LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Prova rapporto di lavoro: onere a carico del lavoratore

Un lavoratore si oppone all’esclusione del suo credito da lavoro dallo stato passivo di una società fallita. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 78/2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando che l’onere della prova del rapporto di lavoro subordinato grava interamente sul lavoratore che intende far valere il proprio credito. La Corte ha chiarito che il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per ottenere una nuova valutazione delle prove già esaminate dal giudice di merito.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Prova del Rapporto di Lavoro nel Fallimento: a Chi Spetta l’Onere?

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 78/2024, ha ribadito un principio fondamentale nel diritto del lavoro e fallimentare: la prova del rapporto di lavoro subordinato spetta interamente al lavoratore che vuole far valere i propri crediti nei confronti di un’azienda fallita. Questa decisione sottolinea le difficoltà che un lavoratore può incontrare quando la documentazione non è inopponibile alla procedura fallimentare e l’importanza di un’adeguata allegazione dei fatti sin dall’inizio del giudizio.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dall’opposizione presentata da un lavoratore avverso il decreto con cui il Tribunale aveva escluso il suo credito di oltre 93.000 euro dallo stato passivo di una S.r.l. fallita. Il credito, richiesto a titolo di retribuzioni non pagate e TFR, era stato respinto perché il giudice di merito aveva ritenuto il rapporto di lavoro simulato e, in ogni caso, non provato.

Il Tribunale aveva basato la sua decisione su diversi elementi:
1. Inammissibilità della prova orale: Le richieste di sentire testimoni erano state giudicate tardive e generiche.
2. Insufficienza della prova documentale: Documenti come buste paga e una lettera di assunzione erano stati ritenuti inopponibili alla curatela fallimentare perché privi di ‘data certa’ anteriore al fallimento.
3. Natura del rapporto: Gli elementi raccolti suggerivano piuttosto un rapporto di amministrazione, non di subordinazione.

Contro questa decisione, il lavoratore ha proposto ricorso per Cassazione.

La Questione della Prova del Rapporto di Lavoro

Il ricorrente ha lamentato, tra le altre cose, la violazione di diverse norme del codice civile e della legge fallimentare. Sostanzialmente, criticava il Tribunale per aver erroneamente escluso le prove orali, per non aver considerato documenti come la comunicazione obbligatoria Unilav e l’estratto conto contributivo, e per aver valutato in modo errato le prove a sostegno della simulazione del rapporto.

Il lavoratore sosteneva che il giudice avesse omesso di esaminare fatti decisivi che avrebbero potuto dimostrare la natura subordinata del suo rapporto con l’azienda.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutte le censure del ricorrente. Le motivazioni della Corte sono cruciali per comprendere i limiti del giudizio di legittimità e gli oneri probatori a carico del lavoratore.

In primo luogo, la Corte ha chiarito che i motivi del ricorso non denunciavano una vera e propria violazione di legge, ma miravano a ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, attività preclusa in sede di Cassazione. Il ruolo della Cassazione non è quello di riesaminare il merito della controversia, ma solo di verificare la corretta applicazione delle norme giuridiche da parte del giudice precedente.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale, la Corte ha confermato che l’onere della prova del rapporto di lavoro, quale fatto costitutivo del credito, grava sul lavoratore che si insinua al passivo fallimentare. Il Tribunale aveva correttamente posto tale onere a carico del creditore. Avendo ritenuto le prove documentali insufficienti e quelle orali inammissibili per un difetto di tempestiva e specifica allegazione dei fatti, la decisione di rigettare la domanda era giuridicamente corretta.

La Corte ha inoltre specificato che, per configurare un ‘omesso esame di un fatto decisivo’ (unico vizio motivazionale ancora censurabile in Cassazione), è necessario indicare un preciso fatto storico non esaminato, non una generica critica alla valutazione delle risultanze processuali.

Le Conclusioni

L’ordinanza n. 78/2024 consolida un principio cardine: nel contesto di un’insinuazione al passivo fallimentare, il lavoratore deve essere meticoloso nel fornire la prova del rapporto di lavoro. Non basta produrre documenti; questi devono essere opponibili a terzi, come la curatela, e quindi possedere il requisito della ‘data certa’. Inoltre, l’allegazione dei fatti a sostegno della subordinazione deve essere tempestiva e dettagliata sin dalle prime fasi del giudizio, per consentire l’ammissione di prove testimoniali. Tentare di rimettere in discussione la valutazione del giudice di merito attraverso un ricorso in Cassazione si rivela, come in questo caso, una strada non percorribile. La decisione serve da monito sull’importanza di una strategia processuale ben definita fin dall’inizio per la tutela dei crediti da lavoro.

A chi spetta l’onere della prova del rapporto di lavoro in caso di fallimento del datore?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di provare l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, quale fatto costitutivo del credito, spetta interamente al lavoratore che presenta domanda di ammissione allo stato passivo.

Perché i documenti come buste paga e lettere di assunzione sono stati ritenuti insufficienti?
Il Tribunale li ha ritenuti in parte inopponibili alla curatela fallimentare per mancanza di una ‘data certa’ anteriore alla dichiarazione di fallimento, e in parte perché indicavano un rapporto diverso da quello di lavoro subordinato.

È possibile contestare la valutazione delle prove fatta dal Tribunale con un ricorso in Cassazione?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti o di fornire una nuova valutazione delle prove. Il ricorso è ammissibile solo per denunciare errori nell’applicazione della legge, non per criticare l’apprezzamento dei fatti operato dal giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati