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Legittimazione del curatore nei confronti della banca

In caso di fallimento, risulta proponibile l’azione risarcitoria del curatore nei confronti delle banche per l’imprudente concessione del finanziamento. E, tuttavia, la situazione muta, ove si prospetti un’azione a vantaggio di tutti i creditori indistintamente, perché recuperatoria in favore dell’intero ceto creditorio di quanto sia andato perduto, a causa dell’indebito finanziamento, del patrimonio sociale, atteso che il fallimento persegue, appunto, l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par condicio.

Pubblicato il 22 August 2021 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile

In caso di fallimento, risulta proponibile l’azione risarcitoria del curatore nei confronti delle banche per l’imprudente concessione del finanziamento.

In tal senso, dapprima Cass. 1 giugno 2010, n. 13413 ha chiarito che il curatore è legittimato ad agire nei confronti della banca “quale responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita dall’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della stessa società, senza che possa assumere rilievo il mancato esercizio dell’azione anche contro l’amministratore infedele”.

Quindi, Cass. 20 aprile 2017, n. 9983 ha reputato la legittimazione attiva del curatore nell’azione di risarcimento del danno nei confronti della banca, quando la posizione a questa ascritta sia di terzo responsabile solidale del danno cagionato alla società fallita per effetto dell’abusivo ricorso al credito da parte dell’amministratore della società, che abbia perduto interamente il capitale, dinanzi all’avventata richiesta di credito e ad una parimenti avventata concessione di credito da parte della banca.

Al curatore, invero, spetta la legittimazione per le c.d. azioni di massa, volte alla ricostituzione della garanzia patrimoniale ex articolo 2740 c.c., di cui tutti creditori beneficeranno; così, al curatore spettano le azioni revocatorie di cui all’articolo 2901 c.c. e articolo 66 L. Fall., nonché le azioni di responsabilità contro gli organi sociali, ivi compresa quella dei creditori per “l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale” (articolo 2394-bis c.c. e articolo 146 L. Fall.).

In definitiva, è pur vero che il curatore non è legittimato all’azione di risarcimento del danno diretto patito dal singolo creditore per l’abusiva concessione del credito quale strumento di reintegrazione del suo patrimonio singolo, ove quest’ultimo dovrà dimostrare lo specifico pregiudizio a seconda della relazione contrattuale intrattenuta con il debitore fallito, e ciò con specifico riguardo al diritto leso a potersi determinare ad agire in autotutela, oppure ad entrare in contatto con contraenti affidabili – posto che la concessione del credito bancario lo abbia indotto, ove creditore anteriore, a non esercitare i rimedi predisposti dall’ordinamento a tutela del credito, e, ove creditore successivo a quella concessione, a contrattare con soggetto col quale altrimenti non avrebbe contrattato – in quanto si tratta di diritto soggettivo afferente la sfera giuridica di ciascun creditore.

E, tuttavia, la situazione muta, ove si prospetti un’azione a vantaggio di tutti i creditori indistintamente, perché recuperatoria in favore dell’intero ceto creditorio di quanto sia andato perduto, a causa dell’indebito finanziamento, del patrimonio sociale, atteso che il fallimento persegue, appunto, l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori nel rispetto della par condicio.

Si tratta di un danno al patrimonio dell’impresa, con la conseguente diminuita garanzia patrimoniale della stessa, ai sensi dell’articolo 2740 c.c., scaturita dalla concessione abusiva del credito, che abbia permesso alla stessa di rimanere immeritatamente sul mercato, continuando la propria attività ed aumentando il dissesto, donde il danno riflesso ai tutti i creditori.

Ecco, dunque, che il curatore che agisce per il ristoro del danno alla società tutela nel contempo la massa creditoria dalla diminuzione patrimoniale medesima.

Un simile danno riguarda tutti i creditori: quelli che avevano già contrattato con la società prima della concessione abusiva del credito de qua, perché essi vedono, a cagione di questa, aggravarsi le perdite e ridursi la garanzia ex articolo 2740 c.c.; quelli che abbiano contrattato con la società dopo la concessione di credito medesima, perché (se è vero che a ciò possa aggiungersi pure la causa petendi di essere stati indotti in errore, ed allora individualmente, dall’apparente stato non critico della società, è pur vero che) del pari avranno visto progressivamente aggravarsi l’insufficienza patrimoniale della società, con pregiudizio alla soddisfazione dei loro crediti.

In tal modo, mediante l’esperimento dell’azione, si produrrà un beneficio per i creditori, come avviene nell’esperimento delle azioni revocatorie ed altre similari in favore della massa: in quanto per tutti i creditori, il cui credito sia sorto vuoi prima, vuoi dopo la concessione di credito imputata di abusività, se il risultato a questa eziologicamente collegato sia il compimento di ulteriore attività d’impresa con aggravamento del dissesto societario, le perdite da ciò derivate comporteranno una matematica riduzione della garanzia patrimoniale generica, l’insufficienza del patrimonio d’impresa a soddisfare i crediti, ed, in definitiva, un danno riflesso, che il curatore potrà reintegrare grazie all’azione di risarcimento del danno cagionato al patrimonio della società, anche nella sua veste di legittimato attivo per conto dei creditori.

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 18610 del 30 giugno 2021

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