Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23749 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23749 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13530/2024 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
COGNOME ESPOSITO NOME ANNUNZIATA, COGNOME;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di POTENZA n. 58/2024, depositata il 29/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
1. NOME e NOME COGNOME hanno convenuto in giudizio l’impresa RAGIONE_SOCIALE, deducendo di avere affidato alla convenuta lavori di demolizione di un pavimento e di posa in opera del nuovo pavimento e che sul pavimento erano comparse una serie di lesioni e di avere promosso al riguardo un procedimento di accertamento tecnico preventivo che ha individuato quale causa delle lesioni l’anomala presenza di un letto di sabbione tra i due massetti, posto in opera durante i lavori e ha stimato i danni in euro 32.993,82, ammontare contestato dagli attori. Gli attori hanno chiesto di accertare che il danno subito è da addebitarsi alla responsabilità esclusiva dell’impresa RAGIONE_SOCIALE e di condannare la convenuta al pagamento di euro 50.000 a titolo di danni, oltre al pagamento di euro 15.000 a titolo di danni morali, ovvero in subordine al pagamento dei danni così come stimati dal consulente d’ufficio in sede di accertamento tecnico preventivo. La convenuta si è costituita: ha anzitutto eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, sostenendo che i lavori erano stati commissionati a NOME COGNOME e da questi erano stati svolti in proprio, senza che fosse stato speso il nome della società, e ha comunque chiesto di rigettare la domanda, essendo i lavori stati eseguiti a regola d’arte, e ha domandato di essere autorizzata a chiamare in causa il direttore dei lavori, NOME COGNOME del quale ha sostenuto la responsabilità per i danni lamentati dagli attori.
Con la sentenza n. 420/2017 il Tribunale di Matera ha rigettato le domande attoree, ritenendo non provata la sussistenza di un rapporto contrattuale tra gli attori e la società convenuta e così assorbiti i profili relativi all’eventuale responsabilità di COGNOME.
La sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME. Con la sentenza n. 58/2024 la Corte d’appello di Potenza ha rigettato il gravame.
Avverso la sentenza NOME COGNOME in proprio e quale erede di NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Gli intimati NOME COGNOME e NOME COGNOME quali soci della società cancellata RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nonché NOME COGNOME non hanno proposto difese.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi, tra loro strettamente connessi.
Il primo motivo denuncia violazione o/o falsa applicazione degli artt. 1388, 2266, 2293 e 2298 c.c.: nelle società di persone il potere di gestione e rappresentanza si estende a tutti gli atti, senza distinzione tra atti di ordinaria o straordinaria amministrazione; nel caso in esame COGNOME ha posto in essere una attività (rifacimento del pavimento) che rientrava pienamente nell’oggetto della società di cui aveva la legale rappresentanza e il contratto concluso tra le parti è un contratto d’appalto per il quale non è richiesta la prova scritta; da una serie di elementi (le difese di controparte nel procedimento di accertamento tecnico preventivo, nonché quelle del direttore dei lavori nel medesimo procedimento, il pagamento ricevuto da COGNOME che risulta essere stato fatturato e incassato dalla società, come si evince dalla fattura n. 19/2002) il giudice di merito doveva ricavare la spendita, seppure informale, del nome della società.
Il secondo motivo contesta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c.: vi è un sostanziale obbligo di buona fede e correttezza nell’applicazione delle norme in materia di rappresentanza e di conseguente responsabilità della società per gli atti di amministrazione rientranti nell’oggetto sociale e compiuti dall’amministratore; quando i fatti sono tali da rendere assolutamente iniqua (ai limiti dell’abuso del diritto) l’assenza di una tale opponibilità, tale assenza non può farsi discendere dalla
stretta interpretazione restrittiva e rigorosa di alcune norme di legge.
3. Il terzo motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115, comma 2 c.p.c.: la Corte d’appello, nell’affermare che controparte, nei procedimenti di accertamento tecnico preventivo e di sequestro conservativo, non ha mai ammesso la sussistenza del contratto d’appalto, ha erroneamente applicato il principio di non contestazione di cui all’art. 115, comma 2 c.p.c.; ne consegue che la richiesta di accertamento della carenza di legittimazione passiva formulata da controparte nel processo di merito integra un abuso del diritto e una violazione del dovere di lealtà e probità ex art. 88 c.p.c.
I motivi non possono essere accolti. La Corte d’appello correttamente sottolinea nella sentenza impugnata che la contestazione sollevata dalla società RAGIONE_SOCIALE attiene alla titolarità passiva del rapporto controverso e che la ricorrente ha dedotto, a fondamento delle proprie domande, di avere affidato i lavori contestati alla società. La prova di tale fatto costitutivo spettava pertanto ai Silletti e tale prova, la conclusione del contratto d’appalto con RAGIONE_SOCIALE non è stata da essi data. Al riguardo va sottolineato che ha ragione la ricorrente a ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘nei contratti a forma libera, l’esternazione del potere rappresentativo non richiede la espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato o formule sacramentali, ma può essere manifestata anche attraverso un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente la circostanza che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto sono destinati a prodursi direttamente’ (così Cass. n. 22616/2019). Il relativo accertamento è però compito devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione,
motivazione che deve unicamente rispettare, dopo le modifiche apportate dal legislatore al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., il c.d. minimo costituzionale (v. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite n. 8038/2018). Nel caso in esame la Corte d’appello ha accertato, con motivazione articolata, che non vi è stato un comportamento univoco e concludente di Lovecchio, idoneo a portare a conoscenza della ricorrente che egli abbia agito non in nome proprio, ma a nome della società, dovendosi escludere che tale comportamento possa essere ricavato dalla ricevuta di pagamento a firma di COGNOME ovvero dalla fattura n. 10/2002 o ancora dalla dichiarazione resa da NOME COGNOME circostanze che al contrario ad avviso del giudice d’appello confermano che il rapporto contrattuale non è imputabile alla società convenuta. Inconferenti sono pertanto i richiami, di cui al secondo e al terzo motivo, ai principi di buona fede e correttezza, nonché al principio di non contestazione, principio quest’ultimo che peraltro attiene alle regole del processo e non alla dimostrazione della titolarità passiva del rapporto invocato dalla ricorrente.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Non vi è pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati proposto difese nel presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si d à atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono, ex art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della sezione