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Querela di falso, la sentenza riveste efficacia erga omnes

Querela di falso, la relativa sentenza riveste efficacia erga omnes e non solo nei riguardi della controparte presente in giudizio.

Pubblicato il 02 May 2020 in Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
01 Prima sezione CIVILE

Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:

ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 995/2020 pubblicata il 27/04/2020

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. /2016 promossa da:

XXX (C.F.), con il patrocinio dell’avv.

PARTE ATTRICE

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI FIRENZE (C.F.), con il patrocinio dell’avv., EQUITALIA CENTRO SPA (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. e dell’avv. , elettivamente domiciliato in presso il difensore avv.

PARTE CONVENUTA

con l’intervento del Pubblico Ministero

Oggetto: querela di falso CONCLUSIONI
Per parte attrice Voglia il Tribunale pronunciarsi come segue:

accertare e dichiarare che le attività indicate nei sei avvisi di ricevimento delle raccomandate numero *** cron. *** e ***; n. *** cron. *** e ***; *** cron. *** e *** non sono state eseguite dall’Agente Postale; con vittoria di spese e competenze professionali del presente procedimento.”

Per parte convenuta: voglia rigettare l’avversa domanda perché inammissibile, infondata in fatto e diritto; con vittoria di spese, diritti ed onorari.

*****

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
La signora XXX promuoveva giudizio di querela di falso a seguito della notifica tramite servizio postale ad istanza di Equitalia Centro S.p.a. di avviso di iscrizione ipotecaria di cespite immobiliare di sua proprietà.

In particolare, dalla lettura di tale avviso emergeva che nel mese di agosto 2015 le sarebbero stati notificati tre avvisi di accertamento tributari (raccomandate nr. ***; *** e ***).

Parte attrice, una volta esaminate le copie degli avvisi di accertamento richiesti presso l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Firenze, rilevava che l’agente postale si sarebbe recato presso la sua abitazione in data 10 agosto 2015 ed, a seguito della temporanea assenza del destinatario, avrebbe immesso avviso in cassetta postale della giacenza dei tre plichi presso il competente Ufficio Postale ed il giorno successivo avrebbe notiziato la signora XXX, sempre immettendo avviso in cassetta, dell’espletamento dell’incombente.

Pertanto, non avendo parte attrice provveduto al ritiro del plico entro dieci giorni dal deposito, la notifica si è perfezionata ai sensi della legge n. 890/82 il giorno 21 agosto 2015.

Parte attrice, a sostegno della propria domanda, sostiene che nel mese di agosto 2015 si trovava con il figlio all’estero ed al suo rientro a Firenze non riveniva alcuno degli avvisi che il postino avrebbe dovuto immettere nella cassetta postale e che, dopo avere conferito con le altre due famiglie che abitano nello stesso stabile, appurava che nessuna delle due si trovava presso la propria abitazione nei giorni 10 e 11 agosto 2015.

Pertanto, parte attrice ritiene che nei giorni sopraindicati il postino non può aver compiuto le attività che si ricavano in base all’esame dei sei avvisi di accertamento e cioè averli immessi nella sua cassetta postale in quanto nessuno era presente nell’edificio per aprire il portone di ingresso e, quindi, il portalettere non ha potuto accedere al’interno del palazzo ove sono ubicate le cassette postali dei condomini e lasciare detti avvisi.

Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate, contestando la domanda attorea ed i fatti posti a suo fondamento e ribadendo che la legittimità della procedura notificatoria come emerge dagli avvisi di accertamento corredati di relata di notifica, degli avvisi di ricevimento e dell’avviso della Comunicazione di Avvenuto Deposito.

Secondo parte convenuta, il portalettere si è recato presso l’indirizzo di destinazione il giorno 10 agosto 2015 e, a seguito della temporanea assenza del destinatario, ha immesso gli avvisi in cassetta con spedizione della Comunicazione di Avvenuto deposito dei plichi presso l’ufficio postale nr. ***; *** e ***.

Non avendo la parte provveduto al ritiro del plico entro dieci giorni dal deposito, la notifica si è perfezionata il giorno 21 agosto 2015 ai sensi della L. 890/82.

Parte convenuta sostiene a fondamento della propria tesi che l’edificio è formato da cinque unità immobiliari e sul portone di ingresso dello stabile è presente una fessura per l’inserimento della posta ove il postino può aver immesso gli avvisi oggetto della querela.

Disposta la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero ex art. 221, comma 3, c.p.c., con apposizione del relativo visto di intervento.

Concessi i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., il giudice ammetteva la prova testimoniale del signor ***.

All’udienza del 17 dicembre 2018 si procedeva all’escussione del suddetto teste e il giudice rinviava per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 21 marzo 2019.

Ad esito della precisazione delle conclusioni, la causa era, quindi, rimessa al Collegio per la decisione.

Nel merito il Collegio osserva quanto segue

Quanto ai presupposti della querela di falso
La querela di falso, disciplinata dagli artt. 221 e ss. c.p.c, come è noto, configura il procedimento diretto ad accertare l’autenticità o la falsità della prova documentale.

Per giurisprudenza unanime, “la querela di falso, sia essa proposta in via principale ovvero incidentale, ha il fine di privare un atto pubblico (od una scrittura privata riconosciuta) della sua intrinseca idoneità a “far fede”, a servire, cioè, come prova di atti o di rapporti, mirando così, attraverso la relativa declaratoria, a conseguire il risultato di provocare la completa rimozione del valore del documento, eliminandone, oltre all’efficacia sua propria, qualsiasi ulteriore effetto attribuitogli, sotto altro aspetto, dalla legge, e del tutto a prescindere dalla concreta individuazione dell’autore della falsificazione. Ne consegue che la relativa sentenza, eliminando ogni incertezza sulla veridicità o meno del documento, riveste efficacia “erga omnes”, e non solo nei riguardi della controparte presente in giudizio” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 20 giugno 2000, n. 8362).

Laddove siffatte finalità non siano perseguite “ma si controverta soltanto su di un errore materiale incorso nel documento (configurabile nel caso di mera “svista” che non incide sul contenuto sostanziale del documento, rilevabile dal suo stesso contenuto e tale da non esigere una ulteriore indagine di fatto), la querela di falso non è ammissibile” (Cass. n. 6375/1982; Cass. n. 8925/2001).

La falsità può investire il profilo estrinseco del documento (si parla di c.d. falsità materiale), ovvero nella sua “genuinità”, manifestandosi sia nelle forme della contraffazione (ad es. la formazione del documento da parte di chi non ne è l’autore apparente) che dell’alterazione (ad es. la modifica del documento originale).

Quando invece la falsità concerne la “verità” del documento, ossia l’enunciazione falsa del suo contenuto si parla di “falsità ideologica”, la quale, per costante approdo giurisprudenziale, può formare oggetto di querela di falso, limitatamente per ciò che concerne l’“estrinseco” del documento, come nel caso dell’atto pubblico del notaio che falsamente attesti la veridicità di una dichiarazione compiuta innanzi a lui (cfr. Cass. n. 2857/1979; Cass. n.47/1988).

La querela può essere proposta in via principale, con una specifica domanda avente come unico oggetto la dichiarazione della falsità del documento, ovvero in via incidentale, in corso di causa, nella quale viene prodotto un documento considerato rilevante ai fini della decisione, idoneo ad assumere efficacia di fede privilegiata (presupposto, questo, necessario del procedimento di verificazione giudiziale a norma degli artt. 221 e ss c.p.c. – cfr. Cassazione civile, sez. I, 29 settembre 2004, n. 19539, secondo la quale ciò comporterebbe l’inammissibilità della querela avverso la “consulenza tecnica d’ufficio”, che si distingue nettamente dalla prova documentale e che, riguardo alle affermazioni, constatazioni o giudizi in essa contenuti, non fa pubblica fede – potendo essere contrastata con tutti i mezzi di prova diversi dalla querela di falso – né vincola il giudice, che può liberamente disattenderla).

Nondimeno, anche quando viene proposta incidentalmente, la querela di falso raffigura una azione a sé, posto che persegue un proprio risultato particolare, consistente nell’accertamento della verità o della falsità di un documento rilevante ai fini della decisione della causa principale. Accertamento da pronunziarsi con sentenza che, una volta passata in giudicato, fa stato a tutti gli effetti.

È legittimato a proporre querela di falso, chiunque abbia interesse a contrastare l’efficacia probatoria di un documento munito di fede privilegiata in relazione ad una pretesa che su di esso si fondi, non esclusa la stessa parte che l’abbia prodotto in giudizio. Spetta poi, al giudice civile ordinario, cui è devoluta in via esclusiva la cognizione della falsità di un documento (art. 9 e 221 c.p.c.), verificare la legittimazione e l’interesse ad agire di chi propone la querela di falso, ponendosi detti accertamenti quali necessari presupposti della pronuncia di merito.

Oltre a ciò, sempre in tema di presupposti, la querela di falso non può essere proposta se non allo scopo di togliere ad un documento (atto pubblico o scrittura privata), la idoneità a far fede e servire come prova di determinati rapporti, sicché, ove siffatte finalità non debbano essere perseguite, in quanto non sia impugnato un documento nella sua efficacia probatoria, né debba conseguirsi l’eliminazione del documento medesimo o di una parte di esso, né si debba tutelare la fede pubblica, bensì si controverta soltanto su di un errore materiale incorso nel documento (configurabile nel caso di mera “svista” che non incide sul contenuto sostanziale del documento, rilevabile dal suo stesso contenuto e tale da non esigere una ulteriore indagine di fatto), la querela di falso non è ammissibile.

A mente dell’art. 221 c.p.c., la querela deve contenere, a pena di nullità, “l’indicazione degli elementi e delle prove della falsità e deve essere proposta personalmente dalla parte o a mezzo di procuratore speciale”. La sottoscrizione dell’atto ad opera della parte personalmente o a mezzo di procuratore speciale costituisce un requisito d’ammissibilità della querela di falso. Secondo la costante giurisprudenza “l’omissione della sottoscrizione personale della parte o del procuratore speciale non può essere sanata successivamente mediante la sottoscrizione personale dell’atto di riassunzione dinanzi al tribunale” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 8 marzo 2005, n. 5040).

Peraltro, la procura speciale idonea a consentire al procuratore la proposizione della querela di falso deve contenere la specificazione del documento o dei documenti che la parte intende impugnare. Tuttavia, la procura speciale, se conferita al difensore a margine o in calce all’atto di citazione per la proposizione della stessa querela in via principale, non necessita di specificazione del documento impugnato, perché il collegamento con l’atto su cui è apposta elimina ogni incertezza sull’oggetto di essa.

Per quanto riguarda l’obbligo di indicazione degli elementi e delle prove della falsità, invece, questo può essere assolto con qualsiasi tipo di prova che sia idoneo all’accertamento del falso, anche per mezzo di presunzioni, e non implica necessariamente la completa e rituale formulazione della prova testimoniale, essendo sufficiente l’indicazione di tale prova e delle circostanze che ne dovrebbero costituire l’oggetto. Tale norma, per la costante giurisprudenza di legittimità non si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., atteso che non pone alcun termine perentorio pregiudizievole del diritto di difesa delle parti, limitandosi, invero, a prescrivere quali siano i requisiti necessari per il perfezionamento dell’atto processuale di impugnazione per falsità.

A tale conclusione, si è giunti dopo un travagliato percorso interpretativo, oscillante tra posizioni particolarmente restrittive, secondo cui “l’indicazione degli elementi e delle prove a supporto della querela di falso deve avvenire secondo i modi stabiliti dalla legge processuale e, perciò, ove si tratti di prova testimoniale, mediante indicazione specifica, ai sensi dell’art. 244 c.p.c., delle persone da interrogare e da fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna di esse deve essere interrogata, mentre l’esercizio del potere discrezionale del giudice di consentire che detta indicazione avvenga, per quanto riguarda le persone, successivamente non può essere invocato per supplire ad una lacunosa iniziativa della parte che non abbia formulato alcuna richiesta di autorizzazione a siffatto differimento dell’adempimento cui era tenuta” (cfr. Cassazione civile, sez. I, 15 marzo 1991, n. 2790), e decisioni improntate a maggiore elasticità per le quali “l’obbligo di indicazione degli elementi e delle prove della falsità non impone necessariamente la completa e rituale formulazione della prova testimoniale, essendo sufficiente l’indicazione di tale prova e delle circostanze che ne dovrebbero costituire l’oggetto; peraltro, il suddetto obbligo può essere assolto con l’indicazione di qualsiasi tipo di prova idoneo all’accertamento del falso, e quindi anche a mezzo di presunzioni” (Cassazione civile, sez. lav., 3 febbraio 2001, n. 1537).

***

Tali essendo i presupposti richiesti dall’art. 221 c.p.c., nel merito il Collegio ritiene che essi siano tutti integrati nel caso di specie, giacché l’attore è certamente legittimato ed ha sicuro interesse a proporre querela di falso; l’atto introduttivo, poi, contiene l’indicazione degli elementi posti alla base dell’asserita falsità, presupposto imprescindibile di ammissibilità della querela, in ragione della rilevanza pubblica degli interessi connessi e in considerazione della necessità di individuare i dati costitutivi della relativa domanda.

Gli accertamenti giudiziali dimostrano che la domanda attorea debba essere respinta.

La dedotta falsità è rimasta priva di riscontro probatorio.

Infatti, l’unico elemento probatorio posto a fondamento della domanda attorea è la deposizione del teste *** il quale ha dichiarato che i giorni 10 e 11 agosto 2015 non era presente presso l’edificio sito in ***; la sua deposizione è priva di qualsivoglia rilevanza ed assolutamente inidonea a dimostrare l’asserita falsità di quanto dichiarato dall’agente postale in ordine all’attività svolta nella giornata del 10 agosto 2015.

Il teste ha riferito, inoltre, che la posta, qualora venga lasciata all’interno della fessura posta sul portone di ingresso, viene da lui smistata in favore anche della XXX e ciò significa che non può escludersi che, ove in ipotesi le missive siano state lasciate nella fessura, il *** abbia di seguito provveduto ad inserirle nella “scatola verde” nella disponibilità dell’odierna attrice e che, dunque, l’atto abbia comunque raggiunto il suo scopo.

Quindi, anche alla luce di tali dichiarazioni, non può ritenersi che l’operatore postale abbia dichiarato il falso.

Anche l’affermazione secondo la quale il portone rimarrebbe sempre chiuso per impedire l’accesso a persone estranee, è un’asserzione che nulla prova nel caso di specie; perché è vero che il portone può essere chiuso di norma ma è anche vero che può essere aperto da uno dei condomini dopo aver suonato il campanello.

E’, dunque, ben possibile, non essendo stata fornita prova di segno contrario, che il postino abbia suonato uno dei campanelli e sia stato fatto entrare per la quotidiana consegna dei plichi postali.

Quindi, si ritiene che la domanda attorea sia sfornita di qualsiasi supporto probatorio.

Pertanto, nulla è stato provato da parte attrice che faccia ritenere che quanto dichiarato dal portalettere non corrisponda a verità.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Firenze, definitivamente decidendo nella causa in epigrafe, così provvede:

rigetta la domanda attrice;

condanna parte attrice al pagamento delle spese del presente giudizio a favore di parte convenuta che liquida in € 1.500,00 per compensi, oltre rimborso spese generali ed accessori di legge.

Così deciso nella camera di consiglio del 23 aprile 2020, su relazione della Dott.ssa

Il Giudice relatore – Il Presidente

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