Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21731 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21731 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8468/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
EUROSUD DI COGNOME NOME, FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1532/2020 depositata il 16/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2024 dal Presidente Relatore COGNOME NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
EUROSUD DI COGNOME NOME aveva concesso in nolo a freddo a RAGIONE_SOCIALE un macchinario industriale poi concesso in sub noleggio da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE; il bene, dopo la consegna ad RAGIONE_SOCIALE, era stato oggetto di furto. RAGIONE_SOCIALE aveva quindi convenuto in giudizio RAGIONE_SOCIALE per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a causa del furto del bene sublocato alla RAGIONE_SOCIALE La convenuta si costituiva e veniva autorizzata a chiamare in causa la RAGIONE_SOCIALE per esserne malevata. Sopravvenuto il fallimento della medesima, la causa veniva riassunta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che rimaneva contumace.
Il Tribunale di Catania accoglieva la domanda principale e condannava RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno in misura pari al valore del bene, determinato in euro 120.000,00, oltre interessi legali dalla domanda. Dichiarava inammissibili le domande della convenuta.
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello e l’appellat a RAGIONE_SOCIALE di NOME, costituitosi, chiedeva il rigetto dell’impugnazione , mentre la terza chiamata rimaneva contumace.
La Corte d’Appello di Catania, con sentenza n. 1532/2020, pubblicata il 16 settembre 2020, ha rigettato l’appello e condannato l’appellante al pagamento delle spese di giudizio.
Avverso la predetta sentenza, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, sulla scorta di tre motivi di impugnazione. EUROSUD DI COGNOME NOME e
FALLIMENTO DI RAGIONE_SOCIALE, non avendo presentato controricorsi, sono rimasti intimati.
È stata fissata la trattazione per l’adunanza camerale del 13 febbraio 2024 ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.
A causa di impedimento del relatore designato sopravvenuto nell’imminenza dell’adunanza odierna, il Presidente Titolare designava come relatore il Presidente del Collegio.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione si deduce, ex art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 115 co. 1 c.p.c., 2697 c.c. e 1227 c.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ‘laddove la Corte d’Appello di Catania, con ciò omettendo di pronunciarsi integralmente sul quarto motivo di appello, nonostante non fosse contestata tra le parti la consegna del bene oggetto di controversia alla RAGIONE_SOCIALE, in assenza di prova del mancato rinvenimento del macchinario nel fallimento RAGIONE_SOCIALE e nonostante l’inerzia della RAGIONE_SOCIALE nell’esperimento della domanda di rivendicazione del bene stesso, non ha rigettato la domanda risarcitoria svolta nei confronti della odierna ricorrente e, comunque, non ha pronunciato il concorso di colpa della RAGIONE_SOCIALE‘.
Il motivo affastella, come rivela la sua intestazione, censure eterogenee, peraltro afferenti alla violazione e/o falsa applicazione sia di norme del procedimento, sia di norme di diritto sostanziale, nonché inerenti al paradigma del n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
Già questa sua articolazione potrebbe evidenziare una prima ragione di problematica ammissibilità del motivo (in termini, da ultimo, Cass. n. 3397 del 2024), ma se essa -come reputa un certo orientamento di questa Corte ( ex multis , Cass. n. 39169 del
2021) non si ritenesse di per sé decisivo, dovendosi procedere all’esame de ll’illustrazione del motivo per verificare se siano percepibili le distinte censure preannunciate, ognuna di esse risulterebbe affetta da inammissibilità.
Lo è la denuncia della violazione dell’art. 112 c.p.c. , riferita ad una pretesa omessa pronuncia integrale sul quarto motivo di appello, di cui si offre la riproduzione alle pagine 9-10. Essa avrebbe riguardato la prospettazione di un concorso di colpa della ditta RAGIONE_SOCIALE nella causazione del danno.
L’assunto è privo di pregio, atteso che la corte territoriale si è pronunciata sul motivo di appello rivendicante il concorso di colpa di RAGIONE_SOCIALE: basta leggere l’esposizione che nella motivazione inizia dal quartultimo rigo della pag. 5 della sentenza, proprio sotto la rubrica ‘mancato accertamento del concorso di colpa di RAGIONE_SOCIALE‘ .
La censura è, dunque, inammissibile, in quanto smentita dalla motivazione della sentenza e, dunque, risolvendosi in una critica priva di correlazione con essa.
La deduzione della violazione dell’art. 115 c.p.c. è pretestuosa: si assume che la corte etnea non avrebbe ritenuto incontestato il fatto della consegna ad RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE, ma a pag. 3 risulta il contrario, dato che la sentenza riferisce che il bene venne ritirato presso RAGIONE_SOCIALE da ditta incaricata dalla RAGIONE_SOCIALE. Anche questa censura è priva di giustificazione in relazione alla motivazione.
Il residuo tessuto argomentativo, là dove allude brevemente a pag. 14 alla violazione degli artt. 2697 c.c. e 1227 c.c., in realtà sollecita una rivalutazione di circostanze di fatto e solo all’esito di essa postula, come mera conseguenza di tale rivalutazione, sia la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., sia quella dell’art. 1227 c.c. Ne discende che il motivo è del tutto inidoneo ad assolvere all’onere di dimostrare la violazione o la falsa applicazione delle citate norme, attesi i limiti del controllo sulla
ricostruzione della quaestio facti segnati all’attuale n. 5 dell’art. 360 c.p.c.
