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Prova del danno: la Cassazione sul nesso causale

Una proprietaria terriera ha citato in giudizio una società energetica per un presunto danno permanente di perdita di edificabilità, a seguito di un’occupazione temporanea del suo terreno per l’estrazione di gas. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ribadendo che la prova del danno spetta a chi lo lamenta. In questo caso, la perdita di edificabilità e il fenomeno di subsidenza erano rimasti a livello di mera ipotesi, non supportati da prove concrete e accertate, rendendo infondata la richiesta di risarcimento.

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Prova del Danno: Quando l’Ipotesi non Basta per il Risarcimento

L’ottenimento di un risarcimento per un danno subito è subordinato a un principio fondamentale del nostro ordinamento: la prova del danno stesso. Chi afferma di aver subito un pregiudizio deve dimostrarne l’esistenza, l’entità e il nesso di causalità con la condotta altrui. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’occasione preziosa per approfondire questo tema, analizzando un caso in cui la richiesta di risarcimento per la perdita di edificabilità di un terreno si è scontrata con l’assenza di prove concrete.

I Fatti: Occupazione Temporanea e Danno Permanente

La vicenda ha origine dalla richiesta di risarcimento avanzata dalla proprietaria di un terreno agricolo nei confronti di una società energetica. Quest’ultima aveva occupato temporaneamente il fondo per installare un impianto di estrazione di gas. Al termine delle attività, l’impianto era stato smantellato e il terreno restituito alla proprietaria, che ne aveva ripreso la coltivazione.

Tuttavia, la proprietaria sosteneva che l’attività estrattiva avesse causato un danno permanente e irreversibile: la perdita della potenziale edificabilità del terreno. Questo danno sarebbe derivato da un fenomeno di “subsidenza”, ovvero un abbassamento del livello del suolo, che avrebbe compromesso per sempre la possibilità di costruire sul fondo. La richiesta, quindi, non si limitava al solo indennizzo per l’occupazione temporanea, ma mirava a ottenere un risarcimento ben più cospicuo per la trasformazione peggiorativa e definitiva del bene.

La Decisione della Cassazione e la Prova del Danno

Dopo che sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano rigettato la richiesta di risarcimento per il danno da perdita di edificabilità, la questione è giunta dinanzi alla Corte di Cassazione. Anche i giudici di legittimità hanno confermato le decisioni precedenti, rigettando il ricorso della proprietaria. Il punto cruciale della decisione risiede interamente sulla questione della prova del danno.

La Corte ha evidenziato come la ricorrente non fosse riuscita a dimostrare in giudizio né la sussistenza di una concreta potenzialità edificatoria del terreno prima dell’intervento della società, né l’effettivo verificarsi del fenomeno della subsidenza. Le prove portate a sostegno della richiesta sono state ritenute insufficienti per fondare una pretesa risarcitoria.

L’Onere della Prova: un Principio Cardine

La decisione si fonda sull’applicazione rigorosa dell’articolo 2697 del Codice Civile, secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. In questo contesto, l’onere della prova del danno gravava interamente sulla proprietaria del terreno. Ella avrebbe dovuto dimostrare:

1. La potenzialità edificatoria del terreno: non era sufficiente asserirla, ma bisognava provare, ad esempio tramite strumenti urbanistici o altre caratteristiche oggettive, che esisteva una probabilità concreta e non una mera speranza di poter edificare.
2. Il danno effettivo: era necessario provare che il fenomeno della subsidenza si fosse realmente verificato e avesse causato una diminuzione del valore del terreno.
3. Il nesso causale: bisognava dimostrare che la subsidenza fosse stata una conseguenza diretta dell’attività di estrazione del gas.

La mancanza di prove su questi punti ha reso la domanda infondata.

Il Ruolo della CTU e delle Consulenze di Parte

Un aspetto interessante della vicenda riguarda il ruolo della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU). Il perito nominato dal giudice aveva concluso che la subsidenza era un fenomeno possibile in quell’area, basandosi su pubblicazioni scientifiche. Tuttavia, non aveva accertato che tale fenomeno si fosse effettivamente verificato sul terreno in questione. Un’ipotesi, per quanto scientificamente plausibile, non equivale a una prova. La Corte ha chiarito che il giudice non può basare la sua decisione su mere congetture.
Nemmeno le consulenze tecniche presentate dalla proprietaria sono state sufficienti a colmare questa lacuna probatoria. Sebbene le consulenze di parte siano producibili e importanti, non possono sostituire la necessità di un accertamento oggettivo del fatto materiale che costituisce il danno.

Le Motivazioni

La ratio decidendi della Corte di Cassazione è duplice ma convergente. In primo luogo, la decisione dei giudici di merito di rigettare la domanda era fondata su un accertamento di fatto inattaccabile in sede di legittimità: la prova del danno non era stata raggiunta. La perizia d’ufficio si era limitata a ipotizzare un danno in astratto, senza verificarlo in concreto. In secondo luogo, ogni tentativo di introdurre nuovi elementi o richiedere ulteriori approfondimenti istruttori in fasi successive del giudizio è stato considerato tardivo, precludendo un nuovo esame della questione. Anche se una delle motivazioni della Corte d’Appello (sulla tardività di alcune allegazioni) potesse essere considerata errata, l’altra motivazione (la mancanza di prova emersa dalla CTU) era di per sé sufficiente a sostenere la decisione di rigetto.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale per chiunque intenda agire in giudizio per ottenere un risarcimento: le affermazioni devono essere supportate da prove solide e concrete. Non è sufficiente ipotizzare un danno o basarsi su possibilità teoriche. La giustizia, per poter riconoscere un diritto, ha bisogno di certezze processuali che possono derivare solo da un’adeguata attività probatoria. Per gli operatori del settore immobiliare e per i proprietari terrieri, la lezione è chiara: prima di intraprendere un’azione legale per un danno da diminuzione di valore di un immobile, è essenziale munirsi di perizie tecniche dettagliate che non si limitino a ipotizzare, ma accertino in modo inequivocabile l’esistenza e la causa del pregiudizio subito.

Per ottenere un risarcimento per la perdita di edificabilità di un terreno, è sufficiente dimostrare una potenziale vocazione edificatoria?
No, secondo l’ordinanza non è sufficiente. La parte che richiede il risarcimento deve fornire una prova concreta che il terreno avesse una probabilità rilevante di essere edificato. Nel caso specifico, la ricorrente non ha dimostrato né l’edificabilità concreta né quella astratta o potenziale.

Se una perizia tecnica d’ufficio (CTU) ipotizza un danno ma non lo accerta con sicurezza, può essere la base per un risarcimento?
No. La Corte ha stabilito che una mera ipotesi di danno, come il fenomeno della “subsidenza” solo ipotizzato dal CTU sulla base di studi scientifici generici, non costituisce una prova sufficiente. È necessario un accertamento concreto del danno e del nesso di causalità con l’evento che lo avrebbe provocato.

Le consulenze tecniche di parte possono superare le conclusioni incerte della CTU?
Le consulenze di parte sono elementi di valutazione, ma in questo caso non sono state ritenute sufficienti a superare la mancanza di una prova certa. La Corte ha sottolineato che l’onere di provare il danno gravava sulla ricorrente, e le sue consulenze non sono riuscite a colmare la lacuna probatoria lasciata dalla CTU, che non aveva accertato il danno in concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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