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Rischio d’impresa concessione: lo Stato non garantisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26107/2024, ha chiarito i limiti della responsabilità dello Stato nelle concessioni di servizi pubblici. In un caso riguardante le scommesse ippiche, una società concessionaria aveva citato in giudizio le Amministrazioni concedenti per i danni derivanti dalla diffusione di un mercato illegale. La Cassazione ha ribaltato le decisioni precedenti, affermando che il rischio d’impresa, inclusa la concorrenza illecita, grava sul concessionario. Secondo la Corte, il monopolio statale non implica un obbligo contrattuale di proteggere il concessionario dalle turbative di mercato, che rientrano nella normale alea imprenditoriale.

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Rischio d’impresa concessione: lo Stato non è tenuto a proteggere dal mercato illegale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 26107 del 7 ottobre 2024) ha tracciato una linea netta sulla ripartizione delle responsabilità nei contratti di concessione di servizio pubblico. La Corte ha stabilito che il rischio d’impresa nella concessione, compreso quello derivante dalla concorrenza di un mercato illegale, grava interamente sul concessionario. Questa decisione chiarisce che la Pubblica Amministrazione, pur operando in un regime di monopolio, non assume un obbligo contrattuale di garantire l’equilibrio economico del concessionario contro le turbative esterne. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti del caso

La vicenda trae origine da un procedimento arbitrale avviato da una società titolare di una concessione per la raccolta di scommesse ippiche. La società lamentava un grave squilibrio economico del contratto, causato dalla massiccia espansione di un mercato clandestino di scommesse che aveva eroso significativamente i suoi ricavi attesi.

Secondo la concessionaria, le Amministrazioni concedenti (tra cui il Ministero dell’Economia e l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) sarebbero state contrattualmente inadempienti per non aver preservato la stabilità del mercato e l’esclusività di fatto garantita dal regime di monopolio statale. Il collegio arbitrale prima, e la Corte d’Appello poi, avevano dato ragione alla società, condannando le Amministrazioni a un cospicuo risarcimento del danno, ravvisando una violazione dell’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto.

La decisione della Corte di Cassazione e il rischio d’impresa nella concessione

La Suprema Corte ha accolto i ricorsi presentati dalle Amministrazioni, cassando la sentenza d’appello e ribaltando completamente l’esito della controversia. Il principio cardine affermato dai giudici di legittimità è che la concessione di servizio pubblico si qualifica per l’assunzione del rischio d’impresa da parte del concessionario. Questo rischio include non solo le fluttuazioni ordinarie del mercato, ma anche eventi perturbativi come la nascita e la diffusione di attività concorrenziali illecite.

La Corte ha specificato che il ruolo di monopolista dello Stato non si traduce in una garanzia contrattuale a favore del concessionario. L’obbligo dell’amministrazione non è quello di assicurare la redditività dell’investimento del privato, ma di garantire che l’attività si svolga in un quadro di legittimità. Le turbative provenienti da terzi operatori illegali, pertanto, non possono essere considerate un inadempimento contrattuale del concedente.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha smontato la tesi dei giudici di merito, che avevano fondato la responsabilità dello Stato su un’interpretazione estensiva dell’obbligo di buona fede esecutiva (art. 1375 c.c.). Secondo la Suprema Corte, la buona fede non può essere invocata per creare dal nulla obblighi di protezione e salvaguardia così ampi da trasformare il concedente in un garante del successo economico del concessionario.

I giudici hanno chiarito la distinzione fondamentale tra i due ruoli dello Stato:

1. Stato-regolatore: che ha il compito di vigilare sul mercato e contrastare l’illegalità nell’interesse pubblico generale.
2. Stato-controparte contrattuale: i cui obblighi sono definiti dal contratto di concessione.

L’eventuale negligenza nel reprimere il mercato illegale attiene al primo ruolo e non può essere automaticamente traslata in un inadempimento del contratto di concessione. Il contratto, infatti, non prevedeva alcuna clausola di esclusività o di garanzia contro l’azione di terzi.

L’instabilità del mercato, per quanto significativa, rientra nell’alea normale del contratto, ovvero nel rischio che l’imprenditore privato accetta consapevolmente al momento della stipula. L’unico rimedio per uno squilibrio eccezionale e imprevedibile, hanno sottolineato i giudici, sarebbe stato quello della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (art. 1467 c.c.), strumento che la società concessionaria non aveva attivato.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un punto fermo nella definizione dei confini del rischio d’impresa nella concessione pubblica. Le imprese che operano in questo settore devono essere consapevoli che il rischio operativo trasferito su di loro è ampio e comprende anche le distorsioni del mercato causate da fenomeni di illegalità. Non è possibile invocare il principio di buona fede per addossare alla Pubblica Amministrazione le perdite derivanti da tali eventi, a meno che il contratto non preveda specifiche e pattuite clausole di garanzia. La decisione rafforza il principio di auto-responsabilità dell’imprenditore privato che sceglie di operare in regime di concessione, chiarendo che il monopolio statale non equivale a una polizza assicurativa contro i fallimenti di mercato.

In una concessione di servizio pubblico, lo Stato è responsabile per i danni subiti dal concessionario a causa del mercato illegale?
No. Secondo la Corte di Cassazione, lo Stato concedente non è contrattualmente responsabile per i danni derivanti dalle turbative del mercato causate da operatori illegali, in quanto tale eventualità rientra nel normale rischio d’impresa che il concessionario assume su di sé.

L’obbligo di buona fede contrattuale impone all’amministrazione concedente di proteggere il concessionario dalla concorrenza illegale?
No. La Corte ha stabilito che il principio di buona fede (art. 1375 c.c.) non può essere interpretato in modo così estensivo da creare un obbligo generale e non pattuito di protezione e salvaguardia a carico del concedente per garantire l’equilibrio economico del concessionario contro le azioni illecite di terzi.

Chi sopporta il rischio legato all’emergere di un mercato clandestino in un contratto di concessione?
Il rischio è interamente a carico del concessionario. La sentenza afferma che l’assunzione del rischio d’impresa è un elemento qualificante del contratto di concessione e include anche l’impatto negativo di fenomeni come la concorrenza illegale, che fa parte dell’alea normale del contratto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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