Non solo: nessuna critica specifica si svolge alla motivazione enunciata alle pagine 56 circa l’esclusione del concorso di colpa di RAGIONE_SOCIALE, la quale, naturalmente implica a maggior ragione l’esclusione di una responsabilità esclusiva della medesima, evocata nell’intestazione sotto il profilo di quella che si dice inerzia nell’esperimento di una domanda di rivendicazione contro RAGIONE_SOCIALE, di cui v’è traccia nella cennata riproduzione del quarto motivo di appello.
La motivazione enunciata a pag. 6 in chiusura dell’argomentazione dalla sentenza impugnata, nel senso che <>, risulta completamente ignorata.
Tale motivazione -ma lo si nota solo ad abundantiam – rende irrilevante anche l’argomento finale svolto nella riproduzione del motivo di appello, ancorché non fatto oggetto di specifica argomentazione, cioè l’assenza di prova <> di RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è, dunque, dichiarato inammissibile.
Con il secondo motivo di impugnazione si deduce ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 24 L. RAGIONE_SOCIALE ‘laddove la Corte di merito ha dichiarato inammissibili le domande svolte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti del RAGIONE_SOCIALE‘; nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. laddove la Corte avrebbe omesso di pronunciarsi ‘sulla domanda, svolta in via principale, di condanna del RAGIONE_SOCIALE a rispondere di ogni domanda attrice’.
Il Collegio rileva che già l’intestazione del motivo evidenzia una palese contraddizione, giacché per un verso si addebita alla corte di
merito di avere dichiarato inammissibili le domande svolte dalla ricorrente contro la RAGIONE_SOCIALE, per altro verso si lamenta si lamenta un’omessa pronuncia su una domanda che si dice proposta in INDIRIZZO principale.
La lettura dell’illustrazione, peraltro, evid enzia che parte ricorrente si duole in realtà che la corte siciliana non si sarebbe <>, in quanto avrebbe pronunciato <> (pag. 13 del ricorso). Nella successiva esposizione si riferiscono le conclusioni dell’atto di appello (sempre a pag. 13) e si riproduce il quinto motivo di appello e, quindi, si assume che in via principale era stata chiesta che <>.
Ebbene, questa deduzione, che si legge a pag. 16 del ricorso e viene poi ripetuta immediatamente di seguito in carattere sottolineato, non trova alcuna rispondenza proprio nelle conclusioni dell’atto di appello riprodotte a pagina 13, dato che ivi si parla di <>. E’ palese che non si tratta di mera domanda di accertamento.
Tanto basta per evidenziare l’infondatezza del motivo secondo la stessa mera lettura della sua illustrazione.
Ma v’è di più: nell’ incipit dell’illustrazione del motivo parte ricorrente espressamente dichiara di riprodurre la motivazione cui dovrebbe riferirsi la critica svolta nel motivo. Senonché, procedendo al confronto con la sentenza, la riproduzione risulta parziale, omettendo del tutto le prime cinque righe della pagina 7,
intermedie fra le due parti riprodotte. Tanto rende il motivo anche per ciò solo inidoneo a svolgere critica alla motivazione.
Per mera completezza, si rileva, altresì, che si richiama un precedente di questa Corte concernente un’ipotesi di azione attiva spettante al fallito e dunque irrilevante.
Mette conto di rilevare, invece, che <> (Cass. n. 20350 del 2005).
E’ palese e lo si nota sempre per completezza – che la stessa prospettazione che l’ipotetica azione di mero accertamento della responsabilità della RAGIONE_SOCIALE verso RAGIONE_SOCIALE, risolvendosi nell’accertamento di un credito vero la massa, non poteva sfuggire alla nota vis actractiva .
Con il terzo motivo di impugnazione si deduce ex art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2059 c.c. e del principio della soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c. e 92 co. 2 c.p.c., ‘laddove, pur sostanzialmente accogliendo il terzo motivo di appello e disponendo la CTU di stima del macchinario (anche in accoglimento del secondo motivo di appello) sul quantum ha poi erroneamente confermato la sentenza di primo grado pur essendo emerso un danno inferiore da quello quantificato
dal Giudice di prime cure ed ha così condannato la RAGIONE_SOCIALE al pagamento integrale delle spese di lite’.
Il motivo è inammissibile, perché ragiona di un parziale accoglimento dell’appello che non trova riscontro alcuno nella motivazione e nel dispositivo.
Là dove sostiene che a torto il giudice di appello avrebbe omesso di riformare la sentenza dando rilievo al fatto che la c.t.u. esperita in appello aveva indicato un valore da intendersi comprensivo di i.v.a., mentre quello indicato dal primo giudice sarebbe stato riconosciuto al netto di i.v.a., il motivo prospetta una tesi assurda: ciò, perché -in disparte che non si precisa in alcun modo il tenore della decisione del primo giudice là dove riconobbe l’importo risarcitorio di € 120.000,00, al fine di consentire se lo riconobbe al netto di i.v.a. -il riconoscimento dello stesso importo in appello al lordo di i.v.a. non avrebbe nella sostanza inciso sull’ammontare della condanna, sì da comportare una riforma della sentenza di primo grado, tanto più che nemmeno si riferisce che l’appello aveva attinto la problematica dell’i.v.a.
In ogni caso, si ricorda che, se anche nella sostanza l’appello in parte qua fosse stato accolto, sì da dare luogo al presupposto per l’esercizio di un potere di compensazione delle spese anche solo parziale a beneficio della qui ricorrente, l’omissione del suo esercizio non sarebbe stata censurabile (si veda il consolidato principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 14989 del 2005).
Il ricorso è conclusivamente rigettato. Non si deve provvedere sulle spese, stante la mancanza di svolgimento di difese da parte degli intiamati.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 13/02/2024, nella camera di consiglio della