Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6351 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 6351 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 299/2024 proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME (EMAIL;
– ricorrente –
contro
COGNOME e COGNOME e NOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME e COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME NOME
NOMECOGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME ANNUNZIATA, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME DE NOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME EMAIL;
– controricorrenti –
e
NOME COGNOME
-intimato – avverso la sentenza n. 248/2023 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, depositata il 16/6/2023.
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 16/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Udito il Sostituto Procuratore Generale, in persona del dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi i difensori delle parti comparsi in udienza.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza resa in data 16/6/2023, la Corte d’appello di Lecce, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello proposto da NOME COGNOME e in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato NOME COGNOME al risarcimento, in favore (tra gli altri) dei controricorrenti indicati in epigrafe, dei danni dagli stessi subiti a causa della compromissione del godimento degli immobili di loro proprietà verificatasi in conseguenza della diffusione, nel periodo dall’autunno del 2009 al luglio del 2012, nel quartiere INDIRIZZO di Taranto (ove detti immobili sono localizzati), di polveri di minerali e di carbone provenienti dagli stabilimenti dell’azienda RAGIONE_SOCIALE di cui il
COGNOME rivestiva, nel ridetto periodo, le funzioni di direttore e gestore.
A fondamento della decisione assunta, per quel che ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale – dopo aver disatteso le censure sollevate in rito dal COGNOME (con particolare riguardo alla pretesa erronea mancata dichiarazione di estinzione del giudizio, in conseguenza della relativa mancata riassunzione a seguito dell’ammissione dell’RAGIONE_SOCIALE.a. alla procedura di amministrazione straordinaria, e all’avvenuta decisione della causa di primo grado da parte di un giudice monocratico, in violazione dell’art. 50bis n. 5 c.p.c.) – ha rilevato come del tutto correttamente il primo giudice avesse accertato l’effettiva sussistenza delle conseguenze dannose originariamente denunciate dagli attori, con particolare riguardo alla compromissione del godimento degli immobili di loro proprietà, avuto riguardo alla proporzione e alla protrazione nel tempo delle emissioni delle polveri provenienti dall’azienda Ilva, tali da superare, nel rione INDIRIZZO, più di 35 volte all’anno il limite consentito dall’autorità amministrativa, sì da costringere i proprietari di detti immobili a limitare le possibilità di apertura di porte e finestre, di arieggiare e illuminare con luce naturale gli interni degli stessi immobili, e con l’ulteriore limitazione della facoltà di utilizzazione degli spazi esterni.
Con la stessa decisione, la Corte territoriale ha ribadito come il COGNOME avesse ricoperto, dall’autunno del 2009 a luglio del 2012, la qualifica di direttore e gestore dello stabilimento siderurgico dell’Ilva di Taranto, sì che, disponendo di tutti i conseguenti poteri institori, sarebbe stato in grado di predisporre i necessari rimedi vòlti a impedire le emissioni delle polveri inquinanti ex adverso denunciate.
Avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi d’impugnazione.
Le parti resistenti indicate in epigrafe hanno depositato controricorso.
Il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha concluso per iscritto, instando per il rigetto del ricorso e tali conclusioni ha confermato in pubblica udienza.
Il ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge e nullità del procedimento ex art 360 nn. 3 e 4 c.p.c., in relazione agli artt. 43 legge fall., 300 e 305 c.p.c., nonché per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art 360 n. 5 c.p.c.
Assume al riguardo il COGNOME come, a seguito dell’avvenuta ammissione dell’RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE alla procedura concorsuale di amministrazione straordinaria, il giudice di primo grado omise erroneamente di disporre l’interruzione del giudizio nei confronti di tutte le parti, limitandosi ingiustificatamente a disporre detta interruzione con riguardo al solo rapporto tra gli attori e l’RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE
Ciò posto, non avendo gli originari attori provveduto alla rituale riassunzione del giudizio nei confronti di tutte le parti, il processo di primo grado avrebbe dovuto ritenersi estinto, con la conseguente erroneità della contraria decisione assunta sul punto dalla sentenza della Corte d’appello impugnata in questa sede.
Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio come la Corte territoriale, nel giudicare della legittimità della rilevata interruzione del procedimento di primo grado nei confronti del solo rapporto processuale tra gli attori e l’RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE, abbia opportunamente sottolineato i contenuti della domanda introduttiva della lite, evidenziando l’avvenuta proposizione, da parte
degli attori, di una domanda fondata, non già su fatti relativi a rapporti societari, alla gestione sociale o alle modalità della stessa, bensì su « un illecito penale commesso da persone fisiche la cui condotta sarebbe andata oltre l’oggetto sociale, non rientrando evidentemente la produzione dolosa o colposa di danni ai terzi nell’attività sociale » . Hanno dunque « posto a fondamento dell’azione risarcitoria una condotta di reato che ha causato danni diretti a terzi e di cui avrebbe dovuto rispondere anche la società per il rapporto di immedesimazione organica » (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
Tale interpretazione della domanda originaria ha dunque correttamente condotto il giudice d’appello a riconoscere il carattere ‘facoltativo’ del litisconsorzio processuale in esame (con la conseguente scindibilità della posizione processuale di ciascuno dei diversi corresponsabili danneggianti convenuti in giudizio) e a disporre la prosecuzione del giudizio nei soli confronti dei condebitori solidali diversi dall’Ilva s.p.a., in conformità al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di litisconsorzio facoltativo (quale quello che si determina nel giudizio promosso verso più coobbligati solidali), verificatasi una causa di interruzione nei confronti di uno di essi, ove il giudice non si avvalga del potere di disporre la separazione delle cause ex art. 103 c.p.c., la mancata riassunzione della lite nel termine fissato dall’art. 305 c.p.c. non impedisce l’ulteriore prosecuzione del processo relativamente ai litisconsorti non colpiti dall’evento interruttivo (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 4684 del 21/02/2020, Rv. 656912 – 02; v altresì Sez. 3, Ordinanza n. 8123 del 23/04/2020, Rv. 657575 – 01); e tanto, in applicazione del principio di cui all ‘ art. 1306 c.c., a mente del quale, anche in caso di rapporto plurisoggettivo solidale, è ben possibile ammettere l’esercizio dell’azione da parte di un solo contitolare, o verso un solo contitolare,
là dove diretto a perseguire l ‘ adempimento dell ‘ obbligazione (Sez. 3, Sentenza n. 21170 del 20/10/2015, Rv. 637616 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 16018 del 7/07/2010, Rv. 614007 – 01).
Da tanto discende il riscontro dell’infondatezza della censura in esame, avendo il giudice d’appello del tutto ritualmente escluso che, a seguito dell’ammissione dell’RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE alla procedura di amministrazione straordinaria, il giudizio di primo grado avrebbe dovuto essere interrotto (e successivamente riassunto) nei confronti di tutti i condebitori solidali indicati come corresponsabili della produzione dei danni denunciati dagli attori, ben potendo proseguire, l’azione risarcitoria originariamente proposta nei confronti di tutti i condebitori solidali, nei soli confronti di alcuni di essi.
Con il secondo motivo, il ricorrente si duole della nullità del procedimento ex art 360 n. 4 c.p.c., in relazione all’art 50bis c.p.c. e al d.lgs. n. 168 del 2003 (art. 3, comma 2, lett. a), per avere la Corte territoriale erroneamente disatteso il motivo d’appello proposto dal Capogrosso con riguardo alla nullità della decisione di primo grado siccome pronunciata da un giudice monocratico, in contrasto con la previsione di legge che riserva alla competenza del tribunale in composizione collegiale la cognizione dei giudizi comportanti l’esame di una questione di responsabilità degli organi amministrativi di società, nell’ambito della competenza delle sezioni specializzate di tribunale in materia d’impresa.
Il motivo è infondato.
Osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (qui integralmente condiviso e confermato, al fine di assicurarne continuità), in tema di competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, tra le cause relative ai ‘ rapporti societari ‘ , di cui all’art. 3, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 168
del 2003, rientrano le controversie risarcitorie, da chiunque introdotte, nei confronti degli amministratori, in ragione degli atti dannosi agli stessi riferibili, posti in essere nell’esercizio dell’attività gestoria dell’ente e che trovano fondamento nel rapporto organico, senza che assuma rilievo la distinzione tra atti e operazioni strumentali all ‘ attuazione dell ‘ oggetto sociale e atti di gestione che costituiscono ex se attuazione dell’oggetto sociale medesimo (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 15354 del 31/05/2023, Rv. 667997 – 01).
Nel caso di specie, la Corte territoriale risulta aver correttamente rispettato tale principio, avendo avuto cura di sottolineare (cfr. supra par. 3) che « esaminando la domanda introduttiva di lite, si rileva che gli attori non hanno posto a fondamento dell’azione risarcitoria fatti relativi a rapporti societari, alla gestione sociale e alle modalità della gestione societaria, ma un illecito penale commesso da persone fisiche la cui condotta sarebbe andata oltre l’oggetto sociale, non rientrando evidentemente la produzione dolosa o colposa di danni ai terzi nell’attività sociale. Hanno posto a fondamento dell’azione risarcitoria una condotta di reato che ha causato danni diretti a terzi e di cui avrebbe dovuto rispondere anche la società per il rapporto di immedesimazione organica » (v. pag. 5 della sentenza impugnata).
Tale significativo rilievo consente dunque di riconoscere che gli atti attribuiti al COGNOME come causa dei danni denunciati in questa sede fossero stati, ab initio , qualificati dagli attori alla stregua di condotte di reato, in quanto tali attuate dal COGNOME ben al di là e (indiscutibilmente) oltre i limiti dell’attività gestoria dell’Ilva s.p.a., irriconducibili ad ogni paradigma di attività od operazione strumentale all’attuazione dell’oggetto sociale o alla diretta attuazione dello stesso. E tanto, in ragione del l’ intuitiva impossibilità di configurare qualsivoglia forma di connessione tra il perseguimento dell’oggetto sociale di una
struttura produttiva industriale e il compimento di illeciti di rilievo penale da parte dei rappresentanti della società.
Da tanto discende la corretta esclusione, da parte del giudice d’appello, della riconducibilità dell’odierna controversia all’ambito di quelle previste dall’art. 3, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 168 del 2003 (ossia all’ambito di quelle attratte dalla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa) e la conferma della legittimità della decisione della causa in primo grado da parte di un giudice monocratico.
Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ex art 360 n, 3 c.p.c., in relazione all’art 1223, 1226 e 2056 c.c. ed in relazione all’art 2727 c.c., dolendosi altresì della nullità del procedimento ex art 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art 132 c.p.c. e all’art 118 disp. att. c.p.c. nonché in relazione all’art 111 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto in favore delle controparti il risarcimento del danno consistente nella compromissione delle facoltà di godimento dei relativi immobili, non avendo gli attori mai allegato la rivendicazione di tale forma di risarcimento, peraltro riconosciuto in re ipsa , non avendo le controparti mai effettivamente allegato e comprovato le conseguenze dannose concretamente sofferte per effetto dell’illecito ascritto all’odierno ricorrente.
Sotto altro profilo, il ricorrente si duole del carattere meramente apparente della motivazione dettata dal giudice a quo con riguardo all’identificazione dell’entità effettiva del danno subito dalle controparti.
Il motivo è complessivamente infondato.
Osserva il Collegio come la lettura dell’atto di citazione introduttivo del giudizio (regolarmente allegato dall’odierno ricorrente in questa sede) consenta di accertare agevolmente l’avvenuta indicazione, a fondamento delle rivendicazioni risarcitorie degli attori,
di tutte le circostanze connesse, non solo alla contestata riduzione del valore dei beni immobili di loro proprietà, bensì anche alla significativa compromissione delle facoltà di godimento di detti beni immobili, sottolineando come l’obiettivo scadimento della propria qualità della vita personale e relazionale (intesa come conseguenza dannosa riferita alla minorata qualità del godimento dei propri beni) fosse inevitabilmente correlata all’utilizzazione delle proprie case di abitazione, in quanto geograficamente collocate nei pressi degli stabilimenti dell’Ilva.
Si tratta della rivendicazione di una tutela risarcitoria che, preso atto del l’illecita interferenza nel godimento dei beni dei danneggiati, appare immediatamente riferita alla gravità delle compromissioni inferte alla qualità della vita personale e relazionale di tutti i residenti della zona: conseguenze dannose, tutte, specificamente e chiaramente allegate dagli attori nell’originario libello introduttivo del giudizio.
15. Ciò posto, la Corte territoriale – lungi dall’elaborare , sul punto, una motivazione meramente apparente o illogica, o dal limitarsi al rilievo di un mero evento di danno comprovato in re ipsa – ha piuttosto avuto cura di specificare la concreta entità obiettiva delle particolari conseguenze dannose sofferte dagli attori (così come accertabili, sul piano inferenziale, attraverso la valorizzazione degli elementi presuntivi specificamente richiamati in sentenza: cfr. il richiamo alla proporzione e al protrarsi delle emissioni delle polveri; al superamento, nel rione INDIRIZZO, più di 35 volte all’anno , del valore massimo consentito dalla disciplina vigente in loco ; all’ accertato imbrattamento delle facciate degli immobili; alla limitazione delle possibilità di apertura di porte e finestre e, dunque, di arieggiare e illuminare con luce naturale gli interni delle unità immobiliari; alla limitazione delle facoltà di utilizzazione degli spazi esterni, dei terrazzi e dei balconi,
ecc.), pervenendo all’attestazione della correttezza della decisione del giudice di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno in favore dei proprietari degli immobili in ragione della compromissione delle facoltà di godimento connesse al loro diritto di proprietà (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
16. Sul punto, il giudice d’appello ha correttamente sottolineato come il godimento del bene costituisca « componente e manifestazione del diritto di proprietà e che pertanto qualsiasi intervento di un terzo che senza titolo limiti tale godimento costituisce lesione del diritto di proprietà che va risarcita (in tal senso, ex multis, Cass. civ. sez.II 9.09.2021 n. 24383, Cass.civ. sez.III 2.07.2021 n. 18810, Cass.civ. sez.II 5.10.2020 n. 21272) », precisando, inoltre, come « le proporzioni e il protrarsi delle emissioni delle polveri, il superamento nel rione Tamburi più di trentacinque volte all’anno (limite previsto dalla normativa di settore) del valore massimo di PM10 consentito (come accertato dall’ARPA e ribadito dal consulente d’ufficio) e l’accertato imbrattamento delle facciate degli immobili sono indizi gravi, precisi e concordanti (se non della completa inutilizzabilità degli immobili, quanto meno) della limitazione del godimento degli immobili. Lo spolverio persistente dei minerali e il deposito continuo delle polveri sulle parti esterne degli immobili, limitando le possibilità di apertura di porte e finestre e dunque la possibilità di arieggiare e illuminare con luce naturale gli interni della unità immobiliari, limitando la facoltà di utilizzare gli spazi esterni (terrazzi e balconi), ha finito con il limitare il godimento delle unità immobiliari. E tale danno, da liquidare in via equitativa ex artt. 1226 e 2056 c.c. stante l’assenza di precisi parametri di determinazione, correttamente è stato liquidato in una percentuale (5%) del valore degli immobili aggiornato al 2012 (anno fino al quale il COGNOME ha esercitato le funzioni di direttore generale
dell’ILVA e fino al quale è stato ritenuto responsabile delle emissioni dannose), costituendo la facoltà di godimento (si ribadisce) una componente del diritto di proprietà. Peraltro, la percentuale suddetta, dato il basso valore degli immobili, si traduce in poche migliaia di euro per ciascun danneggiato » (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
17. Dall’esame di tali premesse discende il riscontro della totale infondatezza della censura in esame, dovendo ritenersi che il giudice d’appello abbia correttamente interpretato il contenuto della domanda proposta dagli originari attori, così come altrettanto correttamente abbia ricostruito, sul piano del ragionamento probatorio d ‘indole critica, l’effettività delle conseguenze dannose concretamente sofferte dagli attori in ragione della grave compromissione delle facoltà di godimento dei relativi beni immobili (pur essa comprovata per via di inferenza critica), pervenendo infine alla liquidazione dei danni accertati attraverso il richiamo a un criterio equitativo oggettivamente congruo e ragionevole, di per sé pienamente idoneo a dar conto dell’ iter logicogiuridico seguito ai fini della determinazione del credito risarcitorio spettante a ciascun danneggiato.
18. Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge ex art 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 2204 c.c. e all’art 2395 c.c., nonché in relazione al principio della personalità giuridica delle società di capitali, dolendosi altresì della nullità del procedimento ex art 360 n. 4 c.p.c. in relazione all’art 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente attestato la sussistenza di una responsabilità personale del Capogrosso in relazione ai danni denunciati dalla controparti, escludendo il principio in forza del quale la sola persona giuridica risponde dei propri comportamenti in difetto di specifiche ragioni di imputazione degli atti e delle omissioni a terzi soggetti, incorrendo in tal modo inoltre nella violazione dell’art.
112 c.p.c., per aver omesso di procedere a una compiuta valutazione del motivo d’appello sul punto avanzato dall’odierno resistente.
Il motivo è infondato.
Dev’essere in primo luogo disattesa la censura avanzata dal ricorrente con riguardo alla pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. ad opera della Corte territoriale, trovando applicazione, sul punto, il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale è inconfigurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 13649 del 24/06/2005, Rv. 582099 -01; Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006, Rv. 589393 -01; Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 -01).
Nella specie, avendo la Corte territoriale espressamente argomentato le ragioni della ritenuta responsabilità personale del COGNOME (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata), deve ritenersi che la stessa abbia ritenuto implicitamente privo di fondamento il corrispondente motivo d’appello del COGNOME, con la conseguenza che quest’ultimo avrebbe dovuto limitarsi alla sola doglianza concernente la ritenuta erroneità del riconoscimento di tale responsabilità.
Ciò premesso, quanto alla doglianza concernente il ridetto presunto erroneo riconoscimento della responsabilità personale del
COGNOME, varrà ribadire (in conformità a quanto già precedentemente riconosciuto: cfr. supra parr. 3 e 8) come la Corte territoriale, « esaminando la domanda introduttiva di lite », abbia rilevato come gli attori non avessero « posto a fondamento dell’azione risarcitoria fatti relativi a rapporti societari, alla gestione sociale e alle modalità della gestione societaria, ma un illecito penale commesso da persone fisiche la cui condotta sarebbe andata oltre l’oggetto sociale, non rientrando evidentemente la produzione dolosa o colposa di danni ai terzi nell’attività sociale. Hanno posto a fondamento dell’azione risarcitoria una condotta di reato che ha causato danni diretti a terzi e di cui avrebbe dovuto rispondere anche la società per il rapporto di immedesimazione organica » (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata).
23. Proprio in forza di tali premesse, la Corte territoriale è pervenuta all’esclusione della sola responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE (di cui il COGNOME sarebbe stato un mero agente, irresponsabile in proprio); in particolare, nell’affermare che «ai sensi del disposto di cui all’art. 2204 c. I c.c. ed in assenza di prova contraria , i poteri quale institore devono presumersi (essere stati) generali e tali da comprendere la facoltà di prendere le decisioni necessarie ad impedire il fenomeno dannoso» (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), il giudice d’appello ha inteso sottolineare e precisare il fondamento normativo della posizione di garanzia assunta dal Capogrosso rispetto alla tutela dei diritti dei terzi minacciati dalle attività diffusive dell’Ilva e, conseguentemente, la posizione di garanzia suscettibile di qualificare, la condotta omissiva foriera della responsabilità penale del Capogrosso, rispetto alla commissione del reato di cui all’art. 674 c.p., ai sensi del quale « chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non
consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a lire duemila ».
È appena il caso di rimarcare l’irrilevanza dell’affermazione sostenuta dall’odierno ricorrente circa il carattere dirimente, al riguardo, dell’impossibile evocazione di alcun giudicato penale sulla relativa condotta (cfr. pag. 23, par. 116 del ricorso), poiché la circostanza dell’estinzione del reato per effetto dell’intervenuta prescrizione, non valse certamente a cancellare la responsabilità civile del COGNOME per le conseguenze dannose derivate dalla commissione del fatto-reato consistito nella pericolosa emissione di gas, di vapori o di fumo atti a offendere o imbrattare o molestare persone.
Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza d’appello per violazione di legge ex art 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’art . 2043 e 1223 c.c., nonché per violazione di legge e nullità del procedimento ex art 360 nn. 3 e 4 c.p.c. in relazione agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto un’ulteriore componente risarcitoria in favore delle controparti, nella specie costituita dal pagamento degli interessi legali sulle somme liquidate a titolo risarcitorio e via via rivalutate, nonostante la mancata dimostrazione di alcun corrispondente pregiudizio subito dagli originari attori, né potendo invocarsi la formazione di alcun giudicato interno sul punto, nella specie impedita dall’avvenuta impugnazione, in sede d’appello, da parte dell’odierno ricorrente, del riconoscimento operato dal giudice di primo grado dell’intero risarcimento del danno in favore delle controparti.
26. Il motivo è fondato.
27. Osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, il risarcimento del danno da fatto illecito costituisce debito di valore e, in caso di ritardato pagamento di esso, gli interessi non costituiscono un autonomo diritto del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato, qual era all’epoca del prodursi del danno, e la loro attribuzione costituisce una mera modalità o tecnica liquidatoria (cfr. Sez. U, Sentenza n. 8520 del 5/04/2007, Rv. 596803 – 01 e successive conformi).
Ciò posto, una volta impugnato il capo della sentenza contenente la complessiva liquidazione del danno, l’impossibilità di invocare l’intervenuta formazione di un giudicato sugli interessi deve ritenersi estesa, non solo alla pronuncia concernente l’avvenuta liquidazione degli interessi precedentemente attribuiti nella misura legale (cfr., da ultimo, Sez. 3, Sentenza n. 17004 del 14/06/2023, Rv. 668196 – 01), bensì anche all ‘ipotesi dell’avvenuto riconoscimento degli interessi in quanto tali, trovando applicazione, anche in questo caso, il principio in forza del quale il giudicato interno non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Sez. 3, Ordinanza n. 30728 del 19/10/2022, Rv. 666050 – 01).
28. Nel caso di specie, avendo il COGNOME contestato in appello tutte le voci di danno riconosciute in favore degli originari attori dal giudice di primo grado (come rilevato dalla medesima Corte d’appello e risultante dalla stessa lettura dell’atto d’appello regolarmente prodotto dall’odierno ricorrente in questa sede) ed avendo conseguentemente devoluto in appello la questione relativa all’entità di (tutti) i danni riconoscibili in favore degli originari attori, la Corte territoriale ha errato nel riconoscere l’avvenuta formazione del giudicato sulla questione relativa all’attribuzione degli interessi compensativi in favore degli attori (sul presupposto della mancata impugnazione sul punto da parte del Capogrosso: cfr. pag. 9 della sentenza impugnata), poiché avrebbe dovuto ritenere automaticamente devoluta in appello, unitamente alla contestazione generale dell’entità dei danni pretesi dagli originari attori, ogni altra questione concernente la liquidazione di tali danni, ivi compresa la questione del danno da ritardo della corresponsione del risarcimento.
29. Alla cassazione sul punto della sentenza impugnata segue la rimessione della causa al giudice del rinvio affinché provveda alla (eventuale) liquidazione dei danni sofferti dagli attori per effetto del ritardo nella corresponsione del risarcimento da parte dell’odierno ricorrente.
Nel provvedere a tale liquidazione, il giudice del rinvio terrà conto che nell’obbligazione risarcitoria da fatto illecito (che costituisce tipico debito di valore) è possibile che la mera rivalutazione monetaria dell ‘ importo liquidato in relazione all’epoca dell’illecito, ovvero la diretta liquidazione in valori monetari attuali, non valgano a reintegrare pienamente il creditore, il quale va posto nella stessa condizione economica nella quale si sarebbe trovato se il pagamento fosse stato tempestivo. In tal caso, è onere del creditore provare, anche in base a
criteri presuntivi, che la somma rivalutata (o liquidata in moneta attuale) sia inferiore a quella di cui avrebbe disposto, alla stessa data della sentenza, se il pagamento della somma originariamente dovuta fosse stato tempestivo. Tale effetto dipende prevalentemente, dal rapporto tra remuneratività media del denaro e tasso di svalutazione nel periodo in considerazione, essendo ovvio che in tutti i casi in cui il primo sia inferiore al secondo, un danno da ritardo non è normalmente configurabile. Ne consegue, per un verso che gli interessi cosiddetti compensativi costituiscono una mera modalità liquidatoria del danno da ritardo nei debiti di valore; per altro verso che non sia configurabile alcun automatismo nel riconoscimento degli stessi (cfr. Sez. 3, Ordinanza n. 18564 del 13/07/2018, Rv. 649736 – 01).
30. Sulla base di tali premesse, rilevata la fondatezza del quinto motivo e la complessiva infondatezza delle restanti censure, dev’essere disposta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il quinto motivo; rigetta tutti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione