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Rappresentanza società: prova del contratto con socio

Un committente cita in giudizio un’impresa di costruzioni per lavori edili difettosi. L’impresa nega di essere la controparte contrattuale, sostenendo che l’accordo fosse stato preso personalmente da un suo socio. La Corte di Cassazione, confermando le sentenze precedenti, rigetta il ricorso del committente. Si sottolinea che spetta a chi agisce in giudizio l’onere di provare la cosiddetta “spendita del nome”, ovvero dimostrare che il socio agiva in nome e per conto della società. In assenza di una prova chiara sulla rappresentanza società, la domanda viene respinta.

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Rappresentanza Società: Se Tratti col Socio, Chi Risponde dei Danni?

La questione della rappresentanza società è cruciale quando si stipula un contratto. Se un accordo viene concluso con un socio, come si può essere certi che a rispondere di eventuali inadempimenti sia l’intera società e non solo l’individuo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre chiarimenti fondamentali, ribadendo un principio chiave: l’onere della prova grava su chi afferma che il contratto sia stato concluso con la società. Analizziamo insieme questo caso emblematico per capire le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa: Un Pavimento Difettoso e la Disputa sulla Responsabilità

I proprietari di un immobile commissionano a un’impresa la demolizione e il rifacimento di un pavimento. A lavori ultimati, compaiono però delle gravi lesioni sulla nuova superficie. Un accertamento tecnico preventivo individua la causa in un errore di esecuzione: la posa di uno strato di sabbia tra i due massetti. I proprietari decidono quindi di citare in giudizio l’impresa di costruzioni per ottenere il risarcimento dei danni, quantificati in circa 33.000 euro, oltre ai danni morali.

La Difesa della Società e le Decisioni dei Giudici di Merito

La società convenuta si difende sollevando un’eccezione dirimente: il difetto di legittimazione passiva. Sostiene, in sostanza, di non essere la controparte contrattuale. Secondo la sua versione, i lavori erano stati commissionati e svolti direttamente e in proprio da uno dei soci, senza che questi avesse mai agito in nome e per conto dell’impresa. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello accolgono questa tesi, rigettando le domande dei proprietari per mancata prova dell’esistenza di un rapporto contrattuale con la società.

I Motivi del Ricorso e la questione della Rappresentanza Società

La proprietaria dell’immobile, rimasta unica parte processuale, ricorre in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Violazione delle norme sulla rappresentanza: Si sostiene che l’attività (rifacimento del pavimento) rientrasse pienamente nell’oggetto sociale dell’impresa e che il socio ne avesse la legale rappresentanza. Diversi elementi, come le fatture emesse e incassate dalla società e le difese tenute in procedimenti precedenti, avrebbero dovuto far presumere la “spendita del nome” della società, seppur informale.
2. Violazione dei principi di buona fede e correttezza: Si contesta che negare l’imputabilità del contratto alla società, visti i fatti, rappresenti una condotta contraria a buona fede, quasi un abuso del diritto.
3. Violazione del principio di non contestazione: Si afferma che, non avendo la società contestato la sua titolarità del rapporto nel precedente procedimento di accertamento tecnico, non avrebbe potuto farlo validamente nel successivo giudizio di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte: La Prova della “Spendita del Nome”

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi. I giudici hanno chiarito punti essenziali in materia di rappresentanza società. Il fulcro della decisione risiede nell’onere della prova. Spetta a chi agisce in giudizio (il committente) dimostrare che il contratto è stato concluso con la società. La Corte riconosce che la “spendita del nome” non richiede formule sacramentali e può manifestarsi anche attraverso un comportamento concludente del rappresentante. Tuttavia, l’accertamento di tale comportamento è un compito esclusivo del giudice di merito, il cui verdetto non è sindacabile in Cassazione se adeguatamente motivato. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva motivato in modo articolato perché il comportamento del socio non fosse stato univoco nel manifestare la volontà di agire per la società. Elementi come una ricevuta di pagamento firmata personalmente dal socio e la fatturazione sono stati ritenuti non sufficienti a provare, senza ombra di dubbio, che il rapporto contrattuale fosse imputabile all’impresa. I richiami ai principi di buona fede e di non contestazione sono stati giudicati inconferenti, poiché non possono sostituire la prova della titolarità passiva del rapporto, che è un elemento costitutivo della domanda.

Conclusioni: L’Importanza di Chiarire con Chi si Stipula un Contratto

Questa ordinanza ribadisce una lezione fondamentale per chiunque stipuli contratti, specialmente nel settore delle costruzioni e dei servizi. Quando si tratta con un socio di un’impresa, è imperativo assicurarsi che sia inequivocabilmente chiaro che egli sta agendo in nome e per conto della società. Per evitare controversie future sulla rappresentanza società, è sempre consigliabile formalizzare gli accordi per iscritto, su carta intestata dell’impresa, e verificare che le firme e i documenti contrattuali impegnino legalmente la persona giuridica. In assenza di queste cautele, il rischio è di trovarsi in una situazione in cui, in caso di problemi, non si possa agire contro il patrimonio della società, ma solo contro quello, potenzialmente meno capiente, della persona fisica.

Quando un socio agisce, come si capisce se sta vincolando la società o solo se stesso?
Per vincolare la società, il socio deve rendere noto alla controparte che sta agendo in nome e per conto dell’ente. Questa manifestazione di volontà, detta “spendita del nome”, non richiede formule specifiche ma può risultare anche da un comportamento univoco e concludente, tale da far capire chiaramente all’altro contraente che gli effetti del contratto ricadranno sulla società.

Su chi ricade l’onere di provare che il contratto è stato concluso con la società e non con il socio personalmente?
L’onere della prova ricade interamente sulla parte che intende far valere il contratto nei confronti della società. È quindi il creditore (nel caso in esame, il committente dei lavori) a dover dimostrare in giudizio che il socio ha agito come rappresentante della società.

Se una parte non contesta un fatto in un procedimento preliminare, può farlo nel successivo giudizio di merito?
Sì, specialmente se la contestazione riguarda un presupposto fondamentale dell’azione come la legittimazione passiva. La Corte ha stabilito che il principio di non contestazione attiene alle regole del processo ma non può superare la necessità per l’attore di dimostrare la titolarità del rapporto in capo al convenuto, ovvero di aver citato in giudizio il soggetto corretto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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