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L’appaltatore è tenuto a controllare la bontà del progetto

L’appaltatore, invero, deve assolvere al proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, ed è perciò tenuto a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirli, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo.

Pubblicato il 30 October 2022 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

Nel contratto di appalto privato di un’opera, la legge non dispone a carico di quale delle parti gravi l’obbligo di redazione del progetto complessivo cui fare riferimento per la sua realizzazione, né indica lo stesso come indispensabile (Cass. Sez. 2, 27/02/2019, n. 5734); non è neppure necessario che l’opera sia determinata anche nei suoi minuti particolari, rimanendo sufficiente che ne siano fissati gli elementi fondamentali (Cass. Sez. 1, 30/03/1967, n. 683; Cass. Sez. 3, 25/08/1984, n. 4697).

Quando, peraltro, il contratto di appalto faccia riferimento ad un progetto, recante una descrizione esatta dell’oggetto fondata su criteri tecnici, l’opera deve certamente essere eseguita dall’impresa appaltatrice in conformità del medesimo progetto ed a regola d’arte.

Così, l’articolo 1659 c.c. inibisce all’appaltatore di apportare, senza l’autorizzazione del committente, variazioni non concordate del progetto, cioè delle modalità convenute dell’opera, allo scopo, appunto, di assicurare che il risultato sia conforme, anche nei particolari, a quello che il committente si era proposto.

Ciò significa che una clausola, quale quella compresa nel contratto inter partes, secondo cui l’appaltatore deve procedere all’esecuzione dei lavori nel rispetto delle caratteristiche tecniche, delle forniture di materiali e di apparecchiature indicate nel Progetto esecutivo e illustrate nella documentazione di sviluppo” ed attenersi al computo metrico e alle tavole degli impianti, non è affatto eccentrica rispetto alla disciplina tipica del contratto d’appalto, ed anzi ne costituisce il proprium.

La circostanza che l’appaltatore esegua l’opera su progetto del committente o fornito dal committente non lo degrada, per ciò solo, al rango di nudus minister, poiché la fase progettuale non interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica (Cass. Sez. 2, 05/05/2003, n. 6754).

Deve allora ribadirsi il principio costantemente affermato in giurisprudenza, ossia, l’appaltatore che, nella realizzazione dell’opera, si attiene alle previsioni del progetto fornito dal committente può non di meno essere ritenuto responsabile per i vizi dell’opera stessa, valutandone la condotta secondo il parametro di cui all’articolo 1176, comma 2, del codice civile.

In particolare, l’appaltatore deve comunque segnalare al committente le carenze e gli errori progettuali al fine di poter realizzare l’opera a regola d’arte, con la conseguenza che, in caso contrario, egli è comunque responsabile anche se ha eseguito fedelmente il progetto e le indicazioni.

L’appaltatore, invero, deve assolvere al proprio obbligo di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, ed è perciò tenuto a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirli, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo.

Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista (Cass. Sez. 1, 09/10/2017, n. 23594; Cass. Sez. 2, 8/7/2016, n. 14071; Cass. Sez. 2, 24/02/2016, n. 3651; Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1981; Cass. Sez. 2, 27/08/2012, n. 14650; Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8016; Cass. Sez. 1, 13/03/2009, n. 6202; Cass. Sez. 3, 12/04/2005, n. 7515; Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20294; Cass. Sez. 2, 26/07/1999, n. 8075; Cass. Sez. 2, 29/01/1983, n. 821).

La Corte d’appello, quanto alla rilevabilità dei riscontrati difetti progettuali da parte dell’appaltatore, ha fatto rinvio al punto 4.2. della consulenza tecnica d’ufficio.

Tuttavia, l’insufficienza tecnica del giudice, che il perito può essere chiamato a supplire, non concerne né la qualificazione giuridica di fatti, né la verifica della conformità alla legge di determinati comportamenti.

La consulenza d’ufficio è funzionale alla risoluzione di questioni di fatto che presuppongano soltanto cognizioni di ordine tecnico, sicché non spetta all’ausiliare svolgere accertamenti o formulare valutazioni circa la legittimità di condotte umane, o di opere materiali, né di ricostruire il contenuto e la portata di una norma o di un negozio (ad esempio, Cass. Sez. L, 22/01/2016, n. 1186).

Si trattava di accertare in che limiti l’appaltatrice, tenuto conto della propria specifica organizzazione, fosse obbligata a controllare la bontà del progetto fatto predisporre dalla committente e delle istruzioni impartite dalla medesima, e cioè quali fossero le cognizioni tecniche esigibili da quel determinato imprenditore edile secondo la diligenza qualificata su di esso gravante, ai sensi dell’articolo 1176, comma 2, c.c. (Cass. Sez. 2, 06/05/1987, n. 4204).

Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, Ordinanza n. 31273 del 24 ottobre 2022

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