Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14264 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14264 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26798/2021 R.G. proposto
da
NOME COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO
Oggetto: Responsabilità organi sociali -Società di revisione -Azione del creditore ex art. 2395 c.c.
R.G.N. 26798/2021
Ud. 07/05/2025 CC
presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2903/2021 depositata il 22/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 07/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 2903/2021, pubblicata in data 22 luglio 2021, la Corte di Appello di Napoli, decidendo sull’appello principale di RAGIONE_SOCIALE e sull’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE entrambi proposti avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 8662/2018, depositata in data 9 ottobre 2018, ha accolto il primo motivo dell’appello incidentale e, per l’effetto, ha dichiarato inammissibili le domande formulate dalla società attrice.
RAGIONE_SOCIALE aveva convenuto in giudizio la RAGIONE_SOCIALE nella sua veste di società incaricata della revisione dei conti della società RAGIONE_SOCIALE – dichiarata fallita dal Tribunale di Torre Annunziata nel 2012 -deducendo di essere stata indotte a stipulare con quest’ultima società in data giugno 2008 un contratto di noleggio di una nave -contratto successivamente risolto nel 2012 a causa per dell’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE – facendo affidamento sulla certificazione dei bilanci, poi rivelatasi infedele, da parte della convenuta.
La società dopo aver premesso di avere ottenuto in sede arbitrale lodo, passato in giudicato, che aveva dichiarato la legittimità della
risoluzione del contratto, accertando un credito delle istanti nell’importo di $ 17.052.916,38, oltre interessi, e di essersi insinuata essere state ammesse al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE Compagnia di Navigazione s.p.a. aveva quindi chiesto, in via principale, di accertare la responsabilità per colpa ex art. 2043 c.c. della KPMG S.P.A. nella produzione del danno patito dalla medesima attrice e di condannarla al risarcimento del danno subito e, in via subordinata, di accertare la lesione del diritto di credito da essa vantato, per avere RAGIONE_SOCIALE cooperato all’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE, e, per l’effetto, di condannare la medesima RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni.
Costituitasi regolarmente la RAGIONE_SOCIALE contestando la fondatezza delle domande ed eccependo, preliminarmente, il difetto di legittimazione attiva delle attrici e la prescrizione delle pretese azionate in giudizio, il Tribunale di Napoli aveva respinto la domanda, disattendendo le eccezioni preliminari, ma ritenendo la infondatezza nel merito della domanda stessa.
La Corte d’appello di Napoli ha esaminato preliminarmente il motivo di ricorso incidentale col quale RAGIONE_SOCIALE aveva impugnato la decisione di prime cure nella parte in cui non aveva accolto l’eccezione di carenza di legittimazione attiva, esaminandol o prioritariamente e ritenendolo fondato.
Dopo aver ricostruito i termini generali della responsabilità del soggetto incaricato della revisione di conti – concludendo che il creditore sociale può agire verso il revisore, dopo il fallimento della società, solo per far valere il danno che incida direttamente sul suo patrimonio ex art. 2395, spettando invece esclusivamente al curatore fallimentare, ai sensi dell’art. 146, comma 2, l. fall. l’esercizio delle diverse azioni previste dagli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c. a favore,
rispettivamente, della società e dei creditori sociali -la Corte territoriale, dopo aver escluso in linea generale che l’inadempimento contrattuale di una società di capitali implichi di per sé la responsabilità risarcitoria di amministratori, sindaci e revisori nei confronti dell’altro contraente, secondo la previsione dell’art. 2395 cit., ha concluso che, nella specie, la domanda formulata in relazione alla lesione dei diritti di credito attribuita alla condotta illecita dell’amministratore nella specifico la sottrazione di risorse sia mediante la raccolta abusiva del risparmio tramite l’emissione di obbligazioni c.d. ‘irregolari’ sia mediante operazioni straordinarie con parti ‘correlate’, modificative del core business del gruppo e incoerenti col piano strategico -non poteva essere ricondotta all’art. 2395 c.c. in quanto il danno dedotto aveva interessato in primo luogo il patrimonio della società fallita e solo indirettamente quello dei creditori insoddisfatti della stessa, con la conseguenza che, intervenuto il fallimento, solo il curatore poteva dedurre tale responsabilità ex artt. 2394-bis c.c. e 146 l.f.
La Corte partenopea ha escluso che nella specie non vi fosse un danno diretto al patrimonio della fallita, per essersi quest’ultima avvantaggiata del comportamento degli amministratori, in quanto ha osservato che a rilevare era la circostanza che le condotte denunciate avevano depauperato il patrimonio sociale, arrecando un danno alla massa dei creditori, deducibile dal solo curatore fallimentare.
È stata parimenti esclusa la sussistenza di un danno da dolo negoziale, avendo la Corte d’appello rilevato sia che il pregiudizio dedotto dalle appellanti -l’aver stipulato il contratto di noleggio, risultato dannoso non in sé, ma solo per effetto del successivo inadempimento della società rivelatasi insolvente – consisteva pur sempre nel danno derivante dall’insolvenza della fallita – al punto che il danno era quantificato proprio nell’ammontare del credito rimasto
insoluto ed insinuato al passivo del fallimento – sia che, pur deducendo tale danno da dolo negoziale, le appellanti non avevano impugnato ex art. 1439 e ss. il contratto di noleggio, avendone solo chiesto ed ottenuto la risoluzione del contratto per inadempimento.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a tre motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 2395 c.c.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha affermato la natura indiretta del danno di cui si chiedeva il risarcimento.
Il ricorso, nella consapevole esistenza di un’interpretazione di cui propone una radicale revisione, critica in primo luogo la distinzione -fatta propria dalla decisione impugnata -tra danni diretti -i quali sarebbero risarcibili ex art. 2395 c.c. – ed i danni meramente riflessi, che da tale fattispecie risarcitoria risulterebbero invece esclusi, argomentando l’incongruenza tra tale tesi ed una corretta esegesi sistematica con gli artt. 1223 e 2056 c.c.
In secondo luogo, il ricorso deduce la contraddittorietà della decisone impugnata nella parte in cui la stessa ha qualificato il carattere ‘diretto’ del danno come fondamento della legittimazione attiva, e quindi a requisito di ammissibilità dell’azione.
Evidenzia la ricorrente che la valutazione di tale profilo attiene invece al merito della vicenda, non potendo escludersi la sussistenza del profilo medesimo -e quindi la legittimazione attiva -senza valutare invece nel merito della pretesa azionata.
Argomenta, quindi, che ‘la ‘diretta’ rilevanza dell’illecito che si pretende di desumere, quale requisito ‘speciale’ di esercitabilità dell’azione, dal dettato dell’art. 2395 c.c., in nulla si differenzia dal carattere della ‘diretta’ incidenza della condotta tenuta sull’interes se leso, ovvero da quello della ‘diretta’ relazione tra evento e pregiudizio prodottosi nel patrimonio del danneggiato, che, insieme, sono previsti, in via generale, quali elementi costitutivi di ogni ipotesi di responsabilità civile (nel nostro ordinamento dall’art. 40 c.p., che fonda la c.d. ‘causalità materiale’ di cui al primo aspetto testé segnalato; e dall’art. 1223 c.c., che fonda la c.d. ‘causalità giuridica’ per il secondo). Sì che, ogni qualificazione in termini di evento ‘diretto’ o ‘riflesso’ non può prescindere dall’indagine sul legame eziologico tra lo stesso e il prodursi di una determinata conseguenza, sia per stabilire se l’evento possa o no essere addebitato alla condotta materiale di un certo soggetto, sia per appura re l’esistenza e l’ampiezza dei pregiudizi riconducibili al fatto illecito.’
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2395 e 2407 c.c. e dell’art. 14 delle Preleggi.
Si censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto attratta nella fattispecie di cui all’art. 2395 c.c. per tramite dell’art. 15, D. Lgs. n. 39/2010 e dell’art. 2407 c.c. la responsabilità delle società di revisione.
Come sintetizzato in ricorso, la critica a tale ricostruzione si basa ‘su due ragioni: a) l’impossibilità di ritenere suscettibile di estensione
analogica una norma che deve definirsi ‘eccezionale’ e non meramente ‘speciale’; b) l’impossibilità di equiparare al fine dell’estensione analogica della norma in parola -il Revisore al Collegio sindacale (al quale invece la norma sopra indicata si appl ica per l’esplicito richiamo della relativa disciplina ai sindaci ai sensi dell’art. 2407 c.c.).’
Argomenta, in particolare, il ricorso che:
-l’art. 2395 c.c. costituisce norma ‘inserita in un sistema che disciplina la responsabilità dell’amministratore di società ispirato ai principi generali che regolano la responsabilità contrattuale (art. 1223 c.c.) o extracontrattuale (art. 2043 c.c.); e tra i principi generali del sistema di cui la disciplina in questione è un subsistema, non è previsto alcun requisito di ammissibilità dell’azione, sì che quello qui (eventualmente) contemplato non può non essere considerato eccezionale, perché in contrasto con le regole generali’ ;
-anche a volersi ipotizzare il carattere speciale -e non eccezionale -della previsione, non sussisterebbero in ogni caso i presupposti per procedere ad un’applicazione analogica in virtù della differenza tra la figura dei Sindaci e quella dei Revisori, essendo la previsione dettata per limitare la responsabilità dei soli organi interni della società e non anche quella degli organi esterni.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Si deduce il carattere ‘implausibile’ e ‘irrazionale’ della motivazione della Corte d’appello, in quanto la stessa avrebbe travisato il fatto indicato come produttivo del danno.
Quest’ultimo non sarebbe costituito dalla mala gestio degli amministratori, determinativa dell’incapienza generale, bensì dalla ‘alterazione della volontà negoziale a causa della mendacità delle scritture e dei bilanci della società subita dall’appellante che ha instaurato con questa rapporti obbligatori, tratto in inganno dai dati e dalle risultanze di quelle, raffiguranti una falsa immagine della situazione economico -patrimoniale della società’ .
Si argomenta, conseguentemente, che il dolo contrattuale posto a fondamento della domanda delle odierne ricorrenti non avrebbe determinato un semplice danno da inadempimento conseguente all’insolvenza, bensì ‘un danno diverso e precedente all’inadempimento, rappresentato dal rischio di insolvenza, addossato all’incolpevole contraente e quindi ad un singolo, ben individuato creditore -che ha fatto affidamento sulla reputazione della controparte (come risultante dalle positive relazioni del Revisore), nello stesso momento della conclusione di un contratto con una parte già tecnicamente in decozione, dissimulata dall’amministratore col concorso colposo del negligente Revisore’ .
Si contesta che il contratto di noleggio sia stato dannoso non di per sé ma soltanto per effetto del successivo inadempimento della società successivamente fallita -come affermato dalla Corte territoriale -in quanto già al momento della conclusione del contratto in questione la società era in stato di decozione, con la conseguenza che le ricorrenti non avrebbero concluso il contratto se avessero conosciuto le reali vicende patrimoniali della società.
1.4. Come efficacemente sintetizzato nella parte conclusiva del ricorso:
‘a) Si è innanzitutto detto che l’art. 2395 c.c. non presuppone l’esistenza di un danno diretto distinguibile da quello riflesso,
astrattamente risarcibile se non vi fosse stata la limitazione voluta dal legislatore del 1942;
a1) né che lo stesso possa rappresentare un requisito di ammissibilità dell’azione risarcitoria; del resto, se così fosse,
a2) la sua eccezionalità sarebbe vieppiù evidente, così da rendere impossibile una sua interpretazione analogica.
Anche a non voler condividere nessuno di questi motivi, la sentenza impugnata non sarebbe perciò stesso immune da altri vizi: infatti, pur schierandosi con l’idea sostenuta dalla Corte napoletana della necessità retto nel patrimonio del quale requisito di ammissibilità dell’azione, resterebbe da verificare se la mancata previsione legislativa dell’applicazione dell’art. 2395 c.c. al Revisore possa essere superata mediante una estensione analogica della stessa.
di individuare l’esistenza di un danno di danneggiato -nel senso voluto dal Collegio di Napoli -Invero, in tale direzione, risulterebbe, a nostro avviso, dirimente sia la natura eccezionale della norma, nella interpretazione che ne viene fornita; sia -ancorché si preferisse parlare di specialità e non di sua eccezionalità -la circostanza che la ratio della disposizione, identificabile alla luce della sua genesi storica, non corrisponde agli elementi comuni tra Revisore e Collegio sindacale, e cioè alla funzione di controllo contabile in senso ampio affidata a costoro, risultando piuttosto ispirata a lla natura ‘organica’, (o no), del rapporto con l’Ente. c) Infine, anche a voler tutto concedere, resterebbe comunque da valutare la costatazione che il giudice di merito del secondo grado (diversamente da quello del primo) ha motivato la sua decisione sulla base di una errata individuazione del fatto storico costitutivo della invocata responsabilità e, perciò, la stessa motivazione risulta censurabile, in questa sede per le ragioni sopra indicate.’ .
Il ricorso deve essere dichiarato, nel suo complesso, inammissibile.
2.1. A differenza di un’altra , similare, sentenza della Corte partenopea oggetto di separato ricorso innanzi a questa Corte, si deve osservare che la decisione impugnata ha, non solo dichiarato di accogliere il motivo di appello incidentale col quale l’odierna controricorrente censurava la decisione di prime cure per non aver dichiarato il difetto di legittimazione attiva dell’odierna ricorrente, ma ha anche adottato espressamente una – coerente – statuizione di inammissibilità delle domande della ricorrente medesima, osservando espressamente in motivazione che ‘ non vi è dubbio infatti che la legittimazione ad agire vada valutata in base alla astratta ‘titolarità del potere e del dovere – rispettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva – di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, secondo la prospettazione offerta dall’attore, indipendentemente dall’effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto stesso’ (Cass. 22/11/2000 n. 15080; nel lo stesso senso, Cass. 17/5/2001 n. 6766; Cass. 6/2/2004 n. 2326; Cass. 6/3/2008 n. 6132); tuttavia proprio in base all’astratta rappresentazione dei fatti originanti la responsabilità della società di revisione fornita dalla RAGIONE_SOCIALE deve escludersi che quest’ultima potesse far valere il diritto al risarcimento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE SRAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE‘ (pag. 17).
2.2. Constatato, quindi, che la decisione impugnata si è tradotta univocamente in una statuizione di inammissibilità delle domande dell’odierna ricorrente per essere quest’ultima carente di legittimazione attiva, è inevitabile rilevare che tale statuizione avrebbe dovuto essere fatta oggetto di specifica impugnazione mediante la deduzione di un error in procedendo (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 7776 del 27/03/2017),
per aver il giudice di merito erroneamente qualificato, appunto, come difetto di legittimazione attiva quello che avrebbe dovuto essere invece qualificato come difetto di titolarità della pretesa risarcitoria nel merito.
Nella sezione conclusiva del primo motivo di ricorso (pag. 26 segg.), in realtà, la ricorrente viene a censurare la decisione impugnata nella parte in cui la stessa avrebbe individuato il carattere diretto del danno ex art. 2395 c.c. quale requisito di vera a propria ammissibilità della domanda, giungendo in tal modo ad affermare il difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti medesime.
Le censure della ricorrente, tuttavia, non vengono ad individuare nell’argomentazione della Corte d’appello un error in procedendo consistente in un inadeguato inquadramento della distinzione tra legittimazione attiva e titolarità nel merito della pretesa creditoria, ma si vengono ad imperniare -come il ricorso nel suo complesso -sulla tematica dell’interpretazione dell’art. 2395 c.c., e cioè su un profilo che è stato affrontato dalla decisione impugnata al solo evidente scopo di esaminare e risolvere -nei termini anzidetti -la questione in rito, con la conseguenza, quindi, che era il ragionamento processuale -e non quello sostanziale -a dover essere censurato dalla ricorrente.
Assente un’adeguata impugnazione dell’effettiva ratio decidendi della decisione impugnata, i motivi di ricorso complessivamente articolati dalla ricorrente risultano, conseguentemente, inammissibili.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 12.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima