Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3633 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3633 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15230/2021 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (-) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 330/2021 depositata il 03/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Ritenuto che
–NOME COGNOME ha ereditato un terreno nel Comune di Lucera, che è stato occupato, per un certo periodo di tempo, dalla società RAGIONE_SOCIALE, la quale vi ha realizzato un impianto per l’estrazione del gas: terminata l’attività estrattiva, l’impianto è stato demolito ed il terreno è stato restituito alla proprietaria, che ha ripreso ad utilizzarlo per coltivazioni agricole.
1.1. -Va precisato che l’occupazione ha avuto ad oggetto due terreni limitrofi, quello contraddistinto con la particella 46 e quello, di proprietà della ricorrente, contraddistinto con la particella 83.
Qui si discute dei danni arrecati dalla occupazione di quest’ultimo.
-Infatti, la COGNOME ha convenuto davanti al Tribunale di Lucera la RAGIONE_SOCIALE ed ha ottenuto un risarcimento per la temporanea occupazione, pur avendone chiesto uno maggiore dovuto alla perdita di edificabilità del fondo, dunque ad una sua trasformazione irreversibile: il Tribunale di Lucera, espletata CTU, ha ritenuto non provata però questa perdita di edificabilità, solo ipotizzata in astratto dal CTU.
–COGNOME ha proposto appello, rigettato dalla Corte di Appello di Bari, avverso la cui decisione ricorre ora per cassazione con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, con controricorso e successiva memoria.
Considerato che
4. -La ratio della decisione impugnata .
Secondo i giudici di appello non è stato provato che dalla occupazione è derivato un danno al terreno, ed in particolare il danno da perdita di edificabilità, sia in quanto la natura edificabile non è pienamente emersa, sia in quanto il fatto materiale che l’avrebbe fatta scemare, ossia il fenomeno della ‘subsidenza’, non è stato accertato dal CTU e non può essere oggetto di una nuova indagine peritale o di un suo supplemento in quanto, per certi versi, tardivamente introdotto dalla ricorrente.
4. -Il primo motivo prospetta violazione degli articoli 2043 e 2697 c.c.
La tesi è la seguente.
I giudici di appello hanno escluso che la ricorrente abbia fornito la prova dell’edificabilità, prova che avrebbe dovuto essere data mediante la dimostrazione di un rilevante grado di probabilità ‘in capo al danneggiante di vedersi in concreto riconosciuto il diritto di edificare’.
La ricorrente contesta questa ratio assumendo che non è necessario fornire la prova di un provvedimento che autorizza l’edificazione, essendo sufficiente la dimostrazione delle potenzialità edificatorie del terreno, che si ricavano o dalle obiettive ed intrinseche caratteristiche dell’area, oppure dalla qualificazione attribuita nel Piano Regolatore Generale.
La rilevanza della questione sta nel fatto che, oltre al danno da occupazione temporanea, la ricorrente ha altresì chiesto quello da perdita della possibilità di edificare, persistente, pur dopo il rilascio del terreno. Dunque su questo punto è infondata l’obiezione fatta dalla controricorrente secondo cui la regola invocata non si applica in caso di mera e temporanea occupazione.
Ma il motivo è infondato.
Anche ad ammettere che i giudici di secondo grado hanno preteso la prova di un provvedimento di edificabilità, e dunque la prova che l’edificabilità derivasse da un concreto riconoscimento, ma così non è: essi hanno chiesto che si provasse la probabilità di edificare e dunque l’attitudine del terreno ad essere edificabile. Ma, anche ad ammettere che abbiano preteso l’allegazione di un concreto provvedimento, e dunque anche ad ammettere che, in astratto, sia fondata la tesi della ricorrente che non è necessario allegare la concreta destinazione del terreno, essendo sufficiente allegare quella potenziale, derivante dalle caratteristiche dell’area, o derivante dal piano regolatore, resta il fatto che il difetto di prova lamentato dai giudici di merito, permane: la ricorrente non ha dimostrato nel giudizio di merito che il suo terreno aveva una astratta edificabilità, risultante, per l’appunto, dalla obiettiva sua natura oppure da strumenti urbanistici locali.
Né nel motivo di ricorso si fa riferimento a come quella astratta edificabilità è stata allegata e provata nel giudizio di merito.
La ratio della sentenza di primo grado resta confermata: il difetto di prova di quella edificabilità rimane, sia che l’edificabilità vada dimostrata in concreto, sia che vada dimostrata in astratto.
5. -Il secondo motivo prospetta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Vale a dire: la ricorrente aveva lamentato un danno, che residuava pur dopo la restituzione del terreno e dunque dopo il termine della sua occupazione. Aveva cioè lamentato che quel terreno era ormai stato privato della sua, sia pure potenziale, inidoneità edificatoria, e ciò in ragione dell’abbassamento del livello, dovuto al fenomeno della cosiddetta ‘subsidenza’.
Secondo la ricorrente l’errore del giudice è di non avere tenuto conto delle consulenze tecniche di parte che inducevano ad un approfondimento istruttorio e comunque ad una rinnovazione della CTU su tale punto.
Il giudice di merito avrebbe erroneamente risolto la questione sostenendo, da un lato, che il CTU non aveva accertato la ‘subsidenza’ ma l’aveva solo ipotizzata; che la CTU non era stata contestata; che infine il fenomeno della subsidenza era stato allegato tardivamente e che le stesse consulenze di parte erano, oltre che stilate anteriormente alla consulenza di ufficio, tardivamente prodotte.
Tutti argomenti, questi, che la ricorrente ritiene errati. Infatti: la CTU non andava contestata essendo stata la stessa ricorrente vincitrice e non soccombente; le consulenze non sono prove soggette a preclusioni, e dunque sono producibili senza le limitazioni cui sono soggette le prove.
6. -Il terzo motivo prospetta violazione dell’articolo 345 c.p.c. ed è svolgimento di quello precedente: nel ritenere irrilevanti, se non addirittura tardive, le consulenze di parte, il giudice di merito ha fornito una motivazione insufficiente, ed inadeguata.
Questi due motivi pongono una questione comune e può dunque farsene scrutinio insieme.
Sono infondati.
Va precisato che la ratio della decisione impugnata è duplice, ossia: intanto dalla CTU non è emerso un danno, ossia un fenomeno di subsidenza, che è stato solo in astratto ipotizzato; comunque sia, ogni tentativo di nuovo approfondimento è precluso da tardività di allegazione.
Può anche dirsi che la seconda ratio sia errata: le consulenze sono producibili senza preclusione e comunque la questione della subsidenza, essendo indicativa di un fatto materiale del tutto secondario -ossia la spiegazione materiale del danno subito -non è fatto nuovo come tale inammissibile. Anche se sulla quesitone della mancata contestazione il giudice di merito non erra: non gli si può obiettare che la ricorrente non era soccombente, poiché la contestazione che le veniva richiesta non era su un capo di sentenza, ma su un argomento usato dal CTU, ossia sul fatto che costui non fosse in grado di accertare con sicurezza il danno al fondo, e si limitasse ad ipotizzarlo in astratto. Tale aspetto della consulenza era semmai sfavorevole alla ricorrente, in quanto non le dava la prova del danno, e dunque era suo onere contestarlo.
Ciò detto, si ripete, posta anche l’erroneità della seconda ratio , resta la fondatezza della prima, o meglio la sua insindacabilità in questa sede.
Il giudice di merito infatti ha ritenuto che non vi fosse prova della trasformazione del fondo in senso peggiorativo, ossia del fatto che anni di estrazione del gas avevano prodotto un fenomeno di abbassamento del livello del terreno (subsidenza) ed ha ritenuto
che neanche la consulenza ha consentito di accertarlo, in quanto la CTU ha solo concluso nel senso che in quei luoghi può verificarsi un simile fenomeno come si ricaverebbe da un pubblicazione scientifica: il giudizio della Corte di Appello è stato di insufficienza di tale argomento -quello per cui alcuni studi dicono che può accadere in quella zona -a dimostrare che il danno in quella zona si è verificato in concreto.
Questo giudizio, che è un accertamento in fatto, è motivato adeguatamente, attraverso il richiamo alle stesse parole del consulente e non si può dire, come è ipotizzato con il terzo motivo, che mancano le ragioni a sostegno della decisione: le ragioni ci sono e stanno, come si è detto, nella circostanza che il CTU non ha accertato in concreto un danno, ma che ha solo riferito di studi che ammettono in ipotesi che possa verificarsi.
7. -Il quarto motivo prospetta una violazione dell’articolo 112 c.p.c. e dell’articolo 345 c.p.c.
La questione attiene all’ammontare del danno liquidato. Sostiene la ricorrente che, a fronte della circostanza di avere allegato una trasformazione del terreno, ed una perdita della sua attitudine edificatoria, e dunque di un rilevante danno, che avrebbe dovuto portare ad un diverso e ben maggiore risarcimento, la Corte di Appello ha semplicemente risposto che si è trattato di una occupazione temporanea, poi terminata, e che il terreno è stato restituito e si è ripreso ad utilizzarlo.
Secondo la ricorrente questa affermazione non tiene conto del lamentato danno permanente, e comunque, anche se ne tenesse conto, non sarebbe sufficientemente motivata.
Il motivo è infondato.
Intanto non c’è omessa pronuncia, se la domanda su cui si lamenta l’omissione è quella da danno derivante dall’irrimediabile trasformazione del fondo dovuto all’abbassamento del livello del terreno, poiché tale domanda è stata comunque decisa dalla Corte e rigettata, come abbiamo visto. Né può dirsi insufficiente la motivazione, né del rigetto, per come si è già visto sopra, né dell’ammontare del danno, in quanto il collegio di merito specifica che l’ammontare è per l’appunto misurato sulla durata della occupazione e sulla circostanza che quest’ultima è cessata con restituzione del terreno alla ricorrente.
Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 3000,00, oltre 200,00 euro di esborsi, ed oltre spese generali al 15%, ed accessori.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
Roma 29.1.2024
Il Presidente NOME COGNOME