Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5556 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5556 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20258/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ricorrente-
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE, domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende giusta procura in atti , controricorrente-
avverso decreto di Tribunale Venezia n. 5514/2020 depositato in data 8/6/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME propose domanda di ammissione al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE del credito per la complessiva somma di € 872.615,74, in collocazione privilegiata ex art. 2751 bis nr. 3 c.c., derivante da provvigioni non corrisposte, differenze tra provvigioni maturate e provvigioni non corrisposte a partire dal 2006, indennità sostitutiva di preavviso, indennità di risoluzione del rapporto di lavoro, indennità suppletiva e meritocratica.
Il Giudice Delegato rigettò la domanda in quanto la documentazione non aveva data certa e, conseguentemente, non era opponibile al fallimento.
Il Tribunale di Venezia, con decreto dell’8/6/2020, in parziale accoglimento dell’opposizione ammetteva al passivo del fallimento, in via privilegiata ex art. 2751 bis nr. 3, il credito di € 24.558,98 per indennità da mancato preavviso e, in via chirografaria, il credito di € 27.353,25 a titolo di indennità suppletiva di clientela , escludendo tutte le altre voci di credito sulla base delle seguenti argomentazioni: i) nessuno dei documenti prodotti appariva idoneo dimostrare l’avvenuta conclusione degli ordini in virtù dei quali sarebbero maturati i crediti per i quali si chiedeva l’ammissione al passivo; ii) la disposizione degli Accordi Economici Collettivi (AEC) secondo cui dopo 60 gg le proposte d’ordine si intendono accettate non era applicabile nel caso di specie perché derogata da una puntuale e precisa previsione del contratto intercorso fra le parti; iii) non spettava l’indennità meritocratica perché la preponente non riceveva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con i clienti.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi; il Fallimento ha svolto difese con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1758 c.c. e dell’art. 5 degli Accordi Economici Collettivi, in relazione all’art. 360 , comma 1, nr. 3, c.p.c. e dell’art 360 , comma 1, nr. 5, c.p.c., in relazione all’omesso esame degli atti istruttori: il ricorrente sostiene che il diritto alla provvigione sorge nel momento in cui il preponente accetta gli ordini o non li annulla entro il termine di sessanta giorni dalla loro ricezione; lamenta, inoltre, che il Tribunale di Venezia non abbia tenuto conto che per la stagione commerciale ‘Primavera/Estate 2025 ‘ la fallita aveva confermato gli ordini per un ammontare di € 183.775 , come da documentazione da 15 a 34 versata in atti. Si trattava di un resoconto in cui la preponente riepilogava l’ammontare dei contratti di ordinativi di merce relativi ad ogni singolo cliente conclusi per il tramite dell’agente , fissando gli obiettivi per ciascun cliente per la stagione commerciale successiva. Il ricorrente contesta il giudizio formulato dal Tribunale sull ‘ inidoneità della copiosa documentazione prodotta (resoconti, mail) a dimostrare i fatti costitutivi del credito dell’agente per le differenze tra le provvigioni maturate e quelle effettivamente erogate.
L’agente, infine, assume, contrariamente a quanto opinato dal Tribunale, di aver diritto alla indennità meritocratica calcolata sul fatturato degli ultimi venti trimestri.
1.1 Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
1.2 L’impugnato provvedimento ha dato atto dell’ esistenza di una specifica clausola contrattuale (l’art. 7 del contratto del 30/12/1993) che, in deroga all’art. 5 AEC, prevedeva che le proposte d’ordine, debitamente sottoscritte dal cliente, da trasmettersi al preponente, attribuivano all’agente il diritto alla provvigione ove le stesse fossero state accettate dal preponente.
Incombeva, quindi, all’agente l’onere di provare l’accettazione da parte del preponente degli ordini raccolti e la produzione delle « schermate del computer riguardanti le conferme d’ordine del tutto
prive di sottoscrizioni » è stata ritenuta inidonea a provare l’accettazione degli ordini.
1.3 Per il resto la doglianza si limita all ‘ inammissibile contestazione della valutazione compiuta dal Tribunale delle fonti di prova (fatture, mail, tabelle riepilogative), che è attività riservata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (cfr. Cass.37382/2022).
1.4 L’articolazione della censura che critica l’impugnato provvedimento per il mancato riconoscimento dell’indennità meritocratica non è calibrata rispetto alla ratio decidendi, che ha negato il diritto all’agente a vedersi corrispondere tale emolumento per mancanza dei presupposti e non perché non fossero stati spiegati i criteri di calcolo.
Il secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1758 c.c. e dell’art. 5 degli Accordi Economici Collettivi in relazione all’art. 360 , comma 1, nr. 3, c.p.c. e l’ omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 , comma 1, nr. 5, c.p.c., per aver il Tribunale ritenuto applicabile l’integrazione del contratto
di agenzia del 15/4/1991 a far data, indicata nel contratto, dal 30/12/1993, quando invece, risultando la scrittura non sottoscritta, il contratto poteva ritenersi concluso alla data del deposito in Cancelleria, con la conseguenza che trovava applicazione non la disciplina pattizia, ma quella prevista dall’art. 5 AEC.
2.1 La censura è, all’evidenza, inammissibile in quanto aspecifica.
2.2 L’impugnato provvedimento non solo non menziona la circostanza della mancata sottoscrizione della scrittura del 30/12/1993, ma afferma, testualmente, che entrambi i contratti prodotti dagli opponenti furono ‘ regolarmente sottoscritti dalle parti ‘.
2.3 Orbene, è principio consolidato di questa Corte che dovendo i motivi del ricorso per cassazione investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 907/2018, 15430/2018 e 17041/2013), ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni non esaminate dal giudice di merito, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonché il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione.
2.4 Nel caso di specie il ricorrente non ha adempiuto tale onere; al contrario, come risulta dall’atto di opposizione, che il Fallimento ha riportato per estratto nel corpo del controricorso, il COGNOME aveva fondato il proprio credito sul « contratto di agenzia nel settore
commercio stipulato in data 15 aprile 1991, rinnovato in data 30 dicembre 1993 con decorrenza 1 gennaio 1994 » .
Conclusivamente il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in € 12.200 di cui € 200 per esborsi, oltre Iva, Cap e rimborso forfettario al 15%.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 16 gennaio 2025.