Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7134 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 7134 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 1698/2019 R.G. proposto da: COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE; -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 3823/2018 depositata il 06/06/2018.
Udita la relazione svolta nell ‘udienza del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le osservazioni del P.M., la Sostituta P.M. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi gli avvocati NOME COGNOMEsu delega dell’avvocato COGNOME) per il ricorrente e NOME COGNOME (su delega dell’avvocato COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto opposizione avverso la delibera n. 15/2014 del 7/1/2014, adottata dalla Banca d’Italia, con cui gli è stata irrogata la sanzione amministrativa di € 60.000, quale componente del consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Spoleto, per carenze nel governo e nella gestione dei rischi e nei controlli interni, nonché per mancato rispetto del requisito patrimoniale minimo complessivo e carenza nel processo del credito in violazione di norme e regolamenti in materia di gestione finanziaria e organizzati va dell’istituto bancario. Il ricorrente ha impugnato la delibera innanzi al TAR Lazio, che, con sentenza n. 5302/2015, ha declinato la giurisdizione in favore del giudice ordinario, in seguito alla pronuncia della Corte costituzionale n. 94/2014. Successivamente, il ricorso è stato riassunto dinanzi alla Corte di appello di Roma, che ha respinto l’opposizione con sentenza n. 3823/2018, confermando la sanzione.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale ha evidenziato che non aveva determinato alcun vizio del procedimento sanzionatorio la mancata comunicazione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio che aveva approntato la proposta sanzionat oria, peraltro non specificato quale compromissione del diritto di difesa ne sarebbe derivato.
Nel merito, nel rigettare le tesi difensive dell’COGNOME osservava che dal CdA di cui lo stesso faceva parte non aveva assolto i compiti,
rafforzati dalle nuove disposizioni di vigilanza, attinenti all’intero processo del credito.
L’COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso il provvedimento della Corte capitolina, affidato a sei motivi, illustrati anche da memoria, cui ha resistito la Banca d’Italia con controricorso.
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
In data 28/10/2024, il ricorrente ha fatto istanza di rinvio della pubblica udienza, adducendo la pendenza del giudizio dal medesimo proposto dinanzi alla Corte EDU.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -In via preliminare occorre osservare che, come suaccennato, il ricorrente ha chiesto un rinvio a nuovo ruolo in attesa che la Corte EDU si pronunci su ricorsi aventi ad oggetto sanzioni amministrative cui sarebbe da riconoscere natura sostanzialmente penale.
Rileva il Collegio che, in relazione all’analoga ipotesi dell’istanza di sospensione del giudizio in attesa della definizione di altra controversia, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, ribadita anche di recente (Cass. n. 29963/2024), ha stabilito che essa è inammissibile se proposta per la prima volta in cassazione, in quanto il provvedimento richiesto esula dalla funzione istituzionale della Corte Suprema, cui è demandato soltanto il sindacato di legittimità delle anteriori decisioni di merito (Cass., Sez. Un., n. 29172/2020 e, in fattispecie in materia di sanzioni Consob, Cass. n. 23191/2023).
Ciò premesso, non è necessario disporre il rinvio della causa (iscritta al ruolo della S.C. nel 2019) a nuovo ruolo da un lato perché il suo oggetto -opposizione a delibera sanzionatoria della Banca d’Italia è diverso e non sovrapponibile rispetto all’oggetto (opposizione a sanzioni irrogate dalla Consob) dei giudizi, attualmente pendenti, che il rico rrente ha proposto dinanzi alla Corte EDU; dall’altro perché, come verrà in seguito illustrato, la normativa interna non è
in contrasto con le disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 76 Cost. Si critica la sentenza impugnata per aver applicato un rito processuale disciplinato dall’art. 145 d.lgs. n. 385/1993, come modificato dal d.lgs. n. 72/2015, sostenendo che tale modifica è viziata da eccesso di delega legislativa. Si osserva che la direttiva 2013/36/UE, recepita dal d.lgs. n. 72/2015, non disciplina le modalità del rito processuale relativo all’impugnazione di sanzioni amministrative. Pertanto, il Governo avrebbe operato al di fuori dei limiti della delega conferita dalla l. n. 154/2014, che riguardava solo aspetti sostanziali relativi alla disciplina delle sanzioni e non la procedura giurisdizionale.
Il primo motivo è rigettato.
Non è fondato il dubbio di legittimità costituzionale (per eccesso di delega) della riforma dell’art. 145. Infatti, l’art. 3 co. 1 lett. i) n. 1 della legge delega si rivolge espressamente alla disciplina delle sanzioni amministrative pecuniarie prevista dall’art. 144 d.lgs. 385/1993 e alla relativa procedura sanzionatoria. Fin dalla sua emanazione nel 1993, l’art. 145 cit. reca la rubrica « Procedura sanzionatoria » e contiene la disciplina sia del procedimento amministrativo sanzionatorio che della tutela giurisdizionale dinanzi alla Corte di appello. Pertanto, l’espressione « procedura sanzionatoria » impiegata dal legislatore delegante è da continuare a riferire in senso lato anche alla fase giurisdizionale (cfr. Cass. 32135/2018, seguita da altre pronunce).
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 2 co. 5 d.lgs. n. 72/2015 e dell’art. 145, commi 4, 5, 6, 7, 7 -bis e 8 d.lgs. n. 385/1993, come modificato dall’art. 1 co. 53 lett. e -f-g-h-i-l d.lgs. n. 72/2015. Si contesta l’applicazione, nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, del rito previsto dalla versione previgente dell’art. 145 TUB, considerandolo erroneamente come pendente alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 72/2015. Si argomenta che il
ricorso in riassunzione, presentato dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo, avrebbe dovuto essere disciplinato dal nuovo rito interamente contenzioso. Si invocano le disposizioni dell’art. 11 d.lgs. n. 104/2010 e dell’art. 59 l. n. 69/2009, che q ualificano il trasferimento della domanda tra plessi giurisdizionali come introduzione di un nuovo processo.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 2 co. 5 d.lgs. n. 72/2015, in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., nonché all’art. 6 della Convenzione EDU. Si contesta il regime transitorio previsto dall’art. 2 co. 5 d.lgs. n. 72/2015, che, per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto, mantiene il previgente rito camerale con il solo correttivo della pubblica udienza, applicando invece il nuovo rito non camerale ai processi promossi successivamente. Si rileva che tale disparità di trattamento tra situazioni processuali omogenee non ha alcuna giustificazione razionale e si traduce in una violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. e dei diritti al giusto processo garantiti dall’art. 6 della Convenzione EDU. Si argomenta inoltre che il rito camerale previsto per i giudizi pendenti non offre garanzie adeguate di parità delle armi, diritto alla prova e contraddittorio, configurandosi così una violazione dell’art. 117 Cost. in relazione ai vincoli derivanti dalla Convenzione EDU.
Il secondo e il terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente per connessione.
Essi non sono fondati.
Indipendentemente dal problema se le disposizioni dell’art. 11 d.lgs. n. 104/2010 e dell’art. 59 l. n. 69/2009, prevedano l’ introduzione di un nuovo processo (cfr. il terzo motivo), è da osservare – in linea con quanto ha ricordato anche il P.M. – che questa Corte, pronunciandosi su fattispecie in cui, come nel caso in esame, la Corte di appello aveva applicato ratione temporis il disposto dell’art. 145 TUB nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.lgs. n. 72/2015, ha dato continuità al principio secondo cui « la denuncia di
un vizio correlato alla pretesa violazione di norme processuali non è volta alla salvaguardia dell’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma propriamente all’eliminazione del concreto pregiudizio che la parte in conseguenza della denunciata violazione abbia sofferto; ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti la menomazione del diritto di difesa senza specificazione del concreto pregiudizio che alla parte sia derivato » (in questo senso, tra le altre, Cass. 24491/2022). Nel caso attuale, il ricorrente ha omesso di argomentare sul lamentato vizio processuale nel senso di indicare specificamente se ed in qual modo la scelta processuale della Corte di appello abbia potuto pregiudicarlo, influendo sul contenuto o sulle determinazioni della decisione di merito.
Il secondo e il terzo motivo sono rigettati.
4. – Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 2381 co. 6 e 2392 co. 2 c.c. Si censura la decisione della Corte di appello che ha attribuito responsabilità al ricorrente, in qualità di consigliere non esecutivo, per presunte carenze nella gestione finanziaria, senza considerare che il ricorrente non aveva deleghe operative e non era stato posto nella condizione di conoscere le violazioni contestate, in assenza di segnali di allarme percepibili. Si sottolinea che la responsabilità degli amministratori non esecutivi può essere affermata solo in presenza di indici di anomalia che avrebbero dovuto attivare il dovere di agire informati ai sensi dell’art. 2381 co. 6 c.c. e che il ricorrente, in mancanza di comunicazioni o prove di negligenza, non può essere ritenuto responsabile. Si evidenzia che la Corte di appello ha omesso di valutare documenti probatori, quali i verbali dei consigli di amministrazione, che avrebbero dimostrato l’adempimento diligente dei doveri da parte del ricorrente.
Il quarto motivo non è fondato.
La Corte di appello di Roma ha deciso la questione di diritto in senso conforme al consolidato orientamento di questa Corte in tema di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Banca d’Italia ai
sensi dell’art. 144 del d.lgs. 385/1993, per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni, così come è stato ribadito recentemente da Cass. 21502/24 (citata anche dal P.M.): « ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lett. b) e d), del d.lgs. n. 385 del 1993 e le disposizioni attuative dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare n. 229 del 1999 (e successive modificazioni e integrazioni), sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi. Ne consegue, inoltre, che in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la Banca d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Cass. n. 22848 del 2015; Cass. n. 19556 del 2020). Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dagli artt. 2381, commi 3 e 6, e 2392 c.c., non va, del resto, rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della
valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega. Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima od all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste per iscritto all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazione ex art. 2391 c.c., la segnalazione al p.m. o all’autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno. A ciò si aggiunga come, in materia di sanzioni amministrative, quali appunto quelle previste dall’art. 144 d.lgs. 1° 385/1993, nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di istituti bancari, il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, e così ricollega il giudizio
di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della suitas del comportamento inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 l. 689/1981, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza. Per quanto specificamente attiene ai consiglieri non esecutivi di società bancaria, l’art. 53, lett. b e lett. d del d.lgs. 385/1993, prevede che la Banca d’Italia emani disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, tra l’altro, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione. Le disposizioni attuative sono state quindi dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare 21 aprile 1999 n. 229, e le successive modificazioni ed integrazioni». Ne consegue, inoltre, che il consigliere di amministrazione di società per azioni è solidalmente responsabile ex art. 2392 co. 2 c.c. della violazione commessa quando non intervenga per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose (cfr. Cass. 15585/2022, 24851/2019, 5606/2019).
Nel caso attuale, la Corte di appello ha elencato i rilievi formulati dalla Banca d’Italia (p. 9 -11) relativi ai fatti imputati al ricorrente, ha quindi esaminato le difese dell’opponente ed ha spiegato, con una motivazione adeguata (p. 13-18), le ragioni per cui le stesse non erano idonee ad escluderne la responsabilità per avere omesso, in presenza, degli specifici segnali di allarme descritti nella relazione ispettiva, di esercitare un’efficace attività di controllo. Cfr. in particolare (p. 14): « Quanto difensivamente dedotto non consente di escludere la responsabilità dell’COGNOME. Pur in presenza di evidente dannosità per la Banca della condotta del direttore generale in materia creditizia, l’COGNOME non ha esercitato un’efficace attività di
contro
llo avendo anzi reso possibile il proseguimento dell’attività perniciosa per la Banca con l’ampliamento nel settembre 2011 delle deleghe esecutive al Comitato crediti cui partecipava il solo direttore generale ».
Dinanzi a ciò, il ricorrente si limita a contrapporre una propria lettura delle risultanze di causa, diversa da quella fatta propria dal giudice del merito ed esposta in una motivazione che si sottrae a censure in sede di giudizio di legittimità.
Il quarto motivo è rigettato.
5. Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 2 co. 3 d.lgs. n. 72/2015, in relazione ai principi generali del diritto europeo e all’art. 2 co. 2 ultimo alinea del Reg. n. 2988/98/CE. Rileva il ricorrente che la riforma del sistema sanzionatorio, prevista dal d. lgs. n. 72/2015, avrebbe dovuto essere coerente con gli artt. 65 e 70 della Direttiva 2013/36/UE e dunque la Corte di appello avrebbe dovuto assicurargli, in quanto persona fisica, l’applicazione della sopravvenuta disciplina più favorevole, in forza della quale gli esponenti aziendali dei soggetti abilitati non possono più essere destinatari di sanzioni amministrative ex art. 144 ter TUB. Il ricorrente sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, al fine di ver ificare la compatibilità della normativa italiana con la disciplina dell’Unione europea .
Il quinto motivo è infondato.
L’art . 2 co. 3 d.lgs. n. 72/2015 detta la disposizione transitoria di base ed è univoco nell’attribuire rilevanza al momento della commissione della violazione e non al momento dell’instaurazione del correlativo processo di opposizione. In altri termini, le modifiche apportate dal d.lgs. n. 72/2015 al titolo VIII d.lgs. n. 385/1993 si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni adottate dalla Banca d’Italia (ai sensi dell’art 145-quater), mentre alle violazioni commesse prima (di tale data di entrata in vigore), come quelle del caso di specie, continuano ad applicarsi le norme del
titolo VIII d.lgs. n. 385/1993 vigenti prima della data di entrata in vigore del d.lgs. n. 72/2015. In assenza di una connotazione penale delle sanzioni de quibus e al pari di quanto già affermato da questa Corte con riferimento alle sanzioni Consob (cfr. Cass. n. 24375/2023), rimane fermo il principio dell’irretroattività della legge, che vige (anche) in materia di sanzioni amministrative. Quanto alla correlativa richiesta di rimessione alla Corte di giustizia, questa Corte ha affermato che: «Non vi è materia per proporre il richiesto rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, né sulla qualificazione delle sanzioni dettate dall’art. 144 TUB in rapporto ai cd. criteri Engels, né sulla compatibilità con l’articolo 48 CDFUE delle norme processuali che disciplinano il giudizio di opposizione alle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia». Così, Cass. 16517/2020, cui si rinvia per una più ampia motivazione, compresa la sottolineatura che il richiamo al regolamento 2988/98CE è inconferente rispetto alla fattispecie attuale, avendo un oggetto diverso dalle sanzioni amministrative.
Il quinto motivo è rigettato.
6. – Il sesto motivo (p. 29) denuncia l’incompatibilità dell’art. 3 della l. n. 689/1981 con l’art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Si contesta la mancata previsione di garanzie adeguate nel rito applicabile ai procedimenti di opposizione alle sanzioni amministrative , come richiesto dall’art. 48 della Carta, che garantisce il rispetto dei diritti della difesa e la presunzione di innocenza.
Il sesto motivo è infondato.
La censura presuppone, come ha già affermato questa Corte, con indirizzo richiamato anche dal P.M., « l’assimilazione delle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia a quelle di natura penale, il che resta escluso. Per sua natura, una sanzione contiene in sé sia il carattere afflittivo, sia il carattere sanzionatorio, senza essere necessariamente riconducibile al campo penale. In ogni caso, ai sensi
dell’art. 3 cit., l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita. Tuttavia, nel caso dell’illecito omissivo di pura condotta, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi estranei al dato meramente psicologico, è sufficiente la prova dell’elemento oggettivo dell’illecito , in assenza di elementi tali da rendere inesigibile la condotta o imprevedibile l’eve nto. Intesa in tal modo, la ‘presunzione di colpa’ non si pone in contrasto con gli artt. 6 CEDU e 27 Cost., anche ove la sanzione avesse natura sostanzialmente penale in quanto afflittiva» (cfr. Cass. 1529/2018).
Inoltre, nel caso attuale, come si è già visto in occasione dell’esame del quarto motivo, la Corte d’appello ha in concreto accertato la violazione da parte del ricorrente del particolare livello di diligenza imposto all’amministratore di società bancaria dalla normativa di settore (pp. 13-18).
Il sesto motivo è rigettato.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 7.000 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Se-