Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24081 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24081 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1729/2021 proposto da:
NOME COGNOME, rappresentato in proprio (EMAIL) nonché dall’AVV_NOTAIO (EMAIL);
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (EMAIL);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6460/2020 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 28/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/6/2024 dal AVV_NOTAIO. NOME COGNOME;
ritenuto che,
con sentenza resa in data 28/12/2020, la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da NOME COGNOME per la condanna di NOME al risarcimento dei danni asseritamente subiti dall’attore a seguito dell’inadempimento della NOME al contratto di locazione concluso tra le parti, ovvero, in via subordinata, in conseguenza dell’illecito precontrattuale in cui sarebbe incorsa la NOME nel recedere dalle trattative in corso tra le parti per la conclusione di un contratto avente ad oggetto la locazione, in favore del NOME, di un immobile di proprietà della NOME;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come, sulla base degli elementi istruttori complessivamente acquisiti al giudizio, fossero rimasti esclusi, tanto l’avvenuta conclusione tra le parti di alcun contratto di locazione, quanto il ricorso di alcun ragionevole affidamento del COGNOME sulla futura conclusione del contratto di locazione, con la conseguente esclusione di alcuna responsabilità precontrattuale imputabile a carico della NOME;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di dieci motivi d’impugnazione;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
il ricorrente ha depositato memoria;
considerato che,
con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, c. 2, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione volta a escludere l’avvenuta effettiva conclusione tra le parti del contratto di locazione
oggetto di lite, segnatamente a seguito dell’avvenuta spedizione, ad opera della controparte, della comunicazione a mezzo fax del 25/09/13 (con cui l’intermediaria aveva annunciato che la NOME era ‘disponibile alla firma del contratto’ sol che fosse stato ‘proAVV_NOTAIOo’ ‘un’ ‘reddito’ della ‘moglie’ dell’odierno ricorrente) e della successiva comunicazione in pari data con cui il COGNOME aveva proAVV_NOTAIOo la richiesta documentazione reddituale, invocando la trasmissione della bozza del contratto e di ulteriori documenti;
con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, c. 2, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione volta a escludere l’avvenuta effettiva conclusione del contratto di locazione tra le parti, segnatamente in forza, quanto meno, della successiva e-mail del 27/09/13, con la quale l’intermediaria, dopo aver ricevuto le dichiarazioni dei redditi dell’odierno ricorrente e della moglie, aveva annunziato d’aver ‘informato’ la NOME e di aver ‘parlato’ con costei e che quest’ultima aveva ‘detto’ di voler ‘andare avanti’ e manifestato la volontà di sottoporre all’odierno ricorrente ‘la bozza del contratto’ previo esame di tale bozza da parte di un ‘suo consulente’;
i due motivi -congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione -sono inammissibili;
osserva il Collegio come l’odiern o ricorrente abbia argomentato la violazione della norma di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c. attraverso il confronto della congruità della motivazione censurata con elementi tratti aliunde rispetto al solo testo elaborato dalla corte territoriale, in tal modo ponendosi in contrasto con i criteri sul punto indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del carattere illogico o apparente della motivazione rilevante ai sensi
dell’art. 132 n. 4 c.p.c. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01);
al riguardo, varrà sottolineare come al caso di specie (relativo all’impugnazione di una sentenza pubblicata dopo la data del 11/9/12) trovi applicazione il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (quale risultante dalla formulazione dell’art. 54, co. 1, lett. b), del d.l n. 83/2012, conv., con modif., con la legge n. 134/2012), ai sensi del quale la sentenza è impugnabile con ricorso per cassazione ‘per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’;
secondo l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza di legittimità, tale norma, se da un lato ha definitivamente limitato il sindacato del giudice di legittimità ai soli casi d’inesistenza della motivazione in sé (ossia alla mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili o alla motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile), dall’altro chiama la Corte di cassazione a verificare l’eventuale omesso esame, da parte del giudice a quo , di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), rimanendo escluso che l ‘ omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, integri la fattispecie prevista dalla norma, là dove il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Sez. 2, Ordinanza n. 27415 del 29/10/2018, Rv. 651028 – 01);
dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza del ricorrente deve ritenersi inammissibile, siccome comunque diretta a censurare la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logicogiuridica unicamente rilevanti in questa sede;
con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per essere la corte territoriale incorsa nel travisamento dell’informazione probatoria offerta dal testo della e-mail del 27/9/2013 comunicata dall’intermediaria al COGNOME, avendo la corte territoriale erroneamente ritenuto ed affermato che in tale e-mail l’intermediaria avesse riferito la volontà della NOME di demandare ad un commercialista un esame delle garanzie reddituali e bancarie, quando invece nella detta e-mail l’intermediaria annunziò soltanto la volontà della NOME di demandare a un consulente l’esame della bozza del contratto;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come il contestato (preteso) travisamento della prova deAVV_NOTAIOo dall’odierno ricorrente consisterebbe nell’asserita errata lettura di una comunicazione di corrispondenza intercorsa tra le parti e, dunque, nell’assunzione di informazioni probatorie rispetto alle quali, tuttavia, non è minimamente fornita alcuna adeguata e idonea
argomentazione suscettibile di indurre a ritenere che, là dove il giudice di merito avesse inteso il contenuto di quel documento nel senso preteso dall’odierno ricorrente, la decisione sarebbe stata certamente diversa;
varrà sottolineare come, già prima del recente intervento delle Sezioni Unite, di cui si dirà, si fosse ritenuto che il rilievo del vizio del travisamento della prova (nella misura in cui può ancora ritenersi denunciabile in sede di legittimità) imponesse in ogni caso l’assolvimento, da parte dell’interessato, dell’onere di prospettare, sul piano argomentativo, l’assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi probatori acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice del merito ha ritenuto di poter trarre, ed altresì dell’onere di specificare in che modo la sottrazione al processo dei contenuti informativi utilizzati dal giudice si converta in un percorso argomentativo necessariamente destinato a condurre a una decisione favorevole alla parte istante: ciò che si traduce nel carattere sicuramente decisivo dell’errore commesso dal giudice, ossia nei caratteri di un errore in assenza del quale la decisione del giudice di merito sarebbe stata diversa, non già in termini di mera probabilità, ma in termini di assoluta certezza (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12971 del 26/04/2022 (Rv. 664816 – 01);
il principio di diritto in buona sostanza evidenziava che il c.d. travisamento si dovesse apprezzare secondo un parametro escludente qualsiasi necessità di critica di un giudizio valutativo del giudice di merito;
il recente intervento delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 5792 del 05/03/2024, Rv. 670391 – 01), nell’indicare la sede di riferimento del c.d. travisamento nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., non solo ha confermato tale principio, ma ha ristretto la
fattispecie riconducibile al travisamento deducibile: lo fa manifesto il principio di diritto espresso nel senso che ‘ il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio – trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale ‘;
la sottolineatura circa l’identificazione del travisamento deducibile nel ‘ fatto probatorio in sé ‘ e non nella ‘ verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio ‘ evidenzia un restringimento oggettivo della nozione di ‘ fatto probatorio ‘ travisato, come emerge anche dagli esempi che sono stati fatti nella motivazione che precede l’enunciazione del principio di diritto e rafforza ulteriormente e conferma rafforzandola la logica dell’esclusione di ogni profilo valutativo. È palese che il motivo, anche al di fuori dell’evocazione della norma dell’art. 115 c.p.c., che non risulta pertinente, si pone al di fuori, per quanto argomenta, di entrami i presupposti indicati dalle Sezioni Unite, risolvendosi in una doglianza circa la valutazione del significato del tenore del documento;
con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, c. 2, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione volta a escludere la responsabilità precontrattuale della NOME, non comprendendosi
sulla base di quali elementi il giudice appello fosse giunto ad affermare che la NOME condizionò sempre l’ eventuale conclusione del contatto all’ approntamento di specifiche garanzie reddituali e bancarie e alla relativa positiva valutazione ;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, ancora una volta, attraverso la proposizione della censura in esame, il ricorrente si sia spinto a sollecitare il giudice di legittimità all’estensione del proprio esame sulla (pretesa) illogicità della motivazione muovendo dal confronto del relativo testo con elementi tratti aliunde , ossia in rapporto ai contenuti della corrispondenza acquisita al compendio istruttorio e, dunque, in contrasto con i criteri sul punto indicati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai limiti di rilevabilità del carattere illogico o apparente della motivazione (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01; Sez. U, Sentenza n. 8054 del 07/04/2014, Rv. 629833 – 01);
con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, c. 2, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale dettato una motivazione meramente apparente a fondamento della decisione volta a escludere la responsabilità precontrattuale della RAGIONE_SOCIALE, in ragione della manifesta e irriducibile inconciliabilità delle asserzioni concernenti, da un lato, il riconoscimento della volontà della RAGIONE_SOCIALE di procedere nelle trattative e, dall’altro, la persistente necessità di quest’ultima di verificare le garanzie reddituali e bancarie del COGNOME;
il motivo è manifestamente infondato;
osserva il Collegio come le due asserzioni contenute nella motivazione del provvedimento impugnato, ed evidenziate dall’odierno ricorrente (consistenti, da un lato, nel riconoscimento della volontà
della NOME di procedere nelle trattative e, dall’altro, nel riconoscimento della persistente necessità, manifestata dalla stessa NOME, di verificare il tenore delle garanzie reddituali e bancarie del COGNOME) appaiono (secondo la logica seguita in sentenza) totalmente compatibili loro, essendo destinate, ciascuna per la propria parte, a significare la volontà della NOME di proseguire il rapporto vòlto all’acquisizione di utili informazioni ai fini della conclusione del contratto, senza che ciò potesse ancora indurre alcun giustificato affidamento sulla sua futura conclusione, attesa la necessità, manifestata da parte della stessa NOME, di proseguire nella ricerca di attendibili riscontri circa le garanzie reddituali e bancarie dell’aspirante conduttore;
da tanto discende la manifesta infondatezza della censura in esame, nella misura in cui prospetta del tutto arbitrariamente un’inesistente incompatibilità logica tra le affermazioni contenute nel provvedimento impugnato e qui specificamente evocate;
con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1337 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente negato la responsabilità precontrattuale della NOME sul presupposto della ritenuta insussistenza di un giustificato affidamento del COGNOME sulla futura conclusione del contratto, laddove la corte territoriale avrebbe dovuto procedere, al fine di riscontrare l’illecito precontrattuale della controparte, alla verifica dell’eventuale raggiungimento, ad opera delle parti, di un’intesa di massima in ordine a tutti gli elementi essenziali del contratto da concludere;
il motivo -nella misura in cui si sostanzia nella denuncia di un preteso vizio di sussunzione della fattispecie concreta nella previsione
di legge e, conseguentemente, nella falsa applicazione del richiamato art. 1337 c.c. -è infondato;
osserva al riguardo il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la responsabilità precontrattuale per illegittimo recesso dalle trattative postula sempre, come premessa indefettibile, il raggiungimento di uno stato delle trattative tale da rendere obiettivamente riconoscibile la sussistenza di un giustificato affidamento della parte danneggiata sulla futura conclusione del contratto: a tal fine, non è affatto sufficiente che le parti abbiano astrattamente raggiunto un’intesa di massima sugli elementi essenziali del contratto, poiché le stesse ben avrebbero potuto subordinare la volontà di procedere alla successiva conclusione del contratto all’eventuale successiva acquisizione di sufficienti informazioni anche su elementi circostanziali che le stesse parti hanno manifestato di ritenere come indispensabili ai fini della conclusione del contratto; e ciò, in particolare, là dove (come peraltro accaduto nel caso di specie) abbiano reso oggettivamente riconoscibile la propria volontà di subordinare la conclusione del contratto all’acquisizione di dette informazioni;
al riguardo, è appena il caso di richiamare il principio costantemente ribadito nella giurisprudenza di legittimità (cfr., ex plurimis , Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 34510 del 16/11/2021, Rv. 662845 -01 (conf. Sez. 2, Sentenza n. 7545 del 15/04/2016, Rv. 639456 -01; Sez. 3, Sentenza n. 7768 del 29/03/2007, Rv. 596082 -01; Sez. L, Sentenza n. 11438 del 18/06/2004, Rv. 573739 – 01), ai sensi del quale, affinché possa ritenersi integrata la responsabilità precontrattuale, è necessario che tra le parti siano in corso trattative; che le trattative siano giunte ad uno stadio idoneo a far sorgere nella parte che invoca l’altrui responsabilità il ragionevole affidamento sulla
conclusione del contratto; che la controparte, cui si addebita la responsabilità, interrompa le trattative senza un giustificato motivo; che, infine, pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. La verifica della ricorrenza di tutti questi elementi, risolvendosi in accertamento di fatto, è demandato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato;
da questa prospettiva, il motivo in esame, nella misura in cui intende negare il principio di diritto così sancito dalla giurisprudenza di legittimità (prospettando la sufficienza, ai fini del riscontro della culpa in contrahendo , del solo raggiungimento, ad opera delle parti, di un’intesa di massima in ordine agli elementi essenziali del contratto da concludere), deve ritenersi del tutto privo di fondamento;
con il settimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla doglianza avanzata dall’odierno istante avverso la sentenza di primo grado, per avere il tribunale esaminato soltanto le dichiarazioni scambiate inter partes tra il 16/9/2013 e il 27/9/2013 tralasciando tutte le comunicazioni scambiate successivamente a tali date e, prima fra tutte, l’e -mail trasmessa dall’intermediaria all’odierno ricorrente in data 1/10/2013;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come il ricorrente, attraverso la proposizione della censura in esame, abbia rilevato un’omissione di pronuncia, da parte del giudice a quo , su un preteso motivo d’appello , senza tuttavia comprovare adeguatamente l’avvenuta proposizione dell’appello sul
(solo) punto valorizzato, limitandosi alla mera allegazione di generici stralci dell’atto d’appello del tutto inidonei al tal fine;
sul piano contenutistico, peraltro, il ricorrente parrebbe contestare la parzialità della valutazione istruttoria; in tal caso, tuttavia, del tutto impropriamente risulterebbe il richiamo a una pretesa omessa pronuncia rilevante ai sensi dell’art. 112 c.p.c., quanto semmai all’omesso esame di fatti decisivi controversi ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c.;
da questa prospettiva, sarebbe stata cura del ricorrente di allegare, alla denuncia del vizio, un adeguato sviluppo argomentativo (qui del tutto mancante) delle ragioni per cui l’eventuale esame, da parte dei giudici di merito, delle circostanze di fatto asseritamente omesse avrebbe certamente conAVV_NOTAIOo a una diversa decisione;
varrà, in ogni caso, richiamare il valore dirimente del consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale deve ritenersi inconfigurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa ad una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente; peraltro, il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale, non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale è configurabile con riferimento alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendo profilarsi al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte (Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 – 01);
con l’ottavo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per essere la corte territoriale incorsa nel travisamento dell’informazione probatoria offerta dal testo della e-mail 1/10/2013, atteso che, diversamente da quanto asserito dalla corte d’appello, nella detta email l’intermediaria non disse che ‘avrebbe sottoposto alla sig.NOME le dichiarazioni reddituali ricevute’ (sent. p. 3, riga 6) ma, ben diversamente, disse soltanto che avrebbe atteso la serata ‘per parlare nuovamente coi NOME per chiedere loro copia del titolo di proprietà, del regolamento di condominio’ e ‘per sottoporre loro la bozza del contratto’ (doc. 21 ns. fasc. primo grado; all. 10 del fascicoletto); la corte territoriale, dunque, avrebbe travisato il testo dell’anzidetta email falsamente ritenendo ed affermando che, in essa, l’intermediaria avesse detto al COGNOME che essa avrebbe sottoposto alla NOME le ‘dichiarazioni reddituali ricevute’ ;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come, anche in relazione alla censura in esame (come nel caso del precedente terzo motivo di ricorso) il ricorrente prospetta un asserito travisamento della prova consistente nella pretesa errata lettura di una comunicazione di corrispondenza intercorsa tra le parti e, dunque, nell’assunzione di informazioni probatorie rispetto alle quali, tuttavia, non risulta minimamente fornita alcuna adeguata e idonea argomentazione suscettibile di indurre a ritenere che, laddove il giudice di merito avesse inteso il contenuto di quel documento nel senso preteso dall’odierno ricorrente, la decisione sarebbe stata certamente diversa;
si tratta di una di una inammissibile modalità di rilievo del vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (nella specie evocato in assenza di alcuna dimostrazione di decisività del preteso omesso esame) entro i cui limiti
(come osservato e rilevato sopra dalle citate Sezioni Unite di questa Corte è ancora possibile evocare il vizio processuale di travisamento della prova;
con il nono motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 4, c. 5, D.M. n. 55/14 e dell’art. 91 c.p.c., nonché dell’art. 132. c. 2, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. art. 360, c. 1, nn. 3 e 4, c.p.c.), per avere la corte territoriale liquidato in favore della controparte un importo di euro 6.615,00, oltre accessori di legge, senza indicare il valore della causa, e comunque per aver liquidato tale importo in termini complessivi in violazione dell’art. 4, co. 5, d.m. n. 55/14 nella parte in cui prevede che il compenso sia liquidato per fasi, al fine di consentire il controllo circa la correttezza dei criteri e dell’ iter logico-giuridico seguito al fine di giustificare la liquidazione operata;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come l’odierno ricorrente abbia proposto la censura in esame trascurando il rispetto della struttura propria del vizio di violazione di norma del procedimento ai sensi del n. 4 dell’art. 360;
varrà in particolare sottolineare come tale vizio, accanto al suo profilo in iure (che suppone l’indicazione della violazione o falsa applicazione della norma processuale), suppone, al contempo, anche la puntuale indicazione del c.d. fatto processuale (concernendo appunto, la disciplina del processo, la vicenda ‘ fattuale ‘ del processo), cioè del modo in cui, come fatto storico, il processo, nella parte cui la violazione è riferita, si sia svolto;
in relazione alla liquidazione delle spese processuali, la normativa applicabile al processo è rappresentata dalla disciplina del d.m. n. 55 del 2014 che prevede valori minimi, medi e massimi correlati al valore della causa, stabilendoli per c.d. fasi processuali;
ciò posto, l’interessato che contesti l’eventuale violazione di tale normativa processuale ha l’onere di argomentare la relativa violazione o falsa applicazione, necessariamente individuando la fattispecie processuale alla quale la normativa sarebbe stata erroneamente applicata, segnatamente enunciando, ex necesse , gli elementi fattuali che la integravano, ossia il valore della causa e le fasi di svolgimento del grado cui la contestazione sulla liquidazione è riferita;
nel caso di specie, nella proposizione del motivo in esame, il ricorrente si è totalmente sottratto alla elaborazione di qualsiasi attività argomentativa in iure nel senso indicato, omettendo altresì di individuare, tanto il valore della causa, quanto le fasi di svolgimento del grado, in tal modo limitandosi inammissibilmente all’apodittica contestazione di un error in procedendo solo parzialmente e impropriamente argomentato;
si tratta di considerazioni che trovano conferma (oltreché nelle repliche argomentate dalla parte controricorrente) negli stessi precedenti giurisprudenziali evocati dal ricorrente (ove puntualmente esaminati in motivazione), in cui risulta espressamente evidenziata la specificazione del fatto processuale nella strutturazione del motivo di impugnazione proposto;
con il decimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 99, 112 e 132, c. 2, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, c.p.c.), per avere la corte territoriale liquidato in favore della controparte, per il procedimento di secondo grado, oltre all’importo di euro 6.615,00, l’aggiuntivo importo di euro 150,00 per asseriti e non specificati ‘esborsi’, non risultanti dagli atti di causa, né comprovati come effettivamente sopportati, né domandati dalla controparte;
il motivo è fondato;
osserva il Collegio come il giudice d’appello abbia effettivamente liquidato, in favore della parte controcorrente, l’importo di euro 150,00 di forza di non specificati esborsi, non risultanti dagli atti di causa (o comprovati come sopportati o domandati dalla controparte), sulla base di un errore peraltro riconosciuto dalla stessa parte controricorrente;
all’accoglimento del motivo ritiene il Collegio di poter associare, a seguito della cassazione sul punto della sentenza impugnata, la corrispondente decisione sul merito (non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto), attraverso l’eliminazione della condanna del COGNOME al pagamento dell’importo di euro 150,00 per esborsi;
sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del decimo motivo e la complessiva infondatezza dei restanti, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto;
rilevata la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., ritiene il Collegio di poter decidere nel merito attraverso l’eliminazione, dal dispositivo della sentenza impugnata, della condanna del COGNOME al rimborso, in favore di controparte, dell’importo di euro 150,00 a titolo di esborsi, con la conferma di tutte le restanti statuizioni contenute nella sentenza impugnata in questa sede;
l’accoglimento in minima parte del ricorso giustifica, ad avviso del Collegio, la compensazione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il settimo, l’ottavo e il nono motivo; rigetta il quinto e il sesto; accoglie il decimo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, elimina dal dispositivo della sentenza d’appello la condanna di NOME COGNOME a rimborso, in favore di controparte, dell’importo di euro 150,00 a titolo di esborsi,
confermando nel resto tutte le restanti statuizioni contenute nella sentenza impugnata in questa sede.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione