Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16987 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16987 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 24/06/2025
R.G. 22816/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 3/6/2025
C.C. 14/4/2022
ORDINANZA
RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE. APPALTO. GARANZIA ASSICURATIVA.
sul ricorso iscritto al n. 22816/2022 R.G. proposto da : COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege -ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege
-controricorrente-
nonché contro
CONDOMINIO INDIRIZZO ROMA e RAGIONE_SOCIALE
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA n. 3653/2022 depositata il 26/05/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Condominio di INDIRIZZO della stessa città, chiedendo che fosse condannato a pagarle il residuo prezzo dovuto per l’adempimento del contratto di appalto stipulato tra le parti in data 14 novembre 2008, avente ad oggetto le opere di manutenzione ordinaria dello stabile condominiale.
A sostegno della domanda espose, tra l’altro, che i lavori erano stati eseguiti nei tempi stabiliti e a regola d’arte, come confermato anche dalla sottoscrizione, da parte del direttore dei lavori architetto NOME COGNOME del verbale di fine lavori, ma che il Condominio si era rifiutato di pagare il residuo dovuto.
Si costituì in giudizio il Condominio, contestando la corretta esecuzione dei lavori da parte della società attrice e chiedendo in via riconvenzionale che la stessa fosse condannata ad eliminare a sue spese le difformità e i vizi delle opere. Chiese, inoltre, di essere autorizzato alla chiamata in causa dell’arch. COGNOME affinché fosse condannato a restituire quanto percepito come compenso della sua opera e a tenere indenne il Condominio di quanto esso dovesse essere condannato a pagare alla società Altavilla.
Si costituì quindi anche l’arch. COGNOME chiedendo il rigetto delle domande avanzate dal Condominio nei suoi confronti e sollecitando la chiamata in causa della società di assicurazioni con cui aveva stipulato una polizza, onde essere dalla medesima manlevato in caso di condanna.
Si costituì, infine, anche l’RAGIONE_SOCIALE, da un lato chiedendo il riconoscimento della non operatività della garanzia ai sensi degli artt. 1892 e 1893 cod. civ. e, dall’altro, il rigetto di ogni domanda risarcitoria avanzata nei confronti dell’arch. COGNOME.
Il Tribunale accolse la domanda della società attrice, condannò il Condominio a pagare alla medesima l’importo di euro 65.629,77, oltre spese di lite; condannò il professionista a pagare al Condominio l’importo di euro 226.000,00, oltre interessi dalla domanda, e a restituire l’importo percepito quale compenso dell’opera prestata in favore del Condominio, oltre spese di lite; condannò infine l’INA -Assitalia a manlevare il Tabacco da tutti gli importi che lo stesso era stato condannato a pagare al Condominio convenuto.
La sentenza è stata impugnata in via principale da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e in via incidentale dall’arch. COGNOME e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 26 maggio 2022, in parziale riforma della decisione del Tribunale, ha accolto l’appello della società assicuratrice, rigettando la domanda di manleva proposta nei suoi confronti, ha integralmente respinto l’appello incidentale del professionista e l’ha condannato alla rifusione delle spese dei due gradi in favore della società di assicurazione e delle spese del giudizio di appello in favore del Condominio.
2.1. Ha osservato la Corte territoriale, per quanto di interesse in questa sede, che l’appello principale era da ritenere fondato in relazione al primo motivo, cui conseguiva l’assorbimento degli altri, perché la sentenza del Tribunale aveva accolto la domanda di manleva avanzata dall’arch. COGNOME senza in alcun modo valutare le questioni di inoperatività della polizza sollevate dalla società di assicurazioni. A questo proposito, la sentenza ha richiamato la previsione degli artt. 1892 e 1893 cod. civ. e il contenuto dell’art. 7 della polizza assicurativa in oggetto, mettendo in evidenza come il contratto contenesse una clausola claim’s made . Quest’ultima, a detta della Corte di merito, è compatibile con le clausole che pongono a carico dell’assicurato l’obbligo di rendere dichiarazioni complete e veritiere in relazione alla concreta rappresentazione del
rischio nel momento in cui il contratto viene concluso. L’assicurato, cioè, è tenuto a dichiarare non solo di non aver avuto richieste risarcitorie, ma anche di non essere a conoscenza dell’esistenza di situazioni idonee a fondare una sua eventuale responsabilità.
Nel caso specifico, il Condominio aveva contestato al direttore dei lavori le sue inadempienze con due lettere rispettivamente del 31 agosto e del 7 settembre 2009, il che rendeva concreto il rischio di un possibile contenzioso sulla sua responsabilità professionale; elemento, questo, che l’arch. COGNOME avrebbe dovuto rendere noto alla società di assicurazione. Ad ulteriore conferma di ciò, la Corte di merito ha osservato che la causa tra la società Altavilla e il Condominio era stata iscritta a ruolo il 15 febbraio 2010, mentre la polizza assicurativa era stata stipulata dal professionista solo il successivo 30 aprile 2010, quando l’arch. COGNOME era certamente a conoscenza del contenzioso pendente. La sentenza, quindi, ha concluso nel senso che le dichiarazioni rese dal professionista erano da ritenere reticenti ai sensi degli artt. 1892 e 1893 cit.; né la società assicuratrice poteva essere considerata decaduta dall’azione di annullamento, posto che nel caso di specie il sinistro si era verificato prima che la stessa fosse venuta a conoscenza dell’inesattezza o reticenza delle dichiarazioni, per cui era da ritenere sufficiente che l’assicuratore invocasse la violazione degli obblighi di dichiarazione fedele per essere esentato dalla prestazione della garanzia.
Per tali ragioni la Corte di merito ha stabilito che la domanda di manleva doveva essere rigettata.
2.2. A questo punto la Corte romana è passata ad esaminare i motivi dell’appello incidentale nei quali il professionista aveva contestato la condanna a lui inflitta per la sua responsabilità quale direttore dei lavori e il conseguente rigetto della domanda di pagamento del residuo della sua parcella professionale.
La sentenza ha osservato, in proposito, che «il direttore dei lavori, pur prestando un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto ».
Richiamati i principi generali in ordine alle obbligazioni esistenti a carico del direttore dei lavori, la Corte d’appello ha rilevato che nel caso in esame, alla luce degli accertamenti compiuti dal c.t.u., era emerso che l’arch. COGNOME non aveva esercitato i dovuti controlli e la necessaria attività di vigilanza durante lo svolgimento dei lavori, rimanendo inerte; oltre a ciò, egli aveva «sottoscritto il verbale di fine lavori, certificando anche l’esecuzione a regola d’arte dell’intervento manutentivo, nonostante i gravi difetti dell’opera accertati dal C.T.U.», il quale aveva rilevato che le asserite attività ricognitive espletate dal direttore dei lavori non trovavano riscontro negli atti di causa e non giustificavano «l’esito dell’attuale stato dei luoghi».
Le conclusioni del c.t.u., che la Corte di merito ha fatto proprie, non potevano considerarsi infirmate dal decorso del tempo tra l’esecuzione dei lavori e l’espletamento delle indagini peritali e dall’asserita ininfluenza della sottoscrizione del verbale di collaudo da parte del d.l., escludendo altresì che si potesse ritenere configurata una responsabilità oggettiva in capo all’arch. COGNOME
Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso l’arch. NOME COGNOME con atto affidato a due motivi.
Resiste la RAGIONE_SOCIALE con controricorso affiancato da memoria.
Il RAGIONE_SOCIALE e il RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 1176, 2229 e ss. cod. civ., per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilità del direttore dei lavori in assenza di ogni e qualsiasi allegazione e prova delle eventuali condotte inadempienti, estrapolando la loro sussistenza esclusivamente sulla scorta della presenza dei vizi dell’opera evidenziati dalla c.t.u., pervenendo così a un illegittimo e illecito giudizio di responsabilità oggettiva, come obbligazione di risultato.
Il ricorrente premette che nei suoi confronti sono state contestate inadempienze in ordine alla preparazione del supporto murario, alla realizzazione dello strato di finitura e rasatura e alla qualità dei materiali impiegati. Si tratterebbe, cioè, di errori e imprecisioni di ambito strettamente esecutivo e operativo, mentre il direttore dei lavori non può essere chiamato a rispondere dell’imperizia degli operai e della ditta appaltatrice. La sentenza impugnata, in altri termini, avrebbe trasformato la responsabilità del professionista, che è una tipica obbligazione di mezzi, in una responsabilità oggettiva, e tutto questo soltanto in base alle osservazioni rese dal c.t.u. nella sua relazione. Le pretese carenze e omissioni, quindi, sarebbero state riconosciute in completa assenza di prova.
1.1. Il motivo è per certi aspetti inammissibile e per altri privo di fondamento.
La giurisprudenza di questa Corte, alla quale va data in questa sede ulteriore continuità, ha in più occasioni affermato che, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di
risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, per cui il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto . Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi. Non si sottrae, perciò, a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e, in difetto, di riferirne al committente (così l’ordinanza 7 febbraio 2020, n. 2913, correttamente richiamata dalla Corte d’appello; principio che ha avuto più di recente ulteriore conferma da parte delle ordinanze 9 aprile 2024, n. 9572, e 18 ottobre 2024, n. 27045).
La Corte di merito, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ha fatto buon governo di tale principio e ha evidenziato, condividendo e facendo proprie le conclusioni del c.t.u., una serie di inadempienze riconducibili a responsabilità del direttore dei lavori. Tali manchevolezze sono tutte da ricondurre, in ultima analisi, ad un comportamento gravemente omissivo dell’odierno ricorrente, che si è manifestato sotto vari aspetti. La sentenza impugnata, infatti, ha messo in luce l’inerzia dell’arch. Tabacco in relazione all’espletamento dei dovuti controlli, emergente dalla «repentina modifica dell’aspetto cromatico causato dall’anomalo comportamento della tinta», fatto che non trovava riscontro né
nell’usuale tipologia dei lavori né nel normale comportamento dei materiali. A questo proposito, inoltre, la Corte di merito ha anche sottolineato le omesse segnalazioni alla parte committente, cioè il Condominio, circa la «necessità di ulteriori interventi tali da scongiurare un esito o risultato come quello di causa». Il che significa che l’odierno ricorrente avrebbe dovuto, probabilmente, consigliare l’impiego di diversi materiali o di diverse tecniche di restauro e comunque, in ogni caso, avrebbe dovuto avvertire il Condominio della necessità di interventi correttivi da parte dell’impresa appaltatrice.
Il Collegio rileva che, ove pure tali rilievi non fossero di per sé sufficienti a fondare una responsabilità per colpa professionale del direttore dei lavori, la sentenza impugnata ha evidenziato un ulteriore e decisivo elemento a carico dell’arch. COGNOME, costituito dalla sottoscrizione del verbale di fine lavori contenente la certificazione che l’intervento manutentivo si era svolto a regola d’arte. Questo elemento basterebbe anche da solo a fondare la responsabilità del ricorrente, perché è evidente che la parte committente, cioè il Condominio, non poteva avere le conoscenze tecniche necessarie per valutare l’operato della società appaltatrice. Era solo il direttore dei lavori che, essendo in possesso delle conoscenze tecniche, avrebbe potuto (e dovuto) contestare i vizi e le difformità esistenti, cosa che egli non ha fatto.
È innegabile, d’altra parte, che la firma liberatoria del direttore dei lavori ha determinato, a carico del Condominio, la decadenza dalla possibilità di far valere i vizi e difetti dell’opera. La Corte d’appello, infatti, ha rilevato che la società Altavilla aveva eccepito con successo, in primo grado, quella decadenza e il punto non è stato oggetto di impugnazione, per cui già in appello si è maturato il giudicato; tant’è che il Condominio è stato condannato a pagare alla società Altavilla il saldo di un lavoro che non era stato correttamente eseguito.
Consegue dal complesso di queste argomentazioni che il motivo di ricorso qui in esame è inammissibile là dove sollecita un riesame del merito nella presente sede di legittimità ed è, comunque, infondato per tutto quanto detto in precedenza, posto che la motivazione della sentenza qui impugnata è esente dalle lamentate violazioni di legge, avendo validamente indicato le ragioni per cui ha ritenuto responsabile il direttore dei lavori.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1892 e 1893 cod. civ., per mancanza della reticenza nella rappresentazione di fatti pregressi eventualmente costituenti responsabilità professionale e mancanza e omessa valutazione del dolo o della colpa grave in tali dichiarazioni dell’assicurato alla compagnia di assicurazione.
Questa censura lamenta il presunto errore della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza del diritto del ricorrente a vedersi manlevato dalla società di assicurazioni. L’errore commesso dalla Corte d’appello risulta, secondo il ricorrente, dal fatto che in data 30 aprile 2010, allorché egli aveva sottoscritto la polizza, anche in virtù della conoscenza della causa tra la società appaltatrice e il Condominio, non poteva minimamente sospettare il proprio coinvolgimento in termini di responsabilità professionale per i vizi all’edificio. Quel giudizio, infatti, era tra la società appaltatrice ed il Condominio, per il pagamento del saldo delle competenze per l’appalto, per cui la figura del direttore dei lavori era all’epoca assolutamente estranea alla causa in corso. La citazione nei confronti del ricorrente, infatti, fu notificata solo il 12 ottobre 2010, per cui egli nulla poteva sapere alla data del 30 aprile 2010. Ritiene il ricorrente, pertanto, che dovrebbero essere esclusi il dolo e la colpa, con conseguente operatività della manleva.
2.1. Il motivo non è fondato.
È opportuno premettere che la Corte d’appello ha correttamente escluso l’eccezione di decadenza dall’azione di annullamento, richiamando la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’obbligo posto a carico dell’assicuratore dall’art. 1892, secondo comma, cod. civ., di denunciare il contratto entro tre mesi dalla conoscenza dell’inesattezza o della reticenza non vale in ogni situazione. L’onere di manifestare, allo scopo di evitare la decadenza, la propria volontà di esercitare l’azione di annullamento del contratto, per le dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato, entro tre mesi dal giorno in cui ha conosciuto la causa di tale annullamento, non sussiste quando il sinistro si verifichi anteriormente al decorso del termine suddetto e, ancora più, ove avvenga prima che l’assicuratore sia venuto a sapere dell’inesattezza o reticenza della dichiarazione, essendo sufficiente, in questi casi, per sottrarsi al pagamento dell’indennizzo, che l’assicuratore stesso invochi, anche mediante eccezione, la violazione dolosa o colposa dell’obbligo, esistente a carico dell’assicurato, di rendere dichiarazioni complete e veritiere sulle circostanze relative alla rappresentazione del rischio (così, tra le altre, le sentenze 12 novembre 1985, n. 5519, 4 marzo 2003, n. 3165, 4 gennaio 2010, n. 11, 13 luglio 2010, n. 16406, 6 giugno 2014, n. 12831, nonché l’ordinanza 21 gennaio 2020, n. 1166, e le successive ordinanze 19 giugno 2020, n. 11905, e 25 marzo 2025, n. 7890).
Ciò premesso, la censura del motivo in esame non considera la globalità della motivazione della sentenza impugnata la quale, come si è detto in precedenza, ha posto in evidenza che l’Amministratore del RAGIONE_SOCIALE aveva indirizzato due lettere di contestazione al direttore dei lavori, odierno ricorrente, nelle date del 31 agosto e 7 settembre 2009.
A fronte di quest’argomento, chiaro e inoppugnabile, il ricorrente insiste nel sostenere che le proprie dichiarazioni
all’assicuratore non sarebbero reticenti perché, quando egli sottoscrisse la polizza di assicurazione (30 aprile 2010), non poteva sapere che sarebbe stato coinvolto nella causa odierna, introdotta con citazione del 15 febbraio 2010 contro il Condominio ed estesa nei suoi confronti solo con l’ulteriore citazione del 12 ottobre 2010.
Tale rilievo, però, non coglie nel segno, perché mostra di non comprendere la ratio decidendi della sentenza; la circostanza che la presente causa fosse stata avviata, nel momento in cui la polizza di assicurazione venne sottoscritta, soltanto dalla società Altavilla nei confronti del Condominio, non fa venire meno la pacifica conoscenza, in capo all’odierno ricorrente, delle contestazioni che il Condominio aveva mosso nei suoi confronti e che egli certamente non poteva e non doveva ignorare. Di talché appare del tutto ragionevole la sentenza impugnata là dove ha concluso nel senso che le dichiarazioni rese dal professionista erano da considerare incomplete e reticenti, tali quindi da consentire all’assicuratore di rifiutare legittimamente il pagamento della prestazione.
Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, sopravvenuto a determinare i compensi professionali.
Sussistono inoltre i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
complessivi euro 10.200, di cui euro 200 per esborsi, più spese generali e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza