Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2739 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 2739 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
Oggetto: azienda –
cessione – recesso
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22671/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa da ll’a vv. NOME COGNOME , con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente, controricorrente in via incidentale –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata dalla RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo studio, sito in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente, ricorrente in via incidentale –
RAGIONE_SOCIALE
– intimato – avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 759/2019,
depositata il 5 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello incidentale ; uditi gli avv. NOME COGNOME per la ricorrente, e l’avv. NOME COGNOME per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, quale incorporante la RAGIONE_SOCIALE (già, RAGIONE_SOCIALE) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, depositata il 5 febbraio 2019, che, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha respinto la sua domanda di accertamento della insussistenza di alcuna obbligazione debitoria nei confronti della Banca Carim Cassa di Risparmio di Rimini s.p.a. (in seguito, Banca Carim) e, in accoglimento della domanda riconvenzionale della RAGIONE_SOCIALE, quale procuratore della RAGIONE_SOCIALE, a sua volta cessionaria del credito in contestazione dalla Banca Carim, la ha condannata al pagamento in favore della predetta RAGIONE_SOCIALE della somma di euro 3.934.362,75, oltre interessi e spese di lite.
Dall’esame degli atti si evince che a fondamento della domanda attorea era stato allegato che la RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, aveva conferito alla RAGIONE_SOCIALE, poi RAGIONE_SOCIALE, il proprio ramo di azienda, comprensivo dei contratti in essere con alcuni istituti di credito, tra cui il conto corrente accesso presso la Banca Carim, cui aveva indirizzato relativa comunicazione, e che successivamente la banca aveva provveduto al recesso dal contratto in essere, richiedendo alla RAGIONE_SOCIALE il rientro dall’esposizione debitoria, senza, tuttavia, rispettare il termine di tre mesi previsto
dall’art. 2558 cod. civ., decorrente dalla data della predetta comunicazione.
In tali atti viene in rilievo che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda della società attrice ritenendo che il conferimento del ramo di azienda doveva essere qualificato quale vera e propria cessione del medesimo e che, essendo il recesso della banca intervenuto oltre un anno dal conferimento, la cessionaria era subentrata nel contratto di conto corrente in essere ai sensi dell’art. 2558 cod. civ.
La Corte di appello ha accolto il gravame della RAGIONE_SOCIALE evidenziando che il recesso della banca era intervenuto prima della data di efficacia della cessione del ramo di azienda previst a nell’atto di conferimento e, dunque, prima del l’inizio della decorrenza del termine di tre mesi di cui all’art. 2558 , secondo comma, cod. civ., oltre il quale la cessione è opponibile al terzo.
Il ricorso è affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE quale procuratrice della RAGIONE_SOCIALE la quale spiega ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Avverso tale ricorso incidentale resiste la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Le parti costituite depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
Con ordinanza interlocutoria del 18 ottobre 2023 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza in considerazione della particolare rilevanza della questione riguardante l’individuazione della data di decorrenza del termine per l’esercizio del diritto di recesso dal contratto di conto corrente bancario, in caso di trasferimento dell’azienda ad efficacia differita del quale sia data comunicazione al terzo contraente in data anteriore a quella fissata dalle parti per l’operatività del trasferimento medesimo.
10. La ricorrente principale deposita memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che il termine trimestrale per il recesso del contraente ceduto decorresse non dalla data della notizia della cessione bensì da eventi successivi cui era ricondotta l’efficacia del conferimento mediante il quale era realizzata la cessione.
Con il secondo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2481bis e 2462 cod. civ., nella parte in cui la Corte di appello ha affermato che il conferimento di un ramo di azienda nell’ambito di un’operazione di aumento di capitale della società conferitaria può avere efficacia differita al momento dell’iscrizione della delibera con cui era stato approvato tale aumento di capitale nel Registro delle imprese.
Con il terzo motivo censura la sentenza impugnazione per violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ., nella parte in cui ha preso in esame una questione, rappresentata dalla efficacia del conferimento del ramo di azienda solo all’esito dell’iscrizione del relativo atto nel Registro delle imprese, estranea all’oggetto del giudizio di appello e non sollevata neppure nel giudizio di primo grado.
Con il quarto motivo fa valere la violazione e la falsa applicazione dei medesimi paradigmi normativi anche in ordine al diverso profilo della condanna al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE, sebbene la domanda fosse stata proposta dall’RAGIONE_SOCIALE
Con il quinto motivo lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 132, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla mancata considerazione del fatto -contrastante con il
ritenuto tempestivo recesso dal contratto ceduto -che, a seguito dell’ammissione della (nuova) RAGIONE_SOCIALE s.p.a. al concordato preventivo, la banca aveva insinuato il proprio credito al passivo della procedura, incassando l’importo di euro 541.190,97 in data 19 febbraio 2019.
16. Con l’ultimo motivo si duole della violazione e la falsa applicazione dei medesimi paradigmi normativi, in relazione alla mancata considerazione del comportamento tenuto dalla banca a seguito della comunicazione del conferimento di azienda, del mandato irrevocabile all’incasso conferito dalla SAFAB s.p.a. alla banca e delle conclusioni raggiunte dal consulente t ecnico d’ufficio nominato in primo grado.
17.
Il primo motivo è infondato.
18. La Corte territoriale ha rilevato che la cessione dell’azienda è stata posta in essere nell’ambito di un’operazione di aumento di capitale della RAGIONE_SOCIALE quale conferimento del socio RAGIONE_SOCIALE e che la sua efficacia è stata subordinata dalle parti stesse (art. 5 dell’atto di conferimento) all’avvenuta iscrizione della cessione ex art. 2556 cod. civ. nel Registro delle imprese, avvenuta il 14 settembre 2011.
19. Alla luce del pattuito differimento degli effetti della cessione, ha interpretato le note inviate alla banca in data 23 marzo 2010 e 6 febbraio 2011 nel senso che «valevano in realtà soltanto a preannunciare un trasferimento non ancora efficace» e ha conseguentemente ritenuto che il recesso operato dalla banca il 19 aprile 2011 fosse tempestivo, in relazione al termine di tre mesi previsto dall’art. 2558, secondo comma, cod. civ. , decorrente solo dalla data di efficacia del trasferimento e, quindi, dal 14 settembre 2011.
20. Come noto, l’art. 2558 cod. civ. prevede che, salvo diversa disposizione delle parti, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale (primo comma), fermo restando, tuttavia, il
diritto del terzo contraente di recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante (secondo comma).
21. La cessione di azienda comporta, dunque, la successione del cessionario d’azienda in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, con la sola espressa eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi ad oggetto prestazioni già concluse o esaurite e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi l’effetto successorio . Tale effetto si produce, di diritto, ipso iure , con riguardo a tutti i rapporti contrattuali inerenti all’azienda ceduta, come effetto naturale della fattispecie traslativa d’azienda, e, dunque, indipendentemente da una espressa manifestazione della volontà delle parti in tal senso (cfr. Cass. 14 aprile 2023, n. 10035; Cass. 3 gennaio 2020, n. 15; Cass. 28 marzo 2007, n. 7652; Cass. 7 dicembre 2005, n. 27011; Cass. 16 giugno 2004, n. 11318; Cass. 29 aprile 1999, n. 4301; Cass. 8 giugno 1994, n. 5534). La successione nei contratti di cui all’ art. 2558 cod. civ. è, pertanto, fenomeno giuridico disciplinato diversamente rispetto alla cessione del contratto prevista dall’art. 1406 cod. civ., la quale richiede il consenso del contraente ceduto, in ragione del superiore interesse all’intangibilità, anche sotto il profilo soggettivo, del vincolo contrattuale e, quindi, alla tutela dei contraenti a non subire la sostituzione della controparte contrattuale.
22. La ratio sottesa alla disciplina del descritto fenomeno successorio consiste nel garantire il mantenimento della funzionalità economica dell’azienda, così da evitare la dispersione della sua attitudine produttiva (cfr., in particolare, le menzionate Cass. n. 10035 del 2023 e Cass. n. 27011 del 2005), nonché, come acutamente osservato in dottrina, nel tutelare l’interesse dell’acquirente di potersi giovare di un complesso aziendale corredato dei rapporti contrattuali che lo riguardano in funzione della continuità dell’attività dell’impresa e
quello dell’alienante al conseguimento di una maggiore valorizzazione del complesso aziendale per l’effetto della sua considerazione dei beni che lo compongono sotto il profilo funzionale. E’ stato , altresì, sottolineato che l’art. 2558 cod. civ. rifletterebbe anche l’intenzione del legislatore di soddisfare l’interesse generale di favore la circolazione dei complessi aziendali completi ed efficienti, interesse che rimarrebbe frustrato se si ritenesse necessaria, ai fini del prodursi dell’effetto successorio, un’accettazione espressa dei contratti inerenti al l’esercizio dell’azienda ( cfr. Cass. n. 15 del 2020; Cass. n. 7652 del 2007), anche se la tutela di un siffatto interesse generale appare affievolita dalla derogabilità convenzionale dell’effetto successorio automatico.
23. La fattispecie di cui all’art. 2558 cod. civ. trova applic azione anche alla situazione -ricorrente nella specie -del conferimento di un’azienda in una società di capitali in quanto equivalente ad una cessione d’azienda in favore della società conferitaria, esulando tale situazione dall’operatività dell’art. 2498 cod. civ. disciplinante esclusivamente il caso di trasformazione di società da un tipo in un altro (cfr. Cass. n. 10035 del 2023; Cass. 26 settembre 2016, n. 26953; Cass. 11 aprile 2002, n. 5141; Cass. 21 dicembre 1998, n. 12739).
24. Nella cessione di azienda la tutela dell’interesse del contraente ceduto a non subire la sostituzione della controparte contrattuale è affidata al riconoscimento della facoltà di recesso il cui esercizio, tuttavia, è subordinato alla duplica condizione che lo stessa avvenga entro il termine decadenziale di tre mesi dalla notizia del trasferimento e che sia assistito da giusta causa.
25. E’ stato condivisibilmente affermato che in applicazione dei principi generali, il recesso opera ex nunc , con la conseguenza che fino a che questo non intervenga il contratto produce effetti tra il terzo e l’acquirente (cfr., oltre alla giurisprudenza già richiamata,
Cass. 29 settembre 2020, n. 29806) e che una volta intervenuto si ha lo scioglimento del vincolo contrattuale e non, come invece avviene in caso di mancato consenso alla cessione del contratto, il mantenimento del contratto tra gli originari contraenti.
26. Con particolare riguardo al l’individuazione del dies a quo del termine di tre mesi entro il quale il recesso può essere esercitato, l ‘ art. 2558, comma secondo, cod. civ. attribuisce rilevanza al dato obiettivo del momento in cui il contraente ceduto ha notizia del trasferimento dell’azienda, qualunque sia la fonte da cui la abbia appresa e, dunque, indipendentemente dal fatto che l’alienante, anche al fine di pervenire a una sollecita definizione della propria posizione nei rapporti aziendali pendenti, abbia dato comunicazione del trasferimento dell’azienda allo scopo di far decorrere il suddetto termine (cfr. Cass. 10035 del 2023 e Cass. n. 5534 del 1994).
27. Con riferimento all’oggetto che questa notizia deve avere, in particolare, se debba riguardare il fatto della conclusione di un contratto di cessione di azienda ovvero il fatto, non necessariamente coincidente con il primo, della produzione dell’effetto traslativo riconducibile a un siffatto contratto, può rilevarsi che questa Corte, con la menzionata pronuncia n. 10035 del 2023 resa con riferimento alla medesima operazione di conferimento del compendio aziendale nella RAGIONE_SOCIALE con contestuale aumento di capitale di quest’ultima, si è espressa nel senso che il «fatto notiziato» deve riguardare «l’effetto traslativo» e, dunque, la circostanza che la cessione perfezionata sia anche immediatamente produttiva di effetti, che non vengono, quindi, differiti nel tempo.
28. Questo Collegio ritiene di dover confermare tale interpretazione.
29. Si osserva, in primo luogo, che il dato testuale dell’art. 255 8, secondo comma, cod. civ., nel far riferimento al termine «trasferimento» quale oggetto della notizia rilevante ai fini della decorrenza del termine di tre mesi per il recesso, sembra attribuire
rilevanza alla produzione del l’effetto traslativo piuttosto che al perfezionamento dell’atto dispositivo. L’utilizzo del termine «trasferimento» esprime, infatti, almeno in via generale, l’intenzione di prendere in considerazione il profilo della realizzazione di effetti traslativi derivanti da una determinata attività giuridica o dal verificarsi di determinati eventi e non tanto quello geneticostrutturale del l’atto o del fatto che determina un siffatto effetto.
30. Si rileva, in proposito, che la cessione di azienda è, in linea generale, riconducibile al paradigma della compravendita e in tale negozio l’effetto traslativo si realizza , di regola, con la conclusione del contratto ai sensi dell’art. 1376 cod. civ. ( recte , con il consenso delle parti legittimamente manifestato), per cui può ritenersi che il legislatore, nel l’utilizzare il termine «trasferimento» dell’ azienda, abbia inteso riferirsi all ‘operazione di cessione dell’azienda, per come produttiva degli effetti al momento del perfezionamento del relativo atto negoziale, attesa la tendenziale coincidenza dei due momenti e, conseguentemente, la sovrapponibilità, in un siffatto contesto, dei due profilo, quello genetico-strutturale e quello funzionale-effettuale.
31. In secondo luogo, si evidenzia che l’anticipazione del dies a quo del termine per esercitare il recesso rispetto al momento della produzione degli effetti della cessione potrebbe porsi in contrasto con la riferita ratio dell’istituto, imponendo al contraente ceduto che non intenda proseguire i rapporti contrattuali inerenti all’azienda ceduta di sciogliersi immediatamente da tali rapporti, per ragioni attinenti alle qualità personali o patrimoniali del cessionario, pregiudicando sin da subito l’interesse al mantenimento della funzionalità economica dell’azienda e, per tale via, non consentendo l ‘ordinaria prosecuzione dell’attività di impresa nel senso desiderato dai contraenti anche per il periodo antecedente il subentro del nuovo imprenditore, che costituisce l’evento sgradito al contraente ceduto e in relazione al quale l’ordinamento accorda a quest’ultimo la facoltà di recedere se
ricorre una giusta causa.
32. Un ancor più incisivo pregiudizio della ratio dell’istituto si avrebbe, poi, nel caso in cui gli effetti della cessione siano condizionati sospensivamente in caso di mancato avveramento dell’evento dedotto in condizione e, conseguente, inefficacia della cessione (cfr., su tale ultimo aspetto, Cass. 4 luglio 2024, n. 18351; Cass. 23 settembre 2004, 19146). In questo caso, infatti, il contraente ceduto potrebbe recedere dal contratto inerente all’esercizio dell’azienda in previsione del temuto subentro nel rapporto contrattuale di un nuovo soggetto che, tuttavia, non avrà luogo, con irragionevole rischio di compromissione dell’unità funzionale del complesso aziendale e della sua attitudine produttiva.
33. Può, infine, aggiungersi che laddove tra il momento della conclusione del contratto di cessione di azienda e quello della sua efficacia trascorra un significativo lasso temporale potrebbero verificarsi modificazioni nelle qualità soggettive e patrimoniali del cessionario idonee a incidere sulla valutazione del contraente ceduto di continuare nel rapporto contrattuale o recedere da esso. In questo caso appare illogico imporre al contraente ceduto di effettuare tale valutazione con riferimento a una situazione fattuale diversa da quella che sarà esistente quando il cessionario subentrerà nel rapporto contrattuale interessato dalla cessione di azienda.
34. Pertanto, poiché il dies a quo del termine di tre mesi di cui all’art. 2558, secondo comma, cod. civ. deve individuarsi, con riferimento alle cessioni di azienda con effetti differiti, nel momento in cui il contraente ceduto ha notizia del fatto che l’effetto traslativo si sia verificato, la decisione della Corte di appello si sottrae alla censura prospettata, avendo correttamente attribuito rilevanza alla conoscenza del l’effetto traslativo piuttosto che d el perfezionamento del contratto di cessione.
35. Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
36. Come evidenziato nella richiamata pronuncia di questa Corte n. 10035 del 2023, la sottoscrizione del capitale sociale mediante conferimento d’azienda implica una duplice attività d’iscrizione nel registro delle imprese: a) l’iscrizione, ad effetti costitutivi, della deliberazione di modificazione del capitale sociale e dello statuto, ai sensi dell’art. 2436 cod. civ., per cui l’effetto della modificazione statutaria e la maggior misura del capitale sociale non si realizza se non dopo l’iscrizione; b) l’iscrizione del negozio di trasferimento di azienda, realizzato mediante l’offerta di capitale in aumento seguita dalla sottoscrizione del socio, da effettuare nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2556 cod. civ., agli effetti dichiarativi di cui all’art. 2193 cod. civ.
37. Ciò non toglie che, come osservato anche in tale pronuncia, le parti contraenti -conferente e conferitaria -possono pattuire un diverso dies a quo degli effetti traslativi del trasferimento d’azienda rispetto all’ aumento di capitale, benché collegati per costituire il primo un conferimento richiesto dal secondo.
38. Nel caso in esame, secondo l’accertamento operato dal giudice di merito, i contraenti hanno convenuto la decorrenza del trasferimento della titolarità dell ‘ azienda al momento dell’iscrizione di esso nel registro delle imprese ex art. 2556 cod. civ., avvenuta il 14 settembre 2011.
39. Ne consegue, da un lato, che la doglianza articolata nel motivo in esame, nella parte in cui contesta un siffatto accertamento, si risolve in una critica alla valutazione degli elementi probatori che non è sindacabile in questa sede per violazione o falsa applicazione di legge (cfr. Cass., Sez. Un., 29 dicembre 2017, n. 34476).
40. Dall’altro lato, le deduzioni della ricorrente in ordine alla rilevanza delle clausole d ell’atto di conferimento in relazione alla loro coerenza con l ‘ iter procedimentale legislativamente previsto per l’ aumento del capitale non appaiono concludenti , risultando estraneo all’oggetto
della controversia, circoscritto alla tempestività del recesso operato dalla banca.
41. Il terzo motivo è infondato.
42. La censura si poggia sull’assunto che le questioni rimesse all’esame del giudice di appello vertevano unicamente sulla applicabilità dell’art. 2560 cod. civ. in luogo dell’art. 2558 cod. civ. e sul fatto che la banca aveva esercitato il recesso entro tre mesi dalla notizia del conferimento del ramo di azienda, per cui nessuna pronuncia era stata sollecitata « in ordine alla questione dell’asserita efficacia del conferimento solo alla data dell’iscrizione dell’atto attraverso cui è stato formalizzato presso il Registro delle Imprese».
43. Orbene, nel terzo motivo di appello, riportato dalla stessa ricorrente, l’appellante sembra censurare la sentenza di primo grado anche in relazione al profilo, poi valorizzato dalla Corte di appello, della inefficacia della cessione di azienda al momento dell’invio dell a prima comunicazione alla banca, per cui la contestazione della idoneità di tale comunicazione a far decorrere il termine di tre mesi per il recesso risulta essere stata posta a fondamento del gravame.
44. Si osserva, in ogni caso, che il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante (cfr., Cass. 12 marzo 2024, n. 6533; Cass. 11 gennaio 2019, n. 513; Cass. 25 settembre 2009, n. 20652).
45. Il giudizio di appello, infatti, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, per cui il giudice di secondo grado può
fondare la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi ovvero esaminare questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio (cfr. Cass. 22 novembre 2024, n. 30129; Cass. 13 aprile 2018, n. 9202; Cass. 3 aprile 2017, n. 8604; Cass. 26 gennaio 2016, n. 1377).
Anche in relazione a tale profilo, pertanto, la censura non coglie nel segno.
Il quarto motivo è inammissibile.
La ricorrente sostiene che la accolta domanda di condanna era stata proposta da RAGIONE_SOCIALE per cui era erronea la decisione impugnata che aveva riconosciuto la RAGIONE_SOCIALE quale soggetto nei cui confronti doveva essere effettuato il pagamento.
Omette, tuttavia, di considerare che, secondo il passaggio delle conclusioni dell’appellante dalla medesima riportate, la domanda di condanna era stata effettuata dalla RAGIONE_SOCIALE «nella qualità», ossia nella qualità spesa -e di cui la Corte di appello ha dato atto nella decisione, sia nella parte motiva, sia nel dispositivo -di rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
50. La doglianza, pertanto, muove da non corretta interpretazione della sentenza impugnata e, dunque, non si confronta con questa.
Il quinto motivo è inammissibile.
Indipendentemente da ogni considerazione in ordine alla ritualità dell’allegazione sotto il requisito dell’autosufficienza della critica, si osserva che la dedotta ammissione al concordato preventivo, sia pure laddove a ciò fosse seguita la parziale soddisfazione del credito vantato, non costituisce prova della tardività del recesso in contestazione, per cui non appare concludente ai fini della valutazione della correttezza della statuizione sottoposta a critica.
53. Inoltre, tale circostanza non presenta carattere decisiva ai fini dell’accertamento dell’assenza del recesso, in quanto, anche laddove dimostrato, non conduce necessariamente alla invalidazione, con un giudizio di certezza o, comunque, di elevata probabilità logica, del convincimento del giudice di merito in ordine all’esistenza del recesso e della sua tempestività (cfr. sul tema della decisività del fatto storico asseritamente non esaminato, Cass. 21 ottobre 2019, n. 26764; Cass., ord., 17 giugno 2019, n. 16214).
54. Il sesto motivo è fondato.
55. La doglianza si fonda, nella sostanza, sulla mancata considerazione da parte della Corte di appello del fatto che il rapporto di conto corrente dedotto in giudizio e oggetto del recesso operato dalla banca era collegato con una procura irrevocabile all’incasso conferita alla banca di tutti i mandati e ordinativi di pagamento che sarebbero stati emessi dall’ANAS s.p.a. in favore della correntista in dipendenza di un contratto di appalto e che in esecuzione di tale procura all’incasso la banca aveva incassato importi di cui non si era stato tenuto conto nella liquidazione dell’importo dovuto.
56. La ricorrente allega, sul punto, di aver ritualmente rappresentato tali circostanze dinanzi al giudice di prime cure, indicando gli atti contenenti tali allegazioni, e che la consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale aveva dato conto dell’esistenza sia della procura irrevocabile all’incasso rilasciata con riferimento ai pagamenti che l’RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE avrebbe effettuato in esecuzione di un contratto di appalto, sia di alcuni pagamenti effettuati da quest’ultima in favore della odierna ricorrente.
57. La sentenza impugnata è, sul punto, del tutto priva di motivazione, poiché si limita a esaminare unicamente la questione, investita dall’appello, in ordine all’esistenza dell’obbligazione debitoria in capo a ll’odierna ricorrente, negata da quest’ultima in ragione della tempestività del recesso operato dalla banca e della conseguente
prosecuzione del rapporto con la cessionaria del complesso aziendale. Nulla è argomentato in ordine alla entità della responsabilità debitoria della società correntista, benché contestata sul fondamento della estinzione (quanto parziale) dell ‘obbligazione per effetto di pagamenti alla stessa riferibili.
58. Il mancato esame della linea di difesa imperniata sulla negazione del fatto costitutivo, autonoma rispetto all’altra difesa articolata e (subordinatamente) alternativa a questa, costituisce un deficit motivazionale tale da non consentire di ritenere rispettata la soglia del cd. minimo costituzionale oltre la quale la motivazione del giudice di merito non è sindacabile in questa sede se non per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
59. In ordine al ricorso incidentale condizionato, il suo primo motivo investe la violazione e falsa applicazione dell’art. 1845 cod. civ., per aver la sentenza impugnata ritenuto che nei contratti di apertura di credito la banca dovesse attendere la chiusura del conto corrente su cui è regolata tale apertura di credito per poter ottenere la restituzione delle somme utilizzate e, conseguentemente, ritenuto che in caso di cessione dell’azienda cui tali rapporti bancari si riferiscono il saldo negativo del correntista non costituisce un debito ai sensi dell’art. 2560 cod. civ.
60. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia in ordine al carattere personale del contratto bancario dedotti in giudizio.
61. Il ricorso incidentale condizionato deve ritenersi assorbito.
62. Infatti, l’impugnazione è (logicamente) condizionata all’accoglimento dei motivi del ricorso principale (dal primo a l terzo e il quinto) concernenti la statuizione del giudice di appello concernente la tempestività del recesso operato dalla banca, motivi che non sono stati ritenuti fondati.
63. La sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione