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Ribasso d’asta ATI: quale accordo prevale?

Una società facente parte di un’Associazione Temporanea di Imprese (ATI) agiva in giudizio contro la società mandataria per ottenere il pagamento del corrispettivo basato su un ribasso d’asta inferiore a quello da lei originariamente proposto. L’ATI si era aggiudicata un appalto pubblico con un ribasso medio complessivo. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società mandataria, confermando le decisioni dei giudici di merito. È stato stabilito che, in assenza di una prova certa e scritta di un accordo interno sulla ripartizione dei compensi basata sui singoli ribassi, l’unico dato valido è il ribasso unitario offerto alla stazione appaltante. Gli accordi interni non possono prevalere sull’impegno collettivo assunto pubblicamente.

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Ribasso d’asta ATI: gli accordi interni non provati non prevalgono sull’offerta unitaria

Quando più imprese si uniscono in un’Associazione Temporanea di Imprese (ATI) per partecipare a un appalto pubblico, la gestione dei rapporti interni, specialmente per la ripartizione dei compensi, diventa cruciale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta proprio il tema del ribasso d’asta ATI, stabilendo un principio fondamentale: in mancanza di un accordo interno scritto e provato, l’unica base per la ripartizione dei pagamenti è l’offerta unitaria presentata alla stazione appaltante.

Il Contesto: Un Appalto Pubblico e i Ribassi Differenziati

Il caso origina da un appalto pubblico per lavori di ristrutturazione indetto da un importante ente sanitario. Un’ATI, composta da diverse società, si aggiudica i lavori presentando un’offerta con un ribasso medio del 33,73%. Tuttavia, all’interno del raggruppamento, le singole imprese avevano proposto ribassi diversi per le rispettive categorie di lavori di competenza: ad esempio, la società responsabile dell’installazione degli ascensori aveva offerto un ribasso del 50%, mentre altre avevano proposto percentuali inferiori.

Al momento del pagamento di uno stato di avanzamento lavori (SAL), sorge una controversia. La società degli ascensori sostiene che per calcolare il suo compenso si debba applicare il ribasso medio dell’intera ATI (33,73%) e non quello, più alto, del 50% da lei singolarmente proposto. La società mandataria, invece, applica il ribasso individuale del 50%, riducendo l’importo da corrispondere. La questione finisce in tribunale, con la società mandante che chiede il pagamento della differenza.

La Decisione della Corte di Cassazione e il principio del ribasso d’asta ATI

Dopo due sentenze conformi nei gradi di merito, che hanno dato ragione alla società degli ascensori, la società mandataria ha proposto ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della decisione è che l’offerta presentata dall’ATI alla stazione appaltante è un atto unitario e collettivo. Il ribasso medio risultante è l’unico dato certo e vincolante nei rapporti esterni.

La Corte ha sottolineato che qualsiasi accordo interno per una ripartizione dei compensi basata sui singoli e differenti ribassi avrebbe dovuto essere formalizzato per iscritto e provato in giudizio. In assenza di tale prova, prevale il dato oggettivo dell’offerta economica complessiva.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha basato la sua decisione su diverse argomentazioni, sia di carattere processuale che sostanziale.

In primo luogo, il ricorso è stato ritenuto inammissibile per ragioni procedurali, tra cui la cosiddetta “doppia conforme”, che impedisce un terzo esame del merito quando i primi due gradi di giudizio giungono alla medesima conclusione con motivazioni sovrapponibili.

Nel merito, i giudici hanno chiarito che il documento contenente la giustificazione dell’offerta anomala, in cui erano elencati i singoli ribassi, non costituisce di per sé un accordo vincolante tra le parti sulla ripartizione interna dei compensi. Si tratta di un atto destinato alla stazione appaltante per dimostrare la congruità dell’offerta complessiva, ma non prova l’esistenza di un patto interno derogatorio. La Corte ha affermato che la mandataria appellante non ha fornito alcuna prova dell’effettiva comunicazione di tali ribassi e, soprattutto, dell’accordo di utilizzarli come criterio di ripartizione interna.

Inoltre, viene richiamato un principio consolidato secondo cui un accordo interno che modifichi la ripartizione dei corrispettivi stabilita nel contratto d’appalto, in modo difforme da quanto rappresentato all’esterno, può violare il divieto di contratti in frode alla legge. Questo perché svuoterebbe di significato il mandato collettivo e contrasterebbe con i principi di trasparenza degli appalti pubblici, che richiedono alla P.A. di poter valutare la consistenza tecnica e finanziaria di ogni partecipante.

Conclusioni

La decisione in esame offre un’importante lezione pratica per tutte le imprese che operano tramite ATI. La ripartizione dei rischi e dei profitti deve essere regolata da accordi interni chiari, specifici e, soprattutto, formalizzati per iscritto. Affidarsi a intese verbali o a documenti redatti per altri scopi (come le giustificazioni per l’offerta anomala) espone al rischio di contenziosi. L’impegno assunto collettivamente verso la stazione appaltante, rappresentato dall’offerta unitaria, rimane il pilastro del rapporto contrattuale. Qualsiasi deviazione da questo principio nei rapporti interni deve essere inequivocabilmente provata, altrimenti l’unica base di calcolo per la ripartizione dei compensi sarà quella risultante dal ribasso d’asta ATI complessivo.

In un’ATI, se le singole imprese offrono ribassi d’asta diversi per le proprie lavorazioni, come vengono ripartiti i pagamenti?
In assenza di un accordo interno, scritto e provato in giudizio, che stabilisca un criterio di ripartizione basato sui singoli ribassi, la giurisprudenza tende a riconoscere come valido il criterio basato sul ribasso medio unitario presentato dall’intera ATI alla stazione appaltante, come avvenuto nel caso di specie.

Un accordo interno tra le imprese di un’ATI può prevalere su quanto dichiarato all’ente appaltante?
No, un accordo interno non può prevalere se non è chiaramente provato. La Corte sottolinea che il rapporto con la stazione appaltante e l’offerta unitaria presentata sono gli elementi giuridicamente certi e vincolanti. Un patto interno che contraddica il mandato collettivo e i principi di trasparenza degli appalti pubblici è considerato invalido.

Cosa significa “doppia conforme” e come ha influito su questa decisione?
La “doppia conforme” è una regola processuale che rende inammissibile il ricorso in Cassazione per vizio di motivazione quando la Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado basandosi sullo stesso percorso logico-giuridico. In questo caso, ha contribuito a chiudere la via a un riesame dei fatti, portando alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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