Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17065 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17065 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
Oggetto
Sanzione disciplinare conservativa -Responsabilità per lo svolgimento di meri step del procedimento istruttorio.
R.G.N. 7839/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 20/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 7839-2022 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3204/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/10/2021 R.G.N. 4000/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
SARRACINO.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME adiva il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, per sentir dichiarare l’inefficacia, la nullità e/o l’illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione per tre mesi dal servizio e dalla retribuzione notificatagli il 12.9.2016 e ordinare all’Amministrazione la rifusione delle retribuzioni trattenute, pari ad € 7.331,70 oltre alla regolarizzazione della sua posizione contributiva.
1.1. Nello specifico la contestazione dell’Inps del 15.6.2016 addebitava al lavoratore, ai sensi dell’art. 3, comma 4, del regolamento di disciplina: a) la lavorazione di pratiche di riscatto ex art. 13 l. n. 1338 del 1962, relative a dipendenti che non rientravano nella competenza territoriale della sede territoriale di Roma Monteverde presso la quale operava; b) la lav orazione delle pratiche di riscatto indicate nell’atto di contestazione, nonostante la documentazione prodotta dagli interessati non fosse idonea alla positiva definizione delle domande; c) la positiva definizione di dette pratiche -concernenti il riscatto di periodi contributivi parzialmente scoperti -nonostante la documentazione prodotta dagli interessati non risultasse idonea e sufficiente a provare la continuità e la durata del rapporto di lavoro, oltre che la retribuzione all’epoca percepita.
1.2. Per quanto qui ancora rileva, il lavoratore, tra l’altro, deduceva l’illegittimità della sanzione irrogatagli, avendo sempre adempiuto correttamente la propria prestazione lavorativa, sotto il controllo dei superiori gerarchici che sottoscrivevano, approvandoli, i provvedimenti dallo stesso predisposti.
1.3. La Corte di Appello di Roma nella sentenza impugnata, confermando quella di primo grado, rigettava le domande proposte dal lavoratore.
1.4. Per i profili ancora qui in rilievo, la Corte Territoriale così motivava (cfr. pag. 6) in ordine alla sussistenza dell’inadempimento del lavoratore: ‘Vero è che la funzione di controllo, secondo la circolare n. 178/2003 coinvolge tutti i processi primari e si basa sulla verifica della legittimità degli atti, del rispetto della normativa di riferimento, della regolarità dell’iter procedurale, della qual ità del prodotto finito, in riferimento alla completezza della trattazione e della qualità del processo per quanto riguarda le norme comportamentali e le prassi definite. Tuttavia, dalla lettura completa della circolare si evince che la funzione di controllo, ai vari livelli gerarchici, in base le rispettive funzioni, anche a livello di Direzione provinciale e regionale, è eseguita a campione, secondo modalità e precisi criteri di selezione del campione (v. punto 4.1. circ. cit.), finalizzato a strutturare il controllo e il monitoraggio del processo produttivo in ogni sua fase, Invero, nel caso in esame, le indagini hanno preso le mosse da una verifica a campione da parte della Direzione Provinciale.
Ciò non significa, dunque, che il singolo operatore amministrativo sia esentato dalle proprie responsabilità, sia pure nei limiti del segmento procedurale di pertinenza (nel caso in esame della fase istruttoria), derivanti dall’obbligo di svolgere i compiti assegnati con correttezza e diligenza nel rispetto della normativa e delle prassi vigenti, trattandosi peraltro nel caso in esame di un funzionario inquadrato nell’Area ‘C’.
Né a diverse conclusioni può giungersi sul presupposto che l’Inps nell’indicare una delle condotte addebitate abbia utilizzato in un passo del provvedimento sanzionatorio l’espressione
‘avere liquidato numerose domande di riscatto’; per vero, ancorché il termine ‘liquidare’ possa ritenersi improprio tecnicamente, è pacifico tra le parti che il ricorrente si occupasse dell’istruttoria e l’articolata determinazione contenente la sanzione descrive condotte specificamente ed inequivocabilmente riferibili all’attività istruttoria a seguito della quale il dipendente ha evaso positivamente posizioni che poi sono risultate prive dei presupposti per la liquidazione’.
Ricorre per cassazione il lavoratore, con un motivo di ricorso.
Resiste con controricorso l’Inps.
Entrambe le parti depositano memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso per cassazione viene denunziato, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., error in iudicando per violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5, e 6 della l. n. 241 del 1990.
Il lavoratore denunzia l’ illegittimità delle contestazioni per carenza del presupposto: la qualità di responsabile del procedimento/provvedimento, con conseguente illegittimità anche della sanzione inflitta; argomenta, inoltre, l’ illegittimità della sanzione per inopponibilità al ricorrente della contestata violazione della normativa interna in materia, la circ. Inps. n. 183 del 1990 e del Messaggio Hermes n. 23295 del 30.8.2006.
1.1. Nel mezzo, in estrema sintesi, parte ricorrente assume di non avere alcuna responsabilità in ordine agli addebiti ascritti, non essendo il responsabile del procedimento/provvedimento e non avendo, quindi, alcuna colpa essendosi occupato del solo segmento meramente istruttorio di pertinenza, non essendo frazionabile la responsabilità nel caso di specie ed avendo, in ogni caso, egli svolto meri compiti materiali.
Preliminarmente, osserva il Collegio che, a differenza di quanto sostenuto dall’Inps nella memoria depositata, permane l’interesse del ricorrente alla decisione del presente giudizio e ciò ad onta del fatto che con l’ordinanza Cass. Sez. Lav. n. 5614/2023 sia divenuto definitivo il licenziamento irrogato dall’Inps al dipendente, successivamente al provvedimento sanzionatorio conservativo qui in rilievo, in relazione alla non corretta lavorazione di 44 pratiche di riscatto ex art. 13 I. n. 1338/1962.
2.1. Permane l’interesse perché , in caso di accertamento della illegittimità della sanzione conservativa qui in discussione, in ipotesi per vizi formali, ad essa farebbe seguito la condanna alla restituzione in favore del lavoratore delle retribuzioni trattenute in relazione ai mesi di sospensione inflitti.
Tanto premesso, il motivo è inammissibile.
3.1. In disparte, l’inammissibilità della censura nella parte in cui denunzia per violazione di legge meri atti che tale rango di fonti non hanno nell’ordinamento (circolari Inps, messaggio Hermes etc.), tanto bastando in parte qua a determinare il mancato accoglimento del mezzo, i restanti profili la doglianza non si sottra ggono anch’essi al giudizio di inammissibilità non confrontandosi affatto con il decisum.
3.2. Nel passaggio motivazionale innanzi riportato al punto 1.4., infatti, la sentenza impugnata ha ben chiarito come la responsabilità del lavoratore sussista in relazione ai compiti (e qui si aggiunge ai soli compiti) a lui assegnati, ovvero lo svolgime nto dell’istruttoria, di modo , che a differenza di quanto tenta di sostenere il lavoratore nel ricorso per cassazione, l’inadempimento che gli è imputato è proprio riferibile ai suoi compiti ed alle sue mansioni, senza che tanto escluda
l ‘eventuale responsabilità di altri soggetti coinvolti nel procedimento, e in primis del responsabile dello stesso.
3.3. Del resto, quanto innanzi, corrisponde ai criteri generali di riparto di responsabilità nelle attività di équipe o nelle attività procedurali sequenziali, come quella qui all’attenzione, in cui il provvedimento finale è frutto dell’attività di una pluralita’ di agenti, di modo che, ferma l ‘eventuale responsabilità del capo é quipe o del responsabile dell’intero procediment o, questa non elide quella dei singoli lavoratori coinvolti nel processo.
3.4. Più chiaramente, ciascun lavoratore risponde sempre in relazione alla parte del procedimento che cui è preposto.
La sussistenza della responsabilità in relazione ai singoli step del procedimento – nella fattispecie in esame per l’istruttoria delle pratiche di riscatto ex art. 13 l. n. 1338 del 1962 – è frutto, del resto, del mero rilievo che nelle attività procedimentali cui concorrono una pluralità di soggetti, ciascuno deve poter fare affidamento sul corretto svolgimento dei compiti da parte di coloro che hanno lavorato alle fasi precedenti, salva l ‘eventuale concomitante responsabilità, per omesso o negligente controllo degli esiti della fase precedente per i lavoratori, e soprattutto per il responsabile del procedimento/provvedimento, coinvolti delle successive fasi procedimentali.
Conclusivamente il ricorso è inammissibile, tutte le ulteriori censure articolate nel motivo ridondando in inammissibili richieste di rivalutazione dell’istruttoria compiuta in fase di merito.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
6 . Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi, €. 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 20 maggio 2025.
IL PRESIDENTE
(NOME COGNOME