Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26502 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26502 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 18455/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata in Roma presso l’AVV_NOTAIO, nel suo studio in INDIRIZZO, ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME, con domicilio digitale EMAIL controricorrente
avverso la sentenza n.751/2021 della Corte d’Appello di Palermo, depositata in data 8-5-2021, udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19-92024 dal consigliere NOME COGNOME,
OGGETTO:
appalto di servizi
RG. NUMERO_DOCUMENTO
P.U. 19-9-2024
udito il Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile o comunque rigettare il ricorso, l’AVV_NOTAIO per la ricorrente e l’AVV_NOTAIO udite COGNOME per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 886/2014 depositata il 29-9-2014 il Tribunale di Trapani ha accolto l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE al decreto ingiuntivo che l’aveva condannata a pagare Euro 187.352,70 a favore di RAGIONE_SOCIALE a saldo delle fatture n. 2, 3 e 4 del 2006 e 1 del 2008, in forza del contratto di appalto per prestazione di servizi aeroportuali intercorso tra le due società; ha revocato il decreto ingiuntivo opposto.
2.La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, che la Corte d’appello di Palermo ha deciso con sentenza n. 751/2021 pubblicata in data 85-2021; in riforma della sentenza impugnata, ha condannato la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento a favore della società RAGIONE_SOCIALE di euro 182.584,44, con gli interessi legali dal 26-2-2006 e la rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
La sentenza ha rilevato che era incontestato il pagamento non integrale dell’importo complessivamente recato dalle fatture n. 2, 3 e 4 del 2006, con un residuo debito di ammontare di Euro 54.563,28; ha altresì accertato a favore dell’appaltatrice l’esistenza del credito per ‘ maggiorazione da lavoro notturno ‘ per Euro 106.684,31 oltre iva per Euro 21.336,86 e così per complessivi Euro 128.021,17, per cui ha condannato l’appellata al pagamento a favore dell’appellante dell’importo complessivo di Euro 182.584, 44 (Euro 54.563,27 + NUMERO_TELEFONO.021,17).
3.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 19-9-2024 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni ed entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. e ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1242 e 1246 cod. civ., degli artt. 11 e 12 del capitolato allegato al contratto di appalto e dell’art. 2697 cod. civ., la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere, con motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria, accolto il terzo motivo di appello, relativo al credito di Euro 54.563,28 che il giudice di primo grado aveva esattamente ritenuto inesistente.
La ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto che la lettera di RAGIONE_SOCIALE di data 1-3-2006 non era mai stata inviata e non era pervenuta alla destinataria, del fatto che la prova della ricezione della lettera da parte di RAGIONE_SOCIALE non poteva essere data dal timbro, non accompagnato da alcuna sottoscrizione; lamenta altresì l’omesso esame del fatto che RAGIONE_SOCIALE con tale lettera non aveva contestato l’intero contenuto della nota del 3 -2-2006, nonché del fatto che ai sensi degli artt. 11 e 12 del contratto di appalto la contestazione avrebbe dovuto essere eseguita entro il termine perentorio di quindici giorni, pena la decadenza dell’appaltatrice dalla facoltà di presentare osservazioni e riserve. Quindi sostiene la piena legittimità delle trattenute operate da RAGIONE_SOCIALE e la conseguente erronea applicazione delle disposizioni sopra indicate.
1.1.Il motivo in primo luogo presenta profili di inammissibilità per le modalità con le quali è stato formulato, in quanto affastella senza ordine una serie disparata di argomenti riferiti a vizi diversi, sia ai sensi
del n. 3 che ai sensi del n. 5 dell’art. 360 co.1 cod. proc. civ. , in termini tali da non consentire di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate e di eseguirne la disamina separata (cfr. Cass. Sez. U 6-5-2015 n. 9100 Rv. 635452-01).
A ogni modo, per quanto è possibile comprendere ed enucleare dal contenuto del motivo, in primo luogo, poiché la ricorrente insiste nel qualificare la motivazione come insufficiente, illogica e contraddittoria, è doveroso richiamare il principio secondo il quale l’attuale formulazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. comporta la riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; l’anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’a spetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, esclusa qualsiasi rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01); al di fuori di tali casi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa conclusione della controversia (Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01).
Inoltre, d eve farsi applicazione del principio secondo il quale l’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. nella formulazione attuale prevede vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, co.1 n. 6 e 369 co.2 n.4 cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U 74-2014 n. 8053 Rv. 629831-01, Cass. Sez. 2 29-10-2018 n. 27415 Rv. 651028-01, per tutte).
Nella fattispecie, la sentenza impugnata ha considerato che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, l’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE non aveva prestato acquiescenza alle contestazioni della committente RAGIONE_SOCIALE, perché alla nota di RAGIONE_SOCIALE del 3-2-2006, con cui si comunicava la differenza in eccesso emersa dalla verifica dei conteggi delle ore, RAGIONE_SOCIALE aveva risposto con propria nota del I-3-2006; ha dichiarato che tale nota era certamente giunta a conoscenza della destinataria, in quanto ciò era attestato sia dal protocollo in entrata apposto da RAGIONE_SOCIALE sia dall’espressa menzione di quella nota in una replica di RAGIONE_SOCIALE del 25-5-2006; a fronte di questi dati, la sentenza ha dichiarato che non sussistevano i presupposti per l’operatività del meccanismo di accettazione implicita e decadenza del prestatore di servizi dalla facoltà di iscrivere riserve delineato dalle clausole n.11 e n. 12 del contratto di appalto.
Questo contenuto della pronuncia soddisfa il minimo costituzionale, in quanto le ragioni della decisione sono esposte in
modo coerente e tale da consentire all’interprete di seguire e controllare il ragionamento logico-giuridico svolto dal giudicante.
Non sussiste neppure omesso esame di fatti attestanti il mancato invio e la mancata ricezione della nota I-3-2006 nei termini sostenuti dalla ricorrente; ciò perché la sentenza ha esaminato gli elementi probatori emersi in causa, in forza dei quali ha accertato la ricezione della nota, e in particolare il dato -neppure censurato dalla ricorrenteche la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva fatto riferimento alla nota del I-3-2006 nella propria successiva nota del 25-5-2006.
Invece, il motivo è inammissibile in primo luogo per difetto di specificità nella parte in cui lamenta che la sentenza non abbia considerato il contenuto della contestazione del I-3-2006, perché il motivo non riporta il contenuto della nota del I-3-2006, per cui la Corte non è posta in condizione di verificare se le doglianze della ricorrente trovino fondamento nel contenuto della contestazione medesima.
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui lamenta l’omesso esame del fatto che si era verificata la decadenza prevista dalle clausole 11 e 12 del contratto di appalto; ciò perché la sentenza, accogliendo il motivo di appello sul punto e perciò riformando la sentenza di primo grado, ha espressamente escluso che ricorressero le condizioni affinché operasse il meccanismo di accettazione implicita e decadenza del prestatore di servizi dalla facoltà di iscrivere riserve delineato dalle clausole 11 e 12. Quindi, non si verte in ipotesi di omesso esame, perché la sentenza ha preso in esame la circostanza e ha escluso la decadenza contrattuale; la ricorrente, per censurare in modo ammissibile la pronuncia, non può limitarsi a sostenere che la decisione corretta fosse quella del giudice di primo grado, ma avrebbe dovuto lamentare la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, in forza dei quali la sentenza impugnata avrebbe erroneamente interpretato le disposizioni contrattuali, escludendo la decadenza che
secondo la tesi della ricorrente si era invece verificata. E’ evidentemente inammissibile il motivo svolto ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. lamentando la violazione delle clausole 11 e 12 del contratto, non vertendosi in ipotesi di violazione di legge, e non sussistendo neppure le condizioni per riqualificare il motivo, non indicando la ricorrente quali canoni di interpretazione contrattuale abbia violato la Corte d’appello escludendo l’intervenuta decadenza in base alle previsioni contrattuali.
Per il resto, il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. è inammissibile, perché il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie astratta recata da una disposizione di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; invece , l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. Sez. 1 13-10-2017 n. 24155 Rv. 645538-01, Cass. Sez. L 11-1-2016 n. 195 Rv. 638425-01). Nella fattispecie la sentenza impugnata ha espressamente dato atto (pag.9) che il consulente d’ufficio aveva riscontrato la congruità dei dati registrati nei cartellini marcatempo e gli argomenti della ricorrente, anziché individuare violazione di legge, sono finalizzati a ottenere una diversa ricostruzione in fatto, in quanto tale estranea al sindacato di legittimità.
2.Con il secondo motivo -che soffre dei profili di inammissibilità del primo motivo per le medesime modalità di redazione e perciò è esaminato per quanto è consentito comprendere ed enucleare dal suo contenuto- la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2702 cod. civ., 214 cod. proc. civ e 2697 cod. civ., nonché l’omesso esame di una serie di fatti decisivi, al fine di censurare la sentenza impugnata, per avere attribuito valore alle previsioni
dell’Appendice ‘ elenco compensi ‘ e dei cartellini marcatempo prodotti in fotocopia e per avere ritenuto provato il pagamento ai dipendenti dell’appaltatrice delle maggiorazioni retributive .
2.1. Con riguardo all’Appendice contrattuale, la sentenza ha considerato che la clausola n.17 del contratto era stata parzialmente modificata con la nota integrativa del contratto d’appalto, datata 16 -42014, intitolata ‘Appendice elenco compensi’ , la quale aveva previsto che, a parziale modifica di quanto stabilito dal capitolato d’appalto con riferimento al lavoro notturno, le parti convenivano la maggiorazione del 60% prevista dal RAGIONE_SOCIALE di settore. Ha dichiarato che la firma in calce alla nota integrativa era stata riconosciuta come appartenente a NOME COGNOME, all’epoca presidente del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE all’esito del procedimento di verificazione; ha escluso che l’efficacia vincolante della sottoscrizione fosse inficiata dai rilievi dell’appellata, perché non era stata provata l’esistenza di limiti ai poteri rappresentativi del presidente del consiglio di amministrazione, perché l’appendice conteneva indicazione della data e non si po neva tra le parti la questione della data certa ex art. 2704 cod. civ.; ha esaminato specificamente ed escluso la rilevanza delle ulteriori notazioni dell’appellata in ordine al fatto che l’appaltatrice si era risolta a chiedere solo a conguaglio gli importi e ha concluso che l’appendice contrattuale aveva introdotto clausola di aggancio del corrispettivo dell’appalto alle variazioni del costo effettivo della manodopera.
2.1.2.A fronte di questo contenuto della pronuncia, la ricorrente svolge una serie di argomentazioni che risultano di quasi impossibile comprensione e perciò di disamina, in quanto susseguentesi senza ordine logico.
A ogni modo, per quanto è possibile enucleare dal contenuto del motivo con riguardo alla questione dell’Appendice contrattuale , la ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto che tale nota integrativa
faceva riferimento a due tabelle, prive di data e di sottoscrizione, contestate e disconosciute; aggiunge che la sola sottoscrizione del primo foglio della nota integrativa non fosse sufficiente a rendere autografa l’intera scrittura, che NOME era pri vo del potere di sottoscrivere gli atti integrativi, che negli atti societari non si faceva mai riferimento a tale nota integrativa, che non era mai stata stipulata e sottoscritta; aggiunge che ciò risulta dallo stesso contenuto del contratto, che non fa alcun riferimento alla nota integrativa, nonché dal fatto che nel corso del rapporto, anche nella fase precontenziosa e nel ricorso monitorio, RAGIONE_SOCIALE non aveva mai fatto riferimento alla nota integrativa.
2.1.3.Da nessuna delle deduzioni è consentito individuare motivo di ricorso ammissibile.
Da una parte, per quanto riguarda la mancata sottoscrizione delle tabelle alle quali si riferisce l’Appendice, l’assenza di riferimento al contenuto di tali tabelle e alla loro incidenza sulla decisione impugnata in sé non consente di verificare che si verta in ipotesi di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. Neppure l’affermazione secondo la quale la verificazione della sottoscrizione apposta alla scrittura integrativa non sarebbe sufficiente a rendere autografa l’intera scrittura ha un qualche significato in questa sede di legittimità, in quanto finalizzata a porre in discussione il risultato della verificazione, spettante al giudice di merito.
Nessuno degli altri argomenti riesce a individuare un fatto decisivo del quale sia stato omesso l’esame, in quanto da una parte la ricorrente si limita a riproporre la questione della rappresentanza già esaminata e risolta dalla sentenza impugnata, senza fare emergere l’erroneità della statuizione secondo la quale non era stata provata la limitazione del potere di rappresentanza del presidente del consiglio di amministrazione della società che aveva sottoscritto l’atto. Per il resto,
la ricorrente si limita a riproporre una diversa ricostruzione delle risultanze istruttorie, al fine di sostenere che l’Appendice del contratto non fosse stata oggetto di accordo, in termini inammissibili in quanto non individua nessun dato che abbia le caratteristiche del fatto decisivo il cui esame sia stato omesso.
2.2.In ordine ai cartellini marcatempo, la sentenza impugnata (pag.9) ha evidenziato che il c.t.u. aveva riscontrato la congruità dei dati in essi registrati e di seguito (da pag. 13) ha dichiarato che la loro rilevanza probatoria era stata ammessa dalla stessa appellata, che in base ai cartellini aveva dichiarato di avere eseguito la verifica contabile i cui esiti aveva riportato nella nota del 3-2-2006, e ha escluso che tale rilevanza fosse diminuita per il fatto che i cartellini erano stati acquisiti in copia. Richiamato il disposto dell’art. 2719 cod. civ. e la giurisprudenza in ordine al fatto che la contestazione della conformità della copia all’orig inale doveva essere specifica, la sentenza ha osservato che tale contestazione era stata generica e perciò inefficace, in quanto non aveva illustrato gli aspetti per i quali si assumeva che la copia fotostatica differisse dall’originale ; richiamato altresì il principio secondo il quale il disconoscimento della conformità della copia all’originale ex art. 2719 cod. civ. non impediva di accertare la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni, ha dichiarato che elemento presuntivo altamente persuasi vo dell’abituale ricorso delle parti alle registrazioni e all’affidabilità delle stesse era dato dal fatto che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato i cartellini per sviluppare le sue contestazioni, limitate ai conteggi dei compensi e non anche all’identità o al numero dei lavoratori.
2.2.1.A fronte di questo contenuto della pronuncia, la ricorrente dichiara che i cartellini marcatempo erano relativi al rapporto di lavoro tra RAGIONE_SOCIALE e i suoi dipendenti, che la verifica contabile eseguita sui
cartellini marcatempo era stata contestata, che il disconoscimento era specifico, che gli originali non erano mai stati nella sua disponibilità, che nessuna presunzione di conoscenza di tutti i cartellini segnatempo poteva essere tratta dal richiamo ad alcuni cartellini eseguito nella propria nota del 3-2-2005.
2.2.2.Tutte tali deduzioni sono inammissibili, in quanto non individuano alcun vizio né ai sensi del n.3 né ai sensi del n.5 dell’art. 360 co.1 cod. proc. civ. Risulta assorbente la considerazione che la ricorrente si limita a contestare, in termini non consentiti nel giudizio di legittimità, l’apprezzamento spettante al giudice di merito sul contenuto della contestazione della società committente, sia con riguardo al fatto che la medesima società committente aveva ritenuto la rilevanza probatoria dei cartellini marcatempo, utilizzati dalla stessa per eseguire la propria verifica contabile, sia con riguardo al fatto che la contestazione della conformità all’originale dei documenti prodotti in copia era stato solo generico. La sentenza impugnata ha fatto applicazione del principio secondo il quale la contestazione della conformità all’originale di un documento prodott o in copia non può avvenire con clausole di stile o generiche e onnicomprensive, ma va operata a pena di inefficacia in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica non solo del documento che si intende contestare, ma anche degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale (Cass. Sez. 30 -10-2018 n. 27633 Rv. 651376-01, Cass. Sez. 6-5 13-12-2017 n. 29993 Rv. 646981-01); la ricorrente si limita a sostenere di avere eseguito contestazione specifica, senza indicare neppure nel ricorso in quali aspetti abbia sostenuto che le copie differissero dall’originale. Nell a sostanza i suoi argomenti sono finalizzati a sostenere la mancanza di valore probatorio dei cartellini marcatempo, in quanto relativi ai rapporti di lavoro tra la società appaltatrice e i suoi dipendenti; però la sentenza impugnata ha esposto
anche le ragioni per le quali ha ritenuto la valenza probatoria di quei documenti, riferiti al fatto che la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva sviluppato le proprie contestazioni sulle risultanze orarie di quei cartellini e al fatto che il c.t.u. aveva riscontrato la congruità dei dati registrati. In questo modo la Corte d’appello ha eseguito il proprio apprezzamento sulle risultanze probatorie, e specificamente sulla valenza dei cartellini marcatempo ad attestare i tempi di lavoro dei dipendenti della società appaltatrice, compiendo la valutazione riservata al giudice di merito ed estranea al sindacato di legittimità, in quanto svolta secondo il prudente apprezzamento ex art. 116 cod. proc. civ.
2.3.Con riguardo alla prova della corresponsione ai dipendenti dell’appaltatrice delle maggiorazioni retributive, la sentenza impugnata ha dichiarato che il consulente d’ufficio aveva accertato che non vi era prova del pagamento ai dipendenti degli importi di Euro 5.585,19 e 20.178,78 inseriti nella fattura n. 1/2008 per maggiori onerosità derivanti dall’applicazione del rinnovo contrattuale del 26 -7-2005 per gli anni 2004, 2005 e 2006; per questo ha dichiarato che la relativa domanda doveva essere rigettata , non avendo l’appaltatrice titolo per recuperare dalla committente un costo non sostenuto; ha ritenuto il credito per maggiorazione da lavoro notturno ammontante e Euro 128.021,17 comprensivo di iva.
2.3.1.A fronte di questo contenuto della pronuncia, la ricorrente lamenta che la sentenza abbia omesso l’ esame di fatto decisivo per il giudizio, riferito al dato che non vi era la prova della corresponsione ai dipendenti delle maggiorazioni ‘per lavoro notturno e per rinnovi contrattuali’, così come non era stata fornita prova dell’effettiva prestazione di lavoro notturno; sostiene che tale prova non potesse essere data dal deposito neppure degli originali dei cartellini marcatempo, né dalla verifica contabile eseguita dal consulente di parte, evidenziando che nessuna verifica contabile congiunta era stata
eseguita dalle parti, che alla consulenza tecnica di parte non poteva essere attribuita la valenza del libro matricola e che la consulenza tecnica d’ufficio non poteva esonerare la parte dall’onere della prova su di essa gravante. Quindi la ricorrente ulteriormente sostiene che esattamente la sentenza di primo grado aveva ritenuto il difetto di prova sulla quantità e qualità di prestazioni rese.
2.3.2.Gli argomenti non colgono il contenuto della pronuncia impugnata perché, continuando a fare riferimento alle maggiorazioni retributive anche per rinnovi contrattuali, non considerano che la sentenza impugnata ha escluso gli importi con tale titolo, proprio sulla base del dato che non vi era prova del pagamento delle relative maggiorazioni ai dipendenti. Quindi, non è configurabile alcun omesso esame, perché la sentenza ha affermato che gli importi spettavano all’appaltatrice se e in quanto li avesse c orrisposti ai suoi dipendenti e, infatti, laddove ha ritenuto mancante la prova della corresponsione, ha rigettato la domanda. In ordine alle maggiorazioni relative al lavoro notturno, la sentenza ha espressamente recepito le conclusioni del consulente d’ufficio, dando atto che lo stesso aveva esaminato la documentazione prodotta, compresi i cartellini marcatempo; ciò è sufficiente a indicare che l’accertamento in fatto, sull’esecuzione del lavoro notturno e sulla corresponsione delle relative differenze retributive, è stato svolto dalla Corte d’appello , in quanto la ricorrente continua a riproporre le deduzioni sull’irrilevanza probatoria dei detti cartellini, in ordine ai quali è sufficiente richiamare quanto già esposto.
3. Il terzo motivo è svolto ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ., 21 co.1 d.P.R. 633/1972, 2697 cod. civ. 17, 18 e 19 del capitolato di appalto, RAGIONE_SOCIALE e presenta i profili di inammissibilità dei precedenti per le modalità con le quali è formulato,
svolgendo una serie di deduzioni successive prive della chiarezza necessaria a individuare i distinti vizi attribuiti alla sentenza impugnata.
3.1.Ad ogni modo, per quanto è dato comprendere, la ricorrente in primo luogo lamenta l’omessa pronuncia, e perciò la violazione ex art. 360 co.1 n.4 cod. proc. civ. dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere la sentenza pronunciato sull’eccezione di nullità della fattura nNUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO posta da RAGIONE_SOCIALE a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo, in quanto la fattura non era mai stata ricevuta da RAGIONE_SOCIALE e ciò equivaleva alla sua inesistenza, e per non avere applicato il principio secondo il qu ale la fattura non prova l’esistenza del rapporto.
3.1.1.Le deduzioni sono evidentemente prive di fondamento, in quanto già la sentenza di primo grado aveva revocato il decreto ingiuntivo opposto; quindi ogni questione relativa alla valenza della fattura era stata decisa da quella pronuncia, che non è stata riformata dal la sentenza d’appello, in quanto la Corte d’appello ha provveduto ad accertare il credito in base alle risultanze probatorie, sulle quali non incidevano le questioni relative all’emissione della fattura medesima.
3.2.Di seguito la ricorrente aggiunge che non sono stati provati i crediti di cui alla fattura , che è stato omesso l’esame di una serie di fatti, riferiti ai dati che l’appaltatrice non aveva attivato la procedura negoziale prevista dall’art. 19 del capitolato d’appalto, che non era dovuto alcunché per rinnovo contrattuale, che non era applicabile l’art. 1664 co.1 cod. civ., in quanto derogato dal capitolato d’appalto, che erano destituite di fondamento una serie di affermazioni avversarie, che era inapplicabile l’art. 18 del capitolato, era inapplicabile l’invocato RAGIONE_SOCIALE e il successivo Accordo di rinnovo, in quanto applicabili solo ai dipendenti delle Aziende di trasporto aereo e di gestione aeroportuale, quale non era RAGIONE_SOCIALE; quindi lamenta che sia stato omesso anche l’esame di questo fatto decisivo. Aggiunge che il
contratto di appalto prevedeva il pagamento di corrispettivi fissi per i servizi, mentre solo tra l’appaltatrice e i suoi dipendenti erano intercorsi rapporti di lavoro subordinato, lamentando che la sentenza non si sia pronunciata su tali deduzioni. Infine dichiara che nessuna somma era dovuta per maggiorazione per il lavoro notturno, in quanto l’art. 17 del contratto di appalto lo escludeva e comunque non è stata data la prova del l’esecuzione del lavoro notturno.
3.2.1.In questo modo la ricorrente svolge una serie di argomenti nell’erroneo presupposto che il giudizio di legittimità sia un terzo grado di giudizio nel quale riproporre le proprie argomentazioni, prescindendo totalmente dal contenuto della sentenza impugnata e perciò senza neppure coglierne la ratio . Come già esposto, la sentenza impugnata ha interpretato le previsioni dell’art. 17 del contratto di appalto e della nota integrativa, giungendo alla conclusione che con la nota integrativa le parti avevano modifica to le previsioni dell’art. 17 e avevano concordato che la prestazione di lavoro notturno venisse retribuita tenendo conto della maggiorazione del 60% prevista dal RAGIONE_SOCIALE di settore. In mancanza di motivi di ricorso volti a sostenere in modo ammissibile la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, tale interpretazione è acquisita in causa.
La circostanza che il RAGIONE_SOCIALE di settore applicabile secondo la previsione contrattuale non fosse quello in forza del quale l’appaltatrice aveva pagato le maggiorazioni ai suoi dipendenti risulta questione nuova, in quanto non ve ne è cenno nella sentenza impugnata; quindi la questione non può essere esaminata, perché la ricorrente non specifica in quali atti e in quali termini l’ avesse posta nel giudizio di merito. E’ acquisito il principio secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al
giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente la deduzione sia stata eseguita; ciò al fine di consentire alla Corte di verificare ex actis l’esattezza dell’affermazione, giacch é i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass. Sez. 2 9-8-2018 n. 20694 Rv. 650009-01, Cass. Sez. 6-1 13-6-2018 n. 15430 Rv. 649332-01, Cass. Sez. 1 18-10-2013 n. 23675 Rv. 62797501).
Le ulteriori affermazioni della ricorrente nel corpo del motivo, secondo le quali la prestazione di lavoro notturno non è stata provata, sono evidentemente svincolate dalla proposizione di motivo enucleabile in una delle ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ. e per questo sono a loro volta inammissibili.
4.Il quarto motivo è dichiaratamente proposto ai sensi degli artt. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. 17, 18 e 19 del capitolato d’appalto, del RAGIONE_SOCIALE e del successivo accordo di rinnovo, nonché per omesso esame di fatti decisivi; il motivo, in primo luogo, presenta i profili di inammissibilità dei precedenti per le modalità con le quali è redatto, in termini tali da renderne estremamente difficoltosa la comprensione e perciò la disamina.
4.1.Ad ogni modo, per quanto è dato comprendere, la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto provato il credito di Euro 128.021,17 comprensivo di iva relativo al lavoro notturno, appiattendosi sulle affermazioni del consulente d’ufficio, senza che fosse stata data prova della concreta effettuazione delle prestazioni e senza che fosse stata data prova del pagamento delle somme a favore dei dipendenti. Sostiene che il secondo giudice abbia errato nel non
dare seguito alle osservazioni del suo consulente di parte, che la consulenza non avrebbe neppure dovuto essere disposta in mancanza degli originali dei cartellini marcatempo, che il c.t.u. ha utilizzato un criterio errato, che non avrebbe potuto applicare il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che i cartellini segnatempo in quanto atti unilaterali non avrebbero potuto essere utilizzati ed erroneamente sono stati utilizzati in copia scarabocchiata.
4.2.Confermato quanto già esposto nella disamina dei precedenti motivi sulle questioni relative ai cartellini marcatempo e al RAGIONE_SOCIALE applicato, si aggiunge che da nessuna delle deduzioni svolte dalla ricorrente è consentito individuare la proposizione di motivo integrante le ipotesi dei numeri 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., perché risulta piuttosto che la ricorrente si limita a riproporre gli argomenti svolti nel giudizio di merito al fine di ottenerne una diversa valutazione. Non si configura alcuna violazione di legge, in quanto dagli argomenti non è enucleabile alcuna erronea ricognizione della fattispecie astratta, ma soltanto la pretesa di ottenere una ricostruzione della fattispecie concreta diversa da quella eseguita dalla sentenza impugnata. Non si configura alcun omesso esame di fatto decisivo, in quanto il motivo non è proposto nei termini richiesti dall’art. 360 co.1 n.5 cod. proc. civ. e sopra già esposti al punto 1.1.
5.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, la ricorrente deve essere condannata alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese di lite del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione