostenendo che mascherasse un finanziamento garantito dal trasferimento dell’immobile, in violazione del divieto di patto commissorio.

La Controversia Giudiziaria nei Gradi di Merito

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello accoglievano la domanda del fallimento. I giudici hanno ritenuto che l’operazione, nel suo complesso, non fosse una genuina compravendita seguita da una locazione, ma un meccanismo per garantire un finanziamento. La causa reale del contratto non era lo scambio di cosa contro prezzo, ma la garanzia. Gli elementi decisivi (i cosiddetti ‘indici sintomatici’) per questa conclusione sono stati:
* La condizione di difficoltà economica e di preesistente indebitamento della venditrice.
* La sproporzione tra il valore del bene e il corrispettivo pattuito.
* La natura stessa del sale and lease back, che in presenza di questi indici rivela la sua natura elusiva.

La società finanziaria, soccombente, ricorreva quindi in Cassazione.

L’Analisi della Corte e i Criteri di Nullità del Sale and Lease Back

La Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito. La Corte ha chiarito che il ricorso della società finanziaria mirava, in sostanza, a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti, un’operazione preclusa in sede di legittimità.

Il punto centrale della decisione è che i giudici di merito hanno correttamente applicato il ragionamento presuntivo. Hanno cioè dedotto la causa illecita dell’operazione da una serie di fatti noti e provati (gli indici sintomatici). Non si trattava di una valutazione arbitraria, ma dell’esercizio del potere del giudice di merito di interpretare la reale volontà delle parti al di là della forma del contratto.

La Corte ha ribadito che, per accertare la violazione del divieto di patto commissorio, non è necessario che tutti gli indici siano presenti contemporaneamente. È la loro coesistenza e il loro significato complessivo a svelare l’intento fraudolento dell’operazione.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato i motivi del ricorso in parte infondati e in parte inammissibili. In primo luogo, ha smentito che la Corte d’Appello avesse limitato la sua analisi al solo contratto di vendita, evidenziando come, al contrario, avesse correttamente esaminato l’intera operazione complessa di sale and lease back. In secondo luogo, ha respinto la critica sull’uso delle presunzioni, affermando che il ragionamento dei giudici di merito era adeguatamente motivato e basato su elementi concreti e convergenti. Tentare di proporre in Cassazione una diversa lettura di tali elementi equivale a chiedere un riesame del merito, non consentito in quella sede.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: il sale and lease back è un contratto lecito e utile, ma può diventare nullo se utilizzato per aggirare il divieto di patto commissorio. Le imprese in difficoltà finanziaria e gli operatori del settore devono prestare la massima attenzione. La presenza di una situazione debitoria pregressa verso il finanziatore (o società del suo gruppo) e una palese sproporzione tra il valore del bene e il prezzo di vendita sono campanelli d’allarme potentissimi. Per essere considerata lecita, l’operazione deve prevedere meccanismi equi per la determinazione del valore del bene in caso di risoluzione del contratto, al fine di evitare un ingiusto arricchimento del creditore a danno del debitore.

Quando un’operazione di sale and lease back è considerata nulla?
Un’operazione di sale and lease back è considerata nulla quando, al di là della sua forma lecita, nasconde in concreto una funzione di garanzia per un finanziamento, violando così il divieto di patto commissorio (art. 2744 c.c.).

Quali sono gli ‘indici sintomatici’ che possono rivelare la nullità del contratto?
Gli indici principali evidenziati dalla giurisprudenza sono: 1) una preesistente situazione di difficoltà economica o di debito del venditore-utilizzatore nei confronti dell’acquirente-concedente (o di società del suo gruppo); 2) una sproporzione significativa tra il valore del bene venduto e il prezzo corrisposto; 3) la mancanza di un meccanismo oggettivo ed equo per la stima del bene in caso di inadempimento, che tuteli il debitore da un arricchimento ingiusto del creditore.

È possibile contestare davanti alla Corte di Cassazione la valutazione dei fatti compiuta dai giudici di merito?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione, ma non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella compiuta dai giudici dei gradi precedenti, a meno che la motivazione di questi ultimi non sia palesemente illogica, contraddittoria o del tutto assente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